10.18 – VIENE L’ORA, ED È QUESTA (Giovanni 5.25-32)

10.18 – Viene l’ora, ed è questa (Giovanni 5.25-32)

 

25In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. 26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, 27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. 28Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce 29e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. 30Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.31Se fossi io a testimoniare da me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. 32C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che dà di me è vera.

 

Anche in una lettura veloce del testo, se sottolineassimo le parole che circoscrivono il tempo in cui Gesù agisce, non potremmo fare a meno di notare la precisazione appuntata dopo il primo “viene l’ora”, cioè “ed è questa”che manca nel secondo: in un caso “i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che c’avranno ascoltata, vivranno”; in un altro, futuro lontano ma per il Signore comunque vicino, “tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno”per “una resurrezione di vita”o “di condanna”.

Abbiamo allora due momenti, due tempi, riferiti ad altrettanti periodi storici ben distinti, uno presente (che riguarda ancora oggi gli uomini) e uno futuro, relativo al giudizio finale. Questi due sono dichiarati come imminenti, ma nel primo caso abbiamo “ed è questa”, precisazione che manca nel successivo, quando “tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno”. In entrambi i casi si parla di “morti”, ma con un distinguo importante perché non si tratta della stessa condizione, avendo Gesù già utilizzato questa espressione per indicare quanti non credevano in Lui: ricordando infatti l’incontro con quel discepolo che intendeva, prima di aggregarsi al gruppo, aspettare che il proprio padre morisse, gli fu risposto “Lascia i morti seppellire i loro morti”(Matteo 8.22), e Luca aggiunge “tu invece va’, e annuncia il regno di Dio”.

“L’ora viene, ed è questa”significa allora che quello era il tempo in cui i“morti”, cioè tutti coloro che hanno la fine del corpo e dell’anima come unica prospettiva, avrebbero avuto l’opportunità di scampare ad essa vivendo. L’ora che viene “è questa”, non altre. Ed è ciò che accade a chi crede in Gesù Cristo. Ricordiamo le parole di Efesi 2.1-3: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati”. Questo verso dell’apostolo Paolo ci consente quindi di fare due sottolineature importanti sul passo di Giovanni: “I morti udranno la voce del Figlio di Dio”sono riferiti a tutti gli uomini senza alcuna distinzione, che invece però fatta, nitida e assoluta, con le parole che seguono, “e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”. È nel momento in cui i “morti”ascoltano la voce di Gesù che risorgono e si salvano. Dal verso di Efesi appena citato, poi, vediamo che senza l’annuncio del Vangelo sarebbe impossibile non seguire “il principe delle Potenze dell’aria”, ricordo di ciò che era l’Avversario prima di essere tale e che da allora mette in atto ogni possibile strategia perché gli uomini si perdano.

E il risultato dell’opera di Gesù Cristo è: “Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce”(Colossesi 2.13); queste parole, che ci riguardano da vicino in quanto pagani convertiti visti nella condizione di “non circoncisione”, affrontano velocemente il tema del decadimento della Legge in quella parte, oltre la cerimoniale, che divideva profondamente il mondo non israelita da quello pagano.

Le parole di Gesù “e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”, che parlano della differenza che intercorre tra chi ascolta e chi no, parlano di vita certamente futura, ma anche di quella che conduciamo quotidianamente, trasformata rispetto a quella di prima perché “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”(Romani 6.4) che troverà il suo punto finale nel verso “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria”(Colossesi 3.4).

 

Gesù, proseguendo nel suo discorso, passa poi a spiegare il perché vivranno quelli che avranno ascoltato la Sua voce: “Come infatti il Padre ha vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare perché è figlio dell’uomo”. Nelle parole “Il Padre ha vita in se stesso”non vediamo apparentemente nulla di straordinario se le si prendono come un’attestazione sul fatto che Dio vive, ma se le applichiamo al fatto che è Lui la fonte della vita in quanto Creatore dell’Universo visibile e invisibile, il discorso cambia. Il Padre è Colui che progetta, forma, è l’artefice di ogni forma di vita e senza il Suo benestare nulla avviene e tutto resta inanimato. Senza la Parola, però, tutto sarebbe ancora “informe e vuoto”e qui l’identità di entrambi, Padre e Figlio, viene rivelata. Quel “gli ha dato”, infatti, non si riferisce al conferimento di un potere che prima non aveva, ma al fatto che, siccome Padre e Figlio non sono due esseri indipendenti, viene fatta una distinzione di persona e non di essenza.

Possiamo notare la differenza tra due tempi verbali, “gli ha dato”, riferito al passato remoto e prossimo, ed “è il figlio dell’uomo”al presente, cosicché gli uomini saranno giudicati non da un Dio irraggiungibile, da un creatore distante, ma da chi ha assunto le loro stesse sembianze e da qui viene il potere del giudizio, dopo avere sconfitto il peccato e la morte. Dal discorso dell’apostolo Paolo nell’areopago di Atene leggiamo “Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti”(Atti 17.30,31). Ricordiamoci di Giobbe, che parlando a YHWH lamentava il fatto che non vi fosse un mediatore tra loro: quell’uomo disse “…non è un uomo come me, al quale io possa replicare: «Presentiamoci alla pari in giudizio». Non c’è fra noi due un arbitro che ponga la mano su di noi, allontani da me la sua verga, che non mi spaventi il suo terrore: allora parlerei senza aver paura di lui; poiché così non è, mi ritrovo con me solo”(9.32-35).

