13.09 – CONTRO I DOTTORI DELLA LEGGE (Luca 11.45-54)

13.09 – Contro i dottori della Legge (Luca 11.45-54)       

 

45Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! 47Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. 49Per questo la sapienza di Dio ha detto: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno», 50perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: 51dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
53Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, 54tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

 

            L’invettiva contro i dottori della Legge fu provocata da uno di loro, che avvertì coinvolta la propria categoria quando Gesù parlò di quanti amavano “i primi posti nella sinagoga e i saluti nelle piazze”. Ora, riconoscendosi nella citazione, quella persona non tollerava di venire paragonata a un sepolcro che non si vedeva e, passandovi sopra la gente, veniva resa impura. Questo è molto significativo perché era chiaro che Nostro Signore, in quel momento come in altri, non attaccava indistintamente tutta la categoria dei Dottori, ma solo quelli che, per comportamento e disposizione d’animo, mettevano in atto quanto da Lui denunciato. È come quando oggi qualcuno, tramite i media, attacca una determinata categoria di persone: chi si offende, non è mai chi svolge la professione correttamente, ma chi si sente punto nel vivo perché ha “la coscienza sporca”.

A questo punto era inevitabile che Gesù continuasse l’elenco delle colpe che coinvolgevano comunque anche gli scribi e farisei, avendo quelle categorie di persone più o meno un denominatore comune. Cito qui le parole usate da Matteo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”.

La “cattedra– o più correttamente “sedia”di Mosè”allude al posto su cui queste persone sedevano nella sinagoga, quella dei maestri, ma anche quella da loro occupata nel Sinedrio o nei tribunali inferiori per applicare la legge. Fossero stati integri, non vi sarebbe stato nulla di male, ma ritenendosi eredi di Mosè a prescindere dalle loro azioni – abbiamo letto la loro replica a Gesù “Noi siamo discepoli di Mosè”– senza possedere alcuna delle sue qualità e soprattutto il mandato, non erano altro che impostori del sacro. Ricordiamo a proposito della “sedia”, come si comportò Esdra che “aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti”(Nehemia 8.5). È detto poi che “i leviti spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi. Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura”(vv.7,8). Teniamo presente questo far “comprendere”perché verrà utile più avanti. Da quel lodevole, splendido inizio, si era col tempo arrivati al punto descritto da Gesù.

Quando affronteremo il capitolo 23 di Matteo, dove più che in questo passo è analizzato il comportamento degli scribi, farisei e dottori della legge, potremo avere una visone più ampia delle nefandezze di costoro che, nel caso del passo in esame, comprendeva anche il totale disprezzo del debole. Così infatti scrive Isaia: “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani. Ma che farete nel giorno del castigo, quando da lontano sopraggiungerà la rovina? A chi ricorrerete per protezione? Dove lascerete la vostra ricchezza? Non vi resterà che piegarvi tra i prigionieri o cadere tra i morti. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa”(10.1-4).

Qui vediamo anche come, progressivamente, ci avviciniamo al castigo profetizzato nel passo di Luca che stiamo esaminando cioè la generazione che sarà chiamata a rendere conto del sangue versato di tutti i profeti in quanto omicida dello stesso Gesù. La “rovina”abbiamo letto che sopraggiunge “da lontano”, se ne possono cioè vedere i segnali, ma vengono ignorati.

 

I Dottori della Legge, al tempo di Nostro Signore, sono paragonati poi a quelli che, avendo delle bestie da soma, li caricano di pesi talmente gravosi da sfinire chiunque, riconoscibili nell’infinità di precetti che imponevano al popolo richiedendone la rigida osservanza. Anche l’apostolo Pietro definì quelle usanze “un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare”(Atti 15.10) e che si trattasse di pesi importabili erano loro a saperlo per primi, non volendo “muoverli neppure con un dito”, cioè standosene accuratamente alla larga fingendo però di adempierli. Ancora una volta abbiamo la differenza fra la religione e la fede nuova in Cristo, come scrive Paolo in Galati: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù– quello della Legge cerimoniale –. Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge: siete decaduti dalla grazia”(5.1-4).

Queste parole sono state scritte dall’apostolo per avvisare del danno provocato da quei Giudei convertiti che volevano tenere un piede nella Grazia e l’altro nella Legge, apparentemente non capendo che era la prima a far vivere e non la seconda, ma ponendo intoppi assoluti nel progresso degli altri nella fede.

Abbiamo così un’altra faccia dell’ipocrisia, quella più insidiosa che tanto male fa anche oggi nelle Chiese, dove basta assumere l’atteggiamento del rigore nei confronti degli altri per dare l’impressione che si faccia altrettanto con se stessi, ma non è così, come insegna l’episodio della donna adultera. E il modo stringato ed essenziale con cui Nostro Signore parla, lascia pensare che bastarono quelle parole per spiegarsi quanto bastava. E una volta tanto fu capito perfettamente, visto che l’ultimo verso del nostro passo ci parla dell’ostilità e dei tranelli dottrinali che tutti quei religiosi volevano porgli.

