08.03 – GADARA III/III (Marco 5.1-20)

8.03 – Gadara III/III (Marco 5.1-20)

 

1Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei geraseni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti. 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. 14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”.

 

I GUARDIANI

Sono spettatori che reagiscono immediatamente quando vedono svanire la loro fonte di guadagno, o meglio quella dei loro padroni, tramite il “suicidio collettivo” dei porci. Mi sono chiesto dove si trovassero queste persone, ma il testo si limita a riportare che “a qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo” (Matteo); per Marco e Luca quegli animali si trovavano “sul monte”, per cui tutto lascia supporre che i guardiani osservassero la scena a distanza di sicurezza per timore degli indemoniati e che non abbiano realizzato immediatamente la loro guarigione, ma che la scena di duemila maiali che si misero a correre verso il mare all’improvviso finendovi dentro annegando li avesse letteralmente terrorizzati. Dobbiamo pensare che ben difficilmente, vista la barca approdare e sapendo della presenza dei due ossessi, non avessero seguito attentamente ciò che accadeva. A quel punto, dopo la guarigione e il conseguente rovinare dei porci nel lago, “Fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere cosa fosse accaduto”. I guardiani sono allora persone che annunciano un evento inspiegabile, mai avvenuto prima, e questo portò la gente ad andare a verificare di persona. È poi molto probabile che quella mandria fosse composta da capi appartenenti a più proprietari conosciuti in città e nella campagna circostante.

 

LA GENTE E L’UOMO GUARITO

Sappiamo che la notizia portata a Gherghesa si allargò rapidamente a macchia d’olio anche fuori della città e gli abitanti della zona accorsero a vedere. C’erano praticamente tutti, dai capi alla gente comune e la curiosità, oltre che all’apprensione per la sorte della fonte di guadagno rappresentata dai porci, ebbe la meglio sul timore dovuto alla presenza dell’indemoniato, che trovarono guarito, ritratto da Marco con le parole “seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione”. Luca aggiunge “seduto ai piedi di Gesù”, atteggiamento che non avrebbe mai potuto avere se fosse stato nella condizione in cui era prima. La gente “vide”, cioè si rese conto, constatò un cambiamento impossibile. Isaia 49.25 scrive che “Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno”, parole cui si raccorderà l’apostolo Paolo in Romani 16.20: “Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi”. Ebbene Gesù lo dimostra già qui e il terrore della Legione era dovuto proprio a questo, il presagio della fine che solo Cristo, “venuto per distruggere le opere del diavolo” (1 Giovanni 3.8) poteva determinare, decretare, compiere.

Prestiamo attenzione al verbo “Distruggere” che implica “abbattere, guastare, disfare, per lo più con azione o con mezzi violenti, scomponendo le parti di un oggetto dissolvendolo, riducendo in rovina, in modo che la cosa sia resa definitivamente inutilizzabile o non ne rimangano talora neppure le tracce”. E in effetti, questa distruzione della legione fu tangibile a tutti nel vedere l’ormai ex indemoniato “seduto”, cioè tranquillo, non “sdraiato a terra”, che ci lascerebbe pensare a spossatezza o sfinimento. Non vi era in quell’uomo nessun segno di nervosismo, ogni impulso di autolesionismo era svanito così come erano ormai scomparsi tutti quei comportamenti, estranei alla sua persona normale, che lo spingevano a vagare ed aggredire.

Ma a “seduto” Luca aggiunge “ai piedi di Gesù” e personalmente lo trovo un particolare commovente, così come la sua volontà di seguirlo. Possiamo pensare che quella posizione rifletteva al tempo stesso riconoscenza e deferenza, oltre che essere la stessa postura del discepolo desideroso di apprendere; ricordiamo Paolo che usò la stessa espressione per indicare la sua appartenenza alla scuola di Gamaliele (Atti 22.3). L’ignoto indemoniato non si mise a sedere esausto da qualche parte su un sasso, ma ai piedi di Gesù e probabilmente parlava, perché viceversa i presenti non lo avrebbero potuto classificare come “sano di mente” e Marco avrebbe scritto che se ne stava muto e tranquillo. Invece, l’indemoniato guarito aveva trovato una dimensione nuova, su misura per lui: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Matteo 11.28).

