05.21 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO VII (Matteo 5.27-32)

5.22 – Settimo, non commettere adulterio VII (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Con questo incontro concluderemo quella che è solo una panoramica generale sul settimo comandamento, che coinvolge direttamente l’istituzione matrimoniale senza la quale l’adulterio non potrebbe esistere. Parlando di credenti il pericolo di questa infrazione esiste quando si verifica un problema di ascolto e una delle due parti, o molto spesso entrambe, hanno posto le basi perché ciò si verificasse. Molti dei versi che abbiamo citato e letto nei capitoli precedenti illustrano la condizione ideale, quella di Dio, ma occorre tener presente che, nel contingente quotidiano, ciascuno di noi sa di avere a che fare con la propria carne “debole”, con le sue esigenze che vorrebbero essere sempre dominanti e con il proprio spirito che, pur “pronto”, è costretto ad affrontare il proprio lato umano imperfetto. L’uomo convive quindi con questi due elementi spesso in conflitto fra loro e così nel matrimonio, nel rapporto continuo con il nostro corrispettivo femminile o maschile, si può dire che a fronteggiarsi, a volte disordinatamente, si è in quattro.

Ognuno di noi sa, per esperienza diretta, quanto sia difficile a volte gestire il rapporto con noi stessi: egoisti per natura, siamo capaci di azioni tanto nobili quanto disonorevoli. Dal punto di vista della personalità il cristiano, come tutti, può evolvere o involvere, venire condizionato negativamente da circostanze avverse nella vita e nel lavoro senza contare che, come si può ammalare il nostro corpo, anche la mente, sottoposta a stress prolungati, può aver bisogno di cure. Non credo di assumere posizioni estreme affermando che, quando tutto ciò si verifica, a monte c’è un mancato cammino quotidiano col Signore fatto di preghiera e soprattutto identificazione con Lui e la Sua Parola. Ricordiamo Isaia 40.29,31: “Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”. Certo, questi versi descrivono la posizione di chi cammina sempre davanti a e con Dio, ma dobbiamo tener presente che la vita che scorreva nei tempi antichi era profondamente diversa da quella attuale, che impone all’essere umano ritmi insostenibili perché visto come una macchina da sfruttare e che deve produrre velocemente e proficuamente. La gestione di un tempo basato – ad esempio – sui bioritmi o anche solo a misura della persona è divenuta da tempo impossibile e le nevrosi nascono libere, causate da fattori che prima non esistevano e ci sono credenti che non trovano il tempo per pregare e appartarsi con Signore, arrivando a fine giornata sfiniti.

La nostra mente, oggi, è molto più in pericolo di allora e in tal modo si creano squilibri: una persona poco in grado di gestire se stessa, lo è ancora meno nel gestire un rapporto di coppia. Allora possono nascere dei conflitti peggiori di quelli previsti, sempre dall’apostolo Paolo che sviluppò molto il tema del matrimonio, con queste parole: “Riguardo alle vergini non ho alcun comando dal Signore, ma dò un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com’è. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele” (1 Corinti 7.25-28).

È proprio la definizione “tribolazioni nella loro vita”, tradotta da altri con “tribolazioni nella carne”, che allude a uno stato di sofferenza che può instaurarsi a causa di un’unione che, per i motivi più svariati, s’incrina a tal punto da lasciare i coniugi soli con loro stessi e a scendere in un terreno di contesa e rivalsa. È il desiderio di vita naturale che si insinua in quella della coppia e Paolo, paternamente, vorrebbe risparmiare a chi non è ancora fidanzato o legato sentimentalmente la prospettiva del matrimonio perché contempla anche sofferenza che può essere più o meno transitoria a seconda dell’atteggiamento di entrambi. Ricordiamo che l’unione ha sempre come obiettivo la cooperazione verso qualcosa di molto più alto di una semplice convivenza e che ciascuno dovrebbe vedere nell’altro tanto il proprio simile quanto, fatte le debite proporzioni, il volto di Dio che si riflette nel credere, nell’essere salvati e nel crescere. Perché occorre aver cura della moglie come del proprio corpo? È un modo per ricordare che lei è parte integrante del marito, non è un frammento di vita autonoma. E viceversa. Tutto questo può essere considerato retorica pura, ma non è così, per lo meno da un punto di vista cristiano perché marito e moglie, avendo un obiettivo di crescita comune davanti al Signore, sono uniti proprio da quel cammino. Allora possiamo mettere a confronto, facendo ciascuno libere considerazioni, le parole di Paolo che abbiamo letto e quelle del Qoèlet, o Ecclesiaste: “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare, ma uno solo, come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto” (4.9-12).

