19.39 – IL SERMONE PROFETICO XII: IL LADRO E IL PADONE DI CASA (Matteo 24.42-44)

16.39 – Il sermone profetico 12: Il ladro e il padrone di casa (Matteo 24.42-44)

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

            Gli interessati alla successione cronologica del testo, avranno notato che ho omesso di affrontare i versi da 33 a 41 perché già affrontati nel quindicesimo volume. Dal verso 42 Gesù inizia a parlare di una necessità direi vitale per il credente, e cioè la veglia, cui abbiamo accennato a volte in queste riflessioni, ma che non abbiamo mai sviluppato. Leggiamo, per dovere di raccordo, ciò che precede, anche perché è scritto “Vegliate dunque”, cioè “alla luce di quanto vi ho detto”, ovvero “Come furono i giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorno che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrò portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata” (vv.37-41). Come sempre, sono parole suscettibili a una plurilettura temporale.

            Il “dunque”, rimanda anche a quelle situazioni che avevano portato alla decisione, da parte del Creatore, di distruggere l’umanità che aveva finito per staccarsi da Lui, salvo Noè e la sua famiglia. Ricordiamo che i suoi contemporanei “non si accorsero di nulla” non perché non videro quel profeta costruire l’arca e non gli chiesero spiegazioni di cosa stesse facendo, ma semplicemente in quanto, impegnati a vivere il loro attimo, furono impermeabili alla sua testimonianza. Infatti, nella sua seconda lettera, l’apostolo Pietro descrive Noè come “messaggero” (o “predicatore”) di giustizia (2.5), sia in parole ma soprattutto in opere, eppure “non si accorsero di nulla”.

            Anche oggi l’umanità corre verso un futuro di totale abbandono, insensibile a qualunque impostazione di vita e metodi anche solo ordinati e armonici, intenta ad ascoltare unicamente le proprie pulsioni. Questo non solo moltiplica l’insensibilità interiore, ma genera il sonno di qualsiasi ragione, priva della possibilità di ascoltare anche solo un debole richiamo di ordine morale. Se un tempo i regimi cercavano di inculcare nelle persone un’ideologia, per quanto enormemente distante dall’etica e pratica cristiane, oggi assistiamo a un allevare le nuove generazioni (e possibilmente a portare le vecchie) verso una acultura totale e ad ogni livello, concentrandola su bisogni che tali non sono, distraendoli ed indirizzandoli esclusivamente verso il futile, spostando l’asse della coscienza, che si forma col tempo e l’esempio, verso una zona neutra, areattiva, quella preferita dall’Avversario.

            L’invito di Gesù ai discepoli, “Vegliate dunque”, riguarda non il condurre un’esistenza senza sonno, ma fondamentalmente a gestire la propria vita con sobrietà e attenzione. A fronte del gran numero dei discepoli, dobbiamo tener presente che pochi sono quelli ricordati per nome, uomini e donne, e che la maggioranza di loro, pur conosciuta da Gesù nel profondo del loro essere, condusse una vita semplice, senza compiere miracoli o grandi predicazioni, ma portando dentro di sé, facendolo germogliare, il seme della Parola. E questo bastò loro per avere quel “posto” che il loro Signore andò a preparare nel Regno dei cieli.

La veglia, quindi, consiste nel non consentire agli elementi del mondo di prevalere sull’impegno spirituale, ciò che faranno i personaggi che, a parte il “padrone di casa” di cui abbiamo letto, verranno da Nostro Signore citati con parabole in questo sermone, e cioè i due servi (il prudente e il malvagio), le dieci vergini e quelli che operarono facendo fruttare i talenti loro affidati.

            Così l’apostolo Pietro sintetizza il concetto: “Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (Ia, 5.8). Ora il “divorare” dell’avversario non consiste in altro se non nell’inglobare la persona nello stesso destino di morte e perdizione che ha lui; per farlo procede a un suo lento, inesorabile controllo, come ha sempre fatto da Eva in avanti.

L’Avversario non si pone mai di fronte al proprio bersaglio in tutta la sua pericolosità esattamente come un predatore si muove in silenzio facendo attenzione a non produrre rumori, intervenendo al momento propizio, come fece Erodiade che meditava da tempo il modo perché Giovanni Battista fosse ucciso: “Venne però il momento propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea” (Marco 6.21). L’Avversario si mimetizza, tanto lui quanto la tentazione che presenta, a prescindere dal genere, proponendola sempre come qualcosa di naturale, appetibile e legittimo, prima sminuendone e poi annullandone la portata e le conseguenze agli occhi di chi è da lui sedotto. E ancora una volta, se andassimo al testo di Genesi della tentazione, troveremmo descritta tutta la strategia di questo personaggio che, come ci ha illustrato Pietro, “va in giro cercando”, cioè studiando chi tra i suoi bersagli può essere una preda facile. I forti non subiscono le sue attenzioni quando sono tali, ma solo quando eventualmente, per i motivi più svariati, scoprono i loro punti deboli ed ecco perché sobrietà e veglia sono sistemi importanti per venire da lui evitati. Leggiamo infatti “Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi” (Giacomo 4.7).

            Vediamo come l’apostolo Paolo affronta il tema: “Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate” (1 Tessalonicesi 5.5-11).

Sono parole che meritano un breve approfondimento, poste proprio a commento della necessità della vigilanza nell’attesa. Infatti abbiamo: “Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrò come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie di una donna incinta, e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro” (vv.1-5).

Poi, riguardo ai versi che abbiamo letto, vediamo l’identità cristiana che si riassume nell’appartenenza al giorno, dove ogni cosa è illuminata, ma il vigilare e lo stare sobri è parte integrante della vita. Quanto alla pericope “sia che vegliamo, sia che dormiamo”, è riferita a chi sarà in vita, o si sarà addormentato nel Signore con la morte del corpo e verrà chiamato ad unirsi a Lui con la risurrezione.

Ancora in Romani 13.11-14 “…è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la vostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. (…) Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne”. E in Apocalisse 16.15 è Gesù stesso a dire “Ecco, io vengo come un ladro. Beato è chi è vigilante e custodisce le sue vesti per non andare nudo e lasciar vedere le sue vergogne”. Quest’ultimo passo ci consente di ampliare il concetto della nudità, rimandandola a quella di Adamo ed Eva, che la scoprirono solo dopo aver trasgredito e quindi perduto la loro originaria dignità spirituale: chi non sarà trovato “vestito” – ricordiamo “rivestiti di Cristo” di Galati 3.27 – non avrà più Dio Padre come sarto, che “fece all’uomo e sua moglie delle tuniche di pelli e li vestì” (Genesi 3.21), ma conoscerà solo una nudità senza rimedio, con le proprie “vergogne”, cioè tutte le sue azioni negative, irrimediabilmente scoperte.

