16.42 – IL SERMONE PROFETICO XV: LA PARABOLA DELLE DIECI VERGINI – seconda parte – (Matteo 25.1-13)

 

16.42 – Il sermone profetivo XV: La parabola della dieci vergini – seconda parte – (Matteo 25.1-13)

 

1 Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». 9Le sagge risposero: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore, aprici!». 12Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

 

Ciò a cui personalmente ho fatto caso leggendo la parabola è il contrasto fra la festosità del grido “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”, e la preoccupazione per la mancanza dell’olio da parte delle vergini stolte: solo allora si accorgono di non essere state previdenti, di aver trattato con estrema sufficienza ed approssimazione un invito così importante qual era quello di avere parte attiva alle nozze del figlio del re.

Il verso settimo ci dice che tutte e dieci, svegliatesi di soprassalto, “prepararono le loro lampade”, cioè le misero in condizione di funzionare, aggiungendo l’olio che andava così a ravvivare la fiamma. Cinque però si resero immediatamente conto che le loro lampade si spegnevano (o lo si sarebbero presto) a causa della mancanza di combustibile e subito lo chiesero alle altre.

È da questo punto in avanti che la parabola si fa difficile, ma solo se pretendiamo di dare un significato preciso e assoluto a quegli elementi che, come i venditori e l’andare a comprare l’olio, sono utilizzati da Gesù per dare realtà umana al racconto oltre ad avere un richiamo scritturale: infatti la parabola è tutta basata sul tempo, che può essere perso o guadagnato, ma sempre riferito al trascorso. La parabola delle dieci vergini, a differenza di altre, è sull’irrimediabile.

Ecco allora che il rendersi conto, da parte delle vergini stolte, che “le nostre lampade si spengono”, è la constatazione del loro fallimento perché alla gioia e soddisfazione dell’essere invitate a far parte del corteo non aveva corrisposto il procurarsi l’olio, che per molti commentatori è figura dello Spirito Santo, ma per me è anche quella del vissuto della persona, ciò che siamo e facciamo.

Vediamo prima la lampada che si spegne, di cui troviamo riferimenti nel libro di Giobbe: la cosiddetta “saggezza popolare” espressa da Bildad si esprime con le parole “Tale è la sorte di chi dimentica Dio, così svanisce la speranza dell’empio; la sua fiducia è come un filo e una tela di ragno la sua sicurezza: se si appoggia alla sua casa, essa non resiste; se vi si aggrappa, essa non regge” (8.13,14).

Ancora lui in 18.5-8: “Certamente la luce del malvagio si spegnerà e più non brillerà la fiamma del suo focolare. La luce si oscurerà nella sua tenda e la lucerna si estinguerà sopra di lui. Il suo energico passo si accorcerà e i suoi progetti lo faranno precipitare, perché coi suoi piedi incapperà in una rete e tra le maglie camminerà. Un laccio lo afferrerà per il calcagno, un nodo scorsoio lo stringerà”. Giobbe a Sofar: “Quante volte si spegne la lucerna degli empi, e la sventura piomba su di loro, e infligge loro castighi con ira?” (21.17). Infine, Proverbi 13.9 che prendiamo a coronamento di tutti i riferimenti, “La luce dei giusti porta gioia, la lampada dei malvagi si spegne”.

L’errore di fondo delle cinque vergini stolte è allora, come già sottolineato nella prima parte, a monte: hanno trattato in modo superficiale l’invito a partecipare attivamente alle nozze, senza considerare l’onore della chiamata che nient’altro richiedeva se non intelligenza nella sua gestione, come fecero le altre sagge e come fa – primo esempio che mi viene in mente – chi va in montagna d’estate portando sempre con sé indumenti idonei non potendo essere garantito che il sole non si tramuti in pioggia e il caldo in freddo.

