16.50 – LA CONGIURA CONTRO GESÙ (Matteo 26.1-3; 14-16)

16.50 – La congiura contro Gesù (Matteo 26.1-3; 14-16)

 

1Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: 2«Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso».3Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. 5Dicevano però: «Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo».

(…)

14Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti 15e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. 16Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.

 

Il sermone profetico si è appena concluso e Gesù torna al tempo presente dando il quarto annuncio della sua passione e morte. Ricordandoli, abbiamo il primo in Matteo 16.21: “Da allora – dal riconoscimento di Gesù come “il Cristo” da parte di Pietro – Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”; il secondo in 17.22,23: “Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” e il terzo in 20.17-19 “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà”. Nel nostro passo, invece, abbiamo letto “Voi sapete” con un riferimento alla morte nel giorno di Pasqua, mai fatto fino ad ora, e la scomparsa della dichiarazione di risurrezione, presente nelle atre occasioni. Abbiamo allora una progressione che ci parla, fra l’altro, di un Dio che ha voluto farsi uomo ed essere soggetto, tra le molte cose, al tempo: passata l’infanzia, l’adolescenza, il periodo in cui lavorare, veniamo al Ministero così perfetto e assoluto di un Dio che opera ma sente la fatica, che ha bisogno di mangiare e di bere, di riposare e, come tutti, non può sfuggire alla propria morte, nel Suo caso violenta e infamante, di croce.

Inoltre abbiamo l’aggiornamento del vero significato della Pasqua: certo i discepoli sapevano che questa sarebbe avvenuta fra due giorni, ma da allora in poi sarebbe stato Lui il vero Agnello immolato perché “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1 Corinti 5.7).

Anche per i discepoli essere soggetti al tempo significa fare i conti con ciò che li attende, cioè non solo il distacco violento dal loro Maestro, ma tutto il disorientamento e il dolore che si impossesserà di loro fino a quando non avverrà la risurrezione, con la discesa dello Spirito Santo che si sarebbe verificata.

Ogni essere umano, quindi, ha un appuntamento con uno o più eventi che lo riguardano e ai quali non può giungere impreparato perché, per quanto faccia o voglia, è impossibile sfuggir loro essendo lì, pronti ad attenderlo da anni: sono le prove che ognuno di noi dovrà affrontare, indipendentemente dalla loro portata. Naturale per me pensare a Pietro e ai tanti altri menzionati nel libro degli Atti (pensiamo ai primi, Stefano e l’apostolo Giacomo), e alle sofferenze che tutti dovettero affrontare per il Vangelo.

Altra particolarità del verso 1 è che la forma verbale utilizzata non è “sarà consegnato”, ma “è consegnato”, rendendo molto drammatica l’idea del Figlio di Dio innocente che non ha più tempo: non può più difendersi, non sarà più possibile agli evangelisti scrivere “passò in mezzo a loro e se ne andò”, o ancora “si nascose da loro”. Gesù “è dato”, consegnato agli uomini non perché facciano di lui quello che vorranno, ma solo per quanto sarà concesso loro e le parole, “è dato agli uomini perché sia crocifisso” danno piena drammaticità all’ “allora” del verso tre: la riunione del sinedrio, con i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nel palazzo di Caiafa, sommo sacerdote.

“Allora”, che significa “in quel momento”, “dopo di che”, quasi che sia lo stesso Gesù, Signore anche del Tempo e della Storia, ad autorizzare l’inizio del periodo che lo porterà all’arresto e al processo. A differenza di tutte le altre volte in cui scribi, farisei e gli altri gruppi cospirarono inutilmente contro di Lui, qui riusciranno apparentemente nel loro intento, “catturare Gesù con l’inganno e farlo morire” (v.4).

Evidente il collegamento con il Salmo 2 sul quale è necessario soffermarsi brevemente perché ci dà le dimensioni, la portata effettiva di quanto stava avvenendo:

 

“Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato «Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!».

 

È la prima parte del Salmo, che descrive le nazioni che si oppongono a Dio, che possiamo identificare, opponendosi al “Signore e al suo Consacrato”, nel sinedrio quale antesignano di tutti coloro che verranno dopo. Questa cospirazione, però avviene “invano” nel senso che non produrrà il risultato sperato. Si noti che tutto accade con un fine preciso, “spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo”, quello “leggero” di cui parlò Gesù, una volontà distruttiva che ricadrà su di loro.