Tornando al testo, ecco la prima delle quattro parabole che Gesù esporrà per far capire l’inopportunità del sonno a fronte del Suo ritorno: “Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”. È interessante il verbo usato per “scassinare”, che se tradotto letteralmente non sarebbe capito da nessuno perché è in realtà “perforare” in quanto in Palestina, essendo le case di terra, era facile entrare facendo un buco nel muro, con poco rumore. Una persona abile, quindi, poteva riuscire ad entrare in casa altrui senza svegliare il proprietario. La veglia, invece, con l’orecchio attento ai più piccoli rumori nel silenzio della notte, avrebbe consentito di reagire e la Legge di allora dava la non punibilità a chi avesse ucciso il ladro, a condizione che il tutto avvenisse col buio: “Se un ladro viene sorpreso mentre sta facendo una breccia in un muro e viene colpito e muore, non vi è per lui vendetta di sangue. Ma se il sole si era già alzato su di lui, vi è per lui vendetta di sangue” (Esodo 22.1,2).

Nel paragone con il padrone di casa, che altre versioni traducono con “padre di famiglia”, emerge allora tutta la necessità dell’attenzione a che il ladro non entri: ci sono beni e persone da difendere, a qualunque costo, anche quello della vita del ladro, per il quale la Legge eliminava “la vendetta di sangue”, vale a dire il diritto dei parenti a vendicare la morte dell’ucciso secondo il principio de “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede” (Deuteronomio 19.21).

Se quindi consideriamo il personaggio della parabola come un “padrone di casa”, abbiamo un uomo che difende unicamente la sua proprietà, ma se lo vediamo come “padre di famiglia”, ecco la responsabilità sulla propria moglie e, presumiamo, i figli, vale a dire: se quella persona non presta attenzione e non prende le contromisure del caso, a soffrirne le conseguenze non sarà solo lui, ma anche tutte le persone che si trovano sotto la sua responsabilità. Ci pensino bene coloro che sono stati chiamati a pascere il gregge di Cristo, o che se ne assumono le vesti e poi conducono una vita non conforme, come nella parabola che esamineremo nelle prossime riflessioni.

Ora, per la nuova economia della Grazia, ogni credente è “padrone di casa” o “padre di famiglia” perché il legame che si è venuto a creare dopo il battesimo (responsabile) è doppio, vale a dire tra lui e Gesù Cristo (e quindi col Padre) e con i fratelli e le sorelle, per cui non esiste cristiano che sia responsabile prima di tutto verso se stesso e poi, con la stessa importanza, nei confronti degli altri nel senso che la benedizione che ottiene da Dio si riversa sui suoi confratelli e, allo stesso modo, il procedere stentatamente nella fede, con scelte inopportune, non ponderate e superficiali, impedisce il progresso di quanti sono a lui collegati, perché non vedono un esempio e si trovano limitati nelle loro azioni e scelte.

Ecco allora che lo stare “sobri” implica il fare attenzione, andare oltre a una semplice condizione, soprattutto il non fraintendere, come ad esempio in Luca 12.15, “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede”.

Abbiamo anche Colossesi 2.8, “Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo”, altro punto fermo della vigilanza cristiana che richiama sempre le tattiche dell’Avversario, che traveste e si traveste, inquinando con discorsi apparentemente spirituali la verità e la Parola.

L’apostolo Giovanni, infine, scrive “Fate attenzione a voi stessi – non agli altri – per non rovinare quello che abbiamo costruito e per ricevere una ricompensa piena”: piena, non parziale, non ridotta. E qui la veglia e la sobrietà si trasformano in operatività, in esame del nostro passato per vedere se esistono modi per rimediare ad errori oppure se, nel nostro vivere, abbiamo degli elementi di biasimo che ci potremmo portare dietro nel mondo a venire, quando certamente, se non rimossi, emergeranno e suoneranno a nostra condanna.

È una pratica di fede. È una pratica di vita. “Perché, nell’ora che non immaginate, verrà il Figlio dell’uomo”. Amen.

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19.38 – IL SERMONE PROFETICO XI: INDICATORI (Matteo 24.32-36)

16.38 – Il sermone profetico 11: INDICATORI (Matteo 24.32-36)

 

32Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 33Così anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 34In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.36Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.

 

La lettura del verso 32 è un invito a riconoscere il tempo della venuta del Figlio dell’uomo e ci ricorda il rimprovero dato alle folle, sempre a proposito del riconoscere i segni dei tempi: “Quando vedete una nuvola salire da Ponente, subito dite: «Arriva la pioggia», e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: «Farà caldo», e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12.54-56).

La differenza fondamentale tra i due passi è che in Luca i Giudei venivano rimproverati perché avevano tutti gli elementi, nelle Scritture, per poter accogliere Gesù, mentre nel nostro caso è Lui stesso a dare indicazioni per riconoscere i segni del Suo ritorno. E il metodo per individuare l’avvenimento è concettualmente lo stesso, perché in entrambi i casi viene preso esempio da fenomeni naturali, la nuvola da Ponente e lo scirocco da un lato, e il fico dall’altro.

È la terza volta in cui compare il fico: la prima fu in una parabola (Luca 13.6) in cui il padrone della vigna ordinò al suo dipendente di tagliarne uno sterile, ma questi gli propose di dargli ancora un anno di tempo sotto le sue cure prima di procedere; la seconda la abbiamo con l’albero che Gesù seccò perché non dava frutti.

Nel caso in esame invece abbiamo una pianta che si presume sana, che con il suo risveglio annuncia l’estate, stagione particolare che nella Scrittura rappresenta il tempo del raccolto, quando la terra dà i frutti migliori. È una stagione che parla di previdenza e lavoro (“Va’ alla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo, né sorvegliante, né padrone, eppure d’estate si procura il vitto, al tempo della mietitura accumula il cibo”, Proverbi 6.6-8, “Chi raccoglie d’estate è previdente e chi dorme al tempo della mietitura è uno svergognato”, 10.5).

L’estate ha poi riferimento anche con il rinfrancamento, come in 2 Samuele 16.2, “i pani e i frutti d’estate sono per sfamare i giovani, il vino per dissetare quelli che saranno stanchi nel deserto” e comunque, il tempo del raccolto è indicativo anche alla luce di Geremia 8.20, “È passata la stagione della messe, è finita l’estate e noi non siamo stati salvati”, che è anche un tema trasversale del nostro studio.

Ora, considerando il verso 33, “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che è vicino, alle porte”, Luca scrive “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21.28): liberazione, quindi la fine del “combattimento della fede”, dell’umiliazione, della convivenza forzata con l’ignoranza, il paganesimo (anche quello che ci portiamo dentro come bagaglio storico), la ribellione dell’uomo alle regole più elementari circa la conduzione di una vita ordinata. Credo sia a questo che l’apostolo Paolo allude in Romani 8.23, “…anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. Adozione che già abbiamo, ma che sarà perfetta quando potremo essere riuniti a Lui.

