IL SERMONE PROFETICO II: L’INGANNO (MAtteo 24.4-8)

16.29 – Il sermone profetico II: L’inganno (Matteo 24.4-8)

 

4Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! 5Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: «Io sono il Cristo», e trarranno molti in inganno. 

 

È indubbio che l’analisi del sermone profetico di Gesù ai Suoi sia uno dei compiti più ardui di tutto il Vangelo stante i motivi accennati nello scorso capitolo e che la stessa difficoltà si riscontri anche nell’organizzarne l’esposizione perché, se la si affronta considerando verso per verso, si rischia di non avere la visione dell’insieme che credo sia la più importante. Essendo però lo scopo di queste riflessioni sul Vangelo quello di fornire degli stimoli di riflessione e approfondimento individuale e non quello di stabilire verità assolute, ciascuno potrà sviluppare con appunti personali e raggruppare i temi trattati da Nostro Signore secondo le sue necessità.

Affrontare i capitoli 24 e 25 del Vangelo di Matteo, tra l’altro, non può essere fatto senza riferimenti a quelli di Marco 13 e di Luca 21, indispensabili per completare il testo del primo evangelista, che come sappiamo scrive fondamentalmente per lettori ebrei. Dobbiamo anche tenere presente che, a differenza degli ascoltatori o lettori che ci hanno preceduto per una ventina di secoli circa, la nostra posizione è avvantaggiata proprio perché abbiamo un patrimonio di dati storici che ci consentono di risolvere alcuni punti che, per gli antichi cristiani, erano molto più difficili da interpretare. Leggendo alcuni commentari ho notato che gli autori tendono a considerare quanto profetizzato da Gesù in senso unilaterale: ad esempio ho notato che vi è chi confina le Sue parole unicamente alla distruzione di Gerusalemme o proietta le sue considerazioni contestualizzandole in un futuro ancora a venire, a mio parere sbagliando perché i riferimenti che il Figlio di Dio riguardano, come vedremo, entrambi i periodi.

 

Delle sette parti in cui si divide il sermone profetico la prima riguarda la “fine”, vale a dire quel punto fermo che Dio metterà (come da sempre) per porre termine alle pretese di autonomia dell’uomo che si vuole svincolare da Lui come avvenne, appunto, “ai giorni di Noè”. Al tempo stesso abbiamo anche una valenza molto più immediata, vale a dire la “fine” di quel sistema religioso che aveva in Gerusalemme e nel Tempio il suo massimo punto di riferimento. I credenti al tempo degli Apostoli, quindi, avrebbero avuto in queste parole di Gesù una guida atta a porli nella condizione di riconoscere i tempi esattamente come lo abbiamo noi oggi per quanto riguarda le analoghe manifestazioni da Lui descritte.

Ciò a cui dobbiamo fare caso, per ora, è che Gesù inizia il suo discorso non con un elenco di segni o eventi come i discepoli Gli avevano chiesto, ma con un avvertimento: “Badate che nessuno vi inganni”, o “vi seduca”, proponendo così due temi, l’attenzione estrema che loro – e quindi per relazione i cristiani – avrebbero dovuto porre verso chi li avrebbe voluti “ingannare”, cioè portarli deliberatamente a una falsa opinione, a un errore di valutazione, a un’illusione. E quando si parla di “inganno” non può che venire alla mente quello più grande, subito dai nostri progenitori, quando Eva fu indotta a prendere il frutto proibito in Eden e a darlo al marito. Se l’inganno è perpetrabile solo con la menzogna, ecco che l’Avversario è definito suo padre (Giovanni 8.44) quindi se ne serve e lo utilizzerà, proprio riguardo all’argomento che esporrà Gesù, in modo estremamente mirato: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Marco 13. 22). Prima della Sua “venuta” e della “fine”, dovrà trascorrere allora un periodo pieno di travisamenti e frodi spirituali, oltre che caratterizzato da eventi terribili per l’umanità di cui Gesù parlerà nei versi successivi. Se poi, come hanno scelto altri traduttori, all’inganno si pone la seduzione, il senso è ancora più forte, perché sedurre significa “portare a sé”, quindi a una persona che ha fini diversi dal modo di essere del proprio bersaglio: suo scopo è quello di utilizzarlo per i propri fini e poi abbandonarlo.

