16.34 – IL SERMONE PROFETICO VII: L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (Matteo24.15-12)

16.34 – Il sermone profetico 7: l’abominio della desolazione (Matteo 24.15-22)

 

15Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda -, 16allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, 17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 19Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. 20Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. 21Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. 22E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati.

 

Ci siamo occupati di una buona parte di questi versi quando, nel nostro quindicesimo blocco, abbiamo affrontato il tema “Quando verrà il regno di Dio”, ripartito in quattro capitoli. Allora era Luca il narratore e riferì che tutta l’esposizione di Gesù fu originata dall’analoga domanda dei farisei. Ecco allora che cercheremo di affrontare l’argomento tenendo sempre presente quanto già esposto, ma cercando di offrire nuovi spunti, primo fra tutti la citazione del profeta Daniele, che nell’episodio di Luca manca.

Trovandoci di fronte ad un campo immenso, per il cui sviluppo non basterebbe una vita, dobbiamo affrontarlo nella sua essenzialità più stringente. In Daniele troviamo l’espressione “abominio devastante” in tre passi, ciascuno riferito ad altrettanti momenti storici ben distinti e cioè l’esercito romano, che nel 70 operò la distruzione del tempio, Antioco Epifane (o Mitridate), che dal 167 al 164 a.C. abolì qualsiasi sacrificio a YHWH, ed infine all’ultimo tempo, quando opereranno la Bestia e il falso profeta.

Vediamo il primo caso, reperibile nella profezia delle settanta settimane in cui alla seconda metà del verso 27 leggiamo “…farà cessare il sacrificio e l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore”. Si tratta con ogni probabilità delle insegne romane, idolatrate dai legionari, che svetteranno sulle rovine del Tempio.

La seconda citazione si trova in 11.31 ed è riferita ad Antioco Epifane (Mitridate) che abbiamo già citato: “Forze da lui armate si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l’abominio devastante”.

Terzo caso, in 12.11, ci parla, come anticipato, “del tempo della fine”; disse infatti l’Angelo a Daniele: “«Va’, Daniele, perché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine, Molti saranno purificati, resi candidi, integri, ma gli empi agiranno empiamente: nessuno degli empi intenderà queste cose, ma i saggi le intenderanno. Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio devastante, passeranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetterà con pazienza e giungerà a milletrecentotrentacinque giorni. Tu, va’ pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni»” (12.8-13).

Guardando a questi tre passi è chiaro che “l’abominio devastante” è da inquadrarsi sempre nell’idolatria, in un sistema di culto che pretenderà di sostituirsi in toto a quello a Dio e, per farlo compiutamente, dovrà avvenire nell’unico luogo legittimo per il popolo di Israele, cioè nel Tempio. L’Avversario infatti, essere comunque già sconfitto avendo rigettato la santità, non può accontentarsi di vie secondarie, ma cercherà sempre di riprodurre l’originale da cui proviene ed ecco perché le sue attenzioni saranno sempre rivolte al Tempio. “L’abominio della desolazione” è quindi l’orrore del culto idolatrico degli dèi pagani, che fu organizzato sotto Antioco sulle rovine del Tempio di Gerusalemme dal 15 dicembre del 167 al 25 del 164 (1105 giorni). La stessa cosa, per quanto in modalità differenti e con forza ancora maggiore perché interesserà tutto il mondo, avverrà “al tempo della fine” per il quale, come abbiamo letto, vengono impiegati termini analoghi, “sarà eretto l’abominio devastante”. “Eretto”, non “installato”, quindi ciò avverrà dopo un lungo lavoro, più che di costruzione in senso stretto, di convincimento e di studio. Questo abominio, l’ultimo, sarà il capolavoro dell’Avversario. E credo che un ruolo determinante in tutto questo lo assumerà la cosiddetta “intelligenza artificiale”.

Ai tempi di Antioco, sopra quello che fu l’altare degli olocausti, ne venne posto uno dedicato a Giove e dopo dieci giorni venne imposto il culto in cui i Giudei dovevano sacrificare, sotto pena di morte in caso di disubbidienza, dei maiali che, una volta offerti, andavano mangiati. Questo stato di cose durò, come scritto, fino al 25 dicembre – data di nascita del dio Sole e non di Gesù – 164, quando il Tempio fu riconsacrato da Giuda Maccabeo.

 

A questo punto però sorge un problema, e cioè se prendessimo alla lettera le parole di Gesù “Quando vedrete l’abominio della desolazione (…) posta nel luogo santo”, implicherebbe un riconoscimento tardivo, cioè una Gerusalemme già presa e occupata dai Romani dopo l’assedio e tutti gli assalti perpetrati. Né, sotto questo aspetto, aiuterebbe Luca 21.20 che scrive “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua distruzione è vicina”. Fuggire da una città circondata è infatti impossibile. Devono esservi quindi altri particolari, altri eventi, che vanno cercati. Ricordo un episodio particolare avvenuto sotto Pilato, che fu procuratore dal 26 al 36: quando si insediò, ordinò alla guarnigione di Gerusalemme di entrare in città con le loro insegne decorate con l’immagine dell’imperatore. Conscio del carattere dei Giudei e della loro suscettibilità religiosa, non fece entrare le truppe di giorno, ma di notte e con le immagini coperte. Le truppe si erano però insediate vicine al Tempio (nella fortezza Antonia) e la loro vicinanza a quel luogo sacro diede il via a manifestazioni durate cinque giorni e relative notti per chiedere a Pilato di rimuoverle. Vivaci proteste avvennero anche quando, tempo dopo, Pilato volle far appendere dei semplici scudi in onore di Tiberio nel palazzo: immediate proteste e lettere all’imperatore. Abbiamo già citato l’episodio di Caligola nel 40 che intendeva inserire nel Tempio una sua statua, cosa non avvenuta a causa della sua morte, ma possiamo aggiungere che proprio lì era stato imposto un sacrificio giornaliero (di intercessione) per l’imperatore con un bue e due agnelli offerti alternativamente dal Governo di Roma e dal popolo ebraico.