Resta da considerare, circa il verso 33, cosa significhi in concreto l’essere “vicino, alle porte”, che sono convinto sia riferito non a un avvenimento preciso, ma a tre, perché ricordiamo che dovevano ancora verificarsi la presa di Gerusalemme e poi, per noi, il rapimento della Chiesa, il Millennio e il ritorno di Gesù in giudizio ed è per questo che Giacomo, “fratello del Signore”, scrivendo la sua lettera “alle dodici tribù di Israele”, afferma “non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte”: si tratta di un tempo sempre propizio per il Ritorno, perché si tratta di un “giorno e di un’ora” conosciuta solo dal Padre, elemento questo che non può che acuire nel credente la vigilanza.

Certo, questa dev’essere spirituale, non influenzata da fatalismo come avveniva nella Chiesa di Tessalonica di cui abbiamo più volte accennato: la veglia è concreta e organizzata, accettata come qualcosa di inevitabile e di lei Gesù stesso parlerà in questo sermone con vari esempi ai versi da 42 a 51 e, subito dopo, con le parabole delle dieci vergini e dei talenti (cap. 25) per concludere col Giudizio finale.

 

Arriviamo così al verso 34, fonte per molti di grossi problemi interpretativi, “In verità vi dico – quindi “Amen” di Dio –: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”: sono parole dalle quali si potrebbe pensare che la “fine” debba avvenire in uno spazio temporale fra i trenta e i cento anni perché tale approssimativamente è la durata di una generazione. Ancora una volta torna il problema della traduzione e del fatto che una lingua diversa dalla nostra ha sostantivi che non possono rendere sufficientemente, tradotti, l’idea di ciò che rappresentano. Ciò che è reso con “generazione” è “ghenéa” che esprime anche il tempo che intercorre tra la nascita e la morte e l’idea della durata in vita di un complesso di uomini, quindi il senso viene notevolmente ampliato e reso quasi indefinito, assolutamente indicativo.

Ecco perché Giovanni Diodati impiega, al posto di “generazione”, “età” e Mons. Antonio Martini, nella sua Bibbia del 1778, pur mantenendo il termine, annota “Non finirà la generazione degli uomini, non finirà il mondo prima che queste cose da me predette abbiano il loro adempimento”. La “generazione”, o “età” è quindi “il tempo presente”, quello che non muta mai, in cui l’uomo vive provando gli stessi sentimenti e istinti primitivi nonostante il passare dei secoli e il mutare della tecnologia e della morale.

Sotto questo aspetto nulla importa, da quando Gesù disse queste parole, che siano passate un gran numero di generazioni, mentre rileva che l’essere umano si sia caratterizzato come una creatura sempre più infestante e deleteria per la terra che, alle origini, gli era stata affidata in custodia con tutti gli esseri viventi che la popolavano; poi, con il suo comportamento fisicamente e moralmente violento e omicida, l’uomo finirà per esasperare quelle situazioni che sono sempre esistite (la violenza in qualsiasi sua forma) portandole a un punto di non ritorno, tale per cui l’intervento di Dio per porre fine a tutto sarà l’unica soluzione possibile. Credo che questa lettura, per quanto molto superficiale, sia sufficiente a dare l’idea; praticamente nulla è cambiato né potrà cambiare dalla Torre di Babele all’impero mondiale prossimo venturo.

Dobbiamo tenere presente comunque quanto già detto da Gesù in altre occasioni sul che, comunque, il primo rendiconto sarebbe avvenuto a Gerusalemme: in 16.28 abbiamo “In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo Regno” e in 23.36 “In verità vi dico, tutte queste cose ricadranno su questa generazione”, ancora “ghenéa”, questa volta con significato letterale. Sempre su questo stesso tema c’è poi Luca 11.50: “…perché a questa generazione sia chiesto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione”.

Proseguendo sempre sul nostro verso 34, soffermandoci sulla traduzione di “ghenéa” con “età”, non possono non venire alla mente le parole che Gesù disse ai Suoi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, che altre bibbie riportano con “fino alla fine dell’età presente”, a conferma che l’ ”età” è un ambito, una regione di tempo precisa, assegnata dal Dio Progettista e Creatore dell’Universo.

Anche qui, circa i termini “età” e “mondo” emergono le differenti visioni dei traduttori, perché “Áion” significa “tempo, durata, vita, età, lungo tempo, secolo, era”, addirittura “eternità”, “mondo, secolo presente”. Questo per dire quante sfumature necessarie ci perdiamo leggendo una versione italiana perché, mettendo insieme tutti questi significati, possiamo vedere che anche in queste parole Gesù rinnova la Sua promessa di eternità, dice “sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo per unirvi a me una volta che questo sarà finito”.

“Con voi tutti i giorni”, quindi nel bene e nel male: era presente, ad esempio, quando Giacomo (l’autore della lettera) fu lapidato. Era presente quando i cristiani venivano crocifissi e bruciati vivi a Roma sotto Nerone e così in tutte le altre persecuzioni, dai tempi più antichi ai giorni nostri. È presente tanto in ogni nostra sofferenza che in ogni nostra gioia ed è per questo che ancora Giacomo scrive “Chi tra di voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode” (5.13).

 

Tornando al nostro testo, con le parole “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, Gesù non solo annuncia la fine imminente del mondo che conosciamo, ma prende quegli elementi che a noi sembrano immutabili, come il “cielo” (con il sole, la luna e le stelle) e la “terra”, per farci capire che l’unica a sopravvivere al tempo potrà essere soltanto tutto ciò che ha detto. Cielo e terra sono l’ambiente che ci circonda, quello senza cui non potremmo vivere.

Ricordiamo Salmo 102. 26-29: “In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, tu rimani; si logorano tutti come un vestito, come un abito tu li muterai ed essi svaniranno. Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine. I figli dei tuoi servi avranno una dimora, la loro stirpe vivrà sicura alla tua presenza”, tutto questo perché non si disprezzino anche gli elementi più deboli del creato, “Secca l’erba, appassisce il fiore quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Isaia 40.7-8).

Ecco allora che, se per l’uomo antico era naturale considerare immutabili “il cielo e la terra”, quello di oggi va oltre, ingannato dall’Avversario, perché vede nella tecnologia la soluzione a tutti i suoi problemi. Sarà quando la cosiddetta intelligenza artificiale avrà preso il sopravvento sulle vite di tutti che, forse, qualcuno inizierà ad avere dei dubbi sulla legittimità di tutte quelle azioni che avranno portato alla sua instaurazione.

Eppure, in tutto questo percorso umano così delirante in cui è in atto una totale sovversione delle più elementari regole anche solo semplicemente morali, esiste ancora la Parola di Dio che chiama: “Alzate al cielo i vostri occhi, e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta”.

