06.12 – LA PECCATRICE INNOMINATA (Luca 7.36-50)

6.12 – La peccatrice innominata (Luca 7.36-50)

 

36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo,il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo.47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».”.

 

            Episodio particolarissimo, proprio di Luca, ci offre una narrazione semplice quanto a messaggio, molto più complessa se vogliamo capire le ragioni delle iniziative e i pensieri dei suoi personaggi. Gesù aveva appena finito il suo discorso riportato nei versi precedenti sulle “città impenitenti”, sulle cose “rivelate ai semplici”e il riposo che avrebbe dato alle anime di chi si sarebbe rivolto a lui ed ecco apparire tra i presenti la figura di Simone, nome che significa “Dio ha ascoltato la mia voce”, fariseo di Capernaum, città in cui si svolse l’episodio: uomo di Legge, pari di Nicodemo, incuriosito dal Suo messaggio, volle avere Gesù con sé a mangiare per farsi un’idea del personaggio più da vicino, per avere argomenti di poter parlare coi suoi pari, per metterlo alla prova. Ciò a cui Nostro Signore fu invitato, non fu certo paragonabile al convito organizzato da Levi Matteo, col quale dava l’addio alla sua professione e voleva forse rallegrarsi coi suoi conoscenti per l’inizio di una vita nuova. Quello di Simone non fu un atto di deferenza, ma un’azione volta alla ricerca di elementi positivi o negativi su Gesù a seconda di come si fosse comportato.

C’è poi la “peccatrice” che molti hanno voluto identificare con Maria di Magdala, o Maria sorella di Lazzaro, o hanno voluto collegare il termine usato da Luca col mestiere di prostituta quando, se così fosse stato, non sarebbe stata ammessa in casa del fariseo. Piuttosto il termine fa riferimento sia a una condizione di peccati non rimessi tramite il sacerdote attraverso i sacrifici della legge cerimoniale, sia a una reputazione non onorevole presso i suoi concittadini. Avrebbe potuto essere, ad esempio, la moglie di un pubblicano, ritenuto servo del potere romano e pertanto disprezzabile. Il “peccatore”, o il suo corrispettivo femminile, è colui che fa ciò che è male agli occhi del Signore e quindi attira un Suo giudizio indipendentemente dai comportamenti adottati.

Ora questa donna, della stessa città in cui Gesù aveva preso dimora con sua madre e i fratelli, per il comportamento avuto con Lui, sappiamo che senza dubbio era stata una Sua attenta ascoltatrice e sicuramente testimone a più di un miracolo perché nulla gli chiede e nulla gli dice, ma parla col linguaggio della riconoscenza senza chiedergli nulla.

A questo punto è necessario fare un breve accenno al momento del pranzo, che per noi è importante e tendiamo a viverlo in modo riservato: indipendentemente dal fatto che ci troviamo da soli o con persone care, quando mangiamo con altri tendiamo a porre delle barriere affinché la nostra tranquillità non sia turbata e se qualcuno ci chiama o suona alla porta in quel frangente ci sentiamo infastiditi. Non così era ai tempi del nostro episodio, perché proprio quando la gente pranzava era possibile entrare nelle case e parlare col proprietario o i suoi eventuali convitati. Nei pressi della tavola si potevano trovare ambulanti, mercanti, poveri che speravano in un boccone da mangiare (vedi la parabola del ricco e Lazzaro), curiosi e varia umanità che, magari passando e se c’era caldo, vedeva la tavolata all’aperto sotto un pergolato o un albero e si fermava coi commensali. Occorre poi considerare il modo di stare a tavola, diverso dal nostro: si pranzava a semicerchio o a ferro di cavallo e i partecipanti stavano sdraiati sul fianco appoggiati al braccio sinistro ripiegato a gomito, con i piedi rivolti all’esterno su delle specie letti come i triclini dei romani.