Credo che, assieme alla presenza romana con le loro insegne da loro venerate, sia stato questo il segno, per coloro che credettero nelle parole di Gesù, assieme alle “guerre e voci di guerre”, di abbandonare precipitosamente Gerusalemme: infatti, poco dopo, Eleazaro, figlio dell’ex sommo sacerdote Anania, ordinò che il sacrificio ordinato dai Romani fosse interrotto e mai più ripreso perché YHWH poteva essere solo il Dio di Israele. Ciò avvenne nel 68 circa. Da lì alle prime battaglie all’interno della città il passo fu breve: nel volgere di poco tempo (un mese) fu dato alle fiamme il palazzo di Erode e proseguirono i massacri, da ambo le parti. In seguito, vi furono molte azioni di guerriglia che videro i Giudei vittoriosi in molti episodi.

C’è poi l’inspiegabile episodio di Cestio Gallo che, raccordandoci all’episodio al citato passo di Luca “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti…”, dopo essere riuscito ad entrare in città con le sue truppe ed aver occupato il quartiere di Betesda e averlo dato alle fiamme, raggiunto il palazzo reale accampandovisi – altro richiamo a “l’abominio della desolazione” –, avendo combattuto duramente contro gli zeloti per cinque giorni e avendoli praticamente sconfitti, improvvisamente ordinò all’esercito di ritirarsi (le ragioni di questa decisione sono ancora oggi motivo di dibattito fra gli storici). Cestio, così facendo, offrì praticamente il fianco ai nemici che inseguirono l’esercito in marcia infliggendogli pesanti perdite fino alla rovinosa disfatta di Beth Horon che costò ai Romani più di cinquemila morti e la perdita dell’aquila. Ecco allora, credo, risolto il problema relativo ai due passi di Matteo e di Luca: dati questi due segnali, “l’abominio devastante” e “Gerusalemme circondata da eserciti”, inequivocabili per i credenti, viene posta in rilievo l’urgenza di scappare per evitare un assedio dal quale sarebbe stato impossibile uscire vivi. Dovrei aver già citato Eusebio di Cesarea (265-340) il quale afferma che i cristiani, obbedendo a un ordine profetico, fuggirono tutti a Pella, a Nord della Perea, evitando così “le calamità che sommersero la nazione”.

 

Riprendendo Luca 21, abbiamo importanti integrazioni al passo di Matteo: “Coloro che si trovano nella Giudea, fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città, si allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia” (vv. 21,22). Le parole “non torni indietro a prendersi il mantello” in Matteo sono del traduttore che ha ritenuto di interpretare così ciò letteralmente è “non torni verso ciò che è rimasto indietro” (poi citando il mantello), passo che non indica solo qualcosa che si è lasciato magari appeso al ramo di un albero: è una frase che ci parla dell’urgenza della chiamata, il fatto che così come si è si viene presi, il tempo che manca, il “ricordatevi della moglie di Lot” (Luca 17.32). Quello che si cela dietro questo verso è proprio il fatto che ciò che abbiamo su questa terra, da noi conquistato a fatica o che ci sia stato donato non importa, non è mai un traguardo, ma qualcosa che abbiamo in prestito, non nostro, che presto o tardi saremo chiamati a restituire o a lasciare.

Non tornare “verso ciò che è rimasto indietro” è allora un modo per dire: siate proiettati sempre verso il vostro futuro spirituale, fate attenzione a ciò che può rallentarvi”. Certo, fatte le proporzioni del caso, perché c’è sempre il rischio che uno si spogli di molte cose e che poi non sappia cosa fare, tornando ad essere quello di prima. Credo che, una volta raggiunto interiormente lo stadio della disponibilità all’abbandono, sia il Signore stesso a organizzare l’impiego del cristiano che vuole essere operativo, mai il contrario. Troppe volte ho visto persone fallire perché, figurativamente parlando, hanno voluto percorrere strade lungo le quali non erano state chiamate, oppure in preda all’entusiasmo si sono messi a costruire “case e torri” senza avere materiali per realizzarle. Al contrario, il Vangelo ci dice che nessuno spazio dev’essere dato all’improvvisazione e che la fede non è mai un atto temerario, ma sempre, fortemente, responsabile. Fermarsi a pensare, calcolare, fare bilanci tenendo comunque presente la domanda di Gesù ai Suoi, “Quanti pani avete?”.

