5.17 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO III (Matteo 5.27-32)

5.17 – Settimo, non commettere adulterio III/VII (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Facendo il punto su quanto scritto finora possiamo dire di aver affrontato il matrimonio, condizione per la quale si possa parlare di adulterio, nelle varie dispensazioni eccetto quella della grazia, non ancora aperta quando Nostro Signore parlò alla folla sul monte. Lo abbiamo fatto in modo molto essenziale, tralasciando di approfondire quei punti che ci avrebbero spostato su un trattato dedicato al tema anziché sulla semplice riflessione su un passo evangelico; tuttavia dovrebbe essere chiaro il punto fondamentale che vede nell’unione fra uomo e donna un progetto divino destinato a durare tutta la vita. Anche l’istituzione matrimoniale, esattamente come tutte le altre rientranti nella Legge, nel o nei Patti di Dio con l’uomo, aveva un riferimento spirituale proprio come, ad esempio, quell’offerta del profumo officiata dal sacerdote Zaccaria incontrato all’inizio della nostra lettura cronologica: se tutto, a partire da ciascun componente dall’altare fino all’incenso e da lì al fumo che saliva aveva connessione con le realtà a quel tempo nascoste di Dio, il matrimonio raffigurava la connessione del Creatore con l’uomo in previsione del concretarsi del rapporto Cristo – Chiesa, progettato e voluto per essere eterno, di cui troviamo numerose tracce nel Cantico dei Cantici, a torto considerato da una certa critica solo come un’opera dal carattere erotico.

Gesù quindi, affrontando l’infrazione del settimo comandamento, parte dall’enunciato base che tutti conoscevano ma, come aveva già fatto con l’omicidio, lo inquadra come il risultato di una serie di errori commessi già a monte, cioè prima che questo peccato venisse commesso materialmente. E qui si mette l’accento sul risultato finale a cui porta il desiderare illegittimamente persone, animali o cose. Teniamo sempre presente che Nostro Signore sta parlando a persone che capivano, certo a grandi linee, quello che voleva dire; se avesse parlato così ai pagani, lo avrebbero preso inizialmente per pazzo o al per uno strambo filosofo e si sarebbe espresso diversamente. Credo però che in tal caso non avrebbe affrontato il problema perché, prima di farlo, altri sarebbero stati gli elementi da portare all’attenzione di un eventuale uditorio. Se di per sé il desiderio non è una cosa negativa perché costituisce uno stimolo che consente l’identificazione di un obiettivo, di un percorso con uno scopo finale, qui abbiamo un atto che, come l’ira che può condurre all’omicidio, tramite una serie di tappe porta all’infrazione del settimo comandamento.Guardare– stadio di partenza in cui non vi è alcuna colpa – desiderare– secondo passaggio che ne mette in modo altri in modo più o meno dominanti – adulterio nel cuore– atto non materiale, ma riferimento a, possibilità che quello vero possa verificarsi. Ancora una volta è la coltivazione del pensiero impuro che provoca il reato, così come l’ira nelle sue varie forme può condurre all’omicidio. Anche qui, per quanto non sempre.

Possiamo considerare in proposito l’episodio di Dina, figlia di Giacobbe e Lea in Genesi 34, vista, rapita e violentata da Sichem, o lo stesso episodio di Davide e la moglie di Uria che abbiamo già visto: a portare Davide all’adulterio non fu il vedere Betsabea che faceva il bagno nuda, ma il desiderio illegittimo coltivato senza preoccuparsi dell’esistenza di un comandamento e che quella donna appartenesse ad un altro: come con Caino, “Il peccato ti spia alla porta”. Gesù quindi, con le parole “ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” va qui allo stato, alla radice, alla nascita di una condizione di impurità e infatti usa “nel suo cuore” ad indicare uno stato intermedio tra l’infrazione teorica e quella consumata realmente. Ecco perché, a questo enunciato sintetico, seguono delle istruzioni che alcuni hanno voluto intendere come degli imperativi letterali e non degli esempi figurati ad indicare un modo (differente) di accostarsi al problema. Non a caso Gesù chiama in causa due organi specifici, l’occhio e la mano, che non necessariamente devono essere considerati strumenti per infrangere il settimo comandamento: l’occhio, che “non è mai sazio di guardare”, può essere motivo di scandalo – cioè di inciampo in un cammino – anche per sentimenti di invidia a fronte di una cosa posseduta da altri e spingere al furto, coinvolgendo la mano. E nell’esempio di Gesù i due organi sono destri, cioè i dominanti per la maggioranza delle persone. Attenzione, poi, che occhio e mano sono anche strumenti di comunicazione, per cui il messaggio di Cristo si espande ancora di più. L’occhio indirizza le nostre scelte e la mano lo segue quasi automaticamente per cui è impossibile che “occhio” e “mano” siano solo strumenti che aiutino ad infrangere un solo comandamento o abbiano a che fare unicamente col problema sessuale.

La domanda a questo punto è: se si prendessero alla lettera le affermazioni sul cavare e tagliare, si risolverebbe qualcosa, alla luce di quanto esposto da Gesù finora, cioè che è il pensiero negativo che sta alla base del problema del peccato? Certamente no: cavato l’occhio destro, resterebbe sempre il sinistro e la stessa cosa si può dire per la mano; inoltre, si parla di perdere “una delle tue membra”, e non entrambe, di entrare nel regno orbi o monchi, ma non totalmente invalidi. Bisogna considerare anche la totale inutilità dell’amputazione poiché, anche se – per ipotesi – cieca, una persona potrebbe comunque avvertire il desiderio impuro dentro di sé, rendendo così inutile l’intervento di “cavare” e “tagliare”.

