16.33 – IL SERMONE PROFETICO VI: TRIBOLAZIONE E VANGELO (Matteo 24.9-14)

16.33 – Il sermone profetico VI: Tribolazione e Vangelo (Matteo 24.9-14)

 

9Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.

 

Teniamo presente il verso ottavo letto la volta scorsa, “ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori”, che implica lo svolgersi della Storia. In pratica, tornando momentaneamente a quanto già detto da Gesù, i falsi cristi, le guerre e le voci di esse, le carestie e i terremoti, sono segni premonitori del Suo ritorno e del tempo della fine, ma non LA fine; anzi, proprio loro costituiscono “solo l’inizio” di quel cammino di dolore che la cristianità sarà tenuta a percorrere fino a quando non verrà tolta dal monto attraverso il rapimento. Particolarissimo è il fatto che la traduzione corretta di “sentirete parlare di guerre…” è “State per sentire parlare”, che colloca meglio nel tempo quanto sarebbe avvenuto.

Fatta questa breve parentesi, il verso nono inizia esattamente dallo stesso periodo degli altri e copre, in pratica, lo spazio temporale  che va dalla discesa dello Spirito Santo sui 120 a Gerusalemme in avanti, cioè al verso 14, “Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli, e allora verrà la fine” in cui la distruzione della santa città nel 70 ha un ruolo importante nel senso che i discepoli, che udirono queste parole direttamente dalla voce di Gesù, avrebbero dovuto tenere ben vigile la loro attenzione per poter scampare a quello sterminio. Il libro degli Atti contiene molti episodi riguardo alla diffusione del Vangelo, con Marco 13.9 che spiega molto bene in cosa consista la “tribolazione”: “Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro”.

Più nei dettagli, va ricordato che i discepoli, vivente ancora il loro Maestro, furono banditi dalle sinagoghe come abbiamo letto nella nota di Giovanni 9.22 “…infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga”, per cui già potevano capire ciò che li attendeva. Dopo la crocifissione di Gesù sappiamo che il sinedrio agì con sempre maggior protervia nei loro confronti arrestandoli, incarcerandoli e mettendoli a morte, per non parlare di Giacomo, fratello di Giovanni, di cui leggiamo in Atti 12.1-2: “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro”, poi liberato miracolosamente da un angelo del Signore, come scritto.

Ricordiamo l’apostolo Paolo, che da persecutore accanito divenne un perseguitato venendo più volte flagellato, incarcerato e lapidato, comparendo davanti a governatori (Atti capp. 24 e 25), davanti al re Agrippa (cap.26) e addirittura a Nerone (o al prefetto del Pretorio), cosa che avvenne probabilmente quando sbarcò a Pozzuoli (Atti 28.13) diretto a Roma.

Abbiamo poi “…e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome”, che a mio giudizio indica un salto temporale, crea un arco che copre la predicazione in quel lungo percorso che culminerà al già ricordato verso 14, quello della testimonianza a tutti i popoli che si conclude con “…e allora verrà la fine”. Sulle persecuzioni cristiane abbiamo già dato cenno in vari capitoli, ma va evidenziato e ribadito come queste, quando vengono annunciate dai quotidiani, non trovano mai alcuna attenzione nell’opinione pubblica come avviene per le discriminazioni sugli omosessuali e le minoranze in genere. Il 2022 ha visto la morte di 5.621 persone, quindici al giorno, l’89 per cento delle quali in Nigeria e comunque si calcola che il numero di cristiani perseguitati nel mondo sia di 360 milioni, cifra in crescita visto che nel 2020 erano 340 e nel 2019 260 con una flessione in avanti nel 2018, 300 milioni.

Va sottolineato poi il fatto che Gesù non dica “sarte odiati da tutti a causa mia”, ma “del mio nome”, l’unico perché “in nessun altro vi è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4.12). Ecco allora che la persecuzione non va intesa tanto nell’odio di uomini nei confronti di altri, ma di una reazione di persone dedite all’Avversario che, attraverso la persecuzione e l’omicidio, sanno che verrà il tempo in cui “ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio” (Romani 14.11 – Filippesi 2.10). E questo sarà o in adorazione o in disperata sottomissione, quando ogni pretesa di autonomia e rifiuto della fede sarà annientata.

