16.38 – Il sermone profetico 11: INDICATORI (Matteo 24.32-36)
32Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 33Così anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 34In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.36Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.
La lettura del verso 32 è un invito a riconoscere il tempo della venuta del Figlio dell’uomo e ci ricorda il rimprovero dato alle folle, sempre a proposito del riconoscere i segni dei tempi: “Quando vedete una nuvola salire da Ponente, subito dite: «Arriva la pioggia», e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: «Farà caldo», e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12.54-56).
La differenza fondamentale tra i due passi è che in Luca i Giudei venivano rimproverati perché avevano tutti gli elementi, nelle Scritture, per poter accogliere Gesù, mentre nel nostro caso è Lui stesso a dare indicazioni per riconoscere i segni del Suo ritorno. E il metodo per individuare l’avvenimento è concettualmente lo stesso, perché in entrambi i casi viene preso esempio da fenomeni naturali, la nuvola da Ponente e lo scirocco da un lato, e il fico dall’altro.
È la terza volta in cui compare il fico: la prima fu in una parabola (Luca 13.6) in cui il padrone della vigna ordinò al suo dipendente di tagliarne uno sterile, ma questi gli propose di dargli ancora un anno di tempo sotto le sue cure prima di procedere; la seconda la abbiamo con l’albero che Gesù seccò perché non dava frutti.
Nel caso in esame invece abbiamo una pianta che si presume sana, che con il suo risveglio annuncia l’estate, stagione particolare che nella Scrittura rappresenta il tempo del raccolto, quando la terra dà i frutti migliori. È una stagione che parla di previdenza e lavoro (“Va’ alla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo, né sorvegliante, né padrone, eppure d’estate si procura il vitto, al tempo della mietitura accumula il cibo”, Proverbi 6.6-8, “Chi raccoglie d’estate è previdente e chi dorme al tempo della mietitura è uno svergognato”, 10.5).
L’estate ha poi riferimento anche con il rinfrancamento, come in 2 Samuele 16.2, “i pani e i frutti d’estate sono per sfamare i giovani, il vino per dissetare quelli che saranno stanchi nel deserto” e comunque, il tempo del raccolto è indicativo anche alla luce di Geremia 8.20, “È passata la stagione della messe, è finita l’estate e noi non siamo stati salvati”, che è anche un tema trasversale del nostro studio.
Ora, considerando il verso 33, “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che è vicino, alle porte”, Luca scrive “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21.28): liberazione, quindi la fine del “combattimento della fede”, dell’umiliazione, della convivenza forzata con l’ignoranza, il paganesimo (anche quello che ci portiamo dentro come bagaglio storico), la ribellione dell’uomo alle regole più elementari circa la conduzione di una vita ordinata. Credo sia a questo che l’apostolo Paolo allude in Romani 8.23, “…anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. Adozione che già abbiamo, ma che sarà perfetta quando potremo essere riuniti a Lui.
Resta da considerare, circa il verso 33, cosa significhi in concreto l’essere “vicino, alle porte”, che sono convinto sia riferito non a un avvenimento preciso, ma a tre, perché ricordiamo che dovevano ancora verificarsi la presa di Gerusalemme e poi, per noi, il rapimento della Chiesa, il Millennio e il ritorno di Gesù in giudizio ed è per questo che Giacomo, “fratello del Signore”, scrivendo la sua lettera “alle dodici tribù di Israele”, afferma “non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte”: si tratta di un tempo sempre propizio per il Ritorno, perché si tratta di un “giorno e di un’ora” conosciuta solo dal Padre, elemento questo che non può che acuire nel credente la vigilanza.
Certo, questa dev’essere spirituale, non influenzata da fatalismo come avveniva nella Chiesa di Tessalonica di cui abbiamo più volte accennato: la veglia è concreta e organizzata, accettata come qualcosa di inevitabile e di lei Gesù stesso parlerà in questo sermone con vari esempi ai versi da 42 a 51 e, subito dopo, con le parabole delle dieci vergini e dei talenti (cap. 25) per concludere col Giudizio finale.
Arriviamo così al verso 34, fonte per molti di grossi problemi interpretativi, “In verità vi dico – quindi “Amen” di Dio –: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”: sono parole dalle quali si potrebbe pensare che la “fine” debba avvenire in uno spazio temporale fra i trenta e i cento anni perché tale approssimativamente è la durata di una generazione. Ancora una volta torna il problema della traduzione e del fatto che una lingua diversa dalla nostra ha sostantivi che non possono rendere sufficientemente, tradotti, l’idea di ciò che rappresentano. Ciò che è reso con “generazione” è “ghenéa” che esprime anche il tempo che intercorre tra la nascita e la morte e l’idea della durata in vita di un complesso di uomini, quindi il senso viene notevolmente ampliato e reso quasi indefinito, assolutamente indicativo.