Prima di ritenerlo sano, comunque, la gente vide che quell’uomo era vestito, cioè aveva ritrovato la propria dignità senza fare nulla: Gesù lo liberò, poi fu coperto con un abito – ipotizzo – fornito dai discepoli e infine fu sicuramente abitato da un altro Spirito, certo non più immondo. Sono tre azioni importanti. La prima e la terza sono forse le più semplici da capire, mentre si tende a inquadrare la seconda, il dare un abito, nel campo della normalità e così può sembrare; in realtà il vestire un essere umano nudo, o con l’abito strappato o comunque impresentabile agli altri, è indice della carità di Dio che conferisce dignità alla persona. E sappiamo che Dio vestì i nostri progenitori. Senza un vestito non ci si può mostrare al prossimo e molto spesso la sua qualità e fattura si adegua agli eventi cui partecipiamo, ma non si può prescindere dalla presentabilità. Ciò che fecero i discepoli a quell’uomo solo apparentemente è indice di un gesto provvisorio teso a far cessare la sua umiliazione: il realtà è simbolo della totalità delle attenzioni di Dio con gli stessi scopi, ma spirituali, che troviamo nella parabola degli invitati alle nozze che, come in uso a quel tempo, avevano ricevuto il vestito per la festa. E sappiamo cosa successe: “«Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale»? E quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà il pianto e lo stridore di denti»” (Matteo 22.12,13).

L’apostolo Paolo, riferendosi all’episodio, scriverà nella sua seconda lettera ai Corinzi “Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena che è come una tenda – il corpo che contiene anima e spirito –, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi” (5.1-3). Gesù, quindi, si occupò di quell’indemoniato integralmente per il suo risollevamento esattamente come Satana per la sua distruzione.

Il testo torna a parlarci dei presenti: vedono quell’uomo nelle condizioni appena descritte e, a differenza di quanto avvenuto in casi precedenti, non si “stupiscono” o provano “meraviglia”, ma provano un sentimento di “paura”. È la prima reazione istintiva di fronte a una manifestazione che non si riesce a spiegare, all’irrazionale perché l’uomo è abituato a far leva sulla ragione che ha una risposta per tutto. La paura è l’unica reazione di fronte a ciò che non si può gestire, controllare, spiegare, difendere proprio come avveniva di fronte all’indemoniato quando era posseduto. E fu allora nuovamente spiegato alla folla, dai guardiani con più particolari per quanto potevano, “che cosa era avvenuto all’indemoniato e il fatto dei porci”: i ghergheseni si trovarono così di fronte a un avvenimento in cui loro stessi erano entrati direttamente vedendo, constatando la guarigione del loro concittadino.

Ebbene, anziché rallegrarsi con lui per questa liberazione, vengono sopraffatti dall’interesse e credo abbiano pensato “non so cos’è successo e non mi riguarda, ma è andata distrutta la mia fonte di guadagno”, nessun pensiero magari ad altri nelle condizioni di quell’uomo, o a malati da portargli che certamente esistevano in città, ma solo una costante preoccupazione per l’economia della zona e che venisse turbata la loro tranquillità quotidiana. Non credo che Gherghesa fosse una città ricca e i suoi abitanti vivessero in condizioni particolarmente agiate, ma dobbiamo tener presente che il “ricco” non è solo chi ha molti beni, ma chi è attaccato alle sue cose e non le vuole condividere con altri. C’è chi è attaccato ai propri beni (case, ville, castelli, fabbriche, auto) esattamente come un povero può considerare allo stesso modo la misera baracca in cui abita o qualsiasi altra cosa. Anche una vita tranquilla costituisce una ricchezza che uno può avere timore di perdere. Nel caso dei ghergheseni, più che un loro simile, un concittadino, valevano i maiali. E oggi, più che questi animali, vale la “libertà” del vivere senza Cristo, per cui si preferisce tenerlo fuori dai propri confini senza il bisogno di pregarlo di andarsene. Così leggiamo in Giobbe 21.12-15 quando, sofferente, si chiedeva il perché del successo dei malvagi: “Cantano al ritmo di tamburelli e cetre, si divertono al suono dei flauti. Finiscono nel benessere i loro giorni e scendono tranquilli nel regno dei morti. Eppure dicevano a Dio «Allontànati da noi, non vogliamo conoscere le tue vie. Chi è l’Onnipotente, perché dobbiamo seguirlo? E a che giova pregarlo?»”. Credo sia un ritratto perfetto di quella gente radunata attorno all’indemoniato e a chi lo aveva guarito.