Riguardo al fuorviare, si può dire sia un’attività cui l’Avversario si dedica con ostinazione ed estrema cura da sempre: Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni che essi sognano, perché falsamente profetizzano nel mio nome: io non li ho inviati” (Geremia 29.8,9). Se un profeta non è inviato da Dio, va da sé che agisca anche nella Chiesa in nome e per conto dell’Avversario.

Da qui, verso non certo unico nel panorama dell’Antico Patto, andiamo al Nuovo che è molto più dettagliato in cui vediamo che il terreno prediletto dell’inganno è proprio la Chiesa in cui opereranno lupi che si fingeranno agnelli, quindi spiriti distruttori simulanti una volontà di costruire. E già qui si sottolinea l’inganno perché, se costoro agissero con fini e modi chiaramente perversi, nessuno si lascerebbe sedurre: “Questi tali sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere” (2 Corinti 11. 12-15). L’avvertimento quindi è “Nessuno vi inganni con argomenti seducenti” (Colossesi 2.4) e non è un caso se tutte le dottrine estranee al Vangelo e le sette che si pretendono cristiane (penso ai Testimoni di G. o ai Mormoni) partono proprio dalla fede in un unico Dio: prendono versi dalla Scrittura e ne distorcono il senso, ma sempre con argomenti apparentemente logici sui quali poi costruiscono teorie e dogmi atroci e che le menti non formate accolgono. Non esiste setta che non si ritenga depositaria di una verità rivelata esclusivamente ai suoi membri e di pratiche che altri non hanno, che non li faccia sentire come dei privilegiati e degli illuminati non dal Vangelo, ma dalle dottrine professate che hanno un fondamento solo apparente.

Pietro stesso, che ascoltò proprio le parole del suo Maestro, scrisse: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati. Attirando su se stessi una rapida rovina, molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma per loro la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere” (2 Pietro 2.1-3).

L’antidoto a tutto questo è la Chiesa che, attraverso la presenza di apostoli, pastori, maestri ed evangelisti, ha lo scopo di condurre “tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la pienezza di Cristo – questa è la nostra destinazione –. Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde. Trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quell’astuzia che trascina all’errore” (Efesi 4.11-14). È quindi la maturità e la conoscenza che vanno cercate una volta avuto il dono della salvezza, iniziando quel cammino fatto di scelte e studio, cercando la dottrina, la sola che possa evitare di essere “in balìa delle onde”, quindi faticare e affannarsi restando fermi col pericolo di annegare, e “trasportati qua e là”, cioè senza arrivare a un dove preciso, ovunque tranne che dove dovremmo essere, “da qualsiasi vento” – di cui sconosciamo l’origine – “di dottrina”, quindi qualcosa che si maschera di certezza, di autorevolezza.

 

Ora affrontiamo quello che è il primo tema, cioè “Molti verranno nel mio nome dicendo: «Io sono il Cristo» e trarranno molti in inganno”. Abbiamo due letture possibili, entrambe esatte, che si riferiscono sia al tempo di Gesù che a quello futuro. Certo nella nostra storia non abbiamo chi ha preteso di essere il Figlio di Dio, ma molte persone, rivestitesi di autorità, che hanno dato origine a movimenti che di cristiano hanno solo l’aggettivo. Nella frase “Io sono il Cristo” però non dobbiamo vedere solo chi si spaccia per Messia, ma soprattutto come guida, come riferimento, mette in atto strategie per distogliere dalla fede o impedire di pervenire ad essa, e allora gli esempi sono veramente tanti: movimenti politici di opinione, organizzazioni che vorrebbero instaurare una morale “nuova” che porti l’uomo ad essere “libero” da leggi morali, classificate come pregiudizi.

 

Con le Sue parole, comunque, Gesù si riferisce in particolare a quegli eventi che si sarebbero verificati prima della distruzione di Gerusalemme perché sappiamo che proprio nel periodo, sia precedente che posteriore alla Sua nascita, c’era la convinzione che sarebbe arrivato il Messia e, non avendo accolto Israele Gesù di Nazareth, seguì altri, anche se non come popolo intero.

Ora vanno tenute presente le parole ai farisei “Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel mio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Giovanni 5.43,44) che in un certo senso anticipa di duemila anni l’accoglienza che Israele darà al “falso profeta” destinato a sedurre lui e le nazioni al tempo della fine.