Torniamo ora alla donna e interroghiamoci, più che sul suo passato, sulle ragioni che la spinsero a comportarsi in quel modo: seppe che si Gesù si trovava a casa di Simone e andò là portando con sé le cose più importanti che aveva, se stessa e quel “vaso di profumo”, o “essenza profumata” che è stato identificato nel Balsamodendron Myrhae o nel nardo, entrambi molto preziosi. Giunta là, individua subito Nostro Signore, segno che doveva averlo visto in altre occasioni. Le modalità con cui si espresse ci consentono di stabilire che avesse fatto, col tempo, un percorso tutto suo di elaborazione sulle parole di Gesù e sugli episodi, non sappiamo quanti né quali, di cui era stata testimone.

Istintivamente viene da pensare che il suo comportamento fosse teso a solo chiedere perdono, ma dalle parole di Gesù “Sono perdonati i suoi peccati, perché ha molto amato”, in collegamento alla parabola dei due debitori, vedremo che non fu così. È e fu un momento delicato: guardando l’episodio per raccogliere gli elementi che ci suggerisce, vediamo che quella donna fa quattro cose, tutte frutto di uno stato d’animo e di un lungo ragionamento a monte: piange, bagna con le lacrime i piedi di Nostro Signore, li asciuga coi suoi capelli, e li cosparge di quel profumo che avrebbe potuto benissimo impiegare in altri modi, per lei più umanamente proficui, come ad esempio vederlo e spendere i soldi per soddisfarsi, cosa che venne in mente ad alcuni, fra cui Giuda, in un analogo episodio avvenuto in casa di un altro Simone, lebbroso: “«Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!» ed erano infuriati contro di lei” (Maro 14.3-9).

Il pianto di un adulto è diverso da quello di un bambino, che accompagna alle lacrime grida per farsi ascoltare fondamentalmente quando viene offeso, si spaventa o si fa male: un adulto piange dalla commozione, perché gli viene a mancare improvvisamente un riferimento, un orientamento e capisce che non ha possibilità di recuperare ciò che ha perso, oppure perché la tensione che ha a lungo accumulato cessa di colpo, quindi viene liberato improvvisamente da qualcosa. Teniamo presente quest’ultimo caso perché va collegato agli altri tre dei comportamenti e più si progredisce nel ragionamento più si acquisiscono certezze: a parte il fatto che era disonorevole per una donna di quel tempo mostrarsi coi capelli sciolti, che asciugare i piedi di una persona in quel modo era cosa da schiavi, è la scelta di quelle membra come luogo di pianto e profumo a dirci quanto lei avesse capito chi in realtà Gesù fosse.

La donna si pone dietro di Lui ponendosi dalla parte dei piedi, che nella Scrittura alludono sempre a un cammino riferito al percorso spirituale passato, presente e futuro indipendente che vadano al bene o al male. Ecco, tra l’altro, la ragione per la quale Nostro Signore lavò personalmente i piedi agli apostoli: quando Pietro chiese “Signore, tu lavi i piedi a me?”, la risposta fu “Quello che io faccio non lo capisci, lo capirai dopo.(…) Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Giovanni 13.6-8).

Possiamo a questo punto capire che, rivolgendo le sue attenzioni ai piedi di Gesù, quella donna considerasse tutto quanto Lui aveva fatto fino ad allora, e da allora avrebbe fatto, per lei e per tutti quelli che Lo avrebbero riconosciuto come Figlio di Dio e figlio dell’uomo; guardò i piedi di Gesù da vicino e pensò a tutte le vie che aveva percorso e avrebbe intrapreso per salvare, predicare, guarire. Conscia della sua condizione, voleva che, tra le tante preghiere che i suoi contemporanei gli avevano rivolto, ci fosse posto anche per lei. Il pianto fu l’unico modo di comunicare con Lui. Non quello finto dei lamentatori di professione che venivano ingaggiati ai funerali, ma qualcosa che divenne preghiera da sé. Cosa avrebbe potuto chiedere o dire a Gesù? Sapeva di avere bisogno di perdono, di rinnovamento, di qualcosa che cambiasse la sua vita che continuava impossibile sotto il peso dei peccati, e si rivolge al solo in grado di salvarla. Nel suo parlare senza dire, c’era una richiesta alla quale si accompagnava un ringraziamento comunque. Non era poco. La frase “Signore, se tu vuoi puoi guarirmi” detta da un malato nel corpo è qualcosa di immediato perché tutti vedono quella malattia, ma quando un peccatore chiede a Gesù di essere perdonato, quindi di guarire ma in un altro modo, ci troviamo già di fronte a un miracolo. “Se tu vuoi, puoi” fu il senso di quelle lacrime, di quel profumo, di quei capelli. Al pianto si accompagnava un senso di profonda gratitudine. Anche oggi nella vita della persona ci possono essere preghiere che non vengono formulate mediante concetti ordinati e distinti, ma con suoni interiori e/o lacrime: lo stesso avvenne con la peccatrice innominata incapace di articolare un discorso perché troppe e tutte assieme sarebbero state le cose da dire. Tanti infatti sono i contenuti della sua preghiera, che è al tempo stesso una lode per il Suo esistere, e un perdono desiderato, ritenuto per certo perché fondato sulle Sue promesse, ma bisognoso di un cenno, di quel “di’ soltanto una parola” che avrebbe reso ufficiale l’alleggerimento da quella condizione di peccato importabile.