Possiamo allora concludere con le parole di Pietro nella sua seconda lettera: “Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al signore un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta” (3.7-9). Amen.

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16.37 – IL SERMONE PROFETICO X: LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO II (Matteo 24.29-31)

16.37 – Il sermone profetico 10: la venuta del figlio dell’uomo II (Matteo 24.29-31)

 

29Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
30Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria.31Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli.

 

Credo che con questi versi ci troviamo di fronte al punto più complesso di tutto il sermone profetico di Gesù, che comunque dà delle importanti chiavi di lettura nei successivi, che devono essere necessariamente tenuti presenti. Il primo è già stato ricordato, il 34, “In verità io vi dico, non passerà questa generazione – ghenéa, non così tradotta da tutti – prima che tutto questo avvenga”. Il secondo è quello successivo, “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”, il terzo è il 36, “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa: né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”.

Come leggere dunque il passo in esame, venendo spontaneo applicarlo al Ritorno che tutti i veri cristiani attendono da circa duemila anni? “Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria”, non può forse essere collegato a 1 Tessalonicesi 4,17, “…quindi noi, che vivremo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro – i morti in Cristo – nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore”? È una domanda importante, che può trovare risposta solo nella purivalenza contenuta nelle parole di Gesù che hanno un substrato tanto di imminenza temporale, che di distanza dal punto di vista umano. Ed ecco perché non sono da tutti interpretate nello stesso modo.

 

Venendo ora al testo è naturale che la nostra attenzione si focalizzi sulle parole “Subito dopo” che suggeriscono un’immediata successione. L’avverbio “Euzéos” significa “subito, presto, subitaneamente” e lo troviamo come reazione pronta e immediata: così fu con Pietro quando rischiava di affogare nel lago di Gennezaret, dove leggiamo che “Subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»” (14.31). Ancora, ricordiamo quando Simone e Andrea “…subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Marco 1.18) o il paralitico di Capernaum che, guarito, “…si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò” (2.12) e molti altri casi. Abbiamo però un “subito” in un certo senso più dilatato, come ad esempio nella parabola dei terreni in cui, relativamente al secondo, è detto che “Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra: germogliò subito, perché il terreno non era profondo” (Matteo 13.5); in quest’ultimo caso, abbiamo un processo non immediato, ma che si caratterizza comunque con velocità rispetto al germogliare degli altri semi.

Può allora rientrare quel “subito dopo” nell’ambito del concetto secondo il quale “davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno”, come scrive l’apostolo Pietro nella sua seconda lettera citando il Salmo 90? Credo che la risposta possa essere affermativa e che qui Gesù parli allargando il concetto di tempo e non a caso i versi in esame hanno fatto sì che i commentatori si dividessero fra chi li legge in un futuro immediato, dopo la distruzione di Gerusalemme, e chi li pone agli ultimi tempi, quando si manifesterà pienamente quanto descritto. La stessa dilatazione temporale, concettualmente, la leggiamo in Malachia 3.1-3: “Ecco, io manderò un mio messaggero – Giovanni Battista – a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate, e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti”. Da qui, ecco un altro salto di oltre duemila anni: “Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento”.

Il nostro testo riporta “Dopo la tribolazione di quei giorni”: quali? Anche qui non c’è una risposta esatta perché non dobbiamo aspettarci fenomeni nel sole, nella luna e nelle stelle, (per lo meno non nell’immediato), ma la perdita di punti di riferimento, come già accennato in altre riflessioni. Ricordiamoci che Marco, nel suo parallelo, scrive “In quei giorni, dopo quella tribolazione”, cioè dopo “quei giorni abbreviati grazie agli eletti che si è scelto” (13.24) che riguardano sì la tribolazione di Gerusalemme, ma anche tutte quelle che verranno dopo. Ricordiamo le parole di Daniele 9.26, “…il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario, la sua fine sarà un’inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all’ultimo”, cioè dalla caduta della città a quella del mondo, che deve ancora verificarsi.

Riguardo al verso 29, il parallelo di Luca riporta: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose – cioè i primi segni – , risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21.25-28).

Credo che la nostra attenzione debba, più che focalizzarsi sui cataclismi cosmici, tenere presente il linguaggio profetico, che ritengo un importante aiuto per la comprensione del discorso di Nostro Signore: ad esempio così Isaia profetizza la rovina di Babilonia in 13.10: “Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminare i peccatori. Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro luce, il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà più la sua luce. Io punirò nel mondo la malvagità e negli empi la loro iniquità. Farò cessare la superbia dei protervi e umilierò l’orgoglio dei tiranni”.

Ezechiele 32.7,8 così parla della distruzione dell’Egitto: “Quando cadrai estinto, coprirò il cielo e oscurerò le tue stelle, velerò il sole di nubi e la luna non brillerà. Oscurerò tutti gli astri del cielo su di te e stenderò sulla tua terra le tenebre”. Gioele 2.30,31 descrive la fine con queste parole: “Farò prodigi nei cieli e sulla terra: sangue, fuoco e colonne di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e terribile giorno del Signore”. Credo siano passi da meditare, seguendo il loro significato letterale raccordandolo a quello spirituale e sforzandoci di assorbire il senso di gravità e di immanenza che trasuda da essi: in tal modo si potrebbe capire che quanto contenuto in questi versi non può essere spiegato con parole umane, ma va compreso e sigillato. Mai mi era capitato di trovarmi in difficoltà a spiegare un brano a parole come un questo caso e posso dire che, dopo essermi posto all’ascolto, ho sentito veramente “il suono di molte acque” nel senso che, al posto di una soluzione, ce ne sono migliaia, tutte su frequenze diverse, tutte ugualmente esatte.

E se è possibile descrivere un dolore, uno stato di angoscia di cui si conosce la localizzazione e la causa, così non si può fare – tanto per citare il primo che mi viene in mente – per un attacco di panico o, come nel caso dei passi profetici riportati, quando si ha la perdita totale dell’omeostasi, psichica e fisica. L’uomo può definirsi vivo non solo in presenza del battito cardiaco, ma quando è in grado di progettare, scegliere, spostarsi, fare qualsiasi azione anche banale, soprattutto porsi degli obiettivi da raggiungere, ma che lo caratterizza come essere autonomo, in grado di prendere decisioni, giuste e sbagliate che siano. E i versi citati escludono tutte queste cose. Credo che sia da qui che dobbiamo partire per capire le parole di Gesù; il resto sono ipotesi che potranno venire annullate, confermate e sviluppate col tempo. Credo che qui Gesù dimostri di tenere sempre presente il Suo ritorno, e infatti ben presto inizierà ad illustrare ai Suoi alcune parabole proprio sulla vigilanza, concetto ancora più importante della chiusura finale del tempo dato per vivere (o morire) alla Sua luce.