Nessun testo ci dice che, in relazione all’invito dei ghergheseni ad andarsene, Gesù abbia fatto rimostranze o profezie di distruzione nei loro confronti: la folla stessa aveva scelto così, tranne il guarito che voleva restare con chi lo aveva liberato, ma il Maestro non volle prenderlo con sé perché andava lasciata una testimonianza di ciò che era accaduto: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Ecco, qui abbiamo la progressione della testimonianza, del seme gettato: i primi a dover conoscere davvero i fatti, supportati da una condotta nuova, avrebbero dovuto essere i famigliari di quell’uomo che meglio di altri, attraverso il contatto quotidiano, avrebbero potuto chiedersi le ragioni di quel cambiamento fino ad allora impossibile.

Marco passa poi ad informarci di cosa successe dopo: “Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”. Questa volta, meraviglia e non paura. Quell’anonimo, da vittima nelle mani di Satana, si trasformò in strumento nelle mani di Dio e sappiamo che, in quei territori, non proclamava qualcosa di completamente nuovo (salvo a quanti non avevano sentito parlare di Gesù) perché la fama del “Figlio dell’uomo” si stava già spargendo; abbiamo già letto che “Gran folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano” (Matteo 4.25). Chissà se tempo dopo, quando venuto “presso il mare in pieno territorio della Decàpoli, gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano” (Marco 7), ciò avvenne anche in conseguenza della testimonianza dell’indemoniato guarito.

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08.02 – GADARA II/III (Marco 5.1-20)

8.02 – Gadara II (Marco 5.1-20)

 

1Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei geraseni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti. 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. 14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”.

 

I DEMÒNI

Fatte le necessarie considerazioni sul territorio di Gadara – Gerasa – Gherghesa e sugli indemoniati, passiamo ad affrontare i demòni, argomento estremamente complesso che affronteremo limitatamente ai loro nomi, collegandoli al proprio modo di manifestarsi. Chiedendo “Qual è il tuo nome?” Gesù non dimostra di ignorarlo, ma di costringere lo spirito impuro a dichiararsi, “Il mio nome è Legione, perché siamo in molti”: personalità multipla, sfida? Caos, coacervo di impulsi contrastanti, malvagità poliedrica? Luca riporta “Legione, poiché molti demòni erano entrati in lui”. Una legione romana ammontava a seimila uomini, ma non credo che qualificandosi così lo spirito impuro dominante intendesse dare una cifra; piuttosto si riferiva ad una forza organizzata per distruggere; come faceva notare un fratello, “lo spirito immondo è uno e molti al tempo stesso e può parlare indifferentemente al plurale e al singolare, avendo il male molti volti. Satana infatti è un grande mistificatore e si identifica nelle forme più impensate, come il serpente nel giardino di Eden”. Pensiamo a cosa fa oggi, seducendo anche coloro che avrebbero gli elementi per salvarsi rivolgendosi a Cristo e preferiscono darsi al marianesimo, seguendo presunte apparizioni o miracoli che, secondo la dottrina autentica trasmessaci dagli apostoli, non possono avvenire o, se questo avviene, si tratta di manifestazioni che provengono da Colui che può assumere le sembianze anche di “angelo di luce” (2 Corinti 11.14). Un’imitazione, un tentativo maldestro che seduce chi a Cristo non appartiene.

Legione”, quindi, è la risposta che lo spirito immondo dà a Gesù riguardo al nome che aveva, ma non va inteso come proprio, piuttosto quanto rivelatore di una caratteristica. Ecco allora che questo ci consente di estendere il ragionamento al tipo di spiriti che agiscono sull’uomo (e a suo danno) secondo la Scrittura fermo restando che, per poter operare, queste forze necessitano di un ambiente favorevole e preparato da tempo che ha loro concesso volutamente degli spazi.

Da Numeri 5.14 sappiamo che esiste uno “spirito di gelosia”, che troviamo nel caso di un rapporto coniugale, ma è possibile estenderlo a tutti i quei casi in cui vi sono tradimenti e congiure. Generatore di odio profondo, non si placa neppure di fronte all’evidente innocenza della persona di cui si sospetta. Questo spirito trova tra le sue manifestazioni anche con l’invidia attiva, poiché la gelosia è un sentimento tormentante a molti livelli e quasi sempre pensa di trovare un acquietamento nell’eliminazione, in un modo o in un altro, del soggetto ritenuto avverso. Primo esempio, in questo caso, fu Caino.