Se Nostro Signore capì immediatamente il linguaggio e lo spirito di quella persona, non così Simone, che giudica inopportuno tutto quanto stava avvenendo: quanto faceva quella donna non meritava la minima attenzione perché era una peccatrice che lo contaminava e Gesù non era il profeta che diceva di essere perché, non mandandola via, dimostrava di non sapere chi fosse. Conoscendo i pensieri del fariseo, Gesù inizia a parlargli ma la frase di apertura, “Simone, ho qualcosa da dirti”, è ben diversa dalle invettive con le quali si rivolge solitamente alla sua categoria segno che modo di ragionare di Simone, per quanto frutto della corrente cui apparteneva, era il risultato di una mente strutturata e condizionata dal sistema cui apparteneva e per questo, anziché un rimprovero, cerca un recupero. La religione, la fede non autentica, quella che non si dimostra con l’amore, rendono l’uomo presuntuoso e arrogante nei confronti dei propri simili soprattutto quando sbagliano perché, giudicandoli secondo rigide norme precostituite, a tutto li spinge tranne che cercare la “trave”nel proprio occhio, o a ricordare cos’erano prima della loro conversione. La prima cosa che fa un religioso è considerare gli altri impuri e vede in se stesso un privilegiato, un vivente in un mondo di morti: la questione però non è se questo sia vero o falso, ma se quell’esser vivi porti un frutto oppure no. E se è previsto che nel nome di Gesù si possa morire, è terribile e diabolico che nel Suo nome si possa uccidere, ferire, giudicare non secondo le logiche della carità. E solo un intervento di Dio può guarire da questa situazione, basta che la persona lo accetti.

E arriviamo così alla parabola dei due debitori ricordata poco sopra: entrambi dovevano al creditore una somma, ma il secondo era in difetto di un decimo rispetto al primo. Entrambi non avevano di che pagare e questa è la condizione di ogni essere umano nei confronti di Dio. Quindi con questa parabola Gesù intende far ragionare Simone sul fatto che, se quella donna era consapevole della sua posizione e aveva capito che poteva essere perdonata e iniziare una vita nuova, lui non lo era, cioè non solo ignorava di essere un debitore, ma quel l’idea non lo sfiorava nemmeno e il giudice restava sempre lui, con la sua Legge, le sue usanze, i suoi preconcetti. Il paragone tra i due creditori era ipotetico e teso a sottolineare l’importanza del comprendere il valore del perdono di Dio, che quella la donna aveva acquisito, e non il fatto che Simone fosse un privilegiato cui poco doveva essere rimesso. Non risulta che per lui ci sia stato perdono, per lo meno in quella circostanza.

Quando poi un visitatore entrava in una casa, il proprietario lo abbracciava, lo baciava e gli offriva l’acqua per lavarsi i piedi, sporchi di polvere o di fango, o glieli faceva lavare dai servitori, azioni che Simone non aveva fatto evidentemente per rimarcare la distanza tra lui e Gesù, che avrebbe dovuto essere l’ospite di maggiore riguardo. Ai convitati si era soliti offrire anche un po’ d’olio per ungersi il capo e la barba prima o durante il banchetto, altra usanza trascurata eppure per l’epoca importante. L’innominata peccatrice, invece, aveva trasformato un elemento del galateo di allora in un atto di adorazione e preghiera. La frase “da quando sono entrato”, poi, ci dice che era lì prima dell’arrivo di Nostro Signore ad aspettarlo, o che era tra la gente che lo accompagnava.

