17.03 – GESÙ A TAVOLA COI DODICI (Luca 22.14-16)

17.03 – Gesù a tavola coi Dodici (Luca 22.14-16)

 

14Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». 

 

Il primo verso interessante considerare è il quattordicesimo, che apparentemente descrive un avvenimento che tutti possono comprendere. Ricordiamo che, prima che la cena ebbe inizio, Pietro e Giovanni furono incaricati da Gesù di occuparsi dei preparativi il che richiese non solo prendere gli accordi col proprietario della sala in cui l’avrebbero celebrata, ma occuparsi del necessario come procurare le erbe amare, il pane azzimo, il vino e soprattutto l’agnello che, come era usanza e richiesto, avrebbero dovuto portare al Tempio perché fosse immolato e consegnato ai sacerdoti che ne spargevano il sangue sull’altare, dopo di che dovettero riportarlo alla sala e arrostirlo.

L’ “ora” di cui parla Luca si riferisce a quella poco prima del tramonto, quando il 14 di Nisan finiva, ma ciò che va considerato è il “prese posto a tavola”, che nessuna versione traduce correttamente perché si è perso l’uso antico di mangiare sdraiati. Il verbo impiegato è anapìpto, cioè “coricarsi”.

In pratica, la sala dovette essere apparecchiata non con una grande tavolata con le persone sedute come vediamo nel cenacolo di Leonardo, Michelangelo o altri autori, ma con tredici lettini o divanetti attorno a quattro vassoi contenenti i cibi, equidistanti fra loro. La disposizione era ad una sorta di “U” o semicerchio con Gesù sicuramente al centro con Pietro da un lato e Giovanni dall’altro, questo non solo perché lo stesso Apostolo lo dichiara in 13.23, ma perché l’espressione stessa da lui usata, letteralmente “nel seno di Gesù”, autorizza a pensare che occupasse il lato a destra di Lui.

Giuda, che solitamente è in ombra nel senso che non viene mai citato nei Vangeli se non pochissime volte (Matteo 10.4 nell’elenco dei Dodici, Giovanni 12.6 “Era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”) a parte le connessioni al tradimento, qui si pone accanto a Giovanni e ciò viene dedotto dalla frase “È colui al quale intingerò il boccone e glielo darò” (13.26) e “Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto” (Marco 14.20): siccome ciascun commensale non poteva passare il cibo a più di tre persone né con più di tre condividere il piatto, ecco che abbiamo i posti alla cena che ci interessano con Pietro ultimo anello della catena precedente, e Gesù – Giovanni – Giuda, che prese un posto certamente non suo per importanza, mentre ignoriamo quello di tutti gli altri.

Perché questo apostolo, sempre “nascosto” nei racconti evangelici se non dal momento in cui scelse di tradire, prese un posto così di riguardo, nelle immediate vicinanze del Maestro? La scelta fu probabilmente dovuta a quel meccanismo psicologico che si innesca nelle persone quando, sapendosi colpevoli, desiderano mimetizzarsi ed apparire il più “insospettabili” possibile. Analogo comportamento lo ha ad esempio chi, dopo avere ucciso una persona, chiama per primo gli organi inquirenti non certo per confessare, o si pensi anche a quelli che, poco tempo dopo avere commesso un omicidio ed avendo occultato il cadavere della persona uccisa, partecipano attivamente tra i volontari alle ricerche dello scomparso.

Se Giuda avesse scelto la solita posizione defilata, stante tutto quel che aveva in mente e l’accordo intercorso coi membri del Sinedrio, non si sarebbe sentito tranquillo, pensando di apparire sospetto, e volle quindi simulare ancora di più ciò non che era.