1 Samuele 16.14 ci dice “Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul e cominciò a turbarlo uno spirito malvagio, venuto dal Signore”. Non che da Dio possa venire il male: solamente il Signore, togliendogli il suo spirito, permise a un altro di entrare in Saul. È una legge fisico-spirituale. In cosa si manifesta questo spirito? Nell’opposto della pietà e carità di Dio vista nel dono dello Spirito Santo. “Malvagio” è chi opera il male compiacendosene o restando indifferenze alle conseguenze che esso provoca, chi tende a delinquere che, ai tempi della Legge, sarebbe stato “estirpato dal popolo” con la condanna a morte e, se presente oggi nella Chiesa, va affrontato per non lasciargli alcuna possibilità di espressione. Per lo spirito malvagio, ma anche per gli altri, vale la regola che può agire se l’uomo glielo consente esattamente come avvenne per Saul, il cui spirito di Dio gli fu tolto perché aveva compiuto scelte autonome in opposizione a quando gli era stato da Lui ordinato (1 Sam. 15.9).

Altro tipo di spirito, subdolo e seduttore, è lo “spirito di divinazione”, o “di pitone” secondo altre traduzioni. Lo troviamo espressamente citato in Atti 16.16: “Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una schiava che aveva uno spirito di divinazione: costei, facendo l’indovina, procurava molto guadagno ai suoi padroni”. Qui va prestata attenzione, poiché le Scritture si riferiscono sia ai ciarlatani, sia a quelli che sono in grado di aprire “porte che devono restare chiuse”, come avvenne per Saul e la negromante che consultò perché non otteneva risposte dal Signore (1 Sam. 28.7-9). Lo “spirito di divinazione” è quindi un’alternativa di comodo, che consente a chi non può o non vuole rivolgersi a Dio di avere un risultato apparentemente appagante. Sono molti quelli che vanno in rovina spendendo cifre enormi per ottenere risposte da queste persone attorno al loro futuro e per risolvere problemi di lavoro o di ciò che è falsamente chiamato “amore”. Oggi come in passato, molti governanti e politici vi ricorrono o vi hanno ricorso, per non parlare di attori, scrittori, editori e imprenditori anche molto conosciuti. Purtroppo, anche se si tenta a crederlo, importanti medici. Ricordiamo in opposizione Levitico 19.31 “Non vi rivolgete agli spiriti, né agli indovini; non li consultate per non contaminarvi a causa loro. Io sono il Signore, vostro Dio”. Ancora più dettagliate le parole di Deuteronomio 18.10-12: “Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia – sacrifici umani –, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore”. Per finire si possono ricordare le parole in Isaia 8.19,20: “Quando vi diranno: «Interrogate i negromanti e gli indovini che bisbigliano e mormorano formule. Forse un popolo non deve consultare i suoi dèi? Per i vivi consultare i morti?», attenetevi all’insegnamento e alla testimonianza. Se non faranno un discorso come questo, non ci sarà aurora per loro”.

Al quinto posto troviamo lo “spirito di smarrimento”, tradotto anche con “stordimento” (ma anche quello “di errore”) menzionato in Isaia 19.14 che, per il tempo in cui viviamo, possiamo riconoscere anche nelle dipendenze da sostanze stupefacenti, dall’alcool al gioco d’azzardo al sesso compulsivo, alla ricerca di filosofie alternative a una condotta degna dell’uomo pensante, tutto ciò insomma che rende le persone schiave e incapaci di condurre una vita libera e indipendente da esse.

Il sesto è lo “spirito muto e sordo” citato in Marco 9.25 che un fratello giustamente individua nell’eredità genetica a causa di incesti, rapporti fra consanguinei o privi di profilassi preventiva tanto nel concepimento che in gravidanza.

Infine il settimo, lo “spirito d’infermità” citato in Luca 13.11, connesso con il disfacimento del nostro corpo, definito dall’apostolo Paolo “corpo dell’umiliazione” o con la frase “il nostro uomo esteriore che si va disfacendo” (Filippesi 3.20; 2 Corinti 4.16).

L’opera di Satana dunque, “principe di questo mondo”, si concreta nella disubbidienza o nell’errore che puntualmente si paga e oggi, con i progressi della scienza medica, lo posiamo riconoscere nel momento in cui questa si rivela impotente a porvi rimedio esattamente come, a Gherghesa, quell’uomo “più volte era stato legato con catene e ceppi, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo”, oppure secondo Luca 8.29 “Allora lo tenevano chiuso, legato con catene e ceppi ai piedi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti”. Catene e ceppi nei quali possiamo identificare quei farmaci, o interventi invasivi, che tendono ad annullare la volontà distruttiva della persona ritenuta malata di mente, ma sono impotenti a ristabilirla, a restituirle quella dignità che Satana le ha tolto.