Il verso 10 ci parla di “molti (che) ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda”, che Luca amplia in 21.10-19 chiarendo un punto molto importante a livello di cronologia circa gli avvenimenti di cui ci siamo occupati: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi persino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.

Quindi Gesù fa riferimento prima di tutto al tempo in cui i discepoli vivevano e poi anche a tutti quelli che sarebbero venuti in seguito. Illuminanti, per il periodo antico, le Sue parole in Giovanni 16. 2-4: “Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto”.

 

La nostra lettura prosegue con “Molti ne resteranno scandalizzati”, cioè sulla persecuzione inciamperanno e penseranno solo a salvare la propria vita, in realtà perdendola. Qui lo scandalo si concreta nel tornare indietro, nell’abbandonare la Chiesa e la professione di fede fatta un tempo, anche questo previsto quando Gesù disse “Beato chi non trova in me motivo di scandalo” (Matteo 11.6). Da notare poi che sarà la delazione un fattore importante nella persecuzione, cosa che sempre avviene quando i Governi ostacolano le idee contrarie alla visione comune, ma ancora di più è da attendersene un ritorno quando, col sistema della Bestia prossimo a venire, avremo la religione di Stato come unica possibile, quando si instaurerà un governo mondiale e gli Stati come noi li intendiamo oggi non esisteranno più, con un’unica valuta elettronica e il microchip come unico strumento per comprare, spostarsi, effettuare tutte le operazioni della vita quotidiana.. Il messaggio di Gesù, quindi, è sempre attuale, è nel passato, nel presente e nel futuro perché non potrebbe essere “lo stesso di ieri, di oggi e di sempre”, per cui la sua lettura va fatta tenendo sempre presente questo principio.

 

Altro punto peculiare è presentato al verso 12, “per il dilagare dell’iniquità si raffredderà l’amore di molti”: “Iniquità” è tradotto dal greco “anomìa”, cioè “violazione della legge, illegalità, anarchia, disordine”, è una parola composta dalla privativa “a” e da “nomos”, quindi “regola”. Allora, per il dilagare del disordine causato dall’assenza di qualsiasi norma morale, molti si adatteranno a quel modo di agire e l’amore di molti “si raffredderà”, cioè non sarà più operante, ma resterà in una forma simulata. Ricordiamo le parole alla Chiesa di Efeso, “Ho da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricòrdati dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò e toglierò il tuo candelabro – la testimonianza – dal suo posto” (Apocalisse 2.4.5), quelle terribili a Laodicea (“So che non sei freddo né caldo”) e infine Giacomo 2.14,15 che descrive un aspetto importante del raffreddamento: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a cosa serve?”.

Allora l’amore di molti si raffredderà nel senso che l’abbandono del “genuino latte spirituale” (1° Pietro 2,2), la sostituzione dei principi e della pratica della Scrittura lasceranno al posto ad un agire di comodo, con parvenza di cristianesimo, ma privo di sostanza e operatività, possibili solo con l’amore. Ricordiamo la domanda di Gesù in Luca 18.8, “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

E arriviamo in fine al verso 15, sul quale non pochi hanno inciampato sostenendo che la salvezza si può perdere, “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”: in realtà abbiamo già letto la variante di Luca, “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”, che sta a significare il fatto che se uno è salvato persevererà sempre, con i talenti ricevuti, con un cammino magari incerto, i suoi alti e bassi, ma caratterizzato comunque da un obiettivo e la volontà di raggiungerlo. Chi non lo fa, chi non persevera non necessariamente dandosi al male, sarà come l’abusivo al banchetto di nozze, o le cinque vergini stolte che esamineremo; sarà sempre stato un estraneo, un transito.

La frase è poi chiaramente riferita al contesto espresso da Gesù ribadito in Marco 13.13 dove la perseveranza è legata al clima di persecuzione descritto; coloro che non perseverano “fino alla fine” sono quelli che “non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno” o “dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione” (Luca 8.13-15).

Al contrario “Dio renderà a ciascuno secondo le loro opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore e incorruttibilità” (Romani 2.7): si noti il “cercano”, che comprende fatica, costanza e metodo spirituale, quindi anche stanchezza, inabilità temporanea, errori di valutazione. Come dirà l’autore della leggera agli Ebrei, “Noi non siamo quelli che cedono per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima” (10.39), cioè che in un modo o in un altro trovano il modo di andare avanti comunque, secondo 2 Corinti 4.7-10: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo con la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”.