Si può ora tornare a 1 Corinti 7, leggendo un nuovo passo: “Agli sposati dò quest’ordine, che non viene da me, ma dal Signore: la moglie non si separi dal marito. Se si è già separata dal marito, non si risposi. Cerchi piuttosto di riconciliarsi con lui. E d’altra parte, il marito non mandi via la moglie”. Qui abbiamo un distinguo tra consiglio e ordine e, come vedremo nei versi successivi, il secondo si riferisce a coniugi credenti, che hanno acconsentito al Signore Gesù Cristo di entrare nella loro vita e hanno fatto a suo tempo un progetto comune scegliendo di diventare una sola carne. Tutte le indicazioni contenute al capitolo 7 di questa lettera non sono state trattate dall’apostolo per sua volontà, ma da esplicite domande dei credenti di Corinto che non ci sono pervenute, poiché leggiamo all’inizio “Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto” (v.1) e il caso della moglie che non si deve separare dal marito – e viceversa – è posto come ideale perché in realtà, può farlo ma senza risposarsi.

Subito dopo però viene contemplato anche il caso di un matrimonio in cui uno dei due coniugi non è credente: “Agli altri do un consiglio e questo è un parere mio, non un ordine del Signore: se un cristiano ha una moglie che non è credente, e questa desidera continuare a vivere con lui, non la mandi via. E così pure la moglie cristiana non mandi via il marito che non è credente, se egli vuol vivere con lei. Il marito non credente appartiene già al Signore per la sua unione con la moglie credente e viceversa la moglie non credente appartiene già al Signore per la sua unione col marito credente. In caso contrario voi dovreste rinnegare anche i vostri figli, mentre invece essi appartengono al Signore. Ma se uno dei due è credente e vuole separarsi, lo faccia pure. In tal caso il credente, sia esso marito o moglie, non è vincolato. Dio infatti vi ha chiamati a vivere in pace” (vv.12-14).

Da questi versi, che da un lato confermano la “sola carne” perché il coniuge non credente “appartiene già al Signore” per il solo fatto di aver sposato una controparte cristiana rileviamo che, in caso di separazione, è proprio chi dei due è cristiano a non essere vincolato dal matrimonio contratto e quindi può risposarsi: perché? Perché la parte che rinuncia al legame decide di estraniarsi rendendo impossibile il proseguimento di un rapporto liberando di fatto la controparte e rendendola autonoma. Sarà poi una scelta di chi è stato abbandonato dalla moglie o dal marito non credente se rimanere “solo”, oppure cercare un altro legame per il principio secondo il quale è “meglio sposarsi che bruciare” cui abbiamo accennato in una recente riflessione.

Diventano molto significative a questo punto le parole, sempre in questo capitolo, “Vorrei sapervi liberi da preoccupazioni. Infatti l’uomo non sposato si preoccupa di quel che riguarda il Signore e cerca di piacergli. Invece l’uomo sposato si preoccupa di quel che riguarda il mondo e cerca di piacere alla moglie. E così finisce con l’essere diviso nel suo modo di pensare e di agire. Allo stesso modo, una donna non sposata, sia essa adulta o ragazza, si preoccupa di quel che riguarda il Signore, perché desidera vivere interamente per lui. Invece la donna sposata si preoccupa di quel che riguarda questo mondo e di piacere al marito” (vv.32-34). Sono molto significative le parole che esprimono il sottile disagio dell’essere “diviso nel suo modo di pensare e di agire”rispetto all’unico obiettivo di servire il Signore liberamente, ma si tratta di una realtà possibile solo a quelli che sanno dominarsi per cui “chi si sposa fa bene, ma chi non si sposa fa meglio” (v.38), parole che chiudono il discorso paolino sul celibato quale condizione migliore sul matrimonio di cui ha illustrato da una parte i limiti e dall’altra i vantaggi.

