19.38 – IL SERMONE PROFETICO XI: INDICATORI (Matteo 24.32-36)

16.38 – Il sermone profetico 11: INDICATORI (Matteo 24.32-36)

 

32Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 33Così anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 34In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.36Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.

 

La lettura del verso 32 è un invito a riconoscere il tempo della venuta del Figlio dell’uomo e ci ricorda il rimprovero dato alle folle, sempre a proposito del riconoscere i segni dei tempi: “Quando vedete una nuvola salire da Ponente, subito dite: «Arriva la pioggia», e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: «Farà caldo», e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12.54-56).

La differenza fondamentale tra i due passi è che in Luca i Giudei venivano rimproverati perché avevano tutti gli elementi, nelle Scritture, per poter accogliere Gesù, mentre nel nostro caso è Lui stesso a dare indicazioni per riconoscere i segni del Suo ritorno. E il metodo per individuare l’avvenimento è concettualmente lo stesso, perché in entrambi i casi viene preso esempio da fenomeni naturali, la nuvola da Ponente e lo scirocco da un lato, e il fico dall’altro.

È la terza volta in cui compare il fico: la prima fu in una parabola (Luca 13.6) in cui il padrone della vigna ordinò al suo dipendente di tagliarne uno sterile, ma questi gli propose di dargli ancora un anno di tempo sotto le sue cure prima di procedere; la seconda la abbiamo con l’albero che Gesù seccò perché non dava frutti.

Nel caso in esame invece abbiamo una pianta che si presume sana, che con il suo risveglio annuncia l’estate, stagione particolare che nella Scrittura rappresenta il tempo del raccolto, quando la terra dà i frutti migliori. È una stagione che parla di previdenza e lavoro (“Va’ alla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo, né sorvegliante, né padrone, eppure d’estate si procura il vitto, al tempo della mietitura accumula il cibo”, Proverbi 6.6-8, “Chi raccoglie d’estate è previdente e chi dorme al tempo della mietitura è uno svergognato”, 10.5).

L’estate ha poi riferimento anche con il rinfrancamento, come in 2 Samuele 16.2, “i pani e i frutti d’estate sono per sfamare i giovani, il vino per dissetare quelli che saranno stanchi nel deserto” e comunque, il tempo del raccolto è indicativo anche alla luce di Geremia 8.20, “È passata la stagione della messe, è finita l’estate e noi non siamo stati salvati”, che è anche un tema trasversale del nostro studio.

Ora, considerando il verso 33, “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che è vicino, alle porte”, Luca scrive “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21.28): liberazione, quindi la fine del “combattimento della fede”, dell’umiliazione, della convivenza forzata con l’ignoranza, il paganesimo (anche quello che ci portiamo dentro come bagaglio storico), la ribellione dell’uomo alle regole più elementari circa la conduzione di una vita ordinata. Credo sia a questo che l’apostolo Paolo allude in Romani 8.23, “…anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. Adozione che già abbiamo, ma che sarà perfetta quando potremo essere riuniti a Lui.

Resta da considerare, circa il verso 33, cosa significhi in concreto l’essere “vicino, alle porte”, che sono convinto sia riferito non a un avvenimento preciso, ma a tre, perché ricordiamo che dovevano ancora verificarsi la presa di Gerusalemme e poi, per noi, il rapimento della Chiesa, il Millennio e il ritorno di Gesù in giudizio ed è per questo che Giacomo, “fratello del Signore”, scrivendo la sua lettera “alle dodici tribù di Israele”, afferma “non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte”: si tratta di un tempo sempre propizio per il Ritorno, perché si tratta di un “giorno e di un’ora” conosciuta solo dal Padre, elemento questo che non può che acuire nel credente la vigilanza.

Certo, questa dev’essere spirituale, non influenzata da fatalismo come avveniva nella Chiesa di Tessalonica di cui abbiamo più volte accennato: la veglia è concreta e organizzata, accettata come qualcosa di inevitabile e di lei Gesù stesso parlerà in questo sermone con vari esempi ai versi da 42 a 51 e, subito dopo, con le parabole delle dieci vergini e dei talenti (cap. 25) per concludere col Giudizio finale.

