07.06 – LE PARABOLE DEL REGNO 5: IL TESORO E LA PERLA (Matteo 13.44-46)

7.06 – Le parabole del regno 5 (Il tesoro e la perla, Matteo 13.44-46)

 

“44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. 45Il regno dei cieli è simile anche ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.”.

 

            Come già accennato, inizia qui un secondo gruppo di parabole che potremmo definire “privato” perché esposte ai soli discepoli dopo aver risposto ai loro chiarimenti su quelle pronunciate in pubblico. Al verso 36 infatti leggiamo “Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo»”. Forse per questo motivo, per il fatto che negli esempi precedenti Gesù aveva parlato degli effetti pubblici della Parola e del Regno che ne è il risultato, ora entra negli effetti che questo produce nell’intimo della persona quando si rende conto di cosa abbia trovato.

Veniamo alla prima delle nuove parabole: c’è un tesoro nascosto in un campo, cosa a quei tempi abbastanza comune: essendo sempre possibili invasioni nemiche o di briganti, erano numerosi i capifamiglia che sotterravano i loro risparmi nella speranza che non venissero scoperti. Sotterrarli da qualche parte, come abbiamo già visto anche in casa, era l’unica possibilità per preservarli, ma siccome uno solo era chi sapeva dov’era il nascondiglio, alla sua morte o deportazione se ne perdeva la memoria e gli averi preziosi rimanevano lì.

Ora, spostiamo la nostra attenzione sui protagonisti del racconto: il tesoro trovato, dal valore inestimabile. “Un uomo” di cui non è detta la professione, ma che possiamo individuare, più che in un agricoltore o un proprietario terriero, in un cercatore perché nessuno trova qualcosa di “nascosto”, per di più in un campo, senza frugare, studiare attentamente il terreno, soprattutto senza stancarsi. Se consideriamo valida la figura del cercatore, si tratta di un’azione che ricorda pienamente Proverbi 2.1-5: “Figlio mio, se ricevi le mie parole e fai tesoro dei miei comandamenti, prestando orecchio alla sapienza e inclinando il cuore all’intendimento, se chiedi con forza il discernimento e alzi la tua voce per ottenere intendimento, se lo cerchi come l’argento e ti dai a scavarlo come un tesoro nascosto, allora intenderai il timore dell’Eterno, e troverai la conoscenza di Dio”. Il riferimento è semplice e profetico e contiene tutte le azioni della ricerca spirituale: le parole prima si ricevono e metabolizzano, come rilevabile nel “far tesoro dei comandamenti” visti non nella mera esecuzione di ordini, ma di principi assimilati e fatti propri perché Dio non dà mai un ordine senza motivarlo. Questo porta, una volta acquisita la consapevolezza di quanto il volere e l’appartenere al Signore sia alto e distante dal nostro essere, a “chiedere con forza” la capacità di discernere e intendere.

Vediamo che tutto ciò non è disgiunto da un impegno: cercare “come l’argento” e scavare “come un tesoro nascosto”, quindi impiegando quella fatica che non si avverte come tale perché l’obiettivo la giustifica e la rende leggera. Anche se chi guarda il lavoro del cercatore “da fuori” lo possa vedere come estenuante, possa considerare quella vita come di rinuncia senza garanzie di successo, è quell’ “allora intenderai” e “troverai”, pari a un sole che squarcia le nubi, che sancisce e promette l’obiettivo raggiunto. Cercare “il regno di Dio”, per chi è nel mondo, è sempre stato ritenuto qualcosa di assurdo, una perdita di tempo, un mettersi a inseguire le favole, ma per chi l’ha trovato è qualcosa di estremamente concreto: è un tesoro nascosto, lo ha cercato come tale e il personaggio della parabola, per ottenerlo legalmente, ha venduto tutti i suoi averi e ha comprato il campo. Fosse stato un disonesto, avrebbe potuto caricare il tesoro su un carro e andarsene, ma preferisce seguire le procedure legali per goderne.

Traspare dalle parole di Gesù la naturalezza con la quale il tesoro viene trovato: la figura del cercatore – o di chi ha trovato comunque – non è esaltata con termini che possano suscitare invidia o ammirazione, ma come la conclusione di una vicenda qualunque, comune, quasi come si trattasse di un fatto naturale come avviene con la parabola della perla trovata dal mercante. Non poteva essere diversamente visto che, al sermone sul monte, Nostro Signore aveva posto l’accento sul principio di risposta: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova e sarà aperto a chi bussa” (Matteo 7.7,8). Ecco la naturalezza con la quale il tesoro viene trovato, ecco il perché l’uomo della parabola “va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”: fa un investimento, sa che da quel tesoro potrà trarre benefici e permettersi di fare cose che prima gli erano precluse. In pratica, quel rinvenimento non costituiva per lui un punto di arrivo, ma di partenza, il capitolo di una nuova vita. Ecco perché sbaglia chi vede in questa parabola la conclusione felice di un percorso: spiritualmente la cittadinanza del regno è solo il raggiungimento di un traguardo che, per quanto indispensabile, segna l’inizio di un cammino nuovo come leggiamo in Colossesi 2.2 quando Paolo scrive “…arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo. In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”. Ecco perché, chi trova il tesoro della parabola, in realtà trova dei mondi da scoprire per cui la sua ricerca prosegue ancor più di prima.

Nella “gioia” di quell’uomo e nel vendere quello che aveva, dobbiamo identificare l’abbandono di ciò che è nostro relativamente a quanto ritarda il nostro cammino, la stessa scelta che fece Mosè di cui è detto “Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, piuttosto che godere momentaneamente del peccato. Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa” (Ebrei 11.24,26). Si noti come, ai tempi in cui il Figlio non era ancora rivelato ufficialmente, Paolo ci dice che Mosé sapeva di Lui, per quanto la dispensazione in cui viveva glielo poteva consentire. E “lo sguardo fisso sulla ricompensa” è quello che ci permette di fare la selezione tra ciò che è utile al nostro avanzamento spirituale oppure no.