Il verso 21, “Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino ad ora né mai più ci sarà”, è chiaramente riferito alla città e ai suoi abitanti. Potremmo leggere i libri di storia, alcuni dei quali molto dettagliati sull’argomento scritti anche in tempi recenti, cercare in Rete ogni tipo di notizie, ma credo che a commento bastino le parole di Deuteronomio 28.53-57: “Durante l’assedio e l’angoscia alla quale ti ridurrà il tuo nemico, mangerai il frutto delle tue viscere, le carni dei tuoi figli e delle tue figlie che il Signore, tuo Dio, ti avrà dato. L’uomo più raffinato e più delicato tra voi guarderà di malocchio il suo fratello e la donna del suo seno e il resto dei suoi figli che ancora sopravvivono, per non dare ad alcuno di loro le carni dei suoi digli, delle quali si ciberà, perché non gli sarà rimasto più nulla durante l’assedio e l’angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto entro tutte le tue città. La donna più raffinata e delicata tra coi, che per delicatezza e raffinatezza non avrebbe mai provato a posare in terra la pianta del piede, guarderà di malocchio l’uomo del suo seno, il figlio e la figlia, e si ciberà di nascosto di quanto esce dai suoi fianchi e dei bambini che partorirà, mancando di tutto durante l’assedio e l’angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto entro tutte le tue città”.

Infine, il verso 22, anche qui non perfettamente tradotto perché al posto di “vivente” andrebbe messo “carne”, che pone molto più del primo l’accento su cosa è l’uomo senza la presenza in lui di Gesù. È un termine che ci rimanda a Genesi 6.3, “Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è altro che carne” (versione Diodati). È stato calcolato che, su tre milioni di persone, all’assedio ne sopravvissero quarantamila. C’è poi uno sguardo importante, una panoramica sui tempi a venire che riporta Luca in 21.24: “Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dal pagani finché i tempi dei pagani non saranno compiuti”.

“Ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati”: questi non possono essere i credenti che si trovavano in città, perché erano già fuggiti proprio ascoltando le parole di Gesù che stiamo esaminando. Piuttosto, credo si tratti di coloro che lo sarebbero diventati un giorno, loro o i loro figli, per i quali la misericordia di Dio agisce e agirà sempre, fino alla fine. Amen.

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16.33 – IL SERMONE PROFETICO VI: TRIBOLAZIONE E VANGELO (Matteo 24.9-14)

16.33 – Il sermone profetico VI: Tribolazione e Vangelo (Matteo 24.9-14)

 

9Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.

 

Teniamo presente il verso ottavo letto la volta scorsa, “ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori”, che implica lo svolgersi della Storia. In pratica, tornando momentaneamente a quanto già detto da Gesù, i falsi cristi, le guerre e le voci di esse, le carestie e i terremoti, sono segni premonitori del Suo ritorno e del tempo della fine, ma non LA fine; anzi, proprio loro costituiscono “solo l’inizio” di quel cammino di dolore che la cristianità sarà tenuta a percorrere fino a quando non verrà tolta dal monto attraverso il rapimento. Particolarissimo è il fatto che la traduzione corretta di “sentirete parlare di guerre…” è “State per sentire parlare”, che colloca meglio nel tempo quanto sarebbe avvenuto.

Fatta questa breve parentesi, il verso nono inizia esattamente dallo stesso periodo degli altri e copre, in pratica, lo spazio temporale  che va dalla discesa dello Spirito Santo sui 120 a Gerusalemme in avanti, cioè al verso 14, “Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli, e allora verrà la fine” in cui la distruzione della santa città nel 70 ha un ruolo importante nel senso che i discepoli, che udirono queste parole direttamente dalla voce di Gesù, avrebbero dovuto tenere ben vigile la loro attenzione per poter scampare a quello sterminio. Il libro degli Atti contiene molti episodi riguardo alla diffusione del Vangelo, con Marco 13.9 che spiega molto bene in cosa consista la “tribolazione”: “Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro”.

Più nei dettagli, va ricordato che i discepoli, vivente ancora il loro Maestro, furono banditi dalle sinagoghe come abbiamo letto nella nota di Giovanni 9.22 “…infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga”, per cui già potevano capire ciò che li attendeva. Dopo la crocifissione di Gesù sappiamo che il sinedrio agì con sempre maggior protervia nei loro confronti arrestandoli, incarcerandoli e mettendoli a morte, per non parlare di Giacomo, fratello di Giovanni, di cui leggiamo in Atti 12.1-2: “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro”, poi liberato miracolosamente da un angelo del Signore, come scritto.

Ricordiamo l’apostolo Paolo, che da persecutore accanito divenne un perseguitato venendo più volte flagellato, incarcerato e lapidato, comparendo davanti a governatori (Atti capp. 24 e 25), davanti al re Agrippa (cap.26) e addirittura a Nerone (o al prefetto del Pretorio), cosa che avvenne probabilmente quando sbarcò a Pozzuoli (Atti 28.13) diretto a Roma.

Abbiamo poi “…e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome”, che a mio giudizio indica un salto temporale, crea un arco che copre la predicazione in quel lungo percorso che culminerà al già ricordato verso 14, quello della testimonianza a tutti i popoli che si conclude con “…e allora verrà la fine”. Sulle persecuzioni cristiane abbiamo già dato cenno in vari capitoli, ma va evidenziato e ribadito come queste, quando vengono annunciate dai quotidiani, non trovano mai alcuna attenzione nell’opinione pubblica come avviene per le discriminazioni sugli omosessuali e le minoranze in genere. Il 2022 ha visto la morte di 5.621 persone, quindici al giorno, l’89 per cento delle quali in Nigeria e comunque si calcola che il numero di cristiani perseguitati nel mondo sia di 360 milioni, cifra in crescita visto che nel 2020 erano 340 e nel 2019 260 con una flessione in avanti nel 2018, 300 milioni.