Un fratello ha osservato che “il sole, la luna etc. sono i simboli del Sommo Sacerdote, del Sinedrio, degli Anziani; in una parola, di tutti i rettori della nazione giudaica, ed il loro oscuramento indica la distruzione del sistema di cui erano i custodi e rappresentanti, e la finale dispersione della nazione. È possibile che questa predizione si riferisca anche alla rovina dei dieci re di cui parla l’Apocalisse, la quale succederà prima del Millennio, e che essa debba avere un terzo adempimento nella distruzione finale del mondo”.

Infatti: “Le dieci corna che hai visto sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale per un’ora soltanto, insieme con la bestia. Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia. Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re. Quelli che stanno con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli” (17.12-14). Notare il tempo concesso, un’ora, cioè quanto basta per fare, ma molto poco, a fronte della presunzione di durata e potenza della quale si saranno nutriti. Se la vita di un uomo, che possiamo stimare oggi attorno agli 80 anni, è vista come un soffio, cos’è un’ora? Un minuto vissuto sessanta volte, non si fa comunque tempo a iniziare che il tempo a disposizione è scaduto. L’ora è così come qualcosa di profondamente umiliante se confrontata con le aspettative di quei re, dieci, asserviti alla divinità asportata del numero.

“Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo”, cioè Lui stesso, “segno” fin dall’inizio secondo Isaia 7.14 e per come fu visto dai profeti, ad esempio in Daniele 7.13: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo…”. La dinamica, per come è rappresentata da Matteo, indica il ritorno dei Figlio in giudizio più che per il rapimento della Sua Chiesa, che comunque darà inizio a una storia umana completamente diversa; il “battere il petto di tutte le tribù – nazioni – della terra” indica un’autoaccusa, l’acquisizione del fatto secondo cui la condanna è inevitabile e soprattutto avverrà unicamente per colpa di tutti coloro che non avranno voluto approfittare del tempo di Grazia loro concesso prima dell’alt di Dio alla loro tanto cercata indipendenza da Lui.

Il battersi il petto sarà l’unico modo che avranno i popoli che non si saranno convertiti per esprimere il proprio dolore perché vedranno dal vero, in tempo reale, Colui di cui avranno negato o disprezzato opere, esistenza, morte e risurrezione per cui comprenderanno la loro impossibilità a sussisterGli davanti.

Infine, l’ultimo verso credo sia particolarmente caro a tutti i cristiani perché parla di raccolta: “Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba – ultima perché definitiva –. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati” (1 Corinti 15.51-52).

Anche qui credo che vi sia comprensione dei periodi relativi al rapimento e dell’ultimo tempo, quello del giudizio finale, perché vi sarà da raccogliere tutti coloro che avranno creduto nella Gran Tribolazione, quando “Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le loro opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco” (Apocalisse 20.13-14).

In conclusione, la “lunga” storia umana troverà lì contemporaneamente la propria fine e il proprio oblio, a differenza dei salvati che vedranno così adempiute le parole di Gesù ai mietitori a conclusione della parabola della zizzania in Matteo 13.39: “Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano, invece, riponetelo nel mio granaio”. Amen.

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16.36 – IL SERMONE PROFETICO IX: LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO I (Matteo 24.26-28)

16.36 – Il sermone profetico 9: LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO I (Matteo 24.26,28)

 

26Se dunque vi diranno: «Ecco, è nel deserto», non andateci; «Ecco, è in casa», non credeteci. 27Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 28Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi.

 

Due versi fondamentali, intimamente connessi fra loro eppure così distanti: il primo (26) è un richiamo a concetti precedentemente esposti, il secondo (27) è una precisazione alla domanda originariamente posta, “Quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?”. Ancora, il primo verso, che esamineremo fra breve, comprende alcuni dei precedenti, e cioè il 5, “Molti verranno nel mio nome dicendo: «Io sono il Cristo» e trarranno molti in inganno”, l’ 11, “Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti”, il 23, apparentemente simile a questo, “Se qualcuno vi dirà: «Ecco il Cristo è qui» oppure «È là», non credeteci, perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti”.

Ragionando brevemente su questi versi, sul quinto in particolare, dobbiamo uscire dalla nostra forma mentis pagana che tende a farci considerare il “Cristo” e il “Figlio di Dio” come la medesima persona. È certo così, ma non per gli ebrei per i quali “Cristo”, che significa “Unto” e “Messia” sono la stessa cosa, ma stanno ad indicare il condottiero invincibile, mandato da Dio, che li guiderà alla vittoria sulla schiavitù dai popoli pagani e col dominio su di essi. Ecco allora che Gerusalemme, parlando nel periodo prima dell’anno 70, ne ebbe di condottieri che attirarono molta gente a sé: pensiamo a un certo Gesù, che aveva una banda armata di circa 800 persone, Giusto di Tiberiade, Giovanni di Giscala, condottiero zelota, quelli che vinsero le armate di Cestio Gallo in ritirata e tentarono l’assedio di Ascalona, a Nord di Gaza, rimanendone sconfitti. Per inciso, anche qui vediamo le “guerre e voci di guerre”. Il senso delle parole di Gesù è quindi, parafrasato, “Il Messia che il popolo attendeva è già venuto, gli altri sono impostori perché non potranno mai guidarli verso il mio Regno, che non è di questo mondo”.

A questo punto, affrontando il verso 26, vanno esaminate le due parole tradotte con “deserto” e (molto sbrigativamente) “casa”. Questi due termini, più che un luogo, credo esprimano un concetto perché “éremon” sta a indicare un “luogo solitario, deserto, abbandonato, vuoto” mentre “tamérion” è più complesso ed è utilizzato per indicare una dispensa, un granaio, un tesoro, una stanza interna privata. Questo sostantivo genera un verbo che significa “amministrare, mettere in serbo, riporre, conservare”. “Tamérion” è usato da Gesù in Matteo 6.6 quando leggiamo “Invece, quando tu preghi, entri nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. “In casa”, quindi, indica un luogo appartato, raccolto, nascosto per cui non viene qui applicato agli impostori che, ritirandosi, vogliono dare sfoggio di chissà quale ruolo spirituale. È una forma di travestimento.

Il verso 26 esprime anche un concetto molto importante e cioè quello dell’assoluta diversità con la realtà proposta dal 27 che ci parla della venuta di Gesù non solo relativa all’assedio e presa di Gerusalemme; è quindi un invito a restare saldi nella persecuzione, nei tempi in cui abbonderanno eresie e rinunce alla fede, attendendo il glorioso ritorno del Signore. La “venuta” è sempre possibile, sempre in atto, coinvolge una molteplicità di eventi e significati. Tendiamo poi, con riguardo alla persecuzione, riferirci all’oppressione ostinata ed esasperata di una o più persone contro altre, ma non consideriamo il fatto che il primo persecutore del cristiano è l’Avversario che rivolge le sue attenzioni ad ogni individuo che vorrebbe, o ha voluto, staccarsi da lui. E Satana fece la stessa cosa nei riguardi di Nostro Signore, perseguitandolo prima con Erode, poi con le tentazioni nel deserto e via via con tutte le persone che lo ostacolarono fino ad ucciderlo.

