08.03 – GADARA III/III (Marco 5.1-20)

8.03 – Gadara III/III (Marco 5.1-20)

 

1Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei geraseni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti. 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. 14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”.

 

I GUARDIANI

Sono spettatori che reagiscono immediatamente quando vedono svanire la loro fonte di guadagno, o meglio quella dei loro padroni, tramite il “suicidio collettivo” dei porci. Mi sono chiesto dove si trovassero queste persone, ma il testo si limita a riportare che “a qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo” (Matteo); per Marco e Luca quegli animali si trovavano “sul monte”, per cui tutto lascia supporre che i guardiani osservassero la scena a distanza di sicurezza per timore degli indemoniati e che non abbiano realizzato immediatamente la loro guarigione, ma che la scena di duemila maiali che si misero a correre verso il mare all’improvviso finendovi dentro annegando li avesse letteralmente terrorizzati. Dobbiamo pensare che ben difficilmente, vista la barca approdare e sapendo della presenza dei due ossessi, non avessero seguito attentamente ciò che accadeva. A quel punto, dopo la guarigione e il conseguente rovinare dei porci nel lago, “Fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere cosa fosse accaduto”. I guardiani sono allora persone che annunciano un evento inspiegabile, mai avvenuto prima, e questo portò la gente ad andare a verificare di persona. È poi molto probabile che quella mandria fosse composta da capi appartenenti a più proprietari conosciuti in città e nella campagna circostante.

 

LA GENTE E L’UOMO GUARITO

Sappiamo che la notizia portata a Gherghesa si allargò rapidamente a macchia d’olio anche fuori della città e gli abitanti della zona accorsero a vedere. C’erano praticamente tutti, dai capi alla gente comune e la curiosità, oltre che all’apprensione per la sorte della fonte di guadagno rappresentata dai porci, ebbe la meglio sul timore dovuto alla presenza dell’indemoniato, che trovarono guarito, ritratto da Marco con le parole “seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione”. Luca aggiunge “seduto ai piedi di Gesù”, atteggiamento che non avrebbe mai potuto avere se fosse stato nella condizione in cui era prima. La gente “vide”, cioè si rese conto, constatò un cambiamento impossibile. Isaia 49.25 scrive che “Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno”, parole cui si raccorderà l’apostolo Paolo in Romani 16.20: “Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi”. Ebbene Gesù lo dimostra già qui e il terrore della Legione era dovuto proprio a questo, il presagio della fine che solo Cristo, “venuto per distruggere le opere del diavolo” (1 Giovanni 3.8) poteva determinare, decretare, compiere.

Prestiamo attenzione al verbo “Distruggere” che implica “abbattere, guastare, disfare, per lo più con azione o con mezzi violenti, scomponendo le parti di un oggetto dissolvendolo, riducendo in rovina, in modo che la cosa sia resa definitivamente inutilizzabile o non ne rimangano talora neppure le tracce”. E in effetti, questa distruzione della legione fu tangibile a tutti nel vedere l’ormai ex indemoniato “seduto”, cioè tranquillo, non “sdraiato a terra”, che ci lascerebbe pensare a spossatezza o sfinimento. Non vi era in quell’uomo nessun segno di nervosismo, ogni impulso di autolesionismo era svanito così come erano ormai scomparsi tutti quei comportamenti, estranei alla sua persona normale, che lo spingevano a vagare ed aggredire.

Ma a “seduto” Luca aggiunge “ai piedi di Gesù” e personalmente lo trovo un particolare commovente, così come la sua volontà di seguirlo. Possiamo pensare che quella posizione rifletteva al tempo stesso riconoscenza e deferenza, oltre che essere la stessa postura del discepolo desideroso di apprendere; ricordiamo Paolo che usò la stessa espressione per indicare la sua appartenenza alla scuola di Gamaliele (Atti 22.3). L’ignoto indemoniato non si mise a sedere esausto da qualche parte su un sasso, ma ai piedi di Gesù e probabilmente parlava, perché viceversa i presenti non lo avrebbero potuto classificare come “sano di mente” e Marco avrebbe scritto che se ne stava muto e tranquillo. Invece, l’indemoniato guarito aveva trovato una dimensione nuova, su misura per lui: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Matteo 11.28).

Prima di ritenerlo sano, comunque, la gente vide che quell’uomo era vestito, cioè aveva ritrovato la propria dignità senza fare nulla: Gesù lo liberò, poi fu coperto con un abito – ipotizzo – fornito dai discepoli e infine fu sicuramente abitato da un altro Spirito, certo non più immondo. Sono tre azioni importanti. La prima e la terza sono forse le più semplici da capire, mentre si tende a inquadrare la seconda, il dare un abito, nel campo della normalità e così può sembrare; in realtà il vestire un essere umano nudo, o con l’abito strappato o comunque impresentabile agli altri, è indice della carità di Dio che conferisce dignità alla persona. E sappiamo che Dio vestì i nostri progenitori. Senza un vestito non ci si può mostrare al prossimo e molto spesso la sua qualità e fattura si adegua agli eventi cui partecipiamo, ma non si può prescindere dalla presentabilità. Ciò che fecero i discepoli a quell’uomo solo apparentemente è indice di un gesto provvisorio teso a far cessare la sua umiliazione: il realtà è simbolo della totalità delle attenzioni di Dio con gli stessi scopi, ma spirituali, che troviamo nella parabola degli invitati alle nozze che, come in uso a quel tempo, avevano ricevuto il vestito per la festa. E sappiamo cosa successe: “«Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale»? E quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà il pianto e lo stridore di denti»” (Matteo 22.12,13).

