17.05 – Gesù lava i piedi ai discepoli I/II(Giovanni 13.2-10)
2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
“Durante la cena” e “mentre mangiavano” sono le due espressioni usate dagli evangelisti per collocare gli avvenimenti fondamentali dell’ultima cena che certo, se si prendono in esame le varie traduzioni, sono impossibili da collocare cronologicamente. Usando però la razionalità, a fronte delle numerose ipotesi di cui disponiamo, potremmo chiederci che senso avrebbe avuto, da parte di Gesù, interrompere la cena per lavare i piedi ai Dodici oppure per quale ragione, dopo l’annuncio del tradimento di uno di loro, questi passassero a discutere su chi fosse il maggiore quando la notizia li aveva “profondamente rattristati”, sconvolti a tal punto che ciascuno di loro Gli chiese “Sono forse io, Signore?” (Matteo 26.22).
Anche sapendo che, come più volte riportato, non è la cronologia ad interessare gli autori dei Vangeli, ciò non toglie che risolvere il problema della successione storica degli eventi andrebbe fatto, ma appare senz’altro cosa ardua.
Eppure, in tutto questo dibattersi, è proprio la lingua originale ad aiutarci perché il greco utilizza un verbo, “Ghenoménou”, che riferito alla cena suggerisce l’idea di qualcosa di pronto o comunque al suo imminente realizzarsi. Ad esempio, quando “ghenomenou” è riferito al giorno, è tradotto in Luca 4.42 e Atti 12.18 con “Sul far del giorno”. Ecco allora che Gesù si alzò per lavare i piedi ai Dodici quando la cena non era ancora cominciata ufficialmente (con il passaggio del primo calice e la preghiera di benedizione), ma stava per esserlo, e mi immagino che ciò avvenne dopo aver preso “posto a tavola e gli apostoli con lui” (Luca 22.14) dopo le parole “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, finché essa non si compia nel regno di Dio” (Luca 22.15).
A proposito di traduzioni va rilevato che quanti, nello studiare questo passo, vogliono basarsi sulla versione del Diodati (che reputo la migliore anche se non in questo caso), trovano un grosso errore perché, al posto di “durante” si legge “Finita la cena” che lascia insoluto il problema della cronologia degli eventi che, se non è di vitale importanza, credo aiuti nella conoscenza del Signore Gesù, nostra, dei fatti descritti e molto altro.
Invece, tornando in tema, il lavare i piedi ai Dodici fu la prima cosa che fece Gesù proprio per quel clima estraneo che si era venuto a creare fra gli Apostoli, che si chiedevano ancora una volta chi fosse tra loro il più grande (Luca 22.24) stante il fatto che Giuda aveva preso un posto anomalo.
Altra possibilità di corretta collocazione temporale di questo episodio è data dall’uso comune ai pranzi o alle cene in cui era consuetudine che un servo lavasse i piedi ai convitati poco prima che iniziassero a mangiare, fatto di cui Gesù stesso diede un cenno quando, invitato a pranzo da un fariseo, gli disse “Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo” (Luca 7.44-47).
Mentre per Luca la ragione del nostro episodio fu la “discussione su chi di loro fosse da considerare il più grande” (22.24), che lo stesso Giovanni conferma con le parole “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13.14,15), leggiamo che a monte vi fu la consapevolezza del fatto che il Padre “…gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava”: certo che questo lo sapeva anche prima, ma l’idea della gloria che avrebbe avuto, ”il nome superiore ad ogni altro nome” che gli sarebbe stato dato, la vittoria sull’Avversario definitiva con la Sua risurrezione, partorirono quel gesto.
In altri termini, alzandosi da tavola, deponendo le sue vesti, prendendo un asciugamano e cingendoselo attorno alla vita, il Maestro assunse ancora una volta “forma di servo” per i Suoi. Si tratta di un gesto dal significato enorme e che mai potremo sviluppare fino in fondo sia per quanto avvenne che per quanto Gesù disse ai Dodici. E va rimarcato che anche Giuda Iscariotha beneficiò di questo intervento, il che sottolinea la sua scelta di tradire avvenne fino in fondo nel senso che fu assolutamente personale, determinata, volontaria, opponendosi in tutto al suo Maestro. Ricordiamo che Satana gli aveva già messo in cuore di tradirlo, cosa che svilupperemo. Mi capita spesso di ragionare sull’impermeabilità morale e spirituale di questo personaggio, e non so mai darmi delle risposte precise. Se, con il suo comportamento, aveva consentito a Satana di gestire la parte conscia e inconscia del proprio essere, vedersi lavare i piedi da Colui che aveva praticamente già tradito con l’accordo coi capi dei sacerdoti, deve averlo lasciato assolutamente indifferente, come un animale che anziché la ragione ha l’istinto e altro non capisce.
Gesù, per lavare i piedi ai Dodici, si tolse la veste di sopra che lo avrebbe impedito nei movimenti e iniziò nel suo lavoro, non sappiamo a partire da chi, ma è probabile dall’Apostolo sdraiato più lontano perché altrimenti Giovanni non avrebbe scritto “Venne dunque da Simon Pietro” (v.6). Personalmente mi soffermerei sul fatto che Gesù non si limitò a lavare, ma anche asciugò come facevano i servi, compiendo così un lavoro che altrimenti sarebbe rimasto in sospeso; pensando al significato riflesso di quel gesto, di benedizione per il cammino fatto fino ad allora e quello che li attendeva, è il piede asciutto dopo essere stato lavato a parlarci di prontezza e rinnovamento, quasi a dire loro “adesso potete camminare secondo la mia volontà”. Lavando quei piedi e asciugandoli, è come se Gesù riconoscesse le fatiche fin lì fatte e il cammino nuovo che avrebbero compiuto e non a caso avrà per loro parole di elogio dicendo: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre lo ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete sul trono a giudicare le dodici tribù di Israele” (Luca 22,28-30).