Teniamo presente che gli ebrei, come anche altri popoli, rappresentavano le affezioni dell’anima con le diverse parti del corpo. Così il cuoreera la sede degli affetti e dei sentimenti, le visceredenotavano la compassione, le reniil desiderio e gli scopi segreti mentre l’occhio, in alcuni casi, l’invidia. L’apostolo Pietro, ad esempio, parla di persone che “hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e il cuore assuefatto alla cupidigia” (2 Pietro 2.14), gli uni aiutano l’altro in perfetta sinergia. E anche qui, i “desideri disonesti” sono tanti, polivalenti.

Ecco allora che il cavare l’occhio e l’amputare la mano è una similitudine che allude a un’operazione chirurgica virtuale, ma per questo non meno difficile, che l’uomo intenzionato a seguire ciò che Dio si attende da lui è chiamato a fare, cioè una vigilanza sui suoi pensieri.

Siamo quindi a un punto, in questo insegnamento di Gesù, in cui per “adulterio” si collega a qualunque invasione in ciò che è di altri e non a caso il decimo comandamento fa da corona a tutti gli altri, in particolare a quelli dedicati ai rapporti tra esseri umani: “Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo” (Esodo 20.17).

A questo punto Gesù entra nell’ambito del divorzio, realtà permessa dalla Legge che consentiva solo all’uomo di interrompere la relazione con la moglie: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito– vedi il “non marito” della Samaritana in Giovanni 4 –, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi perché egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa. Se ella, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie di un altro marito e anche questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio, glielo consegna in mano e la manda via dalla casa o se quest’altro marito, che l’aveva presa per moglie, muore, il primo marito, che l’aveva rinviata, non potrà riprenderla per moglie, dopo che lei è stata contaminata, perché sarebbe abominio agli occhi del Signore” (Deuteronomio 24.1 e segg.). È evidente che l’istituzione del divorzio era dato per concessione e non per regola, come rileviamo dal verbo “contaminare” che ci dice come una seconda unione, per quanto regolare, aveva prodotto una condizione di non purezza: la “sola carne” si era verificata col primo matrimonio e il secondo era considerato alternativo, senza possedere forse la stessa valenza del primo. Tornare al matrimonio precedente, poi, era considerato “abominio” perché sarebbe stato considerato, sempre per la regola della “sola carne” peggio dell’adulterio. Ricordiamo che la purità sessuale era un requisito indispensabile per poter entrare e crescere nella terra promessa, poiché le istruzioni che abbiamo letto in Dt 24 si concludono così: “Tu non renderai colpevole di peccato la terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti in eredità”. La terra promessa costituiva una rivendicazione di Eden, una regione in cui Israele avrebbe potuto vivere e prosperare gestendola come santa. Dovremmo già conoscere il capitolo 18 del Levitico (lo abbiamo sviluppato la scorsa riflessione), ma non abbiamo posto l’accento si come questo si conclude: “Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi. La terra ne è stata resa impura; per questo ho punito la sua colpa e la terra ha vomitato i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo della terra, né il forestiero che dimora in mezzo a voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e la terra è divenuta impura. Che la terra non vomiti anche voi, per averla resa impura, come ha vomitato chi l’abitava prima di voi, perché chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo. Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi; non vi renderete impuri a causa di essi. Io sono il Signore, vostro Dio»”.

A parte queste considerazioni, va sottolineato che la concessione del divorziare aveva provocato una reazione a catena per cui gli israeliti avevano finito per praticare la monogamia fino a quando non si stancavano della moglie e ne prendevano un’altra, trasformando così la divina istituzione del matrimonio in un sistema legale di prostituzione a danno esclusivo della donna.

Nel verso di Deuteronomio 24 “Qualcosa di vergognoso” è da tradurre più propriamente “Qualcosa di ripugnante” e a cosa questo “ripugnante” si riferisse fu sviluppato a lungo dai rabbini. La tradizione parla di due opinioni predominanti nel periodo neotestamentario: Shammai permetteva il divorzio solo in caso di adulterio, per Hillel invece poteva giustificarsi nel caso in cui il marito si fosse innamorato di un’altra donna o per motivi banali come l’aver bruciato una minestra. Gesù, invece, giustifica il divorzio solo nel caso di “unione illegittima”, anche qui traduzione che accenna solamente e non specifica: il termine usato è “pornèia”, cioè “prostituzione” o “condotta impura”.

In questo modo Nostro Signore chiarisce ai suoi uditori che il sistema del divorzio praticato a quel tempo dagli ebrei esponeva quattro individui al rischio di infrangere il settimo comandamento: 1) Il marito che ripudiava la moglie qualora lui si risposasse; 2) la donna che questi si sposava; 3) la moglie a torto ripudiata qualora si risposasse e infine 4) l’uomo che sposava colei che era mandata via per qualsiasi ragione futile. Con le sue parole, invece, Gesù libera l’innocente, maschio o femmina, da un coniuge infedele che, avendo avuto rapporti con una terza persona, ha di fatto interrotto il vincolo matrimoniale.