È il diavolo che “porta via la parola dal loro cuore perché, credendo, non siano salvati” (Luca 8.12), che “…aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo” (Giovanni 13.2), che “li tiene prigionieri affinché facciano la sua volontà” (2 Timoteo 2.26); “Come leone ruggente, va in giro cercando chi possa divorare” (1 Pietro 5.8), ma sarà “gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli” (Apocalisse 20.10). Ricordiamoci anche le parole di Gesù a Pietro quando gli disse; “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano, ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno” (Luca 22.31,32). Ma l’accanimento contro gli undici, fondamentali per la predicazione del Vangelo, è lo stesso per qualunque anima che intende affrontare un percorso spirituale.

Analizziamo brevemente questo passo: “ha richiesto”, come avvenuto secoli prima con Giobbe, e la sua istanza è stata accolta. La vagliatura del grano, poi, avveniva gettandolo con una pala in direzione opposta a quella del vento per far sì che portasse via la pula, cioè l’involucro dei chicchi. Lo si faceva poi passare attraverso un setaccio per separarlo da pezzetti di terra o altro materiale col quale si era mescolato eventualmente restando nell’aia. Ecco perché “…ciascuno è attratto dalla sua concupiscenza, che lo attrae e lo seduce; poi le passioni concepiscono e generano il peccato e il peccato, una volta commesso, produce la morte” (Giacomo 2.14). E questo vale per tutti gli uomini; la “morte” è l’interruzione della comunione con Dio.

Le parole del verso 27 da un lato stabiliscono che “il Figlio dell’uomo verrà”, dall’altro che questo non sarà un fatto segreto, (nel deserto o in una camera), ma verrà visto da tutti. Il problema è capire cosa si intenda per “Quando il Figlio dell’uomo verrà” anche perché si tratta di una frase connessa a quella del 28, “Dovunque sia il cadavere, lì si aduneranno gli avvoltoi” e, soprattutto, andando al 34 che contiene l’amen di Gesù, “In verità io vi dico, non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”, si può escludere che qui si parli del Ritorno che tutti aspettiamo. Il Figlio dell’uomo “viene” ogni qualvolta viene posta la parola fine alle iniziative, ai progetti e all’esistenza dell’essere umano. Anche con la torre di Babele vi fu una Sua venuta. Nostro Signore “viene” quando dà luogo ai Suoi giudizi, chiama le persone attraverso la morte oppure, come alla fine dei tempi, per rapire la sua Chiesa, per legare Satana e i suoi angeli nel Millennio e per il giudizio finale, tutti eventi a fronte dei quali l’uomo non può porre alcun rimedio.

Nonostante le parole del verso 27 possano apparire assolutamente pertinenti al Ritorno, quando “Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto” (Apocalisse 1.7), in realtà il fenomeno della “folgore” che “brilla da oriente ad occidente” ha riferimento con un fenomeno improvviso, con una luce che si vede da ogni parte e che qui va identificata con l’arrivo dell’esercito romano, che aveva nell’aquila il proprio emblema, che si radunerà da ogni parte dove sarà “il cadavere”. In altre traduzioni infatti abbiamo “carname” e “aquile”. E se ne radunarono davvero tante, non solo a Gerusalemme, ma per tutta la Giudea, le cui città furono tutte conquistate: Tito Flavio Vespasiano scelse la X legione Fretensis, la V Macedonica, la XV Apollinaris. Oltre alle legioni, vi furono diciotto Coorti ausiliarie (10.800 uomini) e cinque ali di cavalleria, senza contare il supporto dato da Antioco, Agrippa II e Soemo, re alleati, che fornirono in tutto 6mila arcieri e 3mila cavalieri. La forza romana raggiunse così un numero complessivo di 60mila uomini senza contare le macchine da guerra (160 catapulte) e tutto il personale di supporto che entrarono nella Giudea ed assediarono, prima di Gerusalemme, praticamente tutte le città fortificate, la prima delle quali fu Iotapata nel 67.

Quello che personalmente noto, però, è che Gesù stupisce sempre: quando arriva, in un modo o nell’altro, trova nella quasi totalità dei casi l’uomo impreparato ed ecco perché ci dice: “Vegliate”. Anche la nostra stessa chiamata ad essere dei Suoi è arrivata all’improvviso e così sarà anche al Suo ritorno di cui possiamo leggere, ad esempio, nella seconda lettera ai Tessalonicesi. Gesù irrompe, in un modo o in un altro, nella vita di ognuno: lo fa con la Sua Parola, con un invito a credere per salvarsi. Oppure, a seguito di rifiuti costanti, di inutili rivendicazioni da parte della creatura a costruire la propria vita senza di Lui, con la Sua venuta in giudizio, come fu nel caso della caduta di Gerusalemme, cogliendo quanti si ritenevano al sicuro e confidavano nell’aiuto di YHWH, disperatamente soli, deserti e atrocemente sconfitti. C’è una continuità nonostante il tempo, fra “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti nemici, allora ricordatevi che è vicina la sua rovina” (Luca 21.20) e “Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora subito un’improvvisa rovina verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta, e non potranno sfuggire Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.” (1 Tessalonicesi 5,3).

Il verso 28, “Dovunque sia il cadavere, là si raduneranno gli avvoltoi”, “aquile” nella traduzione più corretta, rimanda a Deuteronomio 28, anche qui riferito al giudizio su Israele e, penso, per la prima volta alle deportazioni babilonesi del 597, 586 e 582, ma attuali anche per le successive: Poiché non avrai servito il Signore, tuo Dio, con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici, che il Signore manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa. Essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché non ti abbiano distrutto. Il Signore solleverà contro di te da lontano, dalle estremità della terra, una nazione che si slancia a volo come l’aquila: una nazione della quale non capirai la lingua, una nazione dall’aspetto feroce, che non avrà riguardo per il vecchio né avrà compassione del fanciullo. Mangerà il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo, finché tu sia distrutto, e non ti lascerà alcun residuo di frumento, di mosto, di olio, dei parti delle tue vacche e dei nati delle tue pecore, finché ti avrà fatto perire. Ti assedierà in tutte le tue città, finché in tutta la tua terra cadano le mura alte e fortificate, nelle quali avrai riposto la fiducia. Ti assedierà in tutte le tue città, in tutta la terra che il Signore, tuo Dio, ti avrà dato. Durante l’assedio e l’angoscia alla quale ti ridurrà il tuo nemico, mangerai il frutto delle tue viscere, le carni dei tuoi figli e delle tue figlie che il Signore, tuo Dio, ti avrà dato. L’uomo più raffinato e più delicato tra voi guarderà di malocchio il suo fratello e la donna del suo seno e il resto dei suoi figli che ancora sopravvivono, per non dare ad alcuno di loro le carni dei suoi figli, delle quali si ciberà, perché non gli sarà rimasto più nulla durante l’assedio e l’angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto entro tutte le tue città. La donna più raffinata e delicata tra voi, che per delicatezza e raffinatezza non avrebbe mai provato a posare in terra la pianta del piede, guarderà di malocchio l’uomo del suo seno, il figlio e la figlia, e si ciberà di nascosto di quanto esce dai suoi fianchi e dei bambini che partorirà, mancando di tutto durante l’assedio e l’angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto entro tutte le tue città” (vv. 47-57).