Tornando al nostro episodio: lo spirito immondo sa di dover lasciare quel corpo che ormai di umano aveva solo la forma ma, non volendo abbandonare un territorio a lui non ostile, individua subito nel branco di maiali i suoi nuovi, ideali elementi idonei ad ospitare lui e i suoi simili. Ecco perché i demoni non “chiedono”, ma “scongiurano” Gesù di lasciarli andare da loro, verbo che accomuna tutti e tre i racconti e che ci parla del fatto che Satana, per quanto forte, di fronte alla persona di Gesù gli deve sottostare. In effetti, in una creatura classificata dalla Legge come “impura”, l’Avversario avrebbe potuto trovare una sistemazione, cosa che poi avverrà per un tempo molto breve. Senz’altro indispensabile l’annotazione di Luca che scrive in 8.31 “E lo scongiuravano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso”, l’unico luogo che per loro è dimora ma che evidentemente rifiutano: “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio” (2 Pietro 2.4). Riferimenti sull’abisso li abbiamo in Apocalisse 9.1,2; 11.7; 17.8 e soprattutto 20.1-3: “E vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell’abisso e una grande catena. Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po’ di tempo”.

 

I MAIALI

Sappiamo che la Legge ebraica classifica gli animali come “puri” o “impuri” fondamentalmente per uso alimentare. In particolare il maiale ha una carne tossica che si accentua soprattutto nelle zone calde, ma anche in quelle fredde per quanto in misura minore. Il consumo abituale della sua carne causa dipendenza e finisce inevitabilmente per intossicare l’organismo causando calcoli biliari, obesità e inflaccidimento muscolare perché, contenendo molto zolfo, indebolisce i muscoli e li rende facili a subire lesioni. Compatibile con quella umana, si sospetta fortemente che, nei consumatori abituali di questa carne, ci sia una maggiore insorgenza di patologie specifiche come Alzheimer e Parkinson.

Se però andiamo a cercare gli esempi, o i paragoni, in cui il maiale è protagonista nella Scrittura a parte la sua classificazione legale, scopriamo elementi interessanti che lo collegano all’immondizia morale pur essendo, in quanto animale, al di là del bene e del male:

 

  1. Un anello d’oro al naso di un porco, tale è la donna bella priva di senno” (Proverbi 11.22), aforisma che chiama in causa tutte quelle donne, ma oggi anche uomini, giovani o meno, che modellano in loro stile di vita rendendosi strumenti dell’Avversario, sedotte dalla vanità a tal punto, come scrive un fratello, “da penalizzare il proprio corpo sia come immagine che per prestazione”. E i riferimenti possibili sono davvero innumerevoli e sotto gli occhi di tutti.
  2. Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con le zampe e poi si voltino per sbranarvi” (Matteo 7.6), frase in cui, al di là delle numerose riflessioni che abbiamo fatto nell’affrontarla, possiamo individuare la proibizione al proselitismo che spesso genera entusiasmi presuntuosi fuori luogo dai quali germinano ignoranza, estremismo, integralismo e violenza, come purtroppo la storia antica e moderna insegna.
  3. …avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava” (Luca 15.16). È un verso conosciuto appartenente alla parabola del figlio prodigo che lasciò la casa paterna per andare in un paese straniero dove sperperò tutta la sua eredità, morale, spirituale e materiale con le prostitute per poi alla fine ritrovarsi senza avere di che mangiare.
  4. Si è verificato per loro il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel fango»” (2 Pietro 2.22). Qui bisogna prestare attenzione: Pietro scrive dell’eventualità in cui una persona abbia deliberatamente scelto di abbandonare la fede abbracciata e di cui ha personalmente sperimentato gli effetti: “Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti – la differenza fra la crisi passeggera e l’abbandono – la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro tramesso”.

 

Ecco, scongiurando Gesù di mandarli nei porci, gli spiriti immondi, tramite il loro rappresentante, dimostrano di trovare in quegli animali i loro ospiti ideali dal punto di vista morale; una volta entrati in loro però, proprio i maiali, presi dal terrore, li rifiutarono precipitando nel mare, non avendo un senso del pericolo e della morte con il nostro.

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08.01 – GADARA I/III (Marco 5.1-20)

8.01 – Gadara I (Marco 5.1-20)

 

1Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei geraseni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti. 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. 14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati”.