Va sottolineato poi il fatto che Gesù non dica “sarte odiati da tutti a causa mia”, ma “del mio nome”, l’unico perché “in nessun altro vi è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4.12). Ecco allora che la persecuzione non va intesa tanto nell’odio di uomini nei confronti di altri, ma di una reazione di persone dedite all’Avversario che, attraverso la persecuzione e l’omicidio, sanno che verrà il tempo in cui “ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio” (Romani 14.11 – Filippesi 2.10). E questo sarà o in adorazione o in disperata sottomissione, quando ogni pretesa di autonomia e rifiuto della fede sarà annientata.

Il verso 10 ci parla di “molti (che) ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda”, che Luca amplia in 21.10-19 chiarendo un punto molto importante a livello di cronologia circa gli avvenimenti di cui ci siamo occupati: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi persino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.

Quindi Gesù fa riferimento prima di tutto al tempo in cui i discepoli vivevano e poi anche a tutti quelli che sarebbero venuti in seguito. Illuminanti, per il periodo antico, le Sue parole in Giovanni 16. 2-4: “Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto”.

 

La nostra lettura prosegue con “Molti ne resteranno scandalizzati”, cioè sulla persecuzione inciamperanno e penseranno solo a salvare la propria vita, in realtà perdendola. Qui lo scandalo si concreta nel tornare indietro, nell’abbandonare la Chiesa e la professione di fede fatta un tempo, anche questo previsto quando Gesù disse “Beato chi non trova in me motivo di scandalo” (Matteo 11.6). Da notare poi che sarà la delazione un fattore importante nella persecuzione, cosa che sempre avviene quando i Governi ostacolano le idee contrarie alla visione comune, ma ancora di più è da attendersene un ritorno quando, col sistema della Bestia prossimo a venire, avremo la religione di Stato come unica possibile, quando si instaurerà un governo mondiale e gli Stati come noi li intendiamo oggi non esisteranno più, con un’unica valuta elettronica e il microchip come unico strumento per comprare, spostarsi, effettuare tutte le operazioni della vita quotidiana.. Il messaggio di Gesù, quindi, è sempre attuale, è nel passato, nel presente e nel futuro perché non potrebbe essere “lo stesso di ieri, di oggi e di sempre”, per cui la sua lettura va fatta tenendo sempre presente questo principio.

 

Altro punto peculiare è presentato al verso 12, “per il dilagare dell’iniquità si raffredderà l’amore di molti”: “Iniquità” è tradotto dal greco “anomìa”, cioè “violazione della legge, illegalità, anarchia, disordine”, è una parola composta dalla privativa “a” e da “nomos”, quindi “regola”. Allora, per il dilagare del disordine causato dall’assenza di qualsiasi norma morale, molti si adatteranno a quel modo di agire e l’amore di molti “si raffredderà”, cioè non sarà più operante, ma resterà in una forma simulata. Ricordiamo le parole alla Chiesa di Efeso, “Ho da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricòrdati dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò e toglierò il tuo candelabro – la testimonianza – dal suo posto” (Apocalisse 2.4.5), quelle terribili a Laodicea (“So che non sei freddo né caldo”) e infine Giacomo 2.14,15 che descrive un aspetto importante del raffreddamento: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a cosa serve?”.

Allora l’amore di molti si raffredderà nel senso che l’abbandono del “genuino latte spirituale” (1° Pietro 2,2), la sostituzione dei principi e della pratica della Scrittura lasceranno al posto ad un agire di comodo, con parvenza di cristianesimo, ma privo di sostanza e operatività, possibili solo con l’amore. Ricordiamo la domanda di Gesù in Luca 18.8, “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

E arriviamo in fine al verso 15, sul quale non pochi hanno inciampato sostenendo che la salvezza si può perdere, “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”: in realtà abbiamo già letto la variante di Luca, “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”, che sta a significare il fatto che se uno è salvato persevererà sempre, con i talenti ricevuti, con un cammino magari incerto, i suoi alti e bassi, ma caratterizzato comunque da un obiettivo e la volontà di raggiungerlo. Chi non lo fa, chi non persevera non necessariamente dandosi al male, sarà come l’abusivo al banchetto di nozze, o le cinque vergini stolte che esamineremo; sarà sempre stato un estraneo, un transito.

La frase è poi chiaramente riferita al contesto espresso da Gesù ribadito in Marco 13.13 dove la perseveranza è legata al clima di persecuzione descritto; coloro che non perseverano “fino alla fine” sono quelli che “non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno” o “dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione” (Luca 8.13-15).

Al contrario “Dio renderà a ciascuno secondo le loro opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore e incorruttibilità” (Romani 2.7): si noti il “cercano”, che comprende fatica, costanza e metodo spirituale, quindi anche stanchezza, inabilità temporanea, errori di valutazione. Come dirà l’autore della leggera agli Ebrei, “Noi non siamo quelli che cedono per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima” (10.39), cioè che in un modo o in un altro trovano il modo di andare avanti comunque, secondo 2 Corinti 4.7-10: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo con la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”.