Altra considerazione possibile su quanto fece Gesù è che, se la Croce fu l’ultima, definitiva rinuncia a se stesso per tutti gli uomini che grazie ad essa sarebbero stati salvati, il servire lavando i piedi ai Dodici fu l’ultimo esempio lasciato alla Chiesa, riunita ancora in embrione. Le Sue parole infatti furono: “Chi è più grande, colui che sta a tavola, o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve”. Il servire di Gesù non è solo un atto di umiltà, ma un aspetto del totale amore del Figlio di Dio sul quale spesso sorvoliamo: si fece servo e non si risparmiò mai. L’uomo Gesù, mai disgiunto dal Suo essere Dio e un tutt’uno col Padre, è lì, davanti ai Suoi, con un catino d’acqua e un asciugamano.
E le Sue parole, che riporta Luca in 22.25,26, illuminano perché pone due esempi, quello del mondo, il pensare e il metodo umano, e quello spirituale che nella Chiesa dev’essere la norma: ”I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori” (25). Questo termine è usato in senso paradossale perché chi governa è sempre esaltato da una propaganda meschina anche se è animato da sentimenti che, se riguardano il benessere del popolo, sono secondari e sono volti a un suo benessere di comodo tramite opere di regime. Il termine “benefattori” trova il suo esempio in “Augusto” che significa “degno di venerazione e onore” dato agli imperatori romani e in seguito adottato dagli altri come lui e prìncipi.
I “re delle nazioni e coloro che hanno potere su di esse” certo non occupano gli ultimi posti e nemmeno quelli di riserva, vengono riveriti ovunque e tengono molto a tutto ciò che il protocollo stabilisce per loro, ma per la Chiesa le istruzioni sono diverse: “Voi però non fate così, ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e colui che governa come colui che serve” (26). “Il più giovane” è tradotto da altri come “il minore”, ma rende meno l’idea perché nella Chiesa primitiva ai giovani venivano affidati gli incarichi di servizio, quelli considerati “secondari” ma non per questo meno importanti sotto l’ottica del fatto che ogni cristiano è membro di un Corpo. Se i cristiani comprendessero che l’importante è servire a prescindere dal ruolo, le Chiese godrebbero di una salute migliore di quella che hanno oggi. Invece si fa distinzione fra ruolo e ruolo, compito e compito, incarico e incarico. Ma questo stride con quanto abbiamo letto e con molti altri passi. La Chiesa non è un’azienda in cui contano i dirigenti e chi fa le pulizie è all’ultimo posto, non funziona così.
Ricordiamo cosa dissero gli apostoli riuniti in Atti 6.2, “Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense”: queste parole non hanno riferimento col rifiuto da parte loro ad avere un incarico secondario rispetto alla gestione della Parola, ma vogliono denunciare il fatto che, se avessero pensato anche al servizio ai tavoli, ne avrebbe nuociuto il loro ministero per cui, lungi dal scegliere persone a caso per occuparsi del problema, dissero “Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di spirito e sapienza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola” (v.3).
Va anche sottolineato che, se la Chiesa non si stesse sviluppando e l’impegno delle mense non si fosse fatto pressante e dominante su quello del servizio cui i Dodici erano chiamati, avrebbero continuato a portarlo avanti personalmente senza sentirsi sminuiti.
Ha scritto un fratello: “Ben lungi dallo spianare ogni differenza di rango e di ufficio nella cerchia dei suoi discepoli, Gesù riconobbe qui una vera aristocrazia entro la sfera del Cristianesimo, ma è un’aristocrazia di umiltà che non solo richiese, ma esemplificò nella propria persona”.
Chi è umile e ha dono spirituale per cui è giusto che abbia una posizione di onore nella Chiesa, non lo accetterà mai da un punto di vista umano e non avrà alcuna difficoltà a considerarsi come uno in mezzo agli altri e quindi a servire. E quel posto di onore lo rifiuterà. Ricordiamoci che proprio l’apostolo Pietro, che una parte del Cristianesimo vorrebbe attribuirgli il primo posto, il primato definendolo “Il principe degli apostoli”, scrisse nella sua prima lettera “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi…” (5.1).
Certo Pietro, dei Dodici, è il più particolare: era il più avanti con gli anni, il più irruento e facile agli slanci, è colui che più degli altri sbaglia, ma fu il primo a definire il Maestro come “Il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente” (cosa che fece anche Marta, sorella di Lazzaro dicendo “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio, colui che viene nel mondo”, Giovanni 11.27), rinnegherà il suo Maestro e conoscerà poi una piena riabilitazione. Più che detentore di un primato, Pietro è una persona che si farà obbediente a Gesù fino alla morte, respingendo qualsiasi onore che non sia quello ricevuto da Dio, quello di essere un Apostolo e un anziano della Chiesa, pastore posto non per governare, ma appunto per servire. Amen.
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