Ecco perché Giovanni Diodati impiega, al posto di “generazione”, “età” e Mons. Antonio Martini, nella sua Bibbia del 1778, pur mantenendo il termine, annota “Non finirà la generazione degli uomini, non finirà il mondo prima che queste cose da me predette abbiano il loro adempimento”. La “generazione”, o “età” è quindi “il tempo presente”, quello che non muta mai, in cui l’uomo vive provando gli stessi sentimenti e istinti primitivi nonostante il passare dei secoli e il mutare della tecnologia e della morale.
Sotto questo aspetto nulla importa, da quando Gesù disse queste parole, che siano passate un gran numero di generazioni, mentre rileva che l’essere umano si sia caratterizzato come una creatura sempre più infestante e deleteria per la terra che, alle origini, gli era stata affidata in custodia con tutti gli esseri viventi che la popolavano; poi, con il suo comportamento fisicamente e moralmente violento e omicida, l’uomo finirà per esasperare quelle situazioni che sono sempre esistite (la violenza in qualsiasi sua forma) portandole a un punto di non ritorno, tale per cui l’intervento di Dio per porre fine a tutto sarà l’unica soluzione possibile. Credo che questa lettura, per quanto molto superficiale, sia sufficiente a dare l’idea; praticamente nulla è cambiato né potrà cambiare dalla Torre di Babele all’impero mondiale prossimo venturo.
Dobbiamo tenere presente comunque quanto già detto da Gesù in altre occasioni sul che, comunque, il primo rendiconto sarebbe avvenuto a Gerusalemme: in 16.28 abbiamo “In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo Regno” e in 23.36 “In verità vi dico, tutte queste cose ricadranno su questa generazione”, ancora “ghenéa”, questa volta con significato letterale. Sempre su questo stesso tema c’è poi Luca 11.50: “…perché a questa generazione sia chiesto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione”.
Proseguendo sempre sul nostro verso 34, soffermandoci sulla traduzione di “ghenéa” con “età”, non possono non venire alla mente le parole che Gesù disse ai Suoi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, che altre bibbie riportano con “fino alla fine dell’età presente”, a conferma che l’ ”età” è un ambito, una regione di tempo precisa, assegnata dal Dio Progettista e Creatore dell’Universo.
Anche qui, circa i termini “età” e “mondo” emergono le differenti visioni dei traduttori, perché “Áion” significa “tempo, durata, vita, età, lungo tempo, secolo, era”, addirittura “eternità”, “mondo, secolo presente”. Questo per dire quante sfumature necessarie ci perdiamo leggendo una versione italiana perché, mettendo insieme tutti questi significati, possiamo vedere che anche in queste parole Gesù rinnova la Sua promessa di eternità, dice “sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo per unirvi a me una volta che questo sarà finito”.
“Con voi tutti i giorni”, quindi nel bene e nel male: era presente, ad esempio, quando Giacomo (l’autore della lettera) fu lapidato. Era presente quando i cristiani venivano crocifissi e bruciati vivi a Roma sotto Nerone e così in tutte le altre persecuzioni, dai tempi più antichi ai giorni nostri. È presente tanto in ogni nostra sofferenza che in ogni nostra gioia ed è per questo che ancora Giacomo scrive “Chi tra di voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode” (5.13).
Tornando al nostro testo, con le parole “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, Gesù non solo annuncia la fine imminente del mondo che conosciamo, ma prende quegli elementi che a noi sembrano immutabili, come il “cielo” (con il sole, la luna e le stelle) e la “terra”, per farci capire che l’unica a sopravvivere al tempo potrà essere soltanto tutto ciò che ha detto. Cielo e terra sono l’ambiente che ci circonda, quello senza cui non potremmo vivere.
Ricordiamo Salmo 102. 26-29: “In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, tu rimani; si logorano tutti come un vestito, come un abito tu li muterai ed essi svaniranno. Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine. I figli dei tuoi servi avranno una dimora, la loro stirpe vivrà sicura alla tua presenza”, tutto questo perché non si disprezzino anche gli elementi più deboli del creato, “Secca l’erba, appassisce il fiore quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Isaia 40.7-8).
Ecco allora che, se per l’uomo antico era naturale considerare immutabili “il cielo e la terra”, quello di oggi va oltre, ingannato dall’Avversario, perché vede nella tecnologia la soluzione a tutti i suoi problemi. Sarà quando la cosiddetta intelligenza artificiale avrà preso il sopravvento sulle vite di tutti che, forse, qualcuno inizierà ad avere dei dubbi sulla legittimità di tutte quelle azioni che avranno portato alla sua instaurazione.
Eppure, in tutto questo percorso umano così delirante in cui è in atto una totale sovversione delle più elementari regole anche solo semplicemente morali, esiste ancora la Parola di Dio che chiama: “Alzate al cielo i vostri occhi, e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta”.
Possiamo allora concludere con le parole di Pietro nella sua seconda lettera: “Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al signore un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta” (3.7-9). Amen.
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