16.45 – IL GIUDIZIO FINALE II (Matteo 25.32)

16.45 – Il giudizio finale II: Pecore e Capri (Matteo 25,32)

32E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

“Saranno riunite”, non “Si riuniranno”, ci parla di un avvenimento forzato per tutti, nessuno escluso, cioè senza possibilità di scuse; non ci sarà più chi, come nella parabola del grande banchetto, potrà dire “Ho comprato un campo e devo andare a venderlo, ti prego di scusarmi”, “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli”, o “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire” (Luca 14.16-24). “Tutte le genti”, poi, o “popoli” come in altre versioni, è tradotto dal greco “éthnos”, dal quale proviene il nostro “etnie”, quindi l’umanità nel senso più totale del termine. Questo ci rimanda alla visione dell’apostolo Giovanni nel libro dell’Apocalisse, “E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. E i libri furono aperti. E fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri” (20.12). Quel “tutti i popoli”, allora, non ci parla solo di quanto abbiamo evidenziato, ma anche di tutte le condizioni sociali viste nei “grandi e piccoli”, non adulti e bambini.

Anche questo riunire è stato descritto da Gesù in un’altra parabola, quella delle zizzanie, “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino al momento della mietitura, e al momento della mietitura dirò ai mietitori: «Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio” (Matteo 13.20). In quest’ultimo verso, personalmente, quello che mi stupisce sono due pericopi, “crescano insieme”, quindi parafrasando “facciano il loro percorso” e “fino alla mietitura”: entrambe le piantine avrebbero dovuto svilupparsi, secondo le loro inclinazioni e, riferito agli uomini, avere un tempo per scegliere che vita fare, quindi opzioni, errori, azioni più o meno onorevoli compiere, vivere insomma liberi, ma “fino a” quando non avrebbero incontrato una scadenza visto nella chiamata di Dio attraverso la morte del corpo e/o al giudizio. Nella crescita della zizzania e del grano vedo un passaggio attraverso il tempo, illuminato dal sole o bagnato dalla pioggia, quindi di tutti quegli eventi che caratterizzano la vita dell’uomo, che conosce la gioia e il dolore, il riposo e la fatica, le emozioni positive e negative, anche qui “fino a”, quando sarà il Signore Dio a decidere che è giunto il tempo della mietitura, quando grano e zizzania saranno riconoscibili.

Si tratta di un concetto già annunciato negli scritti dell’Antico Patto in cui Davide usa il presente: Dite tra le genti: «Il Signore regna!». È stabile il mondo, non potrà vacillare! Egli giudica i popoli con rettitudine. Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il mare e quanto racchiude; sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti gli alberi della foresta davanti al Signore che viene; sì, egli viene a giudicare la terra; giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli” (Salmo 96.10-13), o 98.9 “…giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine” (98.9).

 

Quanto al “riunite davanti a lui tutte le genti”, saranno gli angeli a farlo, cioè i “mietitori” (Matteo 13.39), come vediamo anche in altri passi: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità. Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre mio” (41,42), “Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni” (49), Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba – cioè la chiamata di Dio – ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro del cielo” (24.31).

Gesù, il risorto, sarà lui a giudicare, come abbiamo letto nella parabola che cercheremo di sviluppare assieme: Ora Iddio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti.” (Atti 17.30,31).

Il verso 32 contiene un particolare interessante e cioè che presenta un concetto, “separerà gli uni dagli altri” e un paragone, “COME il pastore separa le pecore dai capri” per far capire che da un lato ci saranno gli angeli a riunire i popoli e a fare una prima scrematura, ma poi sarà il “Figlio dell’uomo” a provvedere personalmente alla divisione tra le uniche categorie presenti, quelli che avranno creduto e operato secondo le loro possibilità (come nella parabola dei talenti che precede queste parole) e chi invece avrà voluto vivere seguendo unicamente se stesso. Tutti sono paragonati a degli animali, “pecore” o “capri”, non ve ne sono altri oltre al “pastore” che già, quando era in vita come uomo, aveva dimostrato di conoscere quale fosse la realtà interiore dei suoi avversari quando disse “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono” (Giovanni 10.26-27) e ancora prima, quando il giudizio fu ancora più netto: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio”.