È possibile concludere questa breve panoramica con una considerazione sui cosiddetti “rapporti prematrimoniali”, definizione francamente impropria perché l’avere un rapporto fisico con una persona di sesso opposto determina il matrimonio. Per questo valgono le parole dal verso 26 al 37: “Se a causa della sua esuberanza un fidanzato si trova a disagio dinnanzi alla fidanzata e pensa che dovrebbe sposarla, ebbene la sposi! Non commette alcun peccato! Può darsi però che il giovane, senza subire alcuna costrizione, mantenga fermamente la decisione di non sposarsi. In tal caso, se sa dominare la sua volontà e mantiene fermo il proposito di non avere relazioni – carnali– con la sua compagna, agisce rettamente se non la sposa”. Anche qui viene ribadito che tanto il matrimonio che il celibato sono una scelta, ma troviamo un particolare fondamentale, importante tanto quanto il progetto di vita insieme: “senza subire alcuna costrizione” ed è proprio quell’ “alcuna” a spiegarci che il “costringere”, azione coercitiva, non è riferito solo a un atto violento con minacce più o meno esplicite e forti, quindi un’estorsione, ma anche a un’operazione intrapresa per influenzare, convincere, portare la persona a compiere un passo che altrimenti non farebbe tanto nello sposarsi quanto nel rimanere celibe. Ecco perché nella Chiesa, indipendentemente dalla denominazione, devono essere presenti persone in grado di vigilare e vagliare attentamente le circostanze che portano al matrimonio di due giovani, dei pastori veri che amino il gregge e non individui che si crogiolano in un incarico che loro e non il Signore ha dato. Ricordiamoci dei sette tipi di amore e del fatto che chi è coinvolto sentimentalmente spesso non è in grado di distinguere perché non obiettivamente partecipe con la mente, spesso proiettando sulla persona progetti e ideali non a lei confacenti. Urgono persone, pastori, che servano il Signore davvero e che amino il loro prossimo veramente come loro stessi.

Nel passo di Matteo in cui Gesù tratta il divorzio nel suo sermone sul monte, “eccetto il caso di unione illegittima”, abbiamo così l’anticipazione dell’importante tema che poi sarà l’apostolo Paolo a sviluppare: l’unione illegittima, quindi l’adulterio, interrompe il matrimonio davanti a Dio, con un colpevole e un innocente e spetta al secondo scegliere se perdonare il primo cercando di ricomporre l’unione per quanto possibile, o “mandarlo via” legittimamente e risposarsi perché non responsabile di un matrimonio infranto.

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5.16 – SETTIMO: NON COMMETTERE ADULTERIO II (Matteo 5.27-32)

5.17 – Settimo, non commettere adulterio II (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Prima di passare alla seconda parte di questo studio è giusto tornare un attimo alla precedente perché abbiamo citato il caso di violenza – con la forza fisica o con la seduzione – su una giovane non fidanzata. Va ricordato che, nel caso fosse promessa sposa, il fatto non poteva rientrare nella categoria degli “incidenti di percorso” cui andava posto rimedio con matrimonio o una multa, ma in quella dell’adulterio che prevedeva la morte. Va tenuto presente che la Legge, vista nel Decalogo e relativi corollari, non era per il popolo qualcosa di oscuro o sconosciuto, ma veniva insegnata senza trascurare nulla; c’era tutta una pedagogia specifica costituita dalla trasmissione orale, e non solo, che possiamo leggere in Deuteronomio 6.4-8: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze. Questi precetti che io ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. Esisteva quindi di una vera e propria profilassi spirituale al fine di evitare che i comandamenti contenuti nel Decalogo venissero infranti, cosa che si verifica sempre quando l’uomo si considera il centro, rifiutando la dipendenza da Dio come Caino e i suoi discendenti.