Giobbe, persona profondamente spirituale, non aveva ciò che noi abbiamo, vale a dire un Sommo Sacerdote presente, in grado di compatire con noi perché ha provato su di sé ciò che significa vivere in un corpo di carne e lo ha fatto a tal punto da essere “tentato in ogni cosa in modo simile a noi, senza peccato”(Ebrei 4.15), per cui può è il Dio che davvero comprende la sua creatura. Ha scritto un fratello: “A motivo della sua alleanza con la natura umana, del suo sentire le infermità dell’uomo, il Figlio è fra le tre persone della Trinità il più atto a giudicare, oltre che essere il più degno di farlo”.

La pericope “gli ha dato potere”, infine, fu volutamente ignorata dai Giudei che si opponevano a Lui quando avrebbero dovuto conoscere Daniele 7.13, 14: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo;(…)gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano, il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai– notare il tempo passato, presente e futuro – e il suo regno non sarà mai distrutto”. I regni umani passano, gli imperi vengono abbattuti da sempre nonostante, nel loro svilupparsi, la fede in loro fosse totale. E non possiamo fare a meno di pensare all’ultimo, il più terribile di tutti, che nonostante la sua grandezza e controllo totale sulle persone, durerà solo tre anni e mezzo.

Arriviamo così al secondo “Viene l’ora”, privo di quel “ed è questa”del primo, in cui si parla di “tutti coloro che sono nei sepolcri(che) udranno la sua voce”, che ci confermano ancora una volta come l’uomo sia comunque proprietà di Dio: tutti quelli che saranno morti, di cui si sarà perso il ricordo, dal più piccolo al più grande, torneranno in vita. Qui Gesù parla di coloro che sono nei sepolcri per farsi comprendere, ma sappiamo che il riferimento riguarda tutti: “Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere”(Apocalisse 20.13). Si tratta di quelli che anche Daniele cita con l’espressione “coloro che sono nella polvere”(12.2) di cui si è persa ogni “traccia” nel senso che non hanno un sepolcro e sono dispersi nel nulla, nell’indistinto.

Ebbene, la potenza di Dio si rivelerà in tutta la sua forza poiché vi sarà un’altra voce al cui appello quella polvere tornerà a vivere e ad avere forma per “una resurrezione di vita o di condanna”, altrimenti descritta con le parole “…si risveglieranno gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento, coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”(Daniele 12.3).

Gesù parla di quelli che fecero “il bene”o “il male”, ma non si tratta di “buoni” e “cattivi”, ma chi avrà compiuto “l’opera di Dio”che è “questa, che voi crediate a Colui che egli ha mandato”. “Fare il bene” è l’ascolto, la dedizione, il seguire il Figlio, scampando così alla resurrezione di condanna. La “voce” che ascolteranno tutti i morti, indipendentemente dall’epoca in cui avranno vissuto, è descritta in 1 Corinti 15.52 con le parole “la tromba suonerà e i morti risusciteranno”che rendono in modo ancor più marcato l’idea dell’appello, dell’ora solenne, meravigliosa o terribile a seconda dei casi, alla quale nessuno potrà sottrarsi, dove la vita potrà avere senso e dignità totale oppure trovare il suo esatto contrario.

Fatto questo richiamo, Nostro Signore precisa ciò che lo fa agire, cioè la completa dipendenza dal Padre che, come uomo, pregava di continuo: “Da me, io non posso fare nulla– cioè non posso seguire nessun mio interesse personale, né avere iniziative diverse da quelle approvate dal Padre –; io giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato”(v.30). L’ascoltare di Gesù comprende anche il vedere e quindi il sapere: l’essere umano non può fare a meno di rivelarsi e sono proprio le sue parole come sintomo di ciò che sovrabbonda nel cuore che determinano la sua posizione – ricordiamo il principio “dalle tue parole sarai giustificato, e dalle tue parole sarai condannato”–. E qui dovremmo aprire un grosso capitolo sul discernimento che anche noi, come cristiani, siamo chiamati a praticare nei confronti dei nostri simili che possono rivolgersi a noi con fini secondi e terzi, in particolare proprio coloro che affermano di amarci, per quanto sempre a modo loro.

Gesù venne sulla terra per testimoniare del Padre e rivelarlo e al verso 31 afferma “Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera”: il Figlio è inscindibile dal Padre, non può parlare di sé senza coinvolgerlo perché entrambi sono gli autori del piano di salvezza per l’uomo, pur con le dovute distinzioni e ruoli. Infatti, contrariamente a quanto possa sembrare di primo acchito, quell’ “altro”che dà testimonianza del Figlio non è Giovanni Battista, ma il Padre stesso che agisce attraverso di Lui ed è addirittura intervenuto al Suo battesimo con le parole “Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”(Matteo 3.17). E tutto è stato fatto e detto per la salvezza di noi, peccatori. Amen.

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