 

Altro capo d’imputazione nei confronti dei Dottori era il finto onore che attribuivano ai profeti, illudendosi di essere loro discendenti: consapevoli infatti che i loro avi avevano ucciso effettivamente molti inviati di Dio, ne condannavano le azioni riedificando e abbellendo i loro sepolcri per un tornaconto personale di rispettabilità quando il loro cuore, in proposito, non era affatto cambiato: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quanti sono mandati a te…”.  Ancora, di questi parlò Gesù nella parabola delle nozze, quando, di fronte agli inviati del re, disse “Ma essi, non curandosene, se ne andarono chi ai loro possedimenti, chi ai loro traffici; e gli altri, presi i suoi servitori, li oltraggiarono e li uccisero. E quel re, udito ciò, si adirò e mandò i suoi eserciti e distrusse quegli omicidi, ed arse le loro città”(Matteo 22.5-7).

Ricordiamo ciò che avvenne negli attimi che precedettero la lapidazione di Stefano in Atti 7.51-54: “«O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Cristo, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli, e non l’avete osservata». All’udire queste cose, fremevano nel cuor loro e digrignavano i denti contro di lui”.

Trattando la fede dei profeti uccisi, in Ebrei 11.35-38 leggiamo “Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore resurrezione. Altri infine subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e capra, bisognosi, tribolati, maltrattati. Di loro il mondo non era degno”.

Questo, in sintesi, ciò che è l’eredità dei Giudei e ciò che sarebbe stata la loro sorte, vista sinteticamente in quel “mandò i suoi eserciti e distrusse quegli omicidi ed arse le loro città”di cui abbiamo letto. Furono parole specifiche perché quella cui Gesù parlava era la “generazione”a cui sarebbe stato “ridomandato conto, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria”, entrambi uccisi da persone serve dell’Avversario.

 

Il terzo capo d’imputazione nei confronti dei Dottori è quella di aver “portato via la chiave della conoscenza”, di non esserne entrati e di averne impedito agli altri l’accesso: il parallelo di Matteo riporta “avete chiuso il regno dei cieli davanti agli uomini, di modo che voi non entrate e nemmeno lasciate entrare quelli che stavano per entrarvi”(23.13); qui il regno dei cieli è la nuova economia evangelica rappresentata da un recinto di cui Legge e Profeti sono la porta che, per essere aperta, ha bisogno di una “chiave”che quelli hanno rimosso, rubato. La “chiave”è quella della conoscenza spirituale, quella rivelata “ai piccoli”e non quella letterale dei libri imparati a memoria. Ricordiamo ciò che disse Filippo a Natanaele, nella sua semplicità “Noi abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazareth”(Giovanni 1.45).

La Legge, quindi, non è qualcosa da sottostimare o di chiuso per sempre: lo è se la si considera come unica via o porta per il regno dei cieli quando, come leggiamo in Galati 3.24,25, “è stata per noi un pedagogo fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo”. Infatti “La Legge possiede soltanto l’ombra dei futuri beni e non la realtà stessa delle cose”(Ebrei 10.1): una salvezza “sulla quale indagarono e scrutarono i profeti che preannunciavano la grazia a voi destinata”(1 Pietro 1.10,11).

Gesù però, con le sue parole, denuncia un peccato terribile, quello di avere svuotato totalmente di senso spirituale gli scritti loro affidati, perché insegnavano ed è a loro che il popolo faceva riferimento. Tutto era ridotto all’apparenza, ad un’interpretazione e ad una pratica fuorviante di modo che, qualora vi fosse un cuore onesto, veniva corrotto da un insegnamento perverso. Purtroppo questo accade oggi in molte Chiese, credo soprattutto in quella di Roma e dove, per interessi personali, si antepone il proprio interesse a quello di Dio oppure, nello specifico, ci si adatta al contesto mondano tanto per quanto riguarda le sue superstizioni, quanto per ciò che è il suo concetto di solidarietà, modernità ed equalizzazione delle menti. E il “Vangelo sociale” ne è un esempio. E dalle parole di Nehemia che abbiamo ricordato, confrontate con quelle di Gesù coi leviti che “spiegavano la legge al popolo”, rileviamo il degrado, l’allontanamento dalla parola pura a quella travisata.

L’errore dottrinale si verifica, allora, sempre consapevolmente: se non ameremo il Dio che professiamo di servire, non potremmo che amare noi stessi. Amando noi stessi, seguiremo le strade che la nostra istintività ci porterà a seguire ma, per difendere il nostro status, torceremo la Scrittura a nostro vantaggio e in questo troveremo il nostro riposo provvisorio. Amando però il temporaneo e non l’eterno, saremo inevitabilmente sconfitti senza nessuna prospettiva di luce perché, proprio in quanto avremo fatto della religione vuota il nostro esistere, avremo impedito la salvezza agli altri. Amen.

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