Tornando alla posizione di Pietro, si spiega il motivo per cui è scritto che, affinché Giovanni chiedesse al Maestro chi fosse il traditore, “gli fece cenno” (13.24), richiesta che trova spiegazione solo se Gesù fosse interposto tra loro; Pietro quindi ritenne più discreto far capire a gesti all’amico di informarsi. Resta difficile pensare che questo Apostolo, anche solo essendo il più anziano, non si trovasse a fianco di Gesù come Giovanni anche perché era sicuramente tenuto in considerazione da tutti gli altri in quanto più anziano di loro. Pensiamo poi al fatto che il traditore, prendendo quel posto, si insinua come soggetto assolutamente estraneo rispetto alla logica dei rapporti che avrebbe visto attorno a Gesù, ad esempio, il gruppo più intimo dei Dodici rappresentato da Pietro, Giacomo e Giovanni. Pensiamo comunque anche ad altre persone, come Andrea, Matteo, Filippo il cui nome compare spesso nei Vangeli legato ad episodi importanti.

È probabile che fu proprio il posto che occuparono tutti i dodici a far scaturire la questione su chi di loro fosse il maggiore, cosa che avvenne praticamente subito dopo le parole introduttive del Maestro sul Suo desiderio di mangiare la Pasqua con loro: per quelle persone era più importante capire il grado di importanza che aveva ciascuno e questo era rappresentato dal posto a tavola.

 

Il nostro testo, dopo “Prese posto a tavola e gli apostoli con lui”, prosegue con “e disse loro”: Gesù, conscio di tutto quanto sarebbe accaduto di lì a pochissimo tempo, vede riunita la Sua “famiglia” rappresentata dai Dodici nonostante la stridente – ma necessaria e inevitabile – presenza dell’uomo di Kerioth che comunque diventerà ufficialmente il traditore a partire da un momento preciso, o se preferiamo da più momenti, con azioni ben definite.

Non ci è detto con chi e dove Nostro Signore celebrò la Pasqua negli anni precedenti, ma qui ebbe il ruolo di capo famiglia, celebrandola coi Suoi, dando così conferma di quanto disse in Matteo 12.48-50, “«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre”. C’è quindi una famiglia di Gesù naturale, terrena che fu quella di sua madre Maria, Giuseppe e i Suoi fratelli e sorelle, e ce n’è una spirituale, la Chiesa, in cui oltre alle qualifiche di “fratello, sorella e madre” esiste anche quella di “amici”, come leggiamo in Giovanni 15.13-15, pronunciate da Gesù proprio nel corso di questa cena: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.

In altri termini la Chiesa, vera famiglia di Gesù, è unita dalla volontà e dalla perseveranza nella consacrazione che poi è ricerca: si parte con Giovanni 6.49 con le parole “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”, per poi passare a Romani 12.2, “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”, e Colossesi 4.12 in cui l’apostolo Paolo parla delle preghiere di Epafra suo collaboratore “…perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio”. Ecco, credo che anche qui abbiamo uno degli innumerevoli motivi per cui Nostro Signore desiderò “tanto” celebrare la Pasqua con i Suoi.

 

Le prime parole di Gesù che inaugurano la cena sono: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”, o “Ho grandemente desiderato” come altri traducono, che nel Suo parlare sempre essenziale e mai enfatico costituiscono una particolarità; letteralmente la frase sarebbe “con desiderio ho desiderato” e, come nota un fratello, “il raddoppiamento della stessa parola o di parola simile è un ebraismo che segna il grado superlativo o un modo di esprimersi che aggiunge grande forza al significato”. La stessa cosa è usata in Genesi 2.17 quando al posto di “per certo morirai” abbiamo “morendo morirai” che allude alla perdita della dignità spirituale in Eden (“morendo”) con la chiusura di una vita nell’eternità (“morirai”) per tornare che carne e quindi polvere.