L’insegnamento di Nostro Signore sul matrimonio non si limita a questa circostanza: a volte fu richiesto un suo pensiero in merito, altre fu lui stesso a prendere la parola sul tema, ampliandolo. Va anche tenuto presente che, fin’ora, abbiamo considerato questa istituzione solo nella dispensazione della Legge e non della Grazia: le parole di Gesù ai suoi uditori erano per il loro tempo e le conoscenze acquisite in quel periodo, nonostante abbiano in gran parte la loro validità anche oggi. Nelle prossime riflessioni analizzeremo i passi paralleli e, in quella successiva, tratteremo il matrimonio e il divorzio al tempo della Chiesa.

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5.16 – SETTIMO: NON COMMETTERE ADULTERIO II (Matteo 5.27-32)

5.17 – Settimo, non commettere adulterio II (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Prima di passare alla seconda parte di questo studio è giusto tornare un attimo alla precedente perché abbiamo citato il caso di violenza – con la forza fisica o con la seduzione – su una giovane non fidanzata. Va ricordato che, nel caso fosse promessa sposa, il fatto non poteva rientrare nella categoria degli “incidenti di percorso” cui andava posto rimedio con matrimonio o una multa, ma in quella dell’adulterio che prevedeva la morte. Va tenuto presente che la Legge, vista nel Decalogo e relativi corollari, non era per il popolo qualcosa di oscuro o sconosciuto, ma veniva insegnata senza trascurare nulla; c’era tutta una pedagogia specifica costituita dalla trasmissione orale, e non solo, che possiamo leggere in Deuteronomio 6.4-8: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze. Questi precetti che io ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. Esisteva quindi di una vera e propria profilassi spirituale al fine di evitare che i comandamenti contenuti nel Decalogo venissero infranti, cosa che si verifica sempre quando l’uomo si considera il centro, rifiutando la dipendenza da Dio come Caino e i suoi discendenti.

Il matrimonio era un’istituzione concepita per popolare la terra in modo “ordinato”, vale a dire con lo scopo che nessuna linea genealogica si estinguesse e, a differenza di quanto accaduto nella dispensazione della coscienza, Dio istituì delle norme precise tese a preservare la razza che non poteva venire contaminata da unioni tra consanguinei e mutazioni genetiche destinate a produrre malformazioni e/o ritardo mentale nella popolazione. È Levitico 18 ad elencare nei dettagli tutte le relazioni carnali illecite. È un capitolo molto importante che va esaminato, per quanto lo spazio ridotto lo renda possibile solo a grandi linee, dai versi 4 e 5 che fungono da introduzione: “Fate ciò che io vi comando attraverso le mie leggi e osservate i miei statuti, per camminare in essi: io sono il Signore Iddio vostro. Osservate i miei statuti e le mie leggi: chiunque li metterà in pratica, vivrà per essi: io sono il Signore”. Sta all’uomo scegliere se aderire o meno all’esigenza divina riguardo alla gestione del proprio corpo ed è avvertito che, se osserverà gli statuti e le leggi presentate, “vivrà per essi”. Si tratta di scegliere fra bene e male, cioè tra ciò che è approvato da Dio e ciò che non lo è; inutile accusare il testo o il suo Autore di essere reazionario o dileggiarlo perché non viene consentito l’esercizio di una sessualità “libera”: ogni uomo o donna poteva e può scegliere di seguire i comandamenti nel suo interesse, oppure no. Ma non è possibile poi avere la pretesa, in caso di ribellione a ciò che non un uomo ha stabilito, di “vivere per essi”. Chi quindi non si adegua ai precetti che seguono, si colloca quanto meno fuori dall’attenzione e la protezione di Dio: sceglie di anteporre il proprio “ma” subendone le conseguenze.

6Nessuno si accosti ad una sua parente carnale per scoprire la sua nudità. Io sono il Signoreè il verso d’esordio, dove altri hanno tradotto “parente carnale” con “consanguineo” anche se cosa s’intenda per essi viene spiegato versi nei successivi, non potendo la Legge lasciare dei dubbi in quanti intendevano metterla in pratica. “Scoprire la nudità” è uno dei modi per riferirsi al rapporto carnale, come già accennato con altri casi. Per scongiurare fraintendimenti, ecco che il verso parte proprio dall’ovvio, non essendovi parente carnale più stretto del proprio padre o della propria madre. Essendo l’omosessualità non consentita, “padre” o “madre” stanno a indicare che quanto esposto riguarda sia gli uomini, che le donne. 7Non scoprirai la nudità di tuo padre né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità.8Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre”. Immediatamente dopo la madre naturale viene un’altra donna, considerata allo stesso livello della genitrice perché comunque carne del padre. Viene qui in mente l’episodio dell’incestuoso di Corinto, che aveva questo tipo di rapporto (1 Corinti 5.1-5). 9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, generata in casa o fuori; non scoprirai la loro nudità”: da qui vediamo che, come nel verso precedente, per essere fratelli o sorelle secondo la carne non è necessario discendere dagli stessi genitori, ma ne basta uno ed è quell’ “o” a negare ci sia differenza tra fratello e fratellastro, sorella o sorellastra. Qui, in particolare, penso che il verso si riferisca a fratelli o sorelle acquisiti, quindi anche figli di un matrimonio precedente interrotto a causa di una vedovanza poiché la dichiarazione ufficiale dei rapporti fraterni a livello famigliare è più definita al verso 11 che recita “Non scoprirai la nudità della figlia di una moglie di tuo padre, generata da tuo padre: è tua sorella, non scoprirai la sua nudità”: cambiano i termini, ma non la sostanza. Al verso 10,  “Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità”vediamo cheil o la nipote sono visti in modo profondamente identificativo giungendo ad essere accomunati agli stessi nonni, parenti carnali come gli zii paterni e materni:12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è parente carnale di tuo padre.13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre”. Si arriva poi alla zia acquisita, altra configurazione di incesto:14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre: non accostarti con sua moglie: è tua zia”. Infine chiudono l’elenco la nuora e la cognata comprendendo implicitamente genero e cognato:15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità.16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.