 

Arriviamo così al verso 34, fonte per molti di grossi problemi interpretativi, “In verità vi dico – quindi “Amen” di Dio –: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”: sono parole dalle quali si potrebbe pensare che la “fine” debba avvenire in uno spazio temporale fra i trenta e i cento anni perché tale approssimativamente è la durata di una generazione. Ancora una volta torna il problema della traduzione e del fatto che una lingua diversa dalla nostra ha sostantivi che non possono rendere sufficientemente, tradotti, l’idea di ciò che rappresentano. Ciò che è reso con “generazione” è “ghenéa” che esprime anche il tempo che intercorre tra la nascita e la morte e l’idea della durata in vita di un complesso di uomini, quindi il senso viene notevolmente ampliato e reso quasi indefinito, assolutamente indicativo.

Ecco perché Giovanni Diodati impiega, al posto di “generazione”, “età” e Mons. Antonio Martini, nella sua Bibbia del 1778, pur mantenendo il termine, annota “Non finirà la generazione degli uomini, non finirà il mondo prima che queste cose da me predette abbiano il loro adempimento”. La “generazione”, o “età” è quindi “il tempo presente”, quello che non muta mai, in cui l’uomo vive provando gli stessi sentimenti e istinti primitivi nonostante il passare dei secoli e il mutare della tecnologia e della morale.

Sotto questo aspetto nulla importa, da quando Gesù disse queste parole, che siano passate un gran numero di generazioni, mentre rileva che l’essere umano si sia caratterizzato come una creatura sempre più infestante e deleteria per la terra che, alle origini, gli era stata affidata in custodia con tutti gli esseri viventi che la popolavano; poi, con il suo comportamento fisicamente e moralmente violento e omicida, l’uomo finirà per esasperare quelle situazioni che sono sempre esistite (la violenza in qualsiasi sua forma) portandole a un punto di non ritorno, tale per cui l’intervento di Dio per porre fine a tutto sarà l’unica soluzione possibile. Credo che questa lettura, per quanto molto superficiale, sia sufficiente a dare l’idea; praticamente nulla è cambiato né potrà cambiare dalla Torre di Babele all’impero mondiale prossimo venturo.

Dobbiamo tenere presente comunque quanto già detto da Gesù in altre occasioni sul che, comunque, il primo rendiconto sarebbe avvenuto a Gerusalemme: in 16.28 abbiamo “In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo Regno” e in 23.36 “In verità vi dico, tutte queste cose ricadranno su questa generazione”, ancora “ghenéa”, questa volta con significato letterale. Sempre su questo stesso tema c’è poi Luca 11.50: “…perché a questa generazione sia chiesto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione”.

Proseguendo sempre sul nostro verso 34, soffermandoci sulla traduzione di “ghenéa” con “età”, non possono non venire alla mente le parole che Gesù disse ai Suoi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, che altre bibbie riportano con “fino alla fine dell’età presente”, a conferma che l’ ”età” è un ambito, una regione di tempo precisa, assegnata dal Dio Progettista e Creatore dell’Universo.

Anche qui, circa i termini “età” e “mondo” emergono le differenti visioni dei traduttori, perché “Áion” significa “tempo, durata, vita, età, lungo tempo, secolo, era”, addirittura “eternità”, “mondo, secolo presente”. Questo per dire quante sfumature necessarie ci perdiamo leggendo una versione italiana perché, mettendo insieme tutti questi significati, possiamo vedere che anche in queste parole Gesù rinnova la Sua promessa di eternità, dice “sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo per unirvi a me una volta che questo sarà finito”.