Chiedendoci perché Gesù abbia così tanto desiderato mangiare la Pasqua coi Dodici, troviamo una serie infinita di risposte: sappiamo che non vedeva l’ora che il Suo Ministero si compisse alla croce, come leggiamo in Luca 12.50 (“Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”) o in Marco 10.32 (“Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti, coloro che lo seguivano erano impauriti”), ma qui sappiamo che dal momento in cui si aprirà la cena, con la benedizione e il passaggio del primo calice, inizieranno una serie di eventi fondamentali per la Chiesa come l’istituzione del memoriale, o eucaristia, il lavare i piedi dei Dodici e tutte quelle verità assolute che verranno rivelate nei quattro capitoli del Vangelo di Giovanni, da 13 a 17, quello della preghiera sacerdotale di fronte alla quale non credo esista cristiano che non si sia profondamente commosso.

In sintesi assolutamente estrema, credo che i motivi del desiderare così “tanto” di Gesù di celebrare con gli apostoli la cena siano stati questi perché ogni insegnamento è particolare: tralasciando il comandamento sul memoriale che costituisce una novità assoluta, sono proprio tutte le parole pronunciate in quella sera a gettare le fondamenta della Chiesa; pensiamo alle parole credo più semplici, “Vi do un comandamento nuovo, che voi vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13.34,35). È certo da notare la presenza del tempo presente, “avete” che formalmente stona col futuro “sapranno”, che qui non è una svista del traduttore, ma il riferimento a un metodo di conduzione dei rapporti interpersonali nella Chiesa. “Sapranno” nel senso di “constateranno”, “ne avranno la prova”. Il tempo presente, chiaramente, è anteriore al futuro e quindi fa riferimento a qualcosa che esiste prima e che, quindi, esclude il formalismo e soprattutto la simulazione. Io amo il mio fratello o sorella perché vedo in lei/lui un essere che come me è stato chiamato, amato, ma soprattutto uno per cui Cristo è morto e il mio rapporto con questa persona non può limitarsi alla cortesia naturale che si instaura fra persone educate.

Proseguendo nella lettura del testo, vediamo che era fondamentale per Gesù celebrare la Pasqua “prima” della Sua passione: se quella cena non avesse avuto luogo, non avrebbe potuto dare compimento a tutti quegli insegnamenti di cui poi gli apostoli avrebbero potuto fare tesoro una volta risorto, prendendo atto che ogni elemento da lui predetto, stabilito e istituito non aveva mancato di adempiersi.

C’è però una spiegazione che proviene proprio da Lui, “perché non la mangerò più, finché essa non si compia nel Regno di Dio” coincidente con la versione di S. Girolamo, di comprensione difficile perché, se la Pasqua è un sacrificio, quello di Cristo è stato fatto “una volta per sempre” (Ebrei 10.10). Ci troviamo di fronte ad uno dei casi in cui, per essere compresa, la frase va vista non in senso letterale, ma globale e la chiave di lettura sono quel “finché”, cioè “fino a quando” e “compiuta”, cioè “adempiuta”: in altri termini la Pasqua che Gesù celebra è sì il ricordo del sangue dell’agnello innocente che, messo sulle porte, segnalava all’angelo di risparmiare chi era in casa dal giudizio di Dio, ma è al tempo stesso sostituzione di quell’animale con Lui per una definitiva liberazione dalla schiavitù del peccato e dal potere dell’Avversario.

La Pasqua ha quindi una prima fase con il Sacrificio, ma i suoi effetti definitivi, ultimi, si avranno con la realizzazione dei “nuovi cieli e nuova terra dove dimora stabile la giustizia” che adesso non vediamo. Teniamo presente che, se “Cristo nostra Pasqua è stato immolato” (1 Corinti 5.7), la Pasqua era anche la festa in cui tutti i membri di una famiglia si radunavano attorno al proprio padre perché la celebrasse ed è questo che ci attende dopo la resurrezione e l’assunzione di un corpo nuovo. Ed ecco perché Gesù sostiene che non la celebrerà più “fino a quando essa si compia nel Regno di Dio”: quel Regno che lascerà fuori dalla porta ogni soggetto contaminante e contaminato che, in passato, aveva impedito a tutti il cammino perfetto che avrebbero voluto. Amen.

* * * * *