Seguono poi alcune indicazioni di etica e igiene che avrebbero dovuto distinguere, come le precedenti, Israele dagli altri popoli: “17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia. Non prenderai la figlia di suo figlio né la figlia di suo figlio per scoprirne la nudità: sono parenti carnali. È un’infamia.18Non prenderai in sposa la sorella di tua moglie, per non suscitarne rivalità, mentre tua moglie è in vita.19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’impurità mestruale.20Non darai il tuo giaciglio alla moglie del tuo prossimo, rendendoti impuro con lei.22Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole.23Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una perversione”.

Nessuna di queste unioni proibite, tanto nella prima che nella seconda parte del capitolo, è inconcepibile per il cosiddetto “uomo naturale” tant’è che il paganesimo antico e moderno le ha impiegate quasi come metodo; basta pensare alla Grecia antica prima, durante e dopo i tempi dell’apostolo Paolo (Corinto ed altre) come ai popoli che Israele avrebbe cacciato dalla terra che gli era stata promessa. “24Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.25La terra ne è stata resa impura; per questo ho punito la sua colpa e la terra ha vomitato i suoi abitanti.26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo della terra, né il forestiero che dimora in mezzo a voi.27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e la terra è divenuta impura.28Che la terra non vomiti anche voi, per averla resa impura, come ha vomitato chi l’abitava prima di voi,29perché chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo.30Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi; non vi renderete impuri a causa di essi. Io sono il Signore, vostro Dio”.

Ho ritenuto utile inserire anche quelle che potremmo definire “situazioni estreme” perché si verificano ancora oggi sia come pratica individuale che come spettacolo, così come non ci vuole molto a riconoscere per estensione al verso 21, che prima ho omesso, la produzione degli “snuff movies” ricercati a prezzi inimmaginabili anche nell’ambito cosiddetto “pedofilo”: “Non consegnerai alcuno dei tuoi figli per farlo passare a Moloc e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore”. E Moloc era il dio cananeo il cui culto veniva celebrato nella Geenna, la Valle di Hinnom, tramite sgozzamento e bruciamento dei bambini, spesso figli primogeniti. È vero, abbiamo letto dei versi che pongono situazioni molto pesanti, ma sono convinto che occorra conoscere il negativo per conoscere ed apprezzare il positivo.

In pratica: l’uomo è stato creato maschio e femmina, quindi la sessualità è da considerarsi un dono da esercitarsi liberamente con la persona che ciascun individuo, maschio e femmina, si è scelto. Qualche millennio dopo una parte della cristianità, con perversione opposta alle categorie che abbiamo trovato in Levitico 18, ma sempre di perversione si tratta, giungerà a considerare il rapporto sessuale un peccato a meno che non fosse giustificato da fine procreativo prescrivendo che, prima dell’atto, si frapponesse un lenzuolo forato tra i corpi sostenendo che lo scopo fosse quello di procreare e non il piacere fine a se stesso. Credo che quando la sessualità, legittima espressione di sé, viene repressa, trovi inevitabilmente sfogo in altre vie che la stessa Bibbia condanna. Leggiamo in Proverbi 5.18,19 “Sia benedetta la tua fonte, e vivi lieto con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, cavriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii del continuo rapito nell’affetto suo”.

Possiamo concludere queste riflessioni con una semplice presa d’atto: quando Dio creò l’essere umano, lo pose in un territorio circondato da quattro fiumi. Doveva restare lì, protetto, senza conoscere ciò che non gli sarebbe servito o, meglio ancora, gli avrebbe procurato molto danno. Da allora, nonostante il peccato e il suo essere fuori da quel giardino, gli è sempre stato indicato un confine, un territorio, un “recinto” visto sbrigativamente, almeno nella Legge, nei termini “farai” o “non farai”, anche questi posti nel suo interesse. Aggiungere nuove norme o precetti a quelli già dati da Dio, così come eliminarli o torcerli a proprio vantaggio, equivale a infrangere quelli già esistenti e le conseguenze non possono che essere disastrose nel rapporto con Lui. Perché è l’abbattimento dei confini che il Creatore ha stabilito, non perché dispotico, ma in quanto conoscitore perfetto della propria creatura, che rende l’uomo davvero schiavo. Amen.