 

Concludendo, arriviamo al verso 14, quando si parla della diffusione del “Vangelo del Regno”: è immediato per noi fare un accostamento al fatto che il cristianesimo si è diffuso praticamente in tutto il mondo, nonostante le persecuzioni e vi siano molti stati che lo proibiscano, ma dobbiamo chiederci se questa frase sia riservata a quei cristiani che sarebbero vissuti negli ultimi tempi (nel senso stretto del termine), oppure riguardi anche i discepoli. Propendo per questa seconda ipotesi, pur certo non escludendo la prima. Ricordiamo infatti la domanda originale che fu posta a Gesù, “Dicci quando avverranno queste cose – la distruzione del Tempio – e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo”: qui, la “fine” credo sia specificatamente quella del Tempio con la sua distruzione del 70 e che la predicazione del Vangelo “in tutto il mondo” sia riferita a quello conosciuto e non ai cinque continenti.

Con questo verso abbiamo quindi due realtà, quella antica in cui l’apostolo Paolo poteva dire che il Vangelo veniva annunciato “a tutte le genti” (Romani 16.26) e quella futura in cui Giovanni vede “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani” (Apocalisse 7.9). Ricordiamo che, in base alle tradizioni più antiche, Paolo predicò il Vangelo in Spagna, nella Gallia e in Britannia e che, prima della distruzione di Gerusalemme, Tommaso lo predicò in Persia e, forse, anche in India per cui, per quei tempi, il vangelo del Regno poteva dirsi portato in tutto il mondo. E la “fine”, quella in cui non sarebbe stata lasciata pietra su pietra, sarebbe giunta. Certo, a noi sta lo scrutare i segni che ci vengono dati per attendere il Suo ritorno e con esso la fine delle nostre esistenze in un mondo che, per me da molto tempo, ha ben poco da offrire. Amen.

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16.32 – IL SERMONE PROFETICO V: TERREMOTI (Matteo 24.7,8)

16.32 – Il sermone profetico 5: Terremoti (Matteo 24.7-8)

 

7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori.

 

I terremoti sono il secondo, o terzo in base alla traduzione scelta, elemento destinato a caratterizzare il tempo della fine secondo quanto abbiamo sviluppato finora. Va sottolineato che “in vari luoghi” è una versione addolcita dell’originale “in ogni luogo” a significare che nessuna parte della terra verrà risparmiata da essi. Come già fatto in precedenza, guardiamo al periodo prima degli anni 70: Terremoti avvennero in Creti (Toscana) nel 41, nel 51 in Roma, l’anno seguente ad Apamea (Siria), nel 60 a Laodicea e l’ultimo nel 67 in Palestina.

Un terremoto è causato da improvvisi movimenti di masse rocciose più o meno grandi all’interno della crosta terrestre. Si tratta degli eventi distruttivi più potenti che possano avvenire e possono liberare un’energia superiore a migliaia di bombe atomiche. Un terremoto può spostare in pochi secondi volumi di roccia di centinaia di chilometri quadrati anche se ovviamente non sempre è così. Purtroppo, trattandosi di un argomento molto complesso, siamo costretti a mantenerci su questo livello essenziale tralasciando, ad esempio, le relazioni fra questo tipo di fenomeno e i vulcani, alcuni dei quali realmente pericolosi anche se inattivi (ma non spenti) da molto tempo quali ad esempio il nostro Vesuvio che tornerà ad eruttare in modo devastante anche se non è possibile prevedere quando.

Ciò che ci interessa, comunque, è sempre la visione spirituale del fenomeno che incontriamo per la prima volta, per quanto non espressamente citato, quale uno degli elementi determinanti alla rovina del diluvio: leggiamo infatti che “eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono” (Genesi 6.11), a conferma che non consisté solo in una pioggia straordinariamente continua e forte che finì per sommergere ogni cosa. In quel caso il terremoto costituì uno strumento di Dio per dar luogo a un Suo giudizio, con le modalità descritte dal verso citato, ma non sempre è visto in questo modo; addirittura, in 1 Re 19.11-12, episodio relativo alla chiamata di Elia, gli fu detto “«Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo un terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, un sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”.

Il terremoto era più visto come un evento naturale, salvo casi in cui Dio se ne serviva come avvenne alla morte di Gesù e alla sua risurrezione (Matteo 27.24 e 28.2) oppure in Atti 16.26 quando, grazie a questo fenomeno, furono liberati Paolo e Sila: “All’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti”.

Va anche considerato che Nostro Signore parla di “carestie e terremoti in ogni luogo” che si verificheranno fino alla “fine”, che in gran parte saranno conseguenze naturali delle nefaste attività umane (le prime) e dei movimenti interni della terra (i secondi), ma che poi saranno strumento del Giudizio di Dio. Inoltre vediamo che questi eventi vengono ritenuti “solo l’inizio dei dolori”, quindi un’introduzione a ciò che verrà, ma il termine impiegato per qualificarli, óinon, cioè le doglie, ci chiarisce che saranno dei segnali importanti, come avviene per la rottura delle acque e soprattutto alle contrazioni della donna gravida, che si presentano a intervalli regolari, prima ogni venti minuti, poi ogni quarto d’ora e di lì ogni dieci e cinque minuti. Quindi, secondo questo paragone, carestie e terremoti sono destinati a diventare sempre più frequenti fino al tempo della fine e costituiscono “solo l’inizio dei dolori” alla luce di quanto avverrà nella “gran tribolazione” in cui la sopravvivenza fisica e psicologica delle persone sarà praticamente impossibile a meno di donarsi ciecamente al sistema politico religioso messo in atto dalla Bestia e dal falso profeta; è in pratica ciò di cui parlano (anche) il verso 9 e 10, “Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati e si tradiranno e odieranno a vicenda”, che analizzeremo prossimamente.