Si potrebbe discutere molto sulla risposta delle altre cinque, “No, perché non venga a mancare a voi e a noi”, e sul concetto di aiuto alle persone, ma qui c’è dell’altro, e cioè che l’essere umano è assolutamente responsabile di tutto ciò che fa e di come lo fa, che vi sono errori ai quali possiamo porre rimedio e altri no, ma soprattutto abbiamo la verità lapidaria espressa in Salmo 49.8, “Certo, l’uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il suo prezzo. Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita: non sarà mai sufficiente per vivere senza fine e non vedere la fossa”.

La richiesta delle vergini stolte è dettata dalla paura di venire escluse dalla festa di nozze e, chiedendo alle previdenti l’olio, in realtà domandano loro una concessione che riguarda quel corretto operato cui non avevano minimamente pensato quando avrebbero avuto tutto il tempo per farlo. Più che il rifiuto delle savie, va messo in evidenza il fatto che queste si trovavano nell’impossibilità di aiutarle perché le azioni, nel bene e nel male, appartengono sempre e soltanto a chi le compie.

Certo il Salmo citato poco prima va oltre: non possiamo riscattarci da noi stessi e nemmeno pagare a Dio il nostro prezzo, cioè per quanto possiamo escogitare, rinchiuderci in clausura, praticare le penitenze più severe, non per questo il peccato inteso come separazione da Dio potrà abbandonarci (ecco perché Gesù ha dato se stesso per noi). E nel “Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita” individuiamo la remissione del debito di diecimila talenti al servo infedele di Matteo 18.24. Quindi non esiste un “purgatorio” dove soffrire per essere ammessi in un “paradiso” nel quale, senza il perdóno gratuito di Dio, non si entra,

Potremmo dire che le vergini stolte comprendono di avere sbagliato quando si accorgono di non avere olio? No, perché chiedono subito aiuto alle previdenti, a loro interessa una soluzione rapida del problema e non il fatto che, con la loro richiesta, le avrebbero danneggiate; il loro è un istinto di sopravvivenza dettato ancora una volta dall’approssimazione e dall’istinto. In realtà l’acquisizione del principio dell’errore accadrà solo alla fine, con il chiudersi della porta; piuttosto considerano le altre come loro compagne, colleghe in base al principio del “siamo tutti sulla stessa barca”(che così non era) che per questo dovevano aiutarle: come già anticipato, la consapevolezza di non avere olio genera una forte preoccupazione cui porre immediatamente rimedio, senza considerare che il loro comportamento irresponsabile avrebbe finito per danneggiare anche chi, al contrario, era stato previdente.

Ecco allora che il rimando ai “venditori” era l’unica cosa che le sagge potevano fare: a quel tempo chi aveva una bottega dormiva al piano di sopra e il vendere o meno al di fuori dell’orario di apertura era a sua discrezione. E tutti conosciamo l’invito di Dio “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque. E voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate, senza danaro, senza pagare, vino e latte” (Isaia 55.1). Il consiglio di andare ai venditori viene dato come ultima, remota speranza perché il tempo che restava era davvero poco e le vergini sagge non potevano garantire alle altre che sarebbero riuscite ad arrivare in tempo. Ecco allora che nella frase “mentre quelle andavano a comprare l’olio” personalmente leggo disordine, affanno, angoscia, comprensione del principio secondo il quale, se si fossero comportate in modo opportuno, tutta quell’emergenza e fretta non vi sarebbe mai stata.

C’è poi, a proposito del comprare, una frase che non a caso troviamo nella lettera alla Chiesa di Laodicea, l’ultima: “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (Apocalisse 3.18). Perché, questo è il punto, non c’è tempo e, anche se ve ne fosse, dobbiamo comportarci come se non l’avessimo.

Il verso 30 dà la cronologia degli avvenimenti che scorrono indipendentemente dalla volontà delle stolte: le cinque savie entrano con lui alle nozze, “e la porta fu chiusa”. Dopo millenni in cui l’uomo ha fatto ciò che ha voluto, senza preoccuparsi d’altro se non di se stesso, l’accesso a Dio diventa impossibile e la Sua bontà, intesa come misericordia e comprensione, cessa. Per capire l’essere umano e riscattarlo ha mandato il Suo Figlio Unigenito permettendo che venisse immolato innocente e ha tenuto le porte della Sua Grazia aperte fino all’ultimo; sappiamo però che “Quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre” (Apocalisse 3.7). E la porta chiusa ci parla della felicità di coloro che si troveranno all’interno del perimetro del palazzo del re e dell’impossibilità ad entrarvi di quanti resteranno fuori. La chiusura della porta ci parla anche del fatto che costituisce anche un premio per coloro che si trovano all’interno perché sanno che nulla di estraneo potrà entrare e saranno finalmente e per sempre protetti.