Infatti

 

“Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro. Egli parla nella sua ira, li spaventa con la sua collera: «Io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion, mia santa montagna».

 

Il “ridere” di Dio, qui da intendersi nel senso che nulla di quanto può progettare l’uomo a Lui ostile può ferirlo o scalfirne anche infinitesimamente la potenza, trova come conseguenza il “parla nella sua ira” con un decreto di stabilità del “suo sovrano” cioè un re che gli appartiene, da lui costituito, che non può essere altri che il Figlio il quale regnerà su tutto il mondo proprio a partire da Gerusalemme.

Ma quanto durò la speranza, da parte del Sinedrio, di aver risolto una volta per tutte il problema di Gesù? Non è facile rispondere perché Dio parlò già a crocifissione in atto, quando leggiamo che “a mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio” e poi, dopo che spirò, “il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. (…) Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era figlio di Dio» (Matteo 27.45-54). Luca scrive che “Tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era avvenuto, se ne tornava battendosi il petto” (23.48).

Altro “parlare” di Dio avverrà poi con la risurrezione del Figlio, cui seguirà il complotto per mettere a tacere l’episodio, e ancora l’inutilità del proibire, da parte dei Giudei, la diffusione del cristianesimo.

Il nostro Salmo prosegue con l’annuncio del decreto:

 

“Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane. Le spezzerai con scettro di ferro, le frantumerai come vaso di argilla»”.

 

Gesù qui si presenta con credenziali inoppugnabili: quell’”oggi ti ho generato” non sta a significare che c’è stato un momento in cui è avvenuto il suo concepimento, ma quell’“oggi” è per gli uomini, che lo conoscono e per i quali è generato nel momento stesso in cui ne apprendono l’esistenza e l’opera. L’”oggi” vale per il momento in cui Gesù si fa conoscere da chiunque lo accoglie per cui avrà in eredità le genti, coloro che lo hanno conosciuto e gli appartengono. Segue poi il giudizio con “uno scettro di ferro” che in quanto tale frantuma e annienta le nazioni.

Quarta e ultima parte del Salmo è un’esortazione agli uomini:

 

“E ora siate saggi, o sovrani; lasciatevi correggere, o giudici della terra; servite il Signore con timore e rallegratevi con tremore. Imparate la disciplina, perché non si adiri e voi perdiate la via: in un attimo divampa la sua ira. Beato colui che in lui si rifugia”.

 

È la beatitudine di chi è al sicuro, esatto opposto di quanti cospirano nella corte di Caiafa.

I problemi che i convenuti presso l’abitazione del sommo sacerdote dovettero affrontare erano quindi due: trovare un pretesto per arrestare e condannare Gesù e farlo senza provocare disordini perché, nell’occasione delle feste giudaiche più importanti, c’era sempre una coorte romana che si schierava lungo il portico del Tempio, “armati affinché la folla radunata non facesse sedizioni” (Ant. Giud., 224). La frase “Non durante la festa”, allora, rivela tutta l’urgenza del caso: se l’arresto si fosse verificato durante la Pasqua, molti pellegrini o Galilei favorevoli a Gesù avrebbero potuto insorgere a Sua protezione e, se fosse stato preso dopo, avrebbe potuto allontanarsi dalla città con i pellegrini che facevano ritorno alle proprie regioni di provenienza. Alla festa, però, mancavano solo due giorni (Marco 14.1, “Mancavano due giorni alla Pasqua”), ed ecco allora apparire la strategia dell’Avversario che si serve di Giuda perché ciò avvenisse.

È l’apostolo Giovanni a darci un quadro preciso degli avvenimenti che fecero da contorno a tutta quella cospirazione: “Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo” (11.55-57).