Ciò che personalmente mi consola (e credo sia lo stesso anche per molti) è il fatto che solo al “Figlio dell’uomo”, per quanto “seduto sul trono della sua gloria”, spetta il compito di “separare gli uni dagli altri” perché non si tratterà soltanto di un’azione fatta sulla base o meno di una professione di fede, ma dell’interiorità delle singole persone. Il giudizio di Gesù glorificato sarà totalmente diverso, come ampiamente rilevabile anche dai Vangeli, da quello dell’uomo che spesso giudica dall’alto del suo perbenismo, ma andrà nelle profondità più intime del cuore. E Romani 2.14,15 ci presenta un’interessante dinamica: Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Cristo Gesù”. Ciò che l’apostolo Paolo vuol dire è che l’essere salvati significa scampare al giudizio di Dio e questo avverrà in base alla presenza di una corretta linea di comportamento oltre alla fede operante, altrimenti il giudicare “i segreti degli uomini”, quindi le motivazioni profonde delle loro scelte e dell’apparire al prossimo in un modo o in un altro, non avrebbe senso. Ecco perché agli angeli è affidato il “riunire tutte le genti” e a Gesù la separazione degli uni dagli altri. Così in 1 Corinti 4.5: Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora – non prima – ciascuno riceverà da Dio la lode”.

 

Impostata la base delle riflessioni, veniamo ai capri, tralasciando le pecore perché già oggetto di lunghe considerazioni in capitoli precedenti. Gesù, evidentemente, qui parla di un “pastore” fuori dall’ordinario nel senso che non può essere paragonato ai molti di allora, che magari vivevano con pochi animali; qui un paragone, unicamente per renderne l’idea, dal punto di vista del bestiame può essere fatto con Isacco, di cui è scritto che “…divenne ricco e crebbe tanto in ricchezze fino a divenire ricchissimo: possedeva greggi e armenti e numerosi schiavi” (Genesi 26.13). Sappiamo comunque che la pastorizia comportava la gestione sia di pecore che di capre, come dalle parole di Giacobbe a Labano: “Vent’anni ho passato con te: le tue pecore e le tue capre non hanno abortito e non ho mai mangiato i montoni del tuo gregge” (31.38); Giacobbe, poi, leggiamo che diede in dono al fratello Esaù “…duecento capre e venti capri, duecento pecore e venti montoni” (32.15) oltre ad altri animali utili e preziosi per la vita di allora.

La capra è un animale testardo e territoriale, che in gregge vive bene purché tutti rispettino i loro spazi e le gerarchie che si creano all’interno del gruppo. Fu il primo o comunque fra i primi ad essere addomesticato dall’uomo, sa adattarsi a terreni anche aridi; curioso, dal forte temperamento, ama esplorare l’ambiente che lo circonda anche perché, a differenza della pecora, possiede il senso dell’orientamento. Assieme al cane e all’asino, è tra gli animali che possono relazionarsi più facilmente con l’uomo.

Nostro Signore però non parla di capre, ma di capri (capretti secondo altre traduzioni), quindi di maschi, animali che nell’AT sono destinati al sacrificio per i peccati a partire da quello di inavvertenza per un capo del popolo (Levitico 4.23) a quello destinato a vagare nel deserto per l’espiazione dei peccati della comunità. Rientrando le parole di Gesù in un linguaggio figurato immediato, quello che conta è la selezione che farà sull’umanità riunita, già annunciata e spiegata in Ezechiele 34.17-22: A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. Non vi basta pascolare in buone pasture, volete calpestare con i piedi il resto della vostra pastura; non vi basta bere acqua chiara, volete intorbidire con i piedi quella che resta. Le mie pecore devono brucare ciò che i vostri piedi hanno calpestato e bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito. Perciò così dice il Signore Dio a loro riguardo: Ecco, io giudicherò fra pecora grassa e pecora magra. Poiché voi avete urtato con il fianco e con le spalle e cozzato con le corna contro le più deboli fino a cacciarle e disperderle, io salverò le mie pecore e non saranno più oggetto di preda: farò giustizia fra pecora e pecora”.

Così Salmo 79.13 descrive il risultato della selezione: “E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre, di generazione in generazione narreremo la tua lode”, per arrivare ad Apocalisse 7.16, 17, “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.

Il nostro passo si conclude col porre le pecore alla Sua destra, al posto d’onore, e i capri alla sinistra, che alcuni hanno ritenuto identificare con quello del disonore, che a parer mio costituisce una definizione eccessiva perché altrimenti l’apostolo Giovanni, che all’ultima cena era probabilmente alla sinistra di Gesù, sarebbe stato svalutato. Piuttosto, la destra è simbolo di un privilegio, di una preferenza rispetto all’altra. In altri termini, le pecore da una parte e i capri a quella opposta occupano qui una posizione differente, sono due gruppi ben distinti fra loro perché frutto di una selezione. In questo passo, destra e sinistra sono il risultato lampante delle azioni e dei pensieri degli uomini, come da Ecclesiaste 10.2, “Il cuore del sapiente va alla sua destra, il cuore dello stolto alla sua sinistra”.

La destra, allora ci parla di futuro e della realizzazione della promessa del “posto” che Gesù ha preparato per i Suoi e di una catena che, se Lo vede seduto alla destra del Padre, vedrà i credenti a loro volta a quella del loro Signore. Amen.

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