07.21 – CINQUE CANTICI V.I (Isaia 53.1-12)

7.21 – Cinque cantici V-I (Isaia 53.1-12)

 

QUINTO CANTICO

 

1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noitutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu messo a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno sulla sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con i dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

 

L’analisi del quinto canto è suscettibile ad un’infinità di applicazioni e verrà affrontata in diversi passaggi, o capitoli. Prima di qualsiasi riflessione, occorre andare all’episodio in cui il diacono Filippo, uno dei sette scelti dalla Chiesa di Gerusalemme perché si occupassero delle vedove e dei poveri, incontrò l’eunuco etiope: era un funzionario, un amministratore della regina di Candace, proselito ebreo che faceva ritorno in patria sul suo carro e, lungo il viaggio, leggeva a voce alta un passo della Scrittura particolare. Il testo degli Atti ci informa che Filippo “…udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire, e a sedersi accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come un agnello egli fu condotto al macello e come una pecora senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,la sua discendenza chi potrà descriverla?Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù” (Atti 8. 29-35). Trovo questi versi illuminanti e destinati a chiudere la questione se il “Servo” di cui trattano i cantici sia riferito ad Israele, oppure a Nostro Signore Gesù Cristo poiché se la prima ipotesi fosse vera, Filippo avrebbe parlato diversamente.

Dando uno sguardo generale al cantico, non è possibile fare a meno di notare l’impiego di numerosi tempi verbali: Isaia, che avrebbe potuto benissimo scrivere in modo grammaticalmente più corretto, preferisce riunire in un testo di 12 versi il passato prossimo, il remoto, il condizionale, il presente ed il futuro: egli vede il Servo, ne contempla i dolori, il sacrificio e soprattutto gli effetti per finire con la visione delle moltitudini date a Lui in premio. Questo profeta non ha tempo per spiegare in modo chiaro e ordinato ciò che vede in una successione temporale definita, ma solo quello di annotare eventi che saranno poi i lettori e gli uditori, usando l’intelligenza spirituale, a capire il senso delle sue parole e a riconoscere il momento in cui queste si adempiranno. Si è fatto così da sempre e ogni credente attento può testimoniare che la lettura di passi apparentemente semplici, ad esempio dei Vangeli, nasconde, implica l’assimilazione di significati che verranno compresi col tempo, se e quando il Signore deciderà di rivelarli, esattamente come descritto nel libro dei Proverbi circa la ricerca della sapienza, versi che abbiamo più volte ricordato: va cercata “come i tesori”.

Ora veniamo al primo verso, che contiene due domande: “Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?”e “A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?”. Questi due interrogativi sono stati per lo più interpretati come posti dal Figlio al Padre nel corso del suo ministero terreno, stante il numero esiguo delle persone che ne accettarono il messaggio a fronte dell’intero popolo d’Israele e così le spiega l’apostolo Giovanni quando, in 12.37-40, riporta che “Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?. Per questo non potevano credere, perché ancora Isaia disse: Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore, e non si convertano e io non li guarisca”.

Per molto tempo mi sono attenuto a questo collegamento, indubbiamente vero, ma considerarlo come la sola applicazione possibile è errato: dobbiamo tenere presente che quel “nostro”,riferito all’annuncio, appare più come da intendersi in senso collettivo a livello dei profeti che certamente trovano il loro punto più alto, e insuperabile, nella predicazione del Servo, il Figlio.

Isaia, infatti, come tutti i profeti, è e si considera intimamente legato al suo popolo; basti la lettura finale del verso ottavo, “Per la colpa del mio popolo è stato messo a morte”, dove il possessivo usato è molto significativo. Isaia condivide l’esperienza di Israele: scrive “le nostre colpe”, non “le vostre”, “siamo stati guariti” e non “siete stati”, questo perché il profeta è cosciente di essere un peccatore come gli altri, per quanto beneficiato della rivelazione di JHWH. Quando allora al verso primo parla di “nostro annuncio”, o come altri traducono “nostra predicazione”, Isaia prende atto del risultato a cui portò l’attività dei profeti prima, durante e dopo di lui, quando era stato loro ordinato fondamentalmente di predicare e annunciare il ravvedimento per scampare dal giusto giudizio di Dio.