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5.15 – SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO I (Matteo 5.27-32)

5.16 – Settimo, non commettere adulterio I (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Dopo aver spiegato cosa si intenda per infrazione al sesto comandamento Gesù passa al successivo implicante la presenza di un vincolo matrimoniale che, nel corso delle dispensazioni, è stato inteso in vari modi. Ciò non è accaduto per altri precetti del decalogo come il non rubare e lo stesso “non uccidere” che abbiamo appena visto. Il passo di Matteo è sicuramente impegnativo e, per affrontarlo, è necessario percorrere nelle sue linee fondamentali come si è sviluppata l’istituzione del matrimonio aggiornandolo poi alla nostra realtà di cristiani alla quale Gesù, commentando la Legge, accenna solamente. “Matrimonio” è parola che deriva da due sostantivi latini, mater al genitivo (“matris-”) e “-monium” cioè “dovere, compito” per cui, letteralmente, il suo significato letterale è “dovere di madre”: l’etimologia stessa fa riferimento alla finalità procreativa dell’unione dei coniugi, fondamentale nei tempi antichi, ma molto meno oggi come avremo modo di vedere.

Andando alle origini, quindi al libro della Genesi, leggiamo che la donna fu creata dopo che Iddio “disse: Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”(2.18) e, poco dopo,  “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne” (2.24). Sappiamo che è anche scritto che “Dio li benedisse e disse loro «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mate e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra»” (1.28). La donna quindi venne creata perché l’uomo, che a quel tempo aveva evidentemente in sé sia le caratteristiche maschili che femminili, non aveva un simile con cui confrontarsi e, quando Dio gli condusse tutti gli animali perché desse loro un nome, leggiamo “…ma per l’uomo non si trovò un aiuto che gli corrispondesse” (2.20). Si tratta di termine, “aiuto” che non allude alla necessità di avere qualcuno che gli facesse i lavori domestici, ma piuttosto di avere un rapporto con una persona con la quale confrontarsi, avere relazioni. Con gli animali Adamo aveva una dimensione di comunione, visto che interagiva con loro, ma anche di separazione perché nessuno di loro poteva essergli l’aiuto di cui aveva bisogno visto nel completamento di sé.

I maestri ebrei sono concordi nel ritenere l’Adamo prima della donna come una creatura androgina e fanno notare che la parola “costola” (sela’) significa anche “lato”, per cui Eva sarebbe il lato femminile di Adamo tolto da lui e postogli finalmente di fronte; di qui “l’aiuto che gli corrispondesse”. Questo risolverebbe anche un problema non da poco, perché secondo il racconto biblico dovremmo ritrovarci con un numero non proporzionale di costole, essendo che quella utilizzata per formare la donna era una.

Ecco allora che quel “non è bene che l’uomo sia solo” era riferito non a un errore di Dio che creandolo così aveva sbagliato, ma al fatto che creando la donna, separandola da lui e ponendogliela innanzi, l’uomo avrebbe potuto riconoscere se stesso e comprendere fino a che punto arrivasse l’amore del suo Creatore per lui. Infatti Adamo disse “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne. La si chiamerà donna– isha – perché dall’uomo– ish – è stata tolta” (2.23). Il fatto che però la donna sia stata formata dall’uomo insegna molto, poiché Adamo trovò in Eva un simile costituito per lui e da lui e non un essere complesso e spesso scarsamente decifrabile come oggi. In pratica, Eva, moglie di Adamo, era unica perché lui era unico e quindi mancava di un background culturale che la rendesse diversa, ferma restando una maggiore vulnerabilità e suscettibilità all’adulazione perché, altrimenti, l’Avversario non si sarebbe rivolto a lei. Se a quel tempo Eva era davvero un aiuto che corrispondesse ad Adamo, oggi le possibilità che questo si verifichi sono molto minori e le relazioni uomo – donna, lungi dal somigliare a quelle dei nostri progenitori in Eden, sono molto più simili alla conflittualità che essi conobbero una volta fuori dal Giardino: dal momento in cui trasgredirono l’unico comandamento ricevuto, Adamo non si fidò più di lei e iniziò tutta una serie di reciproci scambi di accuse, fomentate dalle diverse esigenze e dalla necessità di autonomia di ciascuno. Il rapporto che esisteva tra i due in origine, in cui si riconoscevano liberamente nell’altro e all’altro dava naturalmente e senza secondi fini, era finito.

Alla dispensazione dell’innocenza nel Giardino, seguì quella della coscienza che divise gli uomini, Caino e Abele per primi e in cui Lamec, di cui abbiamo già accennato in una precedente riflessione, si mise in opposizione a Dio e all’istituzione matrimoniale prendendosi due mogli, Ada e Silla. Lamec, che una leggenda ebraica afferma essere stato l’omicida di Caino con una freccia, è l’autore di un cantico d’odio – “Ho ucciso un uomo per una scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech lo sarà settantasette” – in cui riconosciamo sia una consapevole volontà di infrangere il comandamento dell’uomo e donna uniti in un solo essere senza ingerenze esterne, sia la pretesa di volere un Dio a lui sottomesso. E la pretesa di una vendetta smisurata per il suo sangue eventualmente sparso, 70+7. Lo conferma.