C’è poi l’azione finale, l’acquisto del campo, grazie alla quale il protagonista entra legalmente in possesso del tesoro. Questo ci rimanda a Proverbi 23.23, “Acquista la verità e non rivenderla, la sapienza, l’educazione e la prudenza”, tutti elementi che siamo tenuti a procacciare – “Acquista” – e a non considerare come cose comuni – “non rivenderla” –. Verità, sapienza, educazione e prudenza aprono infatti altri mondi a chi le possiede indipendentemente dalla loro quantità.

Riguardo al comprare (dagli uomini) non è cosa che tutti possono sempre permettersi perché tutto si basa sul soldo o su ciò che uno ha da offrire in cambio, ma da Dio sappiamo che questo avviene “senza denaro e senza prezzo”; basta riconoscere, capire di avere veramente bisogno di ciò che Lui vuole offrire; se poi si acquisisce il principio in base al quale come esseri assolutamente imperfetti abbiamo sempre bisogno di essere ogni giorno “clienti” del Padre, ci terremo al riparo da molte negatività che vengono prima da noi stessi, tendenzialmente sempre pronti a giustificarci, se non a vederci per ciò che non siamo. E qui, a proposito del “comprare”, mi viene in mente la Chiesa di Laodicea, i cui componenti erano-sono convinti di essere ricchi, ma sono definiti “un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo”. L’invito in proposito è “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (Apocalisse 3.18). Presso il Padre esiste dunque tutto ciò che serve per la nostra vita: per la ricchezza del mondo ricordiamo come si conclude la parabola del ricco stolto, “Così è di chi accumula tesori per sé, e non è ricco in Dio” (Luca 12.21). Gli abiti bianchi sono quelli dell’innocenza e della giustizia perché non appaia la nudità in Adamo e la presenza del collirio, per “ungerti gli occhi e recuperare la vista”, ci parla di quanto sia indispensabile un confronto continuo, sincero e avulso da quei diabolici sentimentalismi religiosi, con la Parola di Dio per evitare di essere vomitati dalla Sua bocca o tenuti a margine dai Suoi piani o anche solo dalla Vita con Lui. Il più delle volte, questo avviene perché si sceglie, anziché confrontarci con la santità di Dio, di guardare al nostro simile ed è lì che iniziano le finzioni, gli inganni, il cammino a ritroso. Il più delle volte questo avviene perché si sostituisce alla purezza della Parola di Dio quella degli uomini che la contamina rendendola una religione come le altre, perciò inutile.

La seconda parabola che Gesù espone ai suoi è quella del mercante di perle preziose che, inaspettatamente, ne trova una diversa dalle altre, il cui valore anche qui è talmente elevato da spingerlo a vendere tutti i suoi averi per poterla comprare. Anche qui il riferimento al libro dei Proverbi, ma non solo, è d’obbligo: la perla infatti rappresenta sia ciò che è effettivamente prezioso spiritualmente, ma anche ciò che è ritenuto tale nel mondo apparente. La perla, vista come fonte di guadagno dagli uomini e come ornamento dalle donne, è usata per indicare il fraintendimento: “…allo stesso modo le donne, vestite decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza, non con trecce e ornamenti d’oro, perle o vesti sontuose, ma, come conviene a donne che onorano Dio, con opere buone” (1 Timoteo 2.9);  non a caso la “grande prostituta” dell’Apocalisse è vestita “…di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle” (17.4).

Eppure la perla, usata per scopi frivoli per abbellire qualcosa che non ha bisogno di venire migliorato o senza poter cambiare realmente ciò che è già brutto, sarà presente con altro significato nella Nuova Gerusalemme, nelle sue dodici porte dove “…le dodici porte sono dodici perle, ciascuna porta era formata da una sola perla” (Apocalisse 21.21), in riferimento al risultato delle sofferenze alla croce, non esistendo in natura perla senza sofferenza.

Tornando alla nostra parabola, chi trova la perla non è un dilettante, ma un profondo conoscitore della materia. Allo stesso modo quindi Gesù invita anche i sapienti di questo mondo, i filosofi, “i savi e gli intendenti” a confrontarsi col Suo Vangelo perché possano transitare dal mondo della “sapienza” umana a quella spirituale, perché “Coralli e perle non meritano menzione, l’acquisto della sapienza non si fa con le gemme” (Giobbe 28.18), “la sapienza vale più delle perle e quanto si può desiderare non la eguaglia” (Proverbi 8.11), perché “C’è possesso di oro e moltitudine di perle, ma la cosa più preziosa sono le labbra sapienti” (20.15). Ancora sulle perle, ricordiamo l’insegnamento sul non dare ciò che è santo ai cani e non gettare le perle davanti ai porci e che anticamente queste erano considerate ai pari dei diamanti, quindi molto più preziose di quanto non siano oggi.

Un esempio dei due protagonisti delle parabole lo troviamo nell’apostolo Paolo che, scrivendo ai Filippesi della sua esperienza e del suo bagaglio etnico-culturale ebbe a dire: “Queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (3.7-9).

Concludendo, con le due parabole Gesù ci ha presentato due tipi di uomini che hanno fatto una scelta assolutamente naturale, quella di chiunque nella vita di tutti i giorni nel momento in cui s’imbatta in qualcosa di molto prezioso. Purtroppo la stessa cosa non avviene nel campo spirituale, e le conseguenze verranno descritte nella similitudine successiva, quella della rete gettata in mare e dei pesci che raccoglie.

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