Qui comunque, in primo luogo, Gesù fa riferimento a tutti coloro che avrebbero sedotto il popolo attraverso prodigi o promesse che non avrebbero potuto realizzare e mantenere. Sotto questo aspetto, ad esempio, possiamo includere il mago Simone, operante in una città della Samaria che “praticava la magia e faceva strabiliare gli abitanti della Samaria, spacciandosi per un grande personaggio. A lui prestavano attenzione tutti, piccoli e grandi, e dicevano: «Costui è la grande potenza di Dio, quella che è chiamata grande»!” (Atti 8.9).

Poi, interessante è ciò che avvenne nel 44 circa, quando operò un certo Teuda, non quello menzionato da Gamaliele in Atti 5.36, di cui Giuseppe Flavio scrive nelle sue Antichità Giudaiche: “Durante il periodo in cui Fado era procuratore della Giudea, un certo sobillatore di nome Teuda persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito. Con questa affermazione ingannò molti. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Teuda fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era procuratore Cuspio Fado” (XX. 97. V.1 e segg.)

C’è un particolare interessante in Atti 21.38 quando Paolo si rivolse al comandante delle guardie parlando in greco. Questi, stupito, gli rispose: “Allora non sei tu quell’egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?”; se non avessimo il testo di Guerre Giudaiche II:258 – 13, 4 e oltre, non potremmo inquadrare le sue parole, per noi utili anche per il tema che stiamo trattando: “…oltre a questi, si formò un’altra banda di delinquenti: le loro mani erano meno lorde di sangue ma le loro intenzioni non erano meno empie, sì che il danno da essi inferto al benessere della città non restò inferiore a quello arrecato dai sicari. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio e macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso e lo conducevano nel deserto promettendo che ivi Dio avrebbe mostrato loro segni premonitori della liberazione. Contro costoro Felice, considerandoli come istigatori alla ribellione, mandò truppe a cavallo e a piedi e ne fece gran strage. Ma guai ancor maggiori attirò sui giudei il falso profeta egiziano. Arrivò infatti nel paese un ciarlatano che, guadagnatasi la fama di profeta, raccolse una turba di circa trentamila individui che s’erano lasciati abbindolare da lui, li guidò dal deserto al monte detto degli ulivi e di lì si preparava a piombare in forze su Gerusalemme, a battere la guarnigione romana e a farsi signore del popolo con l’aiuto dei suoi seguaci in armi. Felice prevenne il suo attacco affrontandolo con i soldati romani, e tutto il popolo collaborò alla difesa sì che, avvenuto lo scontro, l’egizio riuscì a scampare con alcuni pochi, la maggior parte dei suoi seguaci furono catturati o uccisi mentre tutti gli altri si dispersero rintanandosi ognuno nel suo paese. Ma dopo che anche questi furono domati, si verificò di nuovo un’infiammazione da un’altra parte, come in un corpo malato. Infatti i ciarlatani e i briganti, riunitisi insieme, istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà, minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei romani e promettendo che avrebbero fatto fuori con la violenza chi volontariamente si piegava alla schiavitù. Distribuitisi in squadre per il paese, saccheggiavano le case dei signori, che poi uccidevano, e davano alle fiamme i villaggi, sì che tutta la Giudea fu piena delle loro gesta efferate. La gravità di questa guerra andava crescendo di giorno in giorno”.

 

Concludendo le riflessioni su questo verso, se è vero che è adattabile a qualunque epoca, va data preponderanza al fatto che i primi cristiani avrebbero dovuto essere risparmiati dalle atrocità dell’assedio di Gerusalemme e avrebbero dovuto interpretare correttamente i tempi proprio a partire dai falsi Cristi, quindi dai presunti Messia, che sarebbero sorti. Allo stesso modo i credenti venuti dopo hanno avuto modo di vedere molti “condottieri del popolo”, conquistatori, imperatori e duci di ogni nazione operare presentando modelli di società, sostenere e creare religioni poi miseramente crollate una volta raggiunto il loro apice. Per quanto mi riguarda, non ci rimane che attendere l’ultimo, quello più terribile, dal quale la Chiesa sarà però risparmiata. Amen.

* * * * *