Per trovare il terremoto più importante della storia occorre ancora una volta recarsi alla visione dei sigilli in Apocalisse 6, in particolare il quinto e il sesto, assolutamente connessi fra loro. Leggiamo: “Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che avevano reso. E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?». Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro”. (6.9-11).

Qui non si parla di terremoti, ma il quinto sigillo, che citiamo spesso, è la premessa che porta al sesto. Il quinto sigillo descrive “le anime” dei giusti e santi che, vissuti in epoche diverse, hanno subìto il martirio a causa della loro fede, nelle innumerevoli persecuzioni che i cristiani hanno avuto, molte delle quali taciute e sminuite soprattutto quando avvengono nella nostra epoca. Ebbene, questi a un certo punto chiedono giustizia non per spirito di vendetta, ma proprio perché, così come loro sono stati ricompensati essendo alla presenza di Dio, anche quelli che li hanno uccisi abbiano la propria retribuzione. È però una richiesta non destinata ad un immediato accoglimento perché esso sarebbe stato possibile solo quando fosse stato completato “…il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro”. Chi sono, se la Chiesa è già stata rapita? Sono quanti non si saranno convertiti per la predicazione di essa, ma dopo, poiché la Bibbia come libro rimarrà a testimoniare e vi sarà ancora chi potrà accettare il Vangelo, ma passando attraverso la “gran tribolazione” di cui Gesù dà un cenno ai versi 9 e 10 di Matteo 24, “Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne saranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda”. Sembra, tolto il significato spirituale, quanto avveniva nel regime della DDR, per citare il primo che mi viene in mente, in cui non era tollerata una adesione non totale al regime di Erich Honecker. Lo stesso sta avvenendo con la NATO e l’Europa, anch’essa intenta a schiavizzare qualunque Paese non si allinei ai deliri del suo Parlamento.

Il terremoto finale verrà col sesto sigillo: “E vidi, quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi. Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi e i comandanti, i ricchi e potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti, e dicevano ai monti e alle rupi: «Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ora dell’Agnello, perché è venuto il grande giorno della loro ira, e chi può resistervi?» ( vv. 12-17).

Ora questo sigillo rappresenta un punto molto importante perché è chiaramente di non ritorno, ma se lo prendessimo esclusivamente in forma letterale commetteremmo un errore, per quanto si tratti di fenomeni destinati a verificarsi, ma non subito. L’apostolo Pietro scrive infatti “Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate” (2 Pietro 3.10).

Il sesto sigillo presenta un arco di tempo molto lungo che parte dal momento in cui tutti gli equilibri morali su cui si è sempre fondata la società civile saranno rimossi e credo sia questo un primo significato del “violento terremoto”, del sole che diventa “nero come un sacco di crine” e della perdita di tutti gli altri punti di riferimento, come la luna, le stelle, il cielo, i monti e le isole “smossi dal loro posto”.

È questa un’interpretazione su ciò che avverrà prima rispetto al terremoto finale e gli elementi ad esso collegati descritti nell’Apocalisse si verificheranno, dove per “stelle” dobbiamo intendere probabilmente dei meteoriti. Lì, l’affermazione di Gesù “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, troveranno finalmente il loro presente assoluto.

Vale comunque la realtà incrollabile descritta dall’autore della lettera agli Ebrei in 12.25-29: “Guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla, perché se questi – gli israeliti che non seguirono i comandamenti di Dio dati loro da Mosè – non trovarono scampo per aver rifiutato colui che proferiva oracoli sulla terra, a maggior ragione non troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a colui che parla dai cieli. La sua voce un giorno scosse la terra, adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo. Quando dice ancora una volta, vuole indicare che le cose scosse, in quanto create, sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte quelle che non subiscono scosse. Perciò noi, che possediamo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia, mediante la quale rendiamo culto in maniera gradita a Dio con riverenza e timore; perché il nostro Dio è un fuoco divorante”.

“Le cose scosse” è un riferimento al monte sul quale Mosè fu chiamato a salire, quando leggiamo che “Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto” (Esodo 19.18).

Concludendo questa quinta parte del sermone profetico, Gesù fornisce agli apostoli, e a tutti i credenti che avrebbero operato dopo di loro indipendentemente dal dono ricevuto e del posto occupato nella Chiesa, gli elementi per poter discernere i segni della Sua venuta. Non possiamo interpretare in senso univoco le queste Sue parole, ma discernere in essa una progressione fino a quando non verrà posta fine all’Universo perfetto da Lui creato, ma irrimediabilmente compromesso dal peccato dell’uomo.

Possiamo infine citare la visione di Giovanni: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Apocalisse 21. 1,2). Amen.

