17.06 – Gesù lava i piedi ai discepoli II/II(Giovanni 13.2-10)
2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Nello scorso capitolo abbiamo affrontato l’episodio tenendo presente l’aspetto di Gesù in mezzo ai suoi “come colui che serve” e credo che, se l’Apostolo Giovanni non avesse inserito nel testo il breve dialogo con Pietro, non avremmo altri elementi di riflessione.
Le parole dell’Apostolo, “Signore, tu lavi i piedi a me?” e “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”, dove il pronome è indicativo perché diretto esclusivamente a Lui, ci rivelano molto di ciò che Pietro pensava: voleva impedire che il Suo Maestro gli lavasse i piedi non reputandosi degno di un simile interessamento per il compito profondamente servile che Gesù aveva scelto, di competenza dei più umili degli schiavi. Ricordiamo infatti le parole di Abigail a Davide: “Ecco, la tua schiava diventerà una serva per lavare i piedi ai servi del mio signore”. Teniamo presente che l’apostolo già aveva dimostrato di avvertire la profonda distanza che intercorreva tra loro quando, nell’episodio della pesca sulle rive del Lago di Galilea, gli disse “Signore, allontanati da me, poiché sono un peccatore” (Luca 5.8).
Quelle parole furono precedute dal suo prostrarsi, in segno di profonda deferenza e conscio della distanza che lo separava da Lui. Pietro, a quel tempo, non aveva ancora contezza di essere stato scelto da Dio per il Suo Progetto così come lì, alla cena, ignorava ciò che stava avvenendo davvero, non andando oltre al semplice lavaggio dei piedi; infatti gli viene detto “Quello che io faccio, lo capirai dopo”, cioè in un secondo momento, quando ogni cosa, compresi i dubbi e le incertezze, verranno chiariti, scomparendo. Teniamo sempre presente che gli Undici ebbero sempre, prima della discesa dello Spirito Santo, una visione parziale di quanto accadeva loro, che un grande conforto alla loro fede imperfetta venne quando videro il loro Signore risorto che pose fine alla loro delusione espressa con le parole “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Luca 24.1). Il fatto che Pietro, e gli altri con lui, avrebbero capito “dopo” quanto accadeva, testimonia il fatto che la nuova vita nello Spirito sarebbe stata diversa, mettendoli in condizione di comprendere le Sue parole e azioni per collocarle nella giusta dimensione, cosa che avviene per ogni essere umano che, una volta salvato e messosi in cammino nella Grazia, arriva a comprendere il senso e il significato della propria vita, del suo percorso passato e presente.
C’è, nel dialogo con Pietro, una testimonianza molto bella e altrettanto intensa dell’amore che provava per il suo Maestro perché quando si sentì dire che, se non gli fossero stati lavati i piedi, non avrebbe avuto parte alcuna con Lui (cioè sarebbe stato tagliato fuori da ogni comunione e partecipazione alle Sue opere e gloria), si dichiarerà disposto ad accettare di venire lavato anche completamente, se Lui lo avesse voluto: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.
Soffermiamoci ora sulle usanze del tempo e sulle parole “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro”: tralasciando le abluzioni rituali, Gesù fa qui riferimento al bagno che si faceva immergendosi completamente in una vasca anche pubblica – ricordiamo la piscina di Siloe e di Betesda –; chi si lavava in quel modo era pulito e lo restava per tutto il giorno, ma così non i piedi perché la calzature di allora erano dei saldali fissati alle caviglie con legacci che lasciavano gli arti inferiori alla polvere o al fango a seconda delle condizioni delle strade, in terra battuta. Questa condizione costringeva la gente a lavarsi i piedi continuamente, al rientro in casa e soprattutto prima di mangiare, come già ricordato. E qui ricordiamo lo “scrollarsi la polvere dai piedi” quando tornavano da territori pagani, per loro contaminati, o uscivano dalle case che non avevano accolto l’annuncio del Vangelo (Matteo 10.14; Marco 6.11; Luca 9.5; Atti 13.51).
Allora, spostando il significato del paragone sul piano spirituale, “Chi ha fatto il bagno” sono proprio i Dodici, o meglio di Undici, perché in quando credenti in Gesù erano puri nel senso che il peccato non dominava più su di loro impedendo una relazione con Dio. È molto importante che l’uomo sappia che l’Agnello di Dio non è quello “che toglie i peccati del mondo” come si sente dire nelle Messe della Chiesa di Roma, ma “il peccato del mondo” (Giovanni 1.29), cioè la base, la condizione che li teneva lontani da Lui in quanto tutti, nessuno escluso, nascendo portano con loro l’eredità contratta da Adamo ed Eva. Infatti in 1 Corinti 6.9-11 leggiamo “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi – cioè non concepite opinioni vane, non fatevi false convinzioni –: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi. Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello spirito del vostro Dio”. L’uomo nella carne, infatti, non può rientrare che in queste categorie a seconda del potere attrattivo che la carne ed il peccato esercitano su di lui.