“Con voi tutti i giorni”, quindi nel bene e nel male: era presente, ad esempio, quando Giacomo (l’autore della lettera) fu lapidato. Era presente quando i cristiani venivano crocifissi e bruciati vivi a Roma sotto Nerone e così in tutte le altre persecuzioni, dai tempi più antichi ai giorni nostri. È presente tanto in ogni nostra sofferenza che in ogni nostra gioia ed è per questo che ancora Giacomo scrive “Chi tra di voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode” (5.13).

 

Tornando al nostro testo, con le parole “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, Gesù non solo annuncia la fine imminente del mondo che conosciamo, ma prende quegli elementi che a noi sembrano immutabili, come il “cielo” (con il sole, la luna e le stelle) e la “terra”, per farci capire che l’unica a sopravvivere al tempo potrà essere soltanto tutto ciò che ha detto. Cielo e terra sono l’ambiente che ci circonda, quello senza cui non potremmo vivere.

Ricordiamo Salmo 102. 26-29: “In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, tu rimani; si logorano tutti come un vestito, come un abito tu li muterai ed essi svaniranno. Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine. I figli dei tuoi servi avranno una dimora, la loro stirpe vivrà sicura alla tua presenza”, tutto questo perché non si disprezzino anche gli elementi più deboli del creato, “Secca l’erba, appassisce il fiore quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Isaia 40.7-8).

Ecco allora che, se per l’uomo antico era naturale considerare immutabili “il cielo e la terra”, quello di oggi va oltre, ingannato dall’Avversario, perché vede nella tecnologia la soluzione a tutti i suoi problemi. Sarà quando la cosiddetta intelligenza artificiale avrà preso il sopravvento sulle vite di tutti che, forse, qualcuno inizierà ad avere dei dubbi sulla legittimità di tutte quelle azioni che avranno portato alla sua instaurazione.

Eppure, in tutto questo percorso umano così delirante in cui è in atto una totale sovversione delle più elementari regole anche solo semplicemente morali, esiste ancora la Parola di Dio che chiama: “Alzate al cielo i vostri occhi, e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta”.

Possiamo allora concludere con le parole di Pietro nella sua seconda lettera: “Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al signore un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta” (3.7-9). Amen.

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16.37 – IL SERMONE PROFETICO X: LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO II (Matteo 24.29-31)

16.37 – Il sermone profetico 10: la venuta del figlio dell’uomo II (Matteo 24.29-31)

 

29Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
30Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria.31Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli.

 

Credo che con questi versi ci troviamo di fronte al punto più complesso di tutto il sermone profetico di Gesù, che comunque dà delle importanti chiavi di lettura nei successivi, che devono essere necessariamente tenuti presenti. Il primo è già stato ricordato, il 34, “In verità io vi dico, non passerà questa generazione – ghenéa, non così tradotta da tutti – prima che tutto questo avvenga”. Il secondo è quello successivo, “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, il terzo è il 36, “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa: né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”.

Come leggere dunque il passo in esame, venendo spontaneo applicarlo al Ritorno che tutti i veri cristiani attendono da circa duemila anni? “Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria”, non può forse essere collegato a 1 Tessalonicesi 4,17, “…quindi noi, che vivremo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro – i morti in Cristo – nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore”? È una domanda importante, che può trovare risposta solo nella purivalenza contenuta nelle parole di Gesù che hanno un substrato tanto di imminenza temporale, che di distanza dal punto di vista umano. Ed ecco perché non sono da tutti interpretate nello stesso modo.

 

Venendo ora al testo è naturale che la nostra attenzione si focalizzi sulle parole “Subito dopo” che suggeriscono un’immediata successione. L’avverbio “Euzéos” significa “subito, presto, subitaneamente” e lo troviamo come reazione pronta e immediata: così fu con Pietro quando rischiava di affogare nel lago di Gennezaret, dove leggiamo che “Subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»” (14.31). Ancora, ricordiamo quando Simone e Andrea “…subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Marco 1.18) o il paralitico di Capernaum che, guarito, “…si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò” (2.12) e molti altri casi. Abbiamo però un “subito” in un certo senso più dilatato, come ad esempio nella parabola dei terreni in cui, relativamente al secondo, è detto che “Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra: germogliò subito, perché il terreno non era profondo” (Matteo 13.5); in quest’ultimo caso, abbiamo un processo non immediato, ma che si caratterizza comunque con velocità rispetto al germogliare degli altri semi.