 

Con questo passo ci troviamo di fronte ad un racconto impegnativo per diverse ragioni: è infatti un episodio contestato, quanto a veridicità, per il modo diverso con cui è raccontato dai sinottici, per le indicazioni geografiche apparentemente improbabili e contrastanti, per la zona considerata da molti commentatori territorio pagano e altro. Per quel che ci riguarda, il passo di Marco in particolare ci offre una cronaca estremamente ricca di elementi dottrinali e spirituali, non affrontabile in un unico capitolo, o incontro.

Iniziamo inquadrando il nome del territorio: il testo di Matteo riporta “Xòran ton Gerghesenòn”, cioè “Contrada dei Gergheseni”, mentre Marco e Luca “Gadarenòn”, “Gadareni”, che molti, sulla base di altri testi antichi, hanno voluto sostituire con la parola “Gherasenòn”, “Geraseni”. Potremmo dire che “nella zona”, per quanto distanti una ventina di chilometri circa, c’erano due città, Gerasa e Gadara, la prima troppo lontana dal lago per cui difficilmente avrebbe potuto dare nome a quel distretto mentre la seconda, più vicina, una delle città greche della Decàpoli e capitale della Perea, avrebbe potuto meglio costituire un riferimento geografico, per quanto non corrispondente alla località effettiva in cui avvenne l’episodio. Gerasa non era molto conosciuta, ma Gadara sì e in questo modo chiamare quel luogo “la contrada dei Gadareni” era plausibile. Abbiamo così Gerasa e Gadara, ma anche Gherghesa, la cui esistenza è attestata da Origene ed Eusebio (200 d.C. circa), posta ad Oriente del lago, il cui nome poi fu mutato in Gersa, o Kerza. Gherghesa era posta nelle immediate vicinanze del lido e, sopra di lei, sorge a picco un monte in cui si trovano delle antiche tombe che rendono tecnicamente plausibile il racconto dei sinottici e che quindi fosse quello il paese nei pressi del quale Gesù fosse approdato coi discepoli.

Va ricordato che gli Autori dei Vangeli non scrivono per dare dei resoconti unitari, ma con scopi spirituali, cosa ben diversa rispetto al dare testimonianza – faccio per dire – in un processo in cui ciò che dicono i testi deve coincidere.

Fermiamoci un attimo, leggiamo i passi paralleli e chiediamoci chi degli Apostoli fosse presente: certamente Matteo e Pietro. Il primo scrive autonomamente, il secondo racconta l’episodio a Marco con molti più dettagli, forse spronato con domande e chiarimenti dall’evangelista stesso. Leggendo Matteo 8.28-34 vediamo che l’episodio viene affrontato quasi accennandolo con molti particolari in meno rispetto a Marco e Luca, che scrive dopo aver fatto ricerche accurate e intervistato i testimoni: Matteo parla di due indemoniati tratteggiandoli a grandi linee mentre gli altri si soffermano su uno solo, ma riesce difficile parlare di discordanza proprio per la prospettiva spirituale che tutti loro si prefiggono in quando la questione non è narrare un fatto storico, ma presentarlo in modo unico anziché univoco.

La nostra attenzione, per ora, si deve focalizzare sul nome “Gadara” che, come da radice, apparteneva alla tribù di Gad la quale, assieme a quella di Ruben e alla metà di Manasse, chiese a Mosè di non passare il Giordano e che gli fosse assegnato il paese di Galaad, ricco di pascoli perché possedevano parecchio bestiame (Numeri 32.1). Ricordiamo infatti le loro parole: “Se abbiamo trovato grazia ai tuoi occhi, sia concesso ai tuoi servi il possesso di questa regione: non farci passare il Giordano” (v.5). Fu una richiesta certo dettata da interesse, ma non per questo quelle tribù non rifiutarono di dare il loro contributo militare alla conquista del Paese al di là del fiume. Per questo fu loro risposto: “Se fate questo, se vi armerete davanti al Signore per andare a combattere, se tutti quelli di voi che si armeranno passeranno il Giordano davanti al Signore finché egli abbia scacciato i suoi nemici dalla sua presenza, se non tornerete fin quando la terra sia stata sottomessa davanti al Signore, voi sarete innocenti di fronte al Signore e di fronte a Israele, e questa terra sarà vostra proprietà alla presenza del Signore. Ma se non fate così, voi peccherete contro il Signore; sappiate che il vostro peccato vi raggiungerà. Costruitevi pure città per i vostri fanciulli e recinti per le vostre greggi, ma fate quello che la vostra bocca ha promesso” (vv.20-24). E così avvenne, con Gad, Ruben e Manasse che mantennero la loro parola.