Ci si pone però il problema sul perché, a parte l’episodio di Lamec che agì in tal modo solo per odio nei confronti di Dio, sia esistita la poligamia presso i patriarchi e ai tempi dell’Antico Patto, continuando anche sotto la dispensazione della Legge: abbiamo Abramo, Giacobbe ed altri per la Coscienza e Davide, Salomone ed altri per la Legge. C’è chi ha sostenuto, penso non sbagliando, che Dio abbia permesso la poligamia stante la maggioranza della popolazione femminile rispetto a quella maschile già nel mondo di allora e, da calcoli fatti, pare che ci fossero decine di migliaia di donne in più rispetto agli uomini. Era una situazione drammatica per vari motivi perché la società patriarcale del tempo non consentiva l’autosostentamento e l’autoprotezione della donna. L’unico modo era quello di sposarsi e fare figli. L’uomo così si sposava, la donna gli apparteneva e viceversa, tant’è che l’adulterio scattava nel momento in cui un uomo sposato aveva rapporti carnali con una donna sposata e viceversa, oppure era sufficiente che solo uno dei due avesse un vincolo. Non mi sento di dissentire dal concetto in base al quale Dio abbia permesso la poligamia per proteggere e provvedere ai bisogni delle donne che altrimenti non avrebbero trovato marito avendo di fronte un destino di schiavitù o di prostituzione pur di sostentarsi.

Questo uso è circoscritto a un tempo preciso e non sminuisce il progetto ideale per il matrimonio che, nelle intenzioni del Creatore, prevedeva che l’uomo si sarebbe unito “a sua moglie(al singolare) e i due saranno una sola carne(altrettanto al singolare)”. A integrazione del discorso sulla poligamia possiamo vedere il verso di Deuteronomio 17.17 che, parlando del re che Israele si sarebbe costituito, stabilisce tra i suoi requisiti “Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non si smarrisca”. Sappiamo infatti, per averlo già incontrato nelle nostre riflessioni, che il cuore di Salomone “si sviò” dai sentieri di Dio – quindi si smarrì – proprio per la quantità enorme di mogli e concubine che si era procurato. E per “smarrire” intendiamo proprio perdere l’orientamento nel cammino, nel pellegrinaggio verso la meta finale avendo Dio come guida.

Chi si smarrisce prima sbaglia strada e poi non riesce più a trovare quella giusta, perde l’orientamento. Basta poco.

La poligamia, tornando al tema, non era equiparata all’adulterio, ma tollerata a condizione che chi sposava una seconda donna continuasse a mantenerla e a provvedere alle sue esigenze. Avere più di una moglie erano in pochi a poterselo permettere.

Nella Legge l’adulterio era punito con la morte e questa pena, come sappiamo, era ancora in uso ai tempi di Gesù, come possiamo constatare dall’episodio in cui una donna stava per essere lapidata per questo gli Scribi e i Farisei lo interpellarono con queste parole. “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu, che ne dici?”(Giovanni 8. 4,5). Alle origini del motivo della pena di morte per quel reato stava il fatto che era il rapporto carnale a determinare il matrimonio, tant’è che sono le espressioni come “entrò da lei” o “la conobbe” che lo ufficializzano al di là del contratto che si stipulava tra le famiglie dei futuri sposi purtroppo indipendentemente dai sentimenti che provavano l’uno per l’altro. L’adulterio era così un attentato al principio dell’essere “una sola carne” compiuto deliberatamente all’insaputa del coniuge e, in caso di rapporto carnale avvenuto, l’uomo e la donna si dovevano sposare.

Il matrimonio riparatore però contemplava un’eccezione vista nella violenza carnale e in proposito abbiamo due versi che si integrano: in Deuteronomio 22.28,29 leggiamo “Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l’afferra e giace con lei e sono colti in flagrante, l’uomo che è giaciuto con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d’argento; ella sarà sua moglie per il fatto che egli l’ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita”. Questo però poteva accadere solo se il padre della giovane accettava, poiché poteva decidere di prendere solo la somma in denaro e risparmiare alla figlia una vita di stenti sicuramente morali: “Quando un uomo seduce una vergine non ancora fidanzata e si corica con lei, ne pagherà il prezzo nuziale e lei diverrà sua moglie. Se il padre di lei si rifiuta di dargliela, egli dovrà versare una somma di denaro pari al prezzo nuziale delle vergini” (Esodo 22.15,16). È interessante notare che qui abbiamo la possibilità di un divorzio nonostante i due fossero diventati “una sola carne” e non leggiamo che alla giovane fosse precluso un secondo matrimonio. Non va trascurata la differenza della terminologia impiegata nei due versi, “l’afferra e giace con lei” indica un rapporto sessuale estorto con la forza, mentre il “seduce” suggerisce consensualità, ma in entrambi i casi esiste sempre una costrizione, con forza espressa o celata. Il sedotto è più debole del seduttore.

In questa prima parte penso di aver fatto una presentazione generale dell’argomento che posso riassumere in questi punti:

  1. L’adulterio è un grave attentato all’istituzione matrimoniale stabilita da Dio sùbito aver posto l’uomo nel Giardino di Eden e questa prevedeva che fossero una sola carne;
  2. Si verifica adulterio nel momento in cui una persona coniugata, uomo o donna, ha rapporti carnali con una terza sì che il vincolo matrimoniale si rompe per colpa;
  3. Era possibile, per ragioni storiche e in un tempo in cui la terra andava popolata, la poligamia a condizione che l’uomo avesse la possibilità di non far mancare nulla alle proprie mogli;
  4. Al di là della distinzione tra fidanzamento e matrimonio, era la congiunzione carnale che sanciva definitivamente che il matrimonio tra le due persone era avvenuto.

Nella prossima serie di riflessioni cercheremo di affrontare la casistica rimanente, prima di analizzare le parole di Nostro Signore su questo importante comandamento.