La parola “cadaveri”, più opportunamente il “carname”, è un modo per definire ciò che resta dell’uomo senza lo Spirito, già così definito in Genesi 6. 3, “L’uomo, nel suo traviamento, non è altro che carne”. Queste ultime parole di Gesù, quindi, si riferiscono nella visione che dà ai discepoli, a tutti gli uomini che lo avranno rifiutato, diventando, così da creature, “carne” che servirà da cibo per animali predatori, che del corpo lasceranno solo ossa. E da qui possiamo comprendere quanto vasta sia la realtà che Nostro Signore dà con queste parole, per cui non è possibile identificarla in un momento storico inequivocabilmente definibile; viceversa, avrebbe specificato il fatto che il Suo ritorno sarebbe stato riferibile ad un unico avvenimento.

Tornando molto brevemente sul concetto di “carne”, sappiamo che l’uomo è paragonato ad una casa, inevitabilmente destinata ad essere abitata da Gesù o dall’Avversario. Chi non lascia entrare Colui che lo vorrebbe salvare, consente automaticamente l’ingresso al proprio assassino. Amen.

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16.35 – IL SERMONE PROFETICO VIII: PORTENTI E MIRACOLI (Matteo 24.23-25)

16.35 – Il sermone profetico 8: PORTENTI E MIRACOLI (Matteo 24.23-25)

 

23Allora se qualcuno vi dirà: «Ecco, il Cristo è qui», o: «È là», non ci credete. 24Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. 25Ecco, io ve l’ho predetto.

 

Anche queste sono parole già affrontate, ma la vastità dei contenuti che sottintendono ci consente comunque altri approfondimenti. Sono convinto che qui Gesù, come confermato dal verso 27, “Come la folgore viene da Oriente e brilla fino a Occidente, così sarà la venuta del figlio dell’uomo”, dia uno sguardo panoramico sui tempi a venire. Teniamo presente che aveva appena detto, con specifico riguardo a Gerusalemme, che “…vi sarà una tribolazione grande, quale non vi è stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà”: questo è un riferimento a tutte le sofferenze patite prima, durante e dopo l’assedio, con l’apparire di falsi messia e profeti ma, non risultando che questi abbiano compiuto “grandi e potenti miracoli” pur avendoli promessi, credo che dobbiamo per forza pensare che qui il panorama vada oltre l’anno 70.

Quanto letto “(se) qualcuno vi dirà: «Ecco, il Cristo è qui o: È là»”, mi viene in mente quanto questo parlare sia simile all’annuncio, certo veritiero, di Andrea a suo fratello Simone quando gli disse “Noi abbiamo trovato il Messia” (Giovanni 1.41) o a Filippo, che così parlò a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazareth” (1.45). Certo questa frase, presumo ripetuta tante altre volte a quanti incontravano soprattutto quando furono inviati in missione, si fondava su solide basi, ma la stessa sarà proposta in maniera fuorviante, e con modalità dettate dall’Avversario, agli uomini i cui nomi non sono scritti nel libro della vita che a quella crederanno.

I “falsi cristi” e i “falsi profeti” è scritto che “sorgeranno”, che dal verbo “eghéiro” potremmo tradurre anche con “si desteranno”, “si innalzeranno”, “saranno suscitati”: dal loro nulla, senza una genealogia come quella di Gesù, senza alcuna credenziale da parte di Dio compiranno comunque “grandi e potenti miracoli”, ma dobbiamo crederci quali. Sono restio a pensare che si tratti di guarigioni di ciechi e zoppi, guarigioni da démoni e simili, ma piuttosto conquiste e grandi risultati a livello politico e sociale, quelli che Israele si attendeva allora come oggi, che gli diano motivo per credere nel Messia che attendono ancora. E qui la mia mente va al terzo Tempio, ancora a venire.

Leggo in una pubblicazione ebraica: “Uno tra i principali compiti del Messia sarà la ricostruzione del Bet Hamikdàsh a Gerusalemme. Si tratta del terzo santuario che rimarrà edificato in eterno, secondo la profezia di Ezechiele 37.26-28. La ricostruzione del terzo santuario dimostrerà che il Messia è il Messia definitivo e solo quando vedremo che tutto si verificherà e sarà compiuto lo considereremo come il vero Redentore”. Qui si tratta credo di uno dei segni più grandi che caratterizzeranno quello stadio importante, il terzultimo in cui opererà la triade satanica, 666, in cui verrà ricostruito il terzo Tempio là dove attualmente sorge la moschea di Al-Aqsa, ma quante persone hanno creduto nei vari imperi che si sono succeduti da quello Romano all’Unione Europea? Quanti inganni si nascondono dietro tutte quelle istituzioni mondiali che attualmente agiscono apparentemente nell’interesse dell’umanità, ma che preparano in realtà il suo totale asservilimento a un Governo Mondiale, che esiste già in embrione a livello economico? Abbiamo recentemente affrontato il discorso terremoti, ma non di quelli che si dice vengano provocati.

William Cohen, segretario del Ministero della Difesa americano, in una conferenza stampa nel 1997 ha dichiarato che “anche gli altri sono impegnati in un tipo di eco-terrorismo basato sull’alterare il clima, e sul provocare terremoti ed eruzioni vulcaniche a distanza attraverso l’uso di onde elettromagnetiche”. Entriamo in un campo assolutamente incerto anche perché, come iniziato ad accadere quando Internet è stato sempre più controllato e diretto dai Governi, si è nell’impossibilità di verificare compiutamente le notizie: ciò che viene presentato come plausibile, può essere falso, chi denuncia un fatto particolare viene tacciato di complottismo e ciò può essere vero oppure no perché comunque sia il risultato è raggiunto, vale a dire la destabilizzazione del normale orientamento della persona, che non sa se credere a determinate notizie (si vedano ad esempio le scie chimiche, di cui si parla a ondate) o a rifugiarsi nei più tranquillizzanti programmi di intrattenimento offerti dalle televisioni che non fanno altro che promuovere l’ignoranza e diffondere il non ragionamento, la non cultura. In proposito, l’Italia è all’ultimo posto in Europa nella capacità di lettura di un testo scritto, la gente usa sempre meno vocaboli, ha perso la ricchezza del linguaggio e con essa dei concetti e la capacità di un pensiero ricco e autonomo, con la complicità dei social, delle e-mail, della messaggistica sempre più veloce e meno ricca di contenuti. L’obiettivo, direi raggiunto, è che la maggioranza delle persone cerchi solo ed esclusivamente l’immediato, che il pensiero critico sia assente, o al limite pilotato.