A parte quindi il nome greco di tutta la regione, Decàpoli, il fatto che fosse un territorio più “aperto” ad altre culture e che indubbiamente fosse più forte l’influenza greca rispetto a quella dell’Israele propriamente detto, Gesù, approdando in territorio Gadareno, riconobbe quella zona parte integrante dei confini assegnati da Mosè e Giosuè al popolo ebraico. Viceversa, cioè se la Decàpoli fosse stata un territorio esclusivamente pagano, vi sarebbe una palese contraddizione con le parole dette alla donna Sirofenicia, “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Marco 7.24-30). Non era ancora giunto il tempo per cui del Vangelo avrebbero potuto beneficiare tutti i popoli.

Non si può concludere questa introduzione senza notare che il miracolo degli indemoniati gadareni occupa un punto centrale, importante, determinante, essendo il secondo dei tre esorcismi riportati da Marco: il primo fu quello dell’indemoniato nella Sinagoga di Capernaum e il terzo, ancora da trattare, fu “di riparazione” perché i discepoli, tranne Pietro, Giacomo e Giovanni presenti alla trasfigurazione, non erano riusciti a guarirlo (9.14-29). Dopo aver accennato al territorio, passiamo ad esaminare i protagonisti del miracolo, cioè gli indemoniati,  i demòni, i porci, i mandriani e gli abitanti di Gerghésa.

 

GLI INDEMONIATI

La prima questione che si pone, cioè se fossero due o uno, credo di risolva da sola nel senso che Matteo, che non scende nei dettagli, scrive che erano due, entrambi con le stesse manifestazioni: “Due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada” (8.28). Da qui in poi l’evangelista parla sempre al plurale, ma non li tratteggia come Marco e Luca. A questo punto le supposizioni sono due: o erano entrambi identici nei comportamenti, o uno li aveva più accentuati e si caratterizzava di più per cui gli altri evangelisti si soffermano su uno. Il numero due, poi, indica tanto associazione quanto opposizione per cui già di per sé abbiamo un indice di disordine, divisione, discordia, sconnessione, qualcosa che non può durare nel tempo. Pensiamo a quanto siano drammatici i disturbi della personalità. Alla luce quindi di quanto leggiamo nelle due altre cronache dello stesso episodio, quindi, d’ora in avanti i due indemoniati verranno considerati come uno solo. Luca riporta “Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma in mezzo alle tombe” (8.27), “sepolcri” o “tombe” diversi da come le conosciamo noi, essendo grotte naturali o scavate nelle rocce. Quegli indemoniati dunque occupavano le tombe ancora libere perché in tal modo potevano ripararsi dalle intemperie, come animali. Abitavano in un luogo impuro, di silenzio e morte cui si aggiungeva la loro disperazione caratterizzata da uno stato mentale profondamente alterato. Parlando al singolare per le ragioni sopra esposte, viene ritratto da Marco e Luca un individuo sconnesso che vive fuori dalla società, caratterizzato da gesti insensati e violenti, indomabile. Il fatto che per proteggere loro stessi i suoi concittadini avessero trovato come unico rimedio quello di legarlo con catene senza successo, poiché “nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo” ci parla dell’impotenza dell’uomo di fronte a un’entità, come quella satanica, a lui superiore.

Presumo che quei “ceppi e catene” utilizzati siano stati sempre più forti man mano che questo personaggio li rompeva eppure, nonostante gli stratagemmi, ogni contenzione era impossibile. Marco ci dice che “continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, si percuoteva con pietre”, quindi gli spiriti che lo possedevano, anziché avere riguardo per lui, lo oltraggiavano ancora di più, facendogli del male. Quell’uomo, o uomini, erano stati privati di qualsiasi forma di dignità e ragione fino all’annullamento del loro istinto di sopravvivenza, avendo raggiunto il più alto livello di dipendenza dall’Avversario che li aveva colpiti nella ragione. La stessa cosa avviene anche oggi, quando uno spirito impuro si impadronisce di una persona indipendentemente dal grado di possessione: dimentichiamo l’immagine che danno i media dell’indemoniato e soffermiamoci sulla mancanza di dignità alla quale porta il continuo rifiuto del messaggio di ravvedimento del Vangelo. Senza di lui siamo abbandonati a noi stessi, preda dei nostri desideri e istinti coi quali ci feriamo non fisicamente ma, come vedremo quando esamineremo i nomi degli spiriti immondi, moralmente. La sofferenza di quell’uomo non conosceva periodi di pausa, ma vagava “notte e giorno”, nemico prima di se stesso e poi dei propri simili che di fronte a lui/loro provavano l’unica reazione possibile: ribrezzo e soprattutto paura, talché “nessuno poteva passare per quella strada” (Matteo 8.28).