C’è poi quel “ha molto amato”, che riassume il sentimento che aveva animato quella persona non nel suo passato remoto, ma in quello prossimo, lì al pranzo, in cui aveva manifestato tutta la sua riconoscenza nel chiedere il perdono, che la propria vita venisse riscattata. Era un’idea che si era fatta in lei poco a poco, mettendo da parte le parole e le azioni chi di poteva rimettere i suoi peccati. E “Per questo le sono perdonati i suoi peccati”.

C’è poi la fede che l’aveva salvata, quindi la certezza del fatto che, se c’era stato un “prima” che ben conosceva, ci sarebbe stato un “dopo”: la guarigione dei tanti malati di cui aveva sentito parlare, o era stata testimone, era solo l’aspetto di un’altra guarigione, ben più importante, quella che l’avrebbe portata alla vita mettendola in condizione di ricominciare da capo. Così come Gesù aveva letto i pensieri di Simone rivelandoglieli, altrettanto aveva fatto con la donna, di cui conosceva il passato e le ragioni che l’avevano portata a quel pianto e a quei gesti. “La tua fede di ha salvata” è la conferma del fatto che solo la consapevolezza di quello che siamo davanti a Dio, e quindi a chiedere il perdono, può portarci all’esenzione dal destino comune che avranno tutti coloro che scelgono di vivere escludendosi dalla Sua realtà. Ed è anche qualcosa che, una volta avuta la Grazia, non possiamo permetterci di abbandonare, perché altrimenti avremmo avuto una remissione teorica, saremmo quella piantina di grano soffocata dalle spine: moriremmo. La fede va gestita nel quotidiano, non può essere un vestito o un oggetto che prendiamo solo quando ne abbiamo bisogno come faceva Simone che, nonostante la conoscenza che aveva della Parola scritta, l’aveva ridotta a un compendio di regole, orgoglioso di osservarle, ma senza possedere la capacità di valutazione e discernimento dell’umile.

Resta da capire cosa sia il “molto” e il “poco” di cui Gesù ha parlato: non credo che questi indichino la quantità dei peccati che una persona può avere nel suo passato e che si porti con sé fino a perdono raggiunto: è piuttosto una valutazione personale. In altri termini la “peccatrice” non era peggiore di Simone perché entrambi erano privi della Grazia, quindi volontariamente fuori dal progetto di Dio per loro; la differenza stava nel fatto che una voleva entrarvi e aveva compreso quanto fosse importante, l’altro era convinto di esservi già oppure non si poneva il problema essendo un maestro e confrontandosi, presumo quotidianamente, coi suoi pari seduti sulla loro giustizia e intenti in complesse dissertazioni dottrinali, attenti al particolare, ma incapaci di guardare al generale. Sappiamo invece, per esperienza, che l’istruzione passa attraverso un metodo opposto, cioè dal generale al particolare.

La donna sapeva di avere un debito molto grande e, per alleggerire il suo peso, avrebbe potuto ricorrere al metodo del confronto, vale a dire individuare chi era peggio di lei e consolarsi col fatto che, per quanto peccatrice, c’era sempre chi si comportava peggio, ma non lo fece. Simone invece è possibile che ringraziasse Dio di non essere “come gli altri uomini”, preghiera che leggiamo nella parabola del Fariseo e del pubblicano, la cui giustizia era fondata sui digiuni e le elemosine, fatti preferibilmente in modo tale che gli altri lo sapessero. Tutti questi personaggi si erano dimenticati che la salvezza non risiede in un’organizzazione o in un modo di pensare o vivere, ma nel confronto costante tra quello che si è e si dovrebbe essere, camminando mano nella mano con il Figlio di Dio che ci ha voluti salvare, il cui nome è benedetto in eterno. Amen.

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