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5.14 – SESTO: NON UCCIDERE III/IV (Matteo 5.21-26)

5.14– Sesto, non uccidere III/IV(Matteo 5.21-26)

 

21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.25Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

 

Il “Non uccidere” del titolo è un imperativo che però, nel testo originale, è espresso al futuro proprio a sottolineare che l’omicidio è il risultato di una serie di ragionamenti, del dare seguito a conclusioni, anche se non sempre: può essere volontario (premeditato e non), colposo (cioè non intenzionale, ma accidentale per colpa di chi lo provoca), o preterintenzionale, cioèil risultato di un intenzione diversa, come può essere uno spintone dato a una persona che, in seguito ad esso, cade, batte la testa e muore.

L’omicidio del primo tipo è chiaro: una persona decide in piena coscienza di porre fine alla vita di un suo simile organizzandosi e scegliendo le modalitàmigliori per realizzarlo. Si tratta quindi di precluderealla vittima qualsiasi possibilità di scelte future, di percorso, crescita, sviluppo; è decidere la soppressione di una vita per la quale solo Dio può stabilireun termine.

Sappiamo che la prima volta in cui leggiamo“Non ucciderai” è in Esodo 20, ma stante le varianti che comporta questo peccato troviamo un iniziale sviluppodel precetto e su come trattare la sua infrazione in 21.12-14 in cui è scritto “Chi percuote un uomo che, a motivo di questo, muore, sarà messo a morte. Se però non gli ha teso alcun agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io ti assegnerò un luogo dove egli possa rifugiarsi. Se uno agisce con premeditazione contro il suo prossimo,per ucciderlo con l’inganno, tu lo strapperai anche dal mio altareper farlo morire”: qui è distinto l’omicidio con premeditazione, lo stesso che fece Caino col fratello, da quello avvenuto perché chi ha uccisoha incontrato il proprio nemico casualmente e, accecato dall’ira, ha approfittatodell’occasione. Erano tempi in cui il “caso”,così come lo intendiamooggi, era un concetto sconosciuto e in essosi intravedeva la volontà di Dio;per questo era praticata l’estrazione a sorte, che oggi non può essere utilizzata come metodoperché dispensazionale della Legge e,nonostante questo,non sempre praticata.Vero è che gli apostoli, quando si trattò di rientrare nel numero 12, scelsero così Mattia anzichéBarsaba (Atti 1.25-36), malo Spirito Santo non era ancora sceso e l’elezione di Mattia fu il risultato di una preghiera fatta con la certezza di un esaudimento: “Tu, Signore, che conosci i cuori di tutti, mostra quale di questi due hai scelto per ricevere la sorte di questo ministero e apostolato dal quale Giuda si è sviato per andare al suo luogo”. Possiamo dire che gli apostoli, che attendevano l’arrivo del Consolatore promesso, avevano nella preghiera e nell’estrazione a sorte l’unico modo per risolvere il problema di chi potesse sostituire Giuda, il traditore.

Anche ai tempi dell’Antico Patto, comunque, questa procedura non era l’unica, come rileviamo dall’episodio in cui Gedeone, dovendo scegliere solo trecento uominiper combattere contro i Madianiti e gli Amalekiti, utilizzò un criterio che Dio stesso gli aveva suggerito.Gedeoneportò infatti una gran quantità di uomini assetati in un luogo dove vi eradell’acqua: “Tutti quelli che lambiranno l’acqua con la lingua come la lambisce il cane, li metterai da parte; così farai con quelli che per bere si metteranno in ginocchio” (Giudici 7.5).

Rientrando in tema, il colpevole di omicidio premeditato doveva essere messo a morte in base al principio che qualunquemale fatto al prossimo doveva ricadere suchi lo aveva commesso: “Quando alcuni uomini litigano e uno colpisce il suo prossimo con una pietra o con il pugno e questi non muore, ma deve mettersi a letto, se poi si alza ed esce con il bastone, chi lo ha colpito sarà ritenuto innocente, ma dovrà pagare il riposo forzato e assicurargli le cure. Quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani, si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o due, non sarà vendicato, perché è suo denaro.Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido” (Esodo 21.18-24).

Vigeva così il principio di reciprocità per un popolo che, composto da individui chiamati adessere santidalDio che liaveva eletti, nel caso facesserodel male aipropri simili, dovevanopagare di personaprovando su di sé le conseguenze delle azioni negative che avevano messo in attosuglialtri.Così l’omicidio premeditato o volontario non poteva essere tolleratoperché avrebbe precluso alla vittima un cammino con Dio all’interno di una società originariamente chiamata a realizzare il Suo regno sulla terra. Uccidere una persona equivaleva ad estraniarsi ed estraniarla da quel percorso comunitario e il fatto che l’omicidasopravvivessealla propria vittima era una realtà non aveva alcuna ragionedi essere.

Discutere oggi sull’ammissibilità della pena di morte o della legittimità della cosiddetta “legge del taglione”non ha senso perché nel cristianesimo reale, non nominale, i principi sono altri, non valendo il “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, ma il“non giudicate e non sarete giudicati, (…) perché con la misura con cui misurate sarà altresì misurato a voi. (…)fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”(Luca 6. 31 e 37).Credo che il verocristianesimo sia diverso da quello apparente e che la società umana sia diversa quella cristiana, ben diversa da quella che dà per scontata l’appartenenza a un sistema religioso solo per un’aspersione praticata ad unsoggetto incapace di intendere e volere.L’appartenenza a Cristo si identifica nell’Ecclésia, alla quale la persona deve aderire responsabilmente e senza alcuna imposizione, nel popolo dei “chiamati fuori” da un mondo e da unconsorzio umanoche non gli appartiene.