Ebbene lo spirto impuro (erano molti, ma ce n’era uno più forte degli altri), vedendo Gesù, prende immediatamente coscienza del fatto che era arrivato chi lo avrebbe sconfitto e subito corre da lui, gli si getta ai piedi e gli dice “Che vuoi da me Gesù, figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro in nome di Dio di non tormentarmi!”. Di fronte a un’altra traduzione, “Che hai in comune con me?”, un fratello annota “Tanto Satana che Gesù si identificano nell’uomo, ma con scopi totalmente diversi”. L’uomo è infatti al tempo stesso oggetto dell’odio dell’uno e dell’amore dell’altro, con la differenza che il primo si impone violentemente e l’altro si propone lasciando libera scelta.

Satana riconosce Gesù come “Figlio del Dio altissimo” prima degli uomini, ma lo fa perché sa chi è; ancora di più sa che il suo destino è il tormento nello “stagno di fuoco e zolfo”. Ricordiamo che Matteo riporta “Sei venuto a tormentarci prima del tempo?” (v.29), frase con cui la “Legione” gli ricorda che non era ancora giunto quel momento, per cui avrebbe dovuto lasciarli stare dov’erano. Per quanto forte sull’essere umano che gli ha dato spazio – ricordiamo le parole “fuggite il male, ed egli fuggirà da voi” –, nessuna entità avversa potrà conseguire una vittoria sul Cristo ed è costretta ad ubbidirgli per cui anche in quel caso, pur di non allontanarsi da quel territorio, leggiamo che “lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese” e “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”.

Isaia 65.2-5 ci fornisce un interessante e triste ritratto delle condizioni di chi viveva in quel Paese: “Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro propositi, un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini – non nel Tempio –, offrivano incenso sui mattoni – non sull’altare – abitavano nei sepolcri – gli indemoniati? –, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina – la mandria custodita – e cibi immondi nei loro piatti. Essi dicono: «Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te sono sacro»”.

Abbiamo qui la forma di ribellione più subdola, peggiore del rifiuto aperto di fronte al tema dell’esistenza di Dio perché qui è riconosciuto, ma a patto che Lui si adatti al volere della creatura che di fatto lo ha abbandonato, pretendendo che si pieghi al suo volere: il sacrificio nei giardini e l’incenso sui mattoni sono un’interpretazione carnale e comoda di fronte a un comandamento chiaro che vedeva nel Tempio il luogo comune in cui si dovevano incontrare YHWH e il suo popolo. Il Tempio era luogo sacro, protetto e permeato di santità che si realizzava nell’incontro tra Lui e il popolo adorante; l’altare, poi, costruito con misure e materiali che prefiguravano la perfezione del sacrificio del Figlio in relazione alle aspettative del Padre, era stato sostituito da un materiale, il mattone, che non aveva alcuna connessione con Lui, estraneo come le menti di chi aveva concepito quel sistema religioso con fini completamente diversi.

Il risultato lo vediamo leggendo l’episodio degli indemoniati: la presenza della mandria di porci e dei guardiani ci dice che era scomparso il concetto di puro e impuro, gli abitanti di Gherghesa pregheranno Gesù di andarsene perché aveva causato loro un danno economico senza considerare i benefici spirituali che avrebbero ottenuto ascoltando la Sua predicazione. È scritto infatti che “…quando arrivarono da Gesù, trovarono l’uomo dal quale erano usciti i demòni, vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù, ed ebbero paura” (Luca 8.35). Paura e non gioia per quel loro concittadino/i finalmente liberato. Paura di pensare, di prendere in considerazione che poteva esserci una realtà diversa, di abbandonare le loro convinzioni: per loro sarebbe stato meglio che le cose restassero com’erano, era preferibile continuare ad evitare la strada su cui avrebbero potuto trovarsi quegli indemoniati, che non aprire un’altra pagina della loro storia e vita.

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