Può allora rientrare quel “subito dopo” nell’ambito del concetto secondo il quale “davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno”, come scrive l’apostolo Pietro nella sua seconda lettera citando il Salmo 90? Credo che la risposta possa essere affermativa e che qui Gesù parli allargando il concetto di tempo e non a caso i versi in esame hanno fatto sì che i commentatori si dividessero fra chi li legge in un futuro immediato, dopo la distruzione di Gerusalemme, e chi li pone agli ultimi tempi, quando si manifesterà pienamente quanto descritto. La stessa dilatazione temporale, concettualmente, la leggiamo in Malachia 3.1-3: “Ecco, io manderò un mio messaggero – Giovanni Battista – a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate, e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti”. Da qui, ecco un altro salto di oltre duemila anni: “Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento”.

Il nostro testo riporta “Dopo la tribolazione di quei giorni”: quali? Anche qui non c’è una risposta esatta perché non dobbiamo aspettarci fenomeni nel sole, nella luna e nelle stelle, (per lo meno non nell’immediato), ma la perdita di punti di riferimento, come già accennato in altre riflessioni. Ricordiamoci che Marco, nel suo parallelo, scrive “In quei giorni, dopo quella tribolazione”, cioè dopo “quei giorni abbreviati grazie agli eletti che si è scelto” (13.24) che riguardano sì la tribolazione di Gerusalemme, ma anche tutte quelle che verranno dopo. Ricordiamo le parole di Daniele 9.26, “…il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario, la sua fine sarà un’inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all’ultimo”, cioè dalla caduta della città a quella del mondo, che deve ancora verificarsi.

Riguardo al verso 29, il parallelo di Luca riporta: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose – cioè i primi segni – , risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21.25-28).

Credo che la nostra attenzione debba, più che focalizzarsi sui cataclismi cosmici, tenere presente il linguaggio profetico, che ritengo un importante aiuto per la comprensione del discorso di Nostro Signore: ad esempio così Isaia profetizza la rovina di Babilonia in 13.10: “Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminare i peccatori. Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro luce, il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà più la sua luce. Io punirò nel mondo la malvagità e negli empi la loro iniquità. Farò cessare la superbia dei protervi e umilierò l’orgoglio dei tiranni”.

Ezechiele 32.7,8 così parla della distruzione dell’Egitto: “Quando cadrai estinto, coprirò il cielo e oscurerò le tue stelle, velerò il sole di nubi e la luna non brillerà. Oscurerò tutti gli astri del cielo su di te e stenderò sulla tua terra le tenebre”. Gioele 2.30,31 descrive la fine con queste parole: “Farò prodigi nei cieli e sulla terra: sangue, fuoco e colonne di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e terribile giorno del Signore”. Credo siano passi da meditare, seguendo il loro significato letterale raccordandolo a quello spirituale e sforzandoci di assorbire il senso di gravità e di immanenza che trasuda da essi: in tal modo si potrebbe capire che quanto contenuto in questi versi non può essere spiegato con parole umane, ma va compreso e sigillato. Mai mi era capitato di trovarmi in difficoltà a spiegare un brano a parole come un questo caso e posso dire che, dopo essermi posto all’ascolto, ho sentito veramente “il suono di molte acque” nel senso che, al posto di una soluzione, ce ne sono migliaia, tutte su frequenze diverse, tutte ugualmente esatte.