Per l’omicidio volontario a seguito di uno scatto di ira incontrollata valeva quanto riportato in Numeri 36.16-19: “Ma se uno colpisce un altro con uno strumento di ferro e quegli muore, quel tale è omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. Se lo colpisce con una pietra che aveva in mano, atta a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. O se lo colpisce con uno strumento di legno che aveva in mano, atto a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. Sarà il vendicatore del sangue quegli che metterà a morte l’omicida; quando lo incontrerà, lo ucciderà”.

Era poi contemplata la possibilità diun altro tipo di omicidio, quello che poteva verificarsiper difendere la propria casa o famiglia, se il fatto avveniva di notte: “Se il ladro, colto nel fare uno scasso, è percosso e muore, il proprietario non è colpevole di omicidio nei suoi confronti. Se il sole si era già alzato quando avvenne il fatto, egli è colpevole di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il danno; se non ha di che risarcirlo, sarà venduto per il furto da lui fatto” (Esodo 22.2,3).Per il furto, infatti, se avveniva di giorno e quindi l’autore del crimine poteva essere identificato, vigeva il principio in base al quale chi lo perpetrava era costretto alla restituzione del doppio rispetto al valore del bene asportato.

 

Veniamo ora agli altri tipi di infrazione al sesto comandamento, che possono rientrare, per la Legge data a Mosè, in un’azione preterintenzionale: in questo caso valeva il principio del rifugio, o asilo, in sei città istituite allo scopo peraccoglierequanti provocavano la morte del proprio simile senza averne l’intenzione.“…e questa è la regola per l’omicida che si rifugia là, per aver salva la vita: chiunque ha ucciso il suo prossimo involontariamente, senza averlo odiato prima. Così, quando uno va col suo compagno nel bosco a tagliar legna e, mentre vibra un colpo con la scure per abbattere un albero, il ferro gli sfugge dal manico e colpisce il compagno che poi muore, quel tale si rifugerà in una di queste città e avrà salva la vita; perché il vendicatore del sangue, mentre l’ira gli arde in cuore, non insegua l’omicida e lo raggiunga, quando il cammino è troppo lungo, e non lo uccida anche se meritava la morte, perché nel passato non aveva odiato il compagno” (Deuteronomio 19.4-6).

La giustizia di Dio aveva istituito sei città di rifugio, o di asilo,per chi aveva causato la morte del suo simile senza volerlo, città“che voi designerete affinchévi si rifugi l’omicidache avrà ucciso qualcuno involontariamente; queste serviranno di asilo contro il vendicatore del sangue, perché l’omicida non sia messo a morte prima di comparire in giudizio dinnanzi alla comunità” (Numeri 36.12): il numero 6, che ci parla di imperfezione, fu istituito da YHWH a salvaguardia tanto del responsabile del reato quanto del vendicatore; fu un atto di protezione e non di distruzione al contrario di come agisce Satana, l’Avversario, colui che fu “omicida fin dal principio”che, oltre a tentare, accusa incessantementee suscita una vendetta accecata dall’odio. Tutto questo è simboleggiato nel capitolo citato dal versi 24a 26: “Ecco allora le regole secondo le quali la comunità giudicherà fra colui che ha colpito e il vendicatore del sangue. La comunità libererà l’omicida dalle mani del vendicatore del sangue e lo farà tornare alla città di asilo dove era fuggito. Lì dovrà abitare fino alla morte del Sommo Sacerdote che fu unto con l’olio santo. Ma se l’omicida esce dalle città di asilo dove si era rifugiato e se il vendicatore del sangue trova l’omicida fuori dai confini della sua città di asilo e lo uccide, il vendicatore del sangue non sarà reo del sangue versato. Perché l’omicida deve restare nella sua città fino alla morte del Sommo Sacerdote; dopo la morte di esso, l’omicida potrà ritornare nella sua proprietà”.

È interessante notare che le città di rifugio, sotto la custodia dei levitied istituite da Dio, eranotre ad Est ed altrettante ad Ovest del territorio;viste su una cartina risulta che erano disposte in modo tale da non essere difficili da raggiungereda qualunque luogoe ciascuna di esse era servita da un ottimo sistema viario.L’autore diomicidio-involontario – una volta giunto là, era protetto ma doveva risiedervi, non uscire dalle loro mura, altrimenti avrebbe potuto subire la vendetta del parente dell’ucciso.Sicuramente chi ha definito Nostro Signore la settima città di rifugio, quella perfetta, non ha commesso un errore: in fondo, chi si affida a Lui non lo fa mai perché ha peccato ribellandosi volontariamente, ma per completa ignoranza e, non conoscendo ancora la Sua grazia, non poteva comportarsi diversamente. Mentre eravamo tutti in quella condizione, Dio pensava a noi: “Io conosco i progetti che ho fatto per voi: progetti di pace e non di sventura, per darvi un avvenire e una speranza” (Geremia 29.11).

Il ritratto del cristiano in proposito è descritto dall’apostolo Paolo con queste parole: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Efesi 2.1-10).

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