L’apostolo Paolo, riferendosi all’episodio, scriverà nella sua seconda lettera ai Corinzi “Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena che è come una tenda – il corpo che contiene anima e spirito –, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi” (5.1-3). Gesù, quindi, si occupò di quell’indemoniato integralmente per il suo risollevamento esattamente come Satana per la sua distruzione.

Il testo torna a parlarci dei presenti: vedono quell’uomo nelle condizioni appena descritte e, a differenza di quanto avvenuto in casi precedenti, non si “stupiscono” o provano “meraviglia”, ma provano un sentimento di “paura”. È la prima reazione istintiva di fronte a una manifestazione che non si riesce a spiegare, all’irrazionale perché l’uomo è abituato a far leva sulla ragione che ha una risposta per tutto. La paura è l’unica reazione di fronte a ciò che non si può gestire, controllare, spiegare, difendere proprio come avveniva di fronte all’indemoniato quando era posseduto. E fu allora nuovamente spiegato alla folla, dai guardiani con più particolari per quanto potevano, “che cosa era avvenuto all’indemoniato e il fatto dei porci”: i ghergheseni si trovarono così di fronte a un avvenimento in cui loro stessi erano entrati direttamente vedendo, constatando la guarigione del loro concittadino.

Ebbene, anziché rallegrarsi con lui per questa liberazione, vengono sopraffatti dall’interesse e credo abbiano pensato “non so cos’è successo e non mi riguarda, ma è andata distrutta la mia fonte di guadagno”, nessun pensiero magari ad altri nelle condizioni di quell’uomo, o a malati da portargli che certamente esistevano in città, ma solo una costante preoccupazione per l’economia della zona e che venisse turbata la loro tranquillità quotidiana. Non credo che Gherghesa fosse una città ricca e i suoi abitanti vivessero in condizioni particolarmente agiate, ma dobbiamo tener presente che il “ricco” non è solo chi ha molti beni, ma chi è attaccato alle sue cose e non le vuole condividere con altri. C’è chi è attaccato ai propri beni (case, ville, castelli, fabbriche, auto) esattamente come un povero può considerare allo stesso modo la misera baracca in cui abita o qualsiasi altra cosa. Anche una vita tranquilla costituisce una ricchezza che uno può avere timore di perdere. Nel caso dei ghergheseni, più che un loro simile, un concittadino, valevano i maiali. E oggi, più che questi animali, vale la “libertà” del vivere senza Cristo, per cui si preferisce tenerlo fuori dai propri confini senza il bisogno di pregarlo di andarsene. Così leggiamo in Giobbe 21.12-15 quando, sofferente, si chiedeva il perché del successo dei malvagi: “Cantano al ritmo di tamburelli e cetre, si divertono al suono dei flauti. Finiscono nel benessere i loro giorni e scendono tranquilli nel regno dei morti. Eppure dicevano a Dio «Allontànati da noi, non vogliamo conoscere le tue vie. Chi è l’Onnipotente, perché dobbiamo seguirlo? E a che giova pregarlo?»”. Credo sia un ritratto perfetto di quella gente radunata attorno all’indemoniato e a chi lo aveva guarito.

Nessun testo ci dice che, in relazione all’invito dei ghergheseni ad andarsene, Gesù abbia fatto rimostranze o profezie di distruzione nei loro confronti: la folla stessa aveva scelto così, tranne il guarito che voleva restare con chi lo aveva liberato, ma il Maestro non volle prenderlo con sé perché andava lasciata una testimonianza di ciò che era accaduto: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Ecco, qui abbiamo la progressione della testimonianza, del seme gettato: i primi a dover conoscere davvero i fatti, supportati da una condotta nuova, avrebbero dovuto essere i famigliari di quell’uomo che meglio di altri, attraverso il contatto quotidiano, avrebbero potuto chiedersi le ragioni di quel cambiamento fino ad allora impossibile.

Marco passa poi ad informarci di cosa successe dopo: “Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”. Questa volta, meraviglia e non paura. Quell’anonimo, da vittima nelle mani di Satana, si trasformò in strumento nelle mani di Dio e sappiamo che, in quei territori, non proclamava qualcosa di completamente nuovo (salvo a quanti non avevano sentito parlare di Gesù) perché la fama del “Figlio dell’uomo” si stava già spargendo; abbiamo già letto che “Gran folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano” (Matteo 4.25). Chissà se tempo dopo, quando venuto “presso il mare in pieno territorio della Decàpoli, gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano” (Marco 7), ciò avvenne anche in conseguenza della testimonianza dell’indemoniato guarito.

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