 

Concludendo, arriviamo al verso 14, quando si parla della diffusione del “Vangelo del Regno”: è immediato per noi fare un accostamento al fatto che il cristianesimo si è diffuso praticamente in tutto il mondo, nonostante le persecuzioni e vi siano molti stati che lo proibiscano, ma dobbiamo chiederci se questa frase sia riservata a quei cristiani che sarebbero vissuti negli ultimi tempi (nel senso stretto del termine), oppure riguardi anche i discepoli. Propendo per questa seconda ipotesi, pur certo non escludendo la prima. Ricordiamo infatti la domanda originale che fu posta a Gesù, “Dicci quando avverranno queste cose – la distruzione del Tempio – e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo”: qui, la “fine” credo sia specificatamente quella del Tempio con la sua distruzione del 70 e che la predicazione del Vangelo “in tutto il mondo” sia riferita a quello conosciuto e non ai cinque continenti.

Con questo verso abbiamo quindi due realtà, quella antica in cui l’apostolo Paolo poteva dire che il Vangelo veniva annunciato “a tutte le genti” (Romani 16.26) e quella futura in cui Giovanni vede “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani” (Apocalisse 7.9). Ricordiamo che, in base alle tradizioni più antiche, Paolo predicò il Vangelo in Spagna, nella Gallia e in Britannia e che, prima della distruzione di Gerusalemme, Tommaso lo predicò in Persia e, forse, anche in India per cui, per quei tempi, il vangelo del Regno poteva dirsi portato in tutto il mondo. E la “fine”, quella in cui non sarebbe stata lasciata pietra su pietra, sarebbe giunta. Certo, a noi sta lo scrutare i segni che ci vengono dati per attendere il Suo ritorno e con esso la fine delle nostre esistenze in un mondo che, per me da molto tempo, ha ben poco da offrire. Amen.

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07.16 – CHI È COSTUI? (Marco 4.41)

7.16 – Chi è costui (Marco 4.41)

 

41E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?»”.

 

In questo capitolo ci occuperemo della domanda riportata nel verso 41. Se ci interrogassimo sui dati che i discepoli potevano avere a disposizione dalle Scritture e dalla loro esperienza personale per rispondere, potremmo circoscriverli all’interno di due gruppi: uno riguarda alcune manifestazioni di Dio prima di quell’episodio, un altro è costituito da cinque cantici presenti nel libro del profeta Isaia che affronteremo nei capitoli successivi. Abbiamo quindi due gruppi di argomenti da affrontare, uno semplice che teoricamente sarebbe stato alla loro portata, un altro più complesso, forse più di competenza di uno scriba o un dottore della Legge.

Abbiamo letto che dopo il miracolo della tempesta sedata i discepoli si chiesero chi Gesù fosse alla luce di ciò che sapevano di lui, ma quali erano gli elementi di cui potevano disporre per darsi una risposta? Teniamo presente che non era stata ancora rivolta a loro la domanda “La gente chi dice che io sia? (…) e voi chi credete che io sia?”, fatta in un momento preciso per verificare l’idea che loro, e non la gente comune, si erano fatti di lui.

Facciamo allora mente locale: quegli uomini si erano trovati di fronte a un personaggio che guariva da ogni infermità, possessioni demoniache comprese. Avevano ascoltato con indubbio interesse le dispute coi farisei e gli scribi sul fatto che gli uni sostenevano che cacciasse i demoni con l’aiuto del loro principe e la confutazione di questa teoria, e ora scoprono di avere a che fare con uno che viene obbedito anche dal vento e dal mare. Nonostante questo si chiedono chi sia. Lasciamo stare il nostro punto di vista al riguardo e andiamo al loro perché il popolo di Israele sapeva che solo Dio poteva dominare gli elementi naturali e usarli come avesse voluto. E teniamo presente che la stessa cosa la può fare Satana, se gli è concesso: ricordiamo che nel caso di Giobbe, prima di intervenire a suo danno, chiese il permesso a YHWH e, cronologicamente, fu il responsabile di questi eventi: come gli comunicarono i suoi servi, “I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontarlo” (1.15); poi “Un fuoco divino – perché allora si riteneva che solo Dio potesse agire così – è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato solo io per raccontartelo” (v.16). Infine al verso 18 “I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti”.