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16.31 – IL SERMONE PROFETICO IV: CARESTIE (Matteo 24.7-8)

16.31 – Il sermone profetico 4: Carestie (Matteo 24. 7-8)

 

7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori.
Carestie e terremoti sono altri indicatori del tempo della fine. Non credo sia un compito affidatomi quello di lanciare facili segnali di allarme a mo’ dei predicatori pentecostali dei film americani, ma ritengo che i credenti siano chiamati a vagliare i dati di cui vengono in possesso con la stessa attenzione che un dirigente esamina un bilancio aziendale, se intendono farsi trovare preparati quando il loro Signore verrà. Troppo facile interpretare la parola “fine” in senso univoco, riferendola esclusivamente a quella del mondo perché è una parola che cela in sé un senso ben più ampio, come quello della fine vita del singolo o di una collettività, di una società, di un periodo e tanto altro. Per intenderci, “Fine”, per il ricco stolto della parabola, fu la sua morte che proseguì negli inferi, mentre per Lazzaro la stessa rappresentò l’inizio di una vita nuova nel seno di Abrahamo, per cui possiamo dire che il termine è relativo in quanto, per alcuni, avrà un valore terminale mentre per altri l’esatto opposto. Stando così le cose, va da sé che dobbiamo preoccuparci dei segnali che ci vengono dati attraverso lo scorrere degli eventi perché da essi possiamo essere spronati a vegliare e non a caso al sermone profetico appartengono due parabole fondamentali, quella delle dieci vergini e dei talenti.

 

Carestie

Costituiscono il primo indicatore e possono essere connesse alle guerre, perché con esse la gente che coltiva e alleva fugge dalle campagne lasciandole deserte, o al cambiamento climatico. Con la carestia si ha una mancanza di derrate alimentari che va sempre più aggravandosi per cui la popolazione si affama e muore, non senza prima essere ricorsa a qualunque mezzo pur di sopravvivere: violenze e rapine per procurarsi il cibo per poi ricorrere al cannibalismo e all’infanticidio come atto estremo. Poiché il discorso di Gesù ha carattere universale, possiamo esaminare brevemente la carestia nel passato, nel presente e nel futuro, sottolineando che, come detto all’inizio, è un primo indicatore nel senso che non è un singolo evento che può far pensare alla fine, ma l’intensificarsi del fenomeno esattamente come non è una febbre occasionale a denunciare una condizione di salute precaria, ma il perdurare di essa.

Abbiamo citato nello scorso capitolo le fami avvenute prima del 70; considerando quelle avvenute dall’antichità ai giorni nostri, abbiamo quella del 974/5 in cui un inverno molto rigido e una primavera tardiva ne provocarono una che uccise un terzo della popolazione franca e la metà degli abitanti di Parigi. Nel XIVo secolo ne abbiamo due, una dal 1315 al 17 in Europa che, assieme alla peste nera, provocò milioni di morti, poi dal 1333 al 37 ve ne fu una in Cina.

Il 1500 ne vide tre, una in Etiopia, un’altra colpì Milano nel 1570 e un’altra l’Europa vent’anni dopo. Il 1600 si tiene sulle tre, poi ne abbiamo quattro nel 1700, dodici nel 1800 e diciassette nel 1900.

Per il tempo presente, se nel 2019 erano a rischio di carestia 27 milioni di persone, per il 2023 il calcolo è di 50, ma se nell’antichità il problema del fenomeno era unico nel senso che mancava il cibo per una causa precisa, attualmente abbiamo una serie di fattori negativi che non potranno che portare all’impossibilità della sopravvivenza: dati allarmanti sull’inquinamento, ma ancora di più la spaventosa crescita demografica che porta all’assoluta mancanza di spazio non perché gli uomini saranno costretti a vivere gomito a gomito gli uni gli altri, ma perché l’energia, i rifiuti, le superfici necessarie alla coltivazione e all’allevamento saranno assolutamente insufficienti. Il cambiamento climatico è ormai irreversibile e porterà conseguenze drammatiche e i suoi effetti li constatiamo senza possibilità di errore. I dati che possiamo raccogliere in proposito lasciamo ben poco spazio alla speranza che non tanto noi, ma i nostri figli o i figli dei nostri figli possano vivere in un mondo, se non a misura di essere umano perché non lo è mai stato, almeno decente.

Abbiamo poi una visione del futuro che non ci è offerta dalla scienza, ma dalla Parola di Dio che da un lato ci lascia gli elementi per valutare l’avvicinarsi degli ultimi tempi e dall’altro ci dà una speranza di salvezza dalla cosiddetta “gran tribolazione” perché il rapimento della Chiesa si verificherà prima degli eventi catastrofici e assolutamente dolorosi che la caratterizzeranno. Infatti lo scopo della vita cristiana è quella di “…servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene” (1 Tessalonicesi 1. 9,10). Ancora, “Dio non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (Ibid. 5.9).

È ai Tessalonicesi, prima e seconda lettera, che Paolo parla degli ultimi tempi anche perché i membri di quella Chiesa erano convinti che il Signore dovesse tornare da un momento all’altro loro viventi e quindi in molti avevano smesso di lavorare e vivere normalmente. Così scrive nella sua seconda lettera: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità” (2.1-12).

Conscio del fatto che a questi versi dovrebbero essere dedicati molti capitoli, suddividiamoli comunque nei loro punti essenziali. Primo, come sappiamo, il credente vive da sempre negli ultimi tempi, ma deve fare attenzione a non confondere il principio dell’ultimo tempo con il suo manifestarsi perché deve venire prima l’apostasia e dev’essere rivelato colui che è comunemente chiamato Anticristo, che sarà ebreo perché altrimenti non potrebbe “insediarsi nel tempio di Dio pretendendo – a differenza di Gesù che lo era – di essere Dio”. Se lo spirito dell’Anticristo è già nel mondo (1 Giovanni 4.3), è trattenuto dall’agire se non nel tempo a lui concesso: poi, se deve insediarsi nei “Tempio di Dio”, il terzo ancora da costruirsi dopo aver raso al suolo la moschea di Al-aqsa, abbiamo un ulteriore indicatore.