In pratica, se si vuole capire il senso della prima domanda di apertura del cantico, “Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?”, occorre andare alle parole di Gesù quando espose la parabola dei malvagi vignaioli ai responsabili religiosi di Gerusalemme: “Un uomo piantò una vigna, vi fece attorno una siepe, vi scavò un luogo ove pigiare l’uva, vi costruì una torre e l’affidò a dei vignaioli, poi se ne andò lontano. Nella stagione della raccolta inviò a quei vignaioli un servo per ricevere da loro la sua parte del frutto della vigna. Ma essi lo presero lo batterono e lo rimandarono a mani vuote. Egli mandò loro di nuovo un altro servo, ma essi, dopo avergli tirate delle pietre, lo ferirono alla testa e lo rimandarono vilipeso. Ne inviò ancora un altro e questi lo uccisero. Poi ne mandò molti altri e di questi alcuni furono percossi, altri uccisi. Gli restava ancora uno da mandare: il suo amato figlio. Per ultimo mandò loro anche lui, dicendo: «Avranno almeno rispetto per mio figlio». Ma quei vignaioli dissero fra loro: «Costui è l’erede. Venite, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra». Così lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna. Che farà dunque il padrone della vigna? Egli verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri” (Marco 12.1-9).

Questa parabola viene riportata da Matteo che ci parla di una domanda di Gesù cui segue la risposta dei suoi stessi uditori: “Ora, quando verrà il padrone della vigna, cosa farà a quei vignaioli?». Essi gli dissero: «Farà perire miseramente quegli scellerati e affiderà la vigna ad altri vignaioli, i quali gli renderanno i frutti a suo tempo»” (21.40,41), che si collega a Isaia 65.15, dal contenuto terribile: “Il Signore, l’Eterno, ti farà morire, ma darà ai suoi servi un altro nome”.

Ecco, qui comincia a delinearsi la risposta alla seconda domanda del nostro testo, “A chi sarà manifestato il braccio del Signore?”: si noti che “il braccio del Signore” è un’espressione, una definizione usata nell’Antico Patto per indicare l’assistenza di Dio al Suo popolo: incontriamo per la prima volta questo definire l’intervento divino in Esodo 6.6 quando Lui stesso disse a Mosè: “Perciò di’ ai figli di Israele: «Io sono l’Eterno, vi sottrarrò dai duri lavori impostivi dagli egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscatterò con braccio steso e con grandi castighi”.

La risposta alla seconda domanda di Isaia, allora, che si chiede a chi sarebbe stato rivelato “il braccio del Signore”, si trova nelle parole di Gesù con l’esempio dei vignaioli e, essendo un argomento che andava chiarito senza possibilità di errore, con quelle dell’apostolo Paolo che la espone così: “Dice ancora in Osea: «Io chiamerò il mio popolo quello che non è mio popolo– cioè i pagani – e amata quella che non è mia amata– cioè la Chiesa, che ancora non esisteva, al posto di Gerusalemme -. E avverrà che là dove fu loro detto «Voi non siete mio popolo», saranno chiamati figli dell’Iddio vivente. Ma Isaia esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli di Israele fosse come la sabbia del mare, solo il residuo sarà salvato».(…)Che diremo dunque? Che i gentili, che non cercavano la giustizia, hanno ottenuto la giustizia, quella però che deriva dalla fede. Mentre Israele, che cercava la legge della giustizia non vi è arrivato. Perché? Perché la cercava non tramite la fede, ma mediante le opere della legge; essi infatti hanno urtato nella pietra d’inciampo, come sta scritto: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’inciampo e una roccia di scandalo, ma chiunque crede in lui non sarà svergognato»(Romani 9.25-33).

Proprio al termine della parabola dei vignaioli, Gesù disse ai giudei “Non avete voi mai letto nelle Scritture «La pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata pietra d’angolo; ciò è stato fatto dal Signore ed è cosa meravigliosa ai nostri occhi?». Perciò io vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato ad una gente che farà i suoi frutti” (Matteo 21.42,43).

Riflettiamo un attimo: abbiamo dei costruttori, cioè persone teoricamente esperte, che quando procedono alla realizzazione di un edificio scelgono accuratamente la pietra d’angolo consapevoli del fatto che deve sorreggere l’intero edificio. Eppure, hanno scartato proprio la più importante, fallendo miseramente nel compito loro affidatogli.

Infine, ecco la parte finale: “Sarà dato ad una gente che farà i suoi frutti”, dove “suoi” è riferito a quelli del regno. Per quanto venga istintivo fare un accostamento gente – gentili, sbaglieremmo perché col termine il testo intende “persone diverse”, cioè un insieme dato dai pagani e dagli ebrei convertiti, il famoso “residuo” che in Gerusalemme e non solo credette affrontando così le persecuzioni dei propri ex correligionari.

Concludendo, Isaia apre il quinto canto del servo con due domande. Non dà una risposta immediata, ma focalizza subito l’attenzione del lettore sul percorso spirituale del servo, cresciuto “come un virgulto davanti a lui e come un radice in terra arida” per la nostra salvezza. Amen.

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