Le parole di Gesù “…così da indurre, se possibile, anche gli eletti” sono in questo contesto estremamente consolatorie: da un lato ci sono “gli eletti”, persone che non hanno alcun merito salvo quello – se può definirsi tale – di avere creduto in Lui. Questi sono protetti, la loro funzione non è quella di fare miracoli, ma di agire secondo la Grazia che gli è loro stata fatta, ma siccome è scritto che sono pecore che “non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Giovanni 10.28), sarà impossibile che credano a quei falsi cristi e profeti. E poiché sono convinto che per “eletti” si intendano tanto coloro che credono quanto quelli che crederanno, è possibile che il discorso di Gesù in questo contesto sia rivolto a quanti, in Israele, accetteranno il Nome di Gesù nella “Gran tribolazione”, alla luce della frase sul lampo da Oriente a Occidente che esamineremo.

I “falsi cristi” e i “falsi profeti” possiamo vederli come dei precursori, così come Giovanni Battista lo fu per Nostro Signore, dell’empio per eccellenza, quello di cui parla l’apostolo Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi: “Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono dati all’iniquità” ( 2. 7-12).

Penso a quanto oscure possono essere sembrare queste parole ai cristiani di Tessalonica, e a quanto possano risultare per noi sempre più nitide, alla luce degli eventi di cui siamo testimoni come credenti degli anni 2000: abbiamo letto di “ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri”, quindi tutto il repertorio possibile. Già un caro fratello, nel 1979, mi spiegava che il verso relativo alla Bestia in Apocalisse 13.3, “Una delle sue teste sembrò ferita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita” era riferito al muro di Berlino che un giorno sarebbe caduto, cosa che avvenne il 9 novembre 1989, questo per dire che quel giorno avvenne l’impensabile, fu un evento che ebbe una risonanza enorme, mondiale, salutato come un immenso passo avanti nella strada verso un’Europa finalmente unita. Difficile pensare ad un miracolo più grande, in termini politici, ma ne seguiranno altri. In scala enormemente minore, mi vengono in mente i festeggiamenti che vi sono stati in Svizzera quando fu inaugurato nel 2016 il nuovo traforo ferroviario del Gottardo, attualmente il più lungo e più profondo del mondo, in cui venne messo in scena uno spettacolo con simboli chiaramente esoterico-satanici. E chi vuole, può cercare in Internet il filmato, analizzarlo nei suoi simboli e rendersi conto di persona di quanto scritto. Anche questo credo rientri nei “miracoli” e così tanti altri sui quali non mi pare sia il caso di dilungarsi, stante il carattere spirituale di questo scritto.

 

Proseguendo nella lettura della seconda lettera ai Tessalonicesi, vediamo che tutte queste iniziative dell’Avversario e dei Governi, che poi altro non sono che una Sua emanazione, sono rivolte a una precisa categoria di persone, quella “di coloro che vanno in rovina” cioè seguono una via che paragono a quella di un nastro trasportatore: lì in piedi, immobili, senza reazione alcuna, sono ricettivi a “una forza di seduzione” che Dio ha mandato loro non perché sia malvagio e abbia voluto deliberatamente condannarli, ma semplicemente perché il tempo a disposizione per ravvedersi è scaduto, perché si può essere morti anche vivendo. Abbiamo letto infatti “invece di credere alla verità, si sono dati all’iniquità” cioè, banalmente, a ciò che non è giusto. Non a caso c’è una Bestia che sale “dal mare”, figura dei popoli in tumulto, e un’altra che sale “dalla terra”, cioè dal basso, provenienza che ci parla di istinto, di elementi non nobili, di pesantezza, di assenza di qualsiasi contrassegno nobile. Mare e Terra che sono gli unici due elementi che formalo la superficie del nostro pianeta, non vi è nulla che venga dal cielo.

Altro passo degno di nota, a conferma del fatto che tutto è intimamente legato e connesso, che nel tempo si dipana, si srotola come una bobina che gira lentamente, ma senza mai fermarsi, lo troviamo nella seconda lettera di Pietro, personaggio che più degli altri Undici fu trasformato radicalmente dalla Grazia e dallo Spirito, che in soli tre versi sembra tracciare una storia del cristianesimo da punto di vista spirituale: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati. Attirando su se stessi una rapida rovina, molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false, ma per loro la condanna ormai è in atto da tempo e la loro rovina non si fa attendere” (2.1-3).

C’è un particolare, in queste parole, che forse passa inosservato e cioè che Pietro parla di due categorie di persone, “falsi profeti” e “falsi maestri”: non sono la stesa cosa perché il “profeta” è una figura che appartiene più all’Antico Patto, ma il “maestro”, pur essendo una categoria presente anche nell’antico Israele, ha più attinenza con la Chiesa. Il Profeta à colui che parla dietro espresso ordine di Dio nel senso che porta un messaggio specifico, ma il maestro è chi insegna, sviluppa la dottrina. I profeti sono citati nell’elenco dei doni nella Chiesa (Efesi 4.11), ma i maestri sono quanti, con la loro condotta, sviluppano temi già presenti, li raccordano, li connettono, li espongono. Il maestro si sviluppa col tempo, la rivelazione, la sofferenza, la ricerca prima di tutto nello Spirito, un fine che esclude il vanto, l’orgoglio e soprattutto il tornaconto personale perché leggiamo “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo” (Giacomo 3.1).

Il “falso maestro” è tale in primo luogo di fronte agli occhi di Dio, cui nulla sfugge. La qualifica che ha assunto è alla base della propria condanna sulla quale cresce e si sviluppa. Se messo alla prova da chi mette in pratica l’invito di “provare gli spiriti per vedere se sono da Dio”, soccombe. Non porta in sé alcuno dei frutti dello spirito menzionati in Galati 5.22,23 agendo per distogliere i semplici dal loro cammino, guidandoli verso posizioni sbagliate, metodi devianti che possono compromettere seriamente il rapporto con Cristo. E di questo porteranno una responsabilità enorme e un castigo proporzionato al male fatto.

Concludendo, le parole del verso 25, “Ecco, ve l’ho predetto”, costituiscono la firma di Gesù a quanto finora esposto, stanno a indicare il fatto che in quel momento sta dando ai discepoli le chiavi per comprendere e riconoscere i tempi a venire, che si tratti dell’imminente rovina della città simbolo dell’ebraismo o di tutti gli altri, bui se non illuminati dalla Sua presenza. Amen.

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