Giunti a questo punto, credo resti da considerare il significato dell’olio necessario alle lampade: come già detto e aggiornandone il significato, individuarlo nello Spirito Santo è certamente corretto, ma riduttivo perché è un riferimento prima di tutto alla fede, senza la quale “è impossibile essergli graditi” (Ebrei 11.6); infatti, commendando i quarant’anni passati da Israele nel deserto, leggiamo “E chi furono coloro di cui – Dio – si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza di fede” (Ebrei 3.17-19).

La fede ci permette di fare cose che senza di essa non faremmo mai. È un motore che ci fa agire in modo strano (per chi non ce l’ha e non la conosce), a volte incomprensibile. Come lo Spirito Santo in noi, può affievolirsi, ma se apparteniamo veramente a Gesù, non si spegnerà mai. Al limite, potrà ridursi a un “lucignolo fumante”, ma mai seccare fino in fondo. Può essere più o meno forte, ma illumina sempre, anzi, credo che tutti noi sappiamo che, in certi casi, è più utile una lampadina da 25W che non una da 100.

C’è poi una terza versione su cosa simboleggi l’olio e questa è il vissuto della persona, se conforme al Vangelo oppure no, perché quando compariremo davanti a Gesù ci ritroveremo a che fare con gli “occhi di fuoco” (Apocalisse 21.4) che ci parlano del vaglio di ciò che saremo stati e avremo fatto. Avremo quindi bisogno della salvezza per poter entrare, ma anche del risultato del nostro lavoro di servi per far fruttare i talenti come vedremo nella prossima, ultima parabola.

È il modo in cui viviamo a testimoniare la nostra fede, sono i discorsi che facciamo a rivelare ciò che dimora realmente nel nostro cuore, le scelte che operiamo rivelano il nostro attaccamento a Lui, le persone con cui ci accompagniamo le nostre affinità, insomma tutto il nostro essere rivela da chi e come siamo abitati.

E torniamo un’ultima volta alle cinque vergini stolte: devono essersi impegnate al limite delle loro possibilità tanto nel cercare un venditore quanto nel convincerlo ad aprir loro bottega, senza contare l’affanno della corsa fino al palazzo, che però trovano chiuso. Quelle persone avevano l’olio, ma era troppo tardi per il semplice fatto che non serviva più in quanto le lampade dovevano essere utilizzate per illuminare il cammino dello sposo fino a palazzo, dopo di che altre luci sarebbero intervenute a rischiarare il convito. E un protocollo è e rimane un protocollo, è qualcosa di stabilito al quale tutti devono attenersi; se qualcuno lo infrange, lo fa a suo rischio e pericolo. Quelle cinque non sarebbero servite più a nulla e vengono respinte non solo per una questione di giustizia, ma perché con il loro comportamento anomalo si erano rese sconosciute al padrone di casa.

Anche qui non abbiamo nulla di nuovo perché il fatto che ci sia una scadenza era cosa già nota nell’Antico Patto e possiamo citare un verso molto conosciuto, “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua vita e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona” (Isaia 55.6,7). Ed è bello quel “ritorni”, che penso riferito a quando, nell’età dell’innocenza, ancora non si era manifestato coi termini negativi col quale è descritto. Nell’invito a tornare non esiste alcuna preclusione, ma solo quel “finché” contenente appunto la fine di un tempo concesso. Perché senza olio, nelle tre interpretazioni che abbiamo brevemente esaminato, non potremo sussistere ed ancor più entrare nel regno di Dio. Amen.

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