Le forze ostili che possono riversarsi sui credenti, dalle persecuzioni, alla malattia fino agli elementi naturali, trovano così la loro origine in questo personaggio che può scatenarsi su di loro per combatterli come poi per la cristianità è avvenuto tramite un potere religioso (gli ebrei che aizzarono le persecuzioni della Chiesa nella Roma antica e nell’Asia Minore) o politico (la Roma imperiale). La stessa cosa accade anche oggi in molte parti del mondo, per quanto non (ancora) in Europa.

Se il caso dei discepoli non ha nulla a che vedere con quello di Giobbe, citato per descrivere le possibilità che ha l’Avversario, gli scritti dell’Antico Patto hanno precisi riferimenti agli interventi di Dio sugli elementi naturali: ricordiamo il primo, il diluvio, quando “si ruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti” (Genesi 7.11,12). Abbiamo poi la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra in cui “Il Signore – non Satana – fece piovere fece piovere dal cielo fuoco e zolfo proveniente dal Signore” (19.23). Ricordiamo che Dio intervenne nella fisiologia di Sara, Rachele, Anna ed Elisabetta rendendole fertili, la discesa della manna dal cielo per sfamare il popolo di Israele in cammino verso la terra promessa (Esodo 16), prima ancora il giudizio sull’Egitto tramite le dieci piaghe, la divisione delle acque del Mar Rosso per far passare il popolo cui si contrappose l’annientamento dell’esercito del faraone che lo seguiva, l’esaudimento della preghiera di Giosuè quando non tramontò il sole in modo che i Gabaoniti fossero sconfitti.

Per intervento di Elia, profeta che pregò il Signore perché così avvenisse, non piovve sul regno d’Israele per tre anni e sei mesi a causa del comportamento del re Acab, marito di Gesabel, che “…fece ciò che è male agli occhi dell’eterno più di tutti quelli che l’avevano preceduto” (1 Re 16.29-33).

Abbiamo così tre soggetti che possono intervenire sugli elementi naturali: partendo dal basso verso l’altro abbiamo visto Satana, ma deve essergli permesso e soprattutto non si ferma nel suo intento distruttivo per cui non può cacciare se stesso, in altre parole smettere. Per farsi ubbidire dal vento e dal mare, quindi, Gesù non poteva certo utilizzare il “principe dei demoni” come sostenevano i suoi avversari.

Il secondo soggetto è un profeta o un re benedetto dal Signore: ricordiamo i molti miracoli operati da Elia ed Eliseo o, per andare a tempi più remoti, dallo stesso Mosè; ma se Gesù aveva definito Giovanni Battista come il profeta più grande e non miracoli non ne compì, che pensare? Nostro Signore, se fosse stato un profeta, avrebbe potuto intervenire sulla barca in mezzo al lago, come fece. Ma la domanda dei discepoli rimase: chi è costui? Quindi non fecero la connessione tra l’essere profeta e sedare la tempesta.

Restava allora il potere che Dio ha, come abbiamo visto brevemente, di intervenire. E qui non solo avrebbe dovuto entrare in gioco la memoria relativa agli eventi narrati nei rotoli della Bibbia, ma soprattutto quella di ciò che fu udito al battesimo di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Matteo 3.17). Chi quindi poteva essere, se non il Figlio di Dio, quindi Dio stesso?

Credo si tratti di un’associazione elementare che chiunque oggi può fare se in possesso degli elementi basilari che abbiamo visto, ma loro erano lì, terrorizzati, con le onde che si versavano sulla barca facendola affondare, un evento che forse non avevano mai sperimentato in quel modo e quando, venuta la calma all’improvviso, tutto il loro timore svanì, fu come se si fossero svegliati da un incubo che però tale non era perché erano coscienti di cosa avevano vissuto, per cui non furono in grado di ragionare correttamente. La loro natura li aveva dominati e la paura si impadronì di loro quando capirono che tutta l’esperienza e perizia che avevano acquisito negli anni a pilotare barche facendo fronte a venti e correnti, non sarebbe servita a nulla. In quel momento scoprirono che l’uomo, quando esaurisce le sue competenze a fronte delle difficoltà, senza l’aiuto di Dio non può che cedere con angoscia senza alcuna possibilità di riuscita.