Nel trascrivere il testo di Matteo 26 all’inizio, sono stati tralasciati i versi da 6 a 13 che riferiscono l’episodio di Maria, sorella di Lazzaro, che unse il capo di Gesù con il profumo prezioso già commentato in precedenza. Sappiamo che fu questo dono che scandalizzò i discepoli che, conoscendone il valore, lo ritennero uno spreco. Loro si limitarono a questo, ma Giuda, che era avido, lo ritenne un affronto alla sua logica (ricordiamo che, monetizzato, quel profumo era valutato la paga annua di un operaio). A questo punto, occorre entrare nelle dinamiche che portarono quest’uomo a tradire il suo Maestro, cosa estremamente complessa in quanto non esaminabile secondo i canoni della psicologia umana. Se possiamo comprendere da questo punto di vista gli apostoli, alcuni dei quali ritratti in tal senso, dobbiamo tener presente che di Giuda, dal punto in cui prese il boccone di pane intinto nel vino, è scritto che “Satana entrò in lui” (Giovanni 13.27) per cui divenne sua proprietà, da lui governato e diretto.

Qui si aprono discussioni infinite: ci si potrebbe chiedere in quale misura fosse responsabilità di questo apostolo tutto ciò che avrebbe fatto da lì in poi, se il suo riportare i trenta sicli d’argento ai capi dei sacerdoti agli anziani “preso dal rimorso” e la sua frase “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente” (Matteo 27.3,4) non rivelino un pentimento disperato preludio al perdóno, ma ci porremmo su un piano valutativo non corretto, su premesse inopportune destinatarie di conclusioni errate: come vedremo, infatti, Giuda si pose sempre su un piano di opposizione verso il suo Maestro, a tal punto che, in tempi “non sospetti”, disse “Non sono forse io che ho scelto voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo” (Giovanni 6.70) nel senso originario del termine, quindi colui che calunnia, si oppone, contraddice, non uno spirito del male, quanto piuttosto colui che lo porta dentro di sé.

Possiamo quindi concludere che il verso 14 di Matteo, “Allora uno dei dodici…”, si riferisca al momento in cui in Giuda sorse l’idea definitiva del tradimento, che metterà in pratica subito dopo aver partecipato all’ultima cena quando Gesù gli disse “Quello che vuoi fare, fallo presto” (Giovanni 13.27). E viene spontaneo pensare che quello fu l’unico ordine che ascoltò e mise in pratica.

In realtà, dopo l’ultima cena Giuda uscì dalla sala per andare dagli avversari di Gesù per consegnarglielo ufficialmente, quando aveva già stabilito con loro la Sua consegna. A parte il testo di Matteo, così leggiamo in Marco 14.10: “Allora Giuda Iscariota, uno dei dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Egli cercava di consegnarlo al momento opportuno – dopo la cena –“. Luca: “Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota – cioè “l’uomo di Kerioth” –, che era uno dei dodici. Egli andò a trattare con i capi dei sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo a loro. Essi si rallegrarono e concordarono di dargli del denaro. Egli fu d’accordo e cercava l’occasione propizia per consegnarlo a loro, di nascosto dalla folla” (22.6). E infatti questo avvenne di notte.

Ultima considerazione l’abbiamo sul prezzo fissato, trenta sicli, il prezzo di uno schiavo (Esodo 21.32). Questa fu la valutazione del sinedrio, che Giuda ritenne equa. Non sono la cifra è indicativa sulla considerazione in cui entrambe le entità valutarono la persona di Gesù ma Matteo, che è l’unico a riferirla, fa così per metterla in relazione a Zaccaria 11.12: “Poi dissi loro: «Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare». Essi allora pesarono trenta sicli d’argento come mia paga”.

Va sottolineato che si parla di “sicli” e non di “denari” come opinione comune; 30 sicli infatti corrispondevano a 120 denari, valendone il siclo quattro.

Tre quindi sono i drammi che stanno per compiersi: l’arresto e la Passione i Gesù, il suicidio di Giuda e la distruzione di Gerusalemme (e non solo), questi ultimi due che si possono intravedere in Geremia 18.11,12: “Dice il Signore: Ecco, sto preparando contro di voi una calamità, sto preparando un progetto contro di voi. Su, abbandonate la vostra condotta perversa, migliorate le vostre abitudini e le vostre azioni. Ma essi diranno: «È inutile, noi vogliamo seguire i nostri progetti, ognuno di noi caparbiamente secondo il suo cuore malvagio”.

Così infatti pensano un cuore e una mente lontani da Dio. Amen.

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