Il matrimonio era un’istituzione concepita per popolare la terra in modo “ordinato”, vale a dire con lo scopo che nessuna linea genealogica si estinguesse e, a differenza di quanto accaduto nella dispensazione della coscienza, Dio istituì delle norme precise tese a preservare la razza che non poteva venire contaminata da unioni tra consanguinei e mutazioni genetiche destinate a produrre malformazioni e/o ritardo mentale nella popolazione. È Levitico 18 ad elencare nei dettagli tutte le relazioni carnali illecite. È un capitolo molto importante che va esaminato, per quanto lo spazio ridotto lo renda possibile solo a grandi linee, dai versi 4 e 5 che fungono da introduzione: “Fate ciò che io vi comando attraverso le mie leggi e osservate i miei statuti, per camminare in essi: io sono il Signore Iddio vostro. Osservate i miei statuti e le mie leggi: chiunque li metterà in pratica, vivrà per essi: io sono il Signore”. Sta all’uomo scegliere se aderire o meno all’esigenza divina riguardo alla gestione del proprio corpo ed è avvertito che, se osserverà gli statuti e le leggi presentate, “vivrà per essi”. Si tratta di scegliere fra bene e male, cioè tra ciò che è approvato da Dio e ciò che non lo è; inutile accusare il testo o il suo Autore di essere reazionario o dileggiarlo perché non viene consentito l’esercizio di una sessualità “libera”: ogni uomo o donna poteva e può scegliere di seguire i comandamenti nel suo interesse, oppure no. Ma non è possibile poi avere la pretesa, in caso di ribellione a ciò che non un uomo ha stabilito, di “vivere per essi”. Chi quindi non si adegua ai precetti che seguono, si colloca quanto meno fuori dall’attenzione e la protezione di Dio: sceglie di anteporre il proprio “ma” subendone le conseguenze.

6Nessuno si accosti ad una sua parente carnale per scoprire la sua nudità. Io sono il Signoreè il verso d’esordio, dove altri hanno tradotto “parente carnale” con “consanguineo” anche se cosa s’intenda per essi viene spiegato versi nei successivi, non potendo la Legge lasciare dei dubbi in quanti intendevano metterla in pratica. “Scoprire la nudità” è uno dei modi per riferirsi al rapporto carnale, come già accennato con altri casi. Per scongiurare fraintendimenti, ecco che il verso parte proprio dall’ovvio, non essendovi parente carnale più stretto del proprio padre o della propria madre. Essendo l’omosessualità non consentita, “padre” o “madre” stanno a indicare che quanto esposto riguarda sia gli uomini, che le donne. 7Non scoprirai la nudità di tuo padre né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità.8Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre”. Immediatamente dopo la madre naturale viene un’altra donna, considerata allo stesso livello della genitrice perché comunque carne del padre. Viene qui in mente l’episodio dell’incestuoso di Corinto, che aveva questo tipo di rapporto (1 Corinti 5.1-5). 9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, generata in casa o fuori; non scoprirai la loro nudità”: da qui vediamo che, come nel verso precedente, per essere fratelli o sorelle secondo la carne non è necessario discendere dagli stessi genitori, ma ne basta uno ed è quell’ “o” a negare ci sia differenza tra fratello e fratellastro, sorella o sorellastra. Qui, in particolare, penso che il verso si riferisca a fratelli o sorelle acquisiti, quindi anche figli di un matrimonio precedente interrotto a causa di una vedovanza poiché la dichiarazione ufficiale dei rapporti fraterni a livello famigliare è più definita al verso 11 che recita “Non scoprirai la nudità della figlia di una moglie di tuo padre, generata da tuo padre: è tua sorella, non scoprirai la sua nudità”: cambiano i termini, ma non la sostanza. Al verso 10,  “Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità”vediamo cheil o la nipote sono visti in modo profondamente identificativo giungendo ad essere accomunati agli stessi nonni, parenti carnali come gli zii paterni e materni:12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è parente carnale di tuo padre.13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre”. Si arriva poi alla zia acquisita, altra configurazione di incesto:14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre: non accostarti con sua moglie: è tua zia”. Infine chiudono l’elenco la nuora e la cognata comprendendo implicitamente genero e cognato:15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità.16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.