I discepoli avevano con loro sulla barca una persona importante che tante volte li aveva rassicurati: orgogliosi di seguirlo, non avevano dato peso alla fatica del cammino lungo le strade di Israele, del disprezzo delle autorità religiose e dei loro conoscenti osservanti la Legge; avevano visto miracoli, sentito tanti insegnamenti e aggiornamenti sulle Scritture, ma lì il pericolo di morire era quanto mai reale e, compreso che tutta la loro esperienza non li avrebbe portati da nessuna parte, lo svegliarono senza pensare che, se l’Emanuele, il “Dio con noi” dormiva, in realtà di pericolo non ce n’era. Già avere con loro Gesù avrebbe dovuto essere sufficiente.

A questo punto il rimprovero che fu mosso ai discepoli presenti lo vedo appartenente al loro passato – ma allora non potevano saperlo – poiché dalle notizie storiche o dal libro degli Atti in cui compaiono Pietro, Giacomo e altri, sappiamo che la paura incontrollata non rientrò più nelle loro esperienze, anzi. Dall’altra, nella paura, vedo la vera disperazione che si impossesserà degli uomini della “gran tribolazione” quando vedranno sgretolarsi tutte le loro sicurezze all’apertura del sesto sigillo: “Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: «Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il giorno della sua ira. Chi può resistere?» (Apocalisse 6.15-17).

Proviamo ad esaminare brevemente questi versi: appartengono ad un tempo in cui vi sarà una distruzione materiale che rientra nei giudizi di Dio che si manifestarono in passato – ma qui sono futuri, vicini al tempo dichiarato della fine – ai quali i credenti, come Noè ai tempi e poi Lot e la sua famiglia, scamparono sempre. Vediamo i profili menzionati degli uomini che cercheranno di nascondersi: saranno “tutti” indipendentemente dal loro ruolo nella società, ma emergono capi di stato, visti nei “re della terra”, i dispensatori di morte e ogni sorta di crimine legalizzato (“i capitani”), i cinici detentori degli imperi finanziari dai quali ogni senso di pietà è assente e tutti coloro che hanno basato la loro prosperità ingannando e facendo soffrire gli altri (“i ricchi e i potenti”). Certo, anche persone comuni, “ogni uomo, schiavo o libero”.

L’apertura del sesto sigillo è descritta così: “…e si fece un gran terremoto; il sole diventò nero come un sacco di crine, e la luna diventò tutta come sangue; le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un forte vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. Il cielo si ritirò come una pergamena che si arrotola e ogni montagna e ogni isola furono rimosse dal loro luogo” (v. 12-14). Non ci sarà la presenza di Gesù, addormentato da svegliare; l’unica preghiera possibile sarà quella pagana, rivolta a soggetti che non possono sentire né rispondere: “Cadeteci addosso”. Perché, come leggiamo in Gioele 2.11 “Il giorno del Signore è grande e assai terribile; chi potrà sostenerlo?”.

Ho usato un termine, “preghiera pagana”, qui usata nel suo senso peggiore perché non ci troviamo di fronte ai pagani “storici” che, privi di rivelazione, si inventano un dio, ma a uomini e donne che hanno deliberatamente rifiutato quello vivente e vero. Troviamo infatti altrove: “Il resto dell’umanità che non fu uccisa da questi flagelli, non si convertì dalle opere delle sue mani; non cessò di prestare culto ai demoni e agli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; e non si convertì dagli omicidi, né dalle stregonerie, né dalla prostituzione, né dalle ruberie” (9.20).

I discepoli, nella loro pochezza di allora, conobbero la paura in un ambiente che, senza la presenza di Gesù, li avrebbe sopraffatti e gli si rivolgono per avere aiuto usando parole che forse non avrebbero mai impiegato in altre circostanze. Allora il Maestro era presente: riportò la calma non senza averli rimproverati per la loro mancanza di fede, il non aver compreso che non può esservi timore se l’Emmanuele ci è vicino. La stessa cosa non avverrà per gli uomini accecati dal proprio orgoglio al tempo della fine.

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