Particolarmente interessante e edificante o il verso 7, “Il mistero dell’iniquità è in atto, ma prima è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene” e questo è lo Spirito Santo che agisce attraverso la Chiesa; via Lei, non avrà più ragione di restare operativo nel mondo per cui il diretto rappresentante di Satana avrà campo assolutamente libero. Anche da qui abbiamo un’ulteriore conferma che quella parte dell’umanità che avrà voluto perseguire la propria autonomia e indipendenza da Dio, la troverà finalmente e sarà abbandonata a se stessa e all’anti-Dio che farà di lei ciò che vorrà, non più frenato da alcunché, salvo venire poi incatenato per mille anni.

Ma si parlava di carestie. Abbiamo visto il passato, il presente con relative previsioni della ragione e della scienza; resta da vedere ciò che verrà nel futuro, quello dopo il rapimento della Chiesa e notizie in merito le reperiamo nel libro dell’Apocalisse al capitolo sesto. Anche qui mi rendo conto che si apre una visione a dir poco immensa, ma che va purtroppo contenuta allo stretto necessario.

Giovanni ha qui la visione dei sette sigilli e l’apertura dei primi quattro. Il sigillo è un marchio che ha la funzione di garantire l’autenticità/integrità di un documento che può essere aperto solo per compiere atti di estrema importanza. Non può essere sciolto prima, non dopo, quindi questo strumento ci parla anche della fine di un tempo di attesa, di un momento assolutamente solenne. A seguito dell’apertura di ciascuno dei quattro sigilli, entra sulla scena un cavallo, con cavaliere, di colore diverso. Il cavallo, animale da guerra qui simbolo anche di vittoria o comunque successo di una missione, dalla corsa veloce, maestoso, che nei tempi antichi quando le macchine da guerra erano molto pesanti e usate per lo più negli assedi incuteva timore e formava un tutt’uno col proprio cavaliere, compare a raffigurare l’ineluttabilità dei giudizi che porta.

Ebbene, leggiamo: “Quando l’Agnello aprì il terso sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi, ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati»” (vv.5,6). Il nero: un non colore, detto anche “colore acromatico”, con luminosità nulla e simboleggia la totale assenza di speranza, le tenebre intese come assenza di Dio, la morte anche se si è in vita. Il cavaliere ha in mano una bilancia, fatto apparentemente anomalo perché solitamente chi cavalca ha in mano un’arma. Qui la bilancia è l’arma e infatti la voce che parla si riferisce a un razionamento, o meglio ancora a una vendita a prezzi proibitivi perché “una misura di grano”, originale “chénice”, circa 60 grammi, avrebbe avuto il prezzo di una giornata lavorativa di un operaio. La frase “olio e vino non siano toccati” è di interpretazione più complessa: tradotta letteralmente risulta “l’olio e il vino non danneggerai” quindi, se il cavaliere raffigura la carestia pesando grano e orzo simbolo di nutrimento, ma non il vino e l’olio, significa che sarà possibile ricorrere all’illusione di sfamarsi tramite questi due elementi. In altri termini l’uomo che avrà rifiutato il pane della vita, avrà il vino e l’olio della morte e dell’illusione.

Abbiamo poi la visione del quarto sigillo: “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loto potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”.

Il cavallo, più che verde, sarebbe “verdastro”, o “giallastro”, quindi un colore sgradevole, come quello di un morto o di un livido a un certo stadio e infatti il nome del cavaliere è Morte ed è seguito dagli inferi, quindi da ciò a cui la Morte porta. Sembra quasi che venga descritta una sorta di pesca a strascico, in cui la rete sono gli inferi che raccolgono indistintamente tutto ciò che vi cade dentro, ma abbiamo anche la morte del corpo (la Morte) associata a quella dell’anima e dello spirito (gli inferi).

Notare di cosa morirà la “quarta parte della terra”: spada, quindi armi, quindi guerra, fame (carestia o comunque impossibilità di nutrirsi), peste (epidemie o pandemie, evidentemente peggiori rispetto a quella del COVID-19 recentemente avvenuta), e con “le fiere della terra”, greco férion cioè “belva, animale feroce, selvaggio”, ma anche “animale malefico, rettile, serpente”, o ancora può indicare qualunque animale fino agli insetti. Se quindi, stante il fatto che “le fiere della terra” che conosciamo quali i grandi predatori come ad esempio tigri e leoni (per citare i primi che vengono in mente) sono in estinzione e quindi pare improbabile che siano in grado di portare sterminio, non così per generici esseri viventi, rettili o insetti che siano, sui quali credo sia prudente restare sul generico nel senso che, nel momento in cui si manifesteranno questi eventi, sarà chiaro a cosa e chi il verso si riferisce.

Abbiamo così esaminato in breve cosa racchiude il termine “carestie” e “fami” non tutte usate nelle traduzioni in circolazione. Lo sguardo dato al passato, presente e futuro può aiutarci a comprendere quegli eventi che il Padre ha riservato per i tempi a venire. Certo, per attenderlo nel modo migliore, per essere da Lui trovati svegli e non addormentati. Amen.

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