Seguono poi alcune indicazioni di etica e igiene che avrebbero dovuto distinguere, come le precedenti, Israele dagli altri popoli: “17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia. Non prenderai la figlia di suo figlio né la figlia di suo figlio per scoprirne la nudità: sono parenti carnali. È un’infamia.18Non prenderai in sposa la sorella di tua moglie, per non suscitarne rivalità, mentre tua moglie è in vita.19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’impurità mestruale.20Non darai il tuo giaciglio alla moglie del tuo prossimo, rendendoti impuro con lei.22Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole.23Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una perversione”.

Nessuna di queste unioni proibite, tanto nella prima che nella seconda parte del capitolo, è inconcepibile per il cosiddetto “uomo naturale” tant’è che il paganesimo antico e moderno le ha impiegate quasi come metodo; basta pensare alla Grecia antica prima, durante e dopo i tempi dell’apostolo Paolo (Corinto ed altre) come ai popoli che Israele avrebbe cacciato dalla terra che gli era stata promessa. “24Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.25La terra ne è stata resa impura; per questo ho punito la sua colpa e la terra ha vomitato i suoi abitanti.26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo della terra, né il forestiero che dimora in mezzo a voi.27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e la terra è divenuta impura.28Che la terra non vomiti anche voi, per averla resa impura, come ha vomitato chi l’abitava prima di voi,29perché chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo.30Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi; non vi renderete impuri a causa di essi. Io sono il Signore, vostro Dio”.

Ho ritenuto utile inserire anche quelle che potremmo definire “situazioni estreme” perché si verificano ancora oggi sia come pratica individuale che come spettacolo, così come non ci vuole molto a riconoscere per estensione al verso 21, che prima ho omesso, la produzione degli “snuff movies” ricercati a prezzi inimmaginabili anche nell’ambito cosiddetto “pedofilo”: “Non consegnerai alcuno dei tuoi figli per farlo passare a Moloc e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore”. E Moloc era il dio cananeo il cui culto veniva celebrato nella Geenna, la Valle di Hinnom, tramite sgozzamento e bruciamento dei bambini, spesso figli primogeniti. È vero, abbiamo letto dei versi che pongono situazioni molto pesanti, ma sono convinto che occorra conoscere il negativo per conoscere ed apprezzare il positivo.

In pratica: l’uomo è stato creato maschio e femmina, quindi la sessualità è da considerarsi un dono da esercitarsi liberamente con la persona che ciascun individuo, maschio e femmina, si è scelto. Qualche millennio dopo una parte della cristianità, con perversione opposta alle categorie che abbiamo trovato in Levitico 18, ma sempre di perversione si tratta, giungerà a considerare il rapporto sessuale un peccato a meno che non fosse giustificato da fine procreativo prescrivendo che, prima dell’atto, si frapponesse un lenzuolo forato tra i corpi sostenendo che lo scopo fosse quello di procreare e non il piacere fine a se stesso. Credo che quando la sessualità, legittima espressione di sé, viene repressa, trovi inevitabilmente sfogo in altre vie che la stessa Bibbia condanna. Leggiamo in Proverbi 5.18,19 “Sia benedetta la tua fonte, e vivi lieto con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, cavriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii del continuo rapito nell’affetto suo”.

Possiamo concludere queste riflessioni con una semplice presa d’atto: quando Dio creò l’essere umano, lo pose in un territorio circondato da quattro fiumi. Doveva restare lì, protetto, senza conoscere ciò che non gli sarebbe servito o, meglio ancora, gli avrebbe procurato molto danno. Da allora, nonostante il peccato e il suo essere fuori da quel giardino, gli è sempre stato indicato un confine, un territorio, un “recinto” visto sbrigativamente, almeno nella Legge, nei termini “farai” o “non farai”, anche questi posti nel suo interesse. Aggiungere nuove norme o precetti a quelli già dati da Dio, così come eliminarli o torcerli a proprio vantaggio, equivale a infrangere quelli già esistenti e le conseguenze non possono che essere disastrose nel rapporto con Lui. Perché è l’abbattimento dei confini che il Creatore ha stabilito, non perché dispotico, ma in quanto conoscitore perfetto della propria creatura, che rende l’uomo davvero schiavo. Amen.

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