Non esiste cristiano che, salvato, non sia stato purificato – quindi reso puro – dal sacrificio di Gesù, ma – attenzione – resta sempre il problema dei piedi perché, nel momento in cui si sposta, cammina, va da qualche parte, deve necessariamente lavarseli perché sono l’unica parte sporca del suo corpo, visto che il bagno, quello rigeneratore, è già stato fatto. Da sottolineare poi che, per chi si è lavato e quindi prova soddisfazione per la pulizia raggiunta, ritrovarsi nel giro di breve tempo coi piedi sporchi procura un profondo disagio avvertendo la polvere o il fango; così è per chi, quotidianamente, deve affrontare quello sporco visto nelle mancanze, nelle infrazioni, nei peccati che commette in quanto essere “fatto di carne”. Certo non vorrebbe insozzarsi, ma così avviene ed è il dualismo espresso dall’apostolo Paolo in Romani 7.21 “Quando voglio fare il bene, il male è accanto a me”.
Chi è “nato di acqua e di spirito” (Giovanni 3.5) è stato reso tale “non per opere giuste da lui compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo nella speranza eredi della vita eterna” (Tito 3.4-7), ma questo non vuol dire che è stato trapiantato in un territorio in cui il peccato non esiste né eserciti più alcuna forma di attrazione, anzi! Chi crede è una piantina di grano costretta a convivere con le zizzanie fino alla fine.
Non sono quindi le colpe della condizione di peccato, che sono state rimesse per sempre, a compromettere il rapporto con Dio, ma quelle contratte camminando che hanno bisogno di essere lavate, cosa che può essere fatta solo da Gesù figurativamente ai Dodici e per noi comunque davanti al Padre nel Suo Nome. Un perdóno che si rinnova e rinnova continuamente. Ecco perché, ancora una volta, quando Pietro chiese quante volte dovesse perdonare al suo prossimo, fu detto “Non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Matteo 18.22), che farebbe 490, quindi un perdóno senza fine. Chi, infatti, si metterebbe a contare 490 per noi smettere alle 491ma?
Ben diversa la teoria cosiddetta corinziana che, nonostante sia stata concepita allora è sostenuta ancora oggi, afferma l’inutilità da parte dell’uomo a liberarsi del peccato quotidiano, essendone già stato liberato da lui per sempre dal sacrificio di Gesù: “Se siamo stati davvero liberati dal peccato, non ha senso liberarcene ancora”. Il Signore però insegna col nostro episodio che quanti rifiutano l’idea che il Suo intervento purificatore riguardo ai piedi non sia necessario continuamente, non avranno con Lui parte alcuna. Ignorare questa fisiologia equivale ad annullare il Suo sacrificio proprio perché il rapporto con il Padre e il Figlio è proporzionale non solo al tempo che passiamo con loro, ma alla consapevolezza che dobbiamo continuamente toglierci di dosso le impurità contratte camminando. Infatti una cosa è la vita che Gesù condusse in mezzo ai peccatori, condividendo la Sua esistenza con loro senza contaminarsi mai, un conto è quella che percorriamo noi che, non essendo come Lui, inevitabilmente sbagliamo.
Quindi viene chiamato in causa il cammino che ognuno di noi fa quotidianamente, che senza una forte attività preventiva non può risolvere in bene. Ricordiamo in proposito Proverbi 3.21-23 “Custodisci il consiglio e la riflessione né mai si allontanino dai tuoi occhi: saranno per te vita e ornamento per il tuo collo. Allora camminerai sicuro per la tua strada e il tuo piede non inciamperà”, “Il Signore sarà la tua sicurezza e preserverà il tuo piede dal laccio” (v.26), per arrivare poi ad Ebrei 12.13, “camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.
Alla luce di quanto emerso finora, abbiamo da un lato la preservazione nei nostri percorsi, ma anche il fatto che dove andiamo è la mente a determinarlo e da qui esiste o incidentalità o responsabilità, ciascuna da regolare con Dio o il nostro prossimo a seconda di chi il peccato vada a coinvolgere; come insegna il nostro Decalogo, sono due gli enti che possono essere interessati dalle nostre infrazioni. Ed ecco perché Gesù, al verso 14 dice “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.
I piedi implicano lo spostarsi che non è mai un’azione fatta così, per ingannare il tempo, ma è sempre il risultato di un’attività interiore che per il cristiano dev’essere preventiva: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Galati 5.16), “Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate” (Colossesi 2.6) per concludere con 2 Giovanni 2.16 “Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell’amore”.
Tutto questo si riassume in un principio che Gesù dichiarerà poco più avanti, quando Giuda sarà già uscito dalla sala, con le parole “Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me, e io – rimarrò – in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (Giovanni 15.3,4).
Lasciarsi lavare i piedi da Gesù, quindi, è sinonimo del rapporto continuo con lui, dell’essere coscienti della nostra imperfezione e defettibilità, per trovare il soccorso, il conforto e soprattutto quel perdóno continuo senza il quale la nostra vita non può avere senso. Amen.
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