E se è possibile descrivere un dolore, uno stato di angoscia di cui si conosce la localizzazione e la causa, così non si può fare – tanto per citare il primo che mi viene in mente – per un attacco di panico o, come nel caso dei passi profetici riportati, quando si ha la perdita totale dell’omeostasi, psichica e fisica. L’uomo può definirsi vivo non solo in presenza del battito cardiaco, ma quando è in grado di progettare, scegliere, spostarsi, fare qualsiasi azione anche banale, soprattutto porsi degli obiettivi da raggiungere, ma che lo caratterizza come essere autonomo, in grado di prendere decisioni, giuste e sbagliate che siano. E i versi citati escludono tutte queste cose. Credo che sia da qui che dobbiamo partire per capire le parole di Gesù; il resto sono ipotesi che potranno venire annullate, confermate e sviluppate col tempo. Credo che qui Gesù dimostri di tenere sempre presente il Suo ritorno, e infatti ben presto inizierà ad illustrare ai Suoi alcune parabole proprio sulla vigilanza, concetto ancora più importante della chiusura finale del tempo dato per vivere (o morire) alla Sua luce.

Un fratello ha osservato che “il sole, la luna etc. sono i simboli del Sommo Sacerdote, del Sinedrio, degli Anziani; in una parola, di tutti i rettori della nazione giudaica, ed il loro oscuramento indica la distruzione del sistema di cui erano i custodi e rappresentanti, e la finale dispersione della nazione. È possibile che questa predizione si riferisca anche alla rovina dei dieci re di cui parla l’Apocalisse, la quale succederà prima del Millennio, e che essa debba avere un terzo adempimento nella distruzione finale del mondo”.

Infatti: “Le dieci corna che hai visto sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale per un’ora soltanto, insieme con la bestia. Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia. Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re. Quelli che stanno con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli” (17.12-14). Notare il tempo concesso, un’ora, cioè quanto basta per fare, ma molto poco, a fronte della presunzione di durata e potenza della quale si saranno nutriti. Se la vita di un uomo, che possiamo stimare oggi attorno agli 80 anni, è vista come un soffio, cos’è un’ora? Un minuto vissuto sessanta volte, non si fa comunque tempo a iniziare che il tempo a disposizione è scaduto. L’ora è così come qualcosa di profondamente umiliante se confrontata con le aspettative di quei re, dieci, asserviti alla divinità asportata del numero.

“Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo”, cioè Lui stesso, “segno” fin dall’inizio secondo Isaia 7.14 e per come fu visto dai profeti, ad esempio in Daniele 7.13: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo…”. La dinamica, per come è rappresentata da Matteo, indica il ritorno dei Figlio in giudizio più che per il rapimento della Sua Chiesa, che comunque darà inizio a una storia umana completamente diversa; il “battere il petto di tutte le tribù – nazioni – della terra” indica un’autoaccusa, l’acquisizione del fatto secondo cui la condanna è inevitabile e soprattutto avverrà unicamente per colpa di tutti coloro che non avranno voluto approfittare del tempo di Grazia loro concesso prima dell’alt di Dio alla loro tanto cercata indipendenza da Lui.

Il battersi il petto sarà l’unico modo che avranno i popoli che non si saranno convertiti per esprimere il proprio dolore perché vedranno dal vero, in tempo reale, Colui di cui avranno negato o disprezzato opere, esistenza, morte e risurrezione per cui comprenderanno la loro impossibilità a sussisterGli davanti.

Infine, l’ultimo verso credo sia particolarmente caro a tutti i cristiani perché parla di raccolta: “Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba – ultima perché definitiva –. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati” (1 Corinti 15.51-52).

Anche qui credo che vi sia comprensione dei periodi relativi al rapimento e dell’ultimo tempo, quello del giudizio finale, perché vi sarà da raccogliere tutti coloro che avranno creduto nella Gran Tribolazione, quando “Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le loro opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco” (Apocalisse 20.13-14).

In conclusione, la “lunga” storia umana troverà lì contemporaneamente la propria fine e il proprio oblio, a differenza dei salvati che vedranno così adempiute le parole di Gesù ai mietitori a conclusione della parabola della zizzania in Matteo 13.39: “Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano, invece, riponetelo nel mio granaio”. Amen.

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