5.19: SETTIMO, NON COMMETTERE ADULTERIO V (Matteo 5.27-32)

5.19 – Settimo, non commettere adulterio V (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Abbiamo concluso la quarta riflessione citando la necessità di un progetto, termine che per la serietà che implica richiama il piano di costruzione di una casa, di un ponte o di qualsiasi altra struttura atta a servire a uno scopo. Allo stadio progettuale non si può lasciare nulla all’improvvisazione, ma bisogna tenere presente il tipo di terreno su cui si costruisce e tutti i materiali che comporranno l’opera da terminare. Progettare, a parte la creatività utilizzata per rendere gradevole la struttura e il suo interno, richiede calcoli continui che non possono essere errati, pena il fallimento.  L’accostamento alla parabola della casa costruita sulla sabbia o sulla roccia, nonostante abbia un significato primario diverso, può comunque aiutarci: un uomo costruisce sulla roccia e leggiamo “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”; un altro invece costruì sulla sabbia: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande” (Matteo 7.24-29).

La parabola si riferisce a chi ascolta e mette in pratica le parole di Gesù, ma se prendiamo l’importanza del costruire, la roccia è il simbolo di una scelta accurata e la sabbia a ciò che non è, né può essere, stabile. E la roccia, nel caso del matrimonio, è sinonimo di compatibilità, di affinità e comunione di intenti. Costruire un matrimonio “su Cristo” è un ragionare troppo generico ed equivale a sostenere che le affinità tra le parti non siano importanti perché “tanto c’è Lui”. Chi ha costruito la prima casa della parabola, ha vagliato prima di tutto il tipo di roccia e la sua consistenza, chi ha edificato la seconda ha pensato solo a una base generica, la più facile e immediata, sottovalutando evidentemente il problema. In tre parole, non ha ragionato come avrebbe dovuto, secondo razionalità.

Questo esempio dovrebbe dire molto a quei cristiani che pensano, con un pensiero molto primitivo che ho sentito più volte, che se due persone sono credenti, è impossibile che abbiano dei problemi nella vita e quindi nel matrimonio. Al contrario, per costruire una casa, dal progetto al prodotto finito, ci vogliono persone specializzate. Anche prima del matrimonio gli eventuali, futuri coniugi, sono chiamati a vagliarsi, possibilmente affrontando anche degli esami specifici sulla compatibilità matrimoniale anziché far leva sul semplice innamoramento, causa spesso di rovina e non di costruzione. Possiamo citare l’episodio di Amnon e Tamar che troviamo in 2 Samuele 13: “Amnon si appassionò a tal punto di Tamar, sua sorella, da diventarne malato”(v.2), ma dopo alcune vicissitudini e la sua strategia per unirsi a lei, leggiamo “Ma egli non volle darle ascolto e, essendo più forte di lei, la violentò e si unì a lei. Poi Amnon ebbe verso di lei un odio fortissimo, a tal punto che l’odio per lei fu maggiore dell’amore di cui l’aveva amata prima”(vv.14,15).

Tralasciamo il fatto che l’unione partiva in modo clamorosamente errato perché si basava sull’incesto e guardiamo le dinamiche: si passa da una passione incontenibile – per quanto a senso unico – al punto da provocare una malattia nell’interessato e poi, una volta raggiunto lo scopo, all’odio. Così può accadere quando la passione, o l’innamoramento, trova le sue origini nell’aspetto esteriore o comunque in ciò che appare della persona oggetto di attenzioni: questa piace e non si sa perché, anche se in realtà si vogliono vedere solo i suoi lati gradevoli, non c’è nulla di ragionato o responsabile in questo. È istinto. È innamoramento. È vedere la persona per quello che vorremmo sia, non per quello che è. Passa.

Studi sull’amore di coppia furono sviluppati da Robert Steinberg che lo suddivise in sette tipologie, e cioè:

 

Simpatia(solo intimità): connotata da confidenza, calore, tipica dei rapporti di amicizia;

Infatuazione(solo passione): caratteristica dell’amorea prima vista, con l’idealizzazione dell’altro;
Amore vuoto(solo decisione-impegno): amore stagnante, routinario, senza dialogo. Può essere l’evoluzione di matrimoni che durano da molto tempo dove si resta insieme solo per il vincolo coniugale;
Amore romantico(intimità + passione): rimanda alle grandi storie d’amoreletterarie o alle avventure estive, con la presenza di vicinanza e attrazione, ma senza progettualità;
Amore fatuo(passione + impegno): si è travolti dalla passione ma alla base non c’è la conoscenza emotiva profonda. È proprio delle relazioni in cui ci si sposa poco dopo essersi conosciuti, sull’onda della sola attrazione;

Amore amicizia(intimità + decisione-impegno): si ritrova nei rapporti di lunga durata, dove la passione si è spenta ma resta la condivisione;

Amore vissuto(intimità + passione + decisione-impegno): è l’amorecompleto, è difficile farne esperienza e, soprattutto, mantenerlo.

 

Credo che sia importante che le persone conoscano questi aspetti e siano chiamate a interrogarsi dai pastori, anziani o sacerdoti impegnati soprattutto sui giovani.

Tornando ai testi della Scrittura, possiamo citare due massime tratte dal libro dei Proverbi che, se possono far sorridere, nascondono verità molto amare: la prima è “Meglio abitare nell’angolo di un tetto, che in comoda casa con moglie rissosa” (21.9), la seconda “Una donna bella, ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grugno di un porco” (11.22). Qui abbiamo due esempi drammatici: la “moglie rissosa”, cioè persona dal temperamento litigioso, naturalmente attaccabrighe, è una persona che non dà tregua perché trae soddisfazione nella lite e non nella pace che raggiunge unicamente quanto tutto quanto si aspetta egoisticamente procede secondo le proprie aspettative. In genere le persone di questo tipo, in cui chiaramente rientrano anche gli uomini, sono sempre rozze nelle loro manifestazioni tanto nel dolore quanto nella gioia, si entusiasmano o si disperano solo di fronte ad eventi “forti”. Il “rissoso” non ha alcun rispetto per gli altri e a motivo del suo carattere imprevedibile e disturbante, difficilmente riesce ad avere legami duraturi di qualunque tipo. La “donna bella, ma senza giudizio” è l’opposto della categoria precedente. Qui per “giudizio” non si fa riferimento all’intelligenza, ma al discernimento, alla capacità di distinguere: il bene dal male, la dignità dalla vergogna, il decente dall’indecente, il bello dal brutto, l’utile dall’inutile, il morale dall’immorale. La bellezza fa da opposto a ciò che nasconde, cioè il nulla. La persona di questo tipo fonda tutta la sua vita sull’apparenza e ogni sua azione si basa sull’esteriorità. È incapace di qualsiasi sentimento profondo e la sua capacità di inserimento in un ambiente dipende dal grado con cui è accettata e soprattutto ammirata dal suo prossimo che, comunque, tratta con sufficienza vedendolo come strumento per le proprie realizzazioni.

Al contrario vediamo raffigurata un’unione importante in Proverbi 31.10-27 in cui è descritta la donna “operosa” secondo il concetto – si badi bene – di allora: “Una donna forte, chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. È simile alle navi di un mercante, fa venire da lontano le provviste. Si alza quando ancora è notte, distribuisce il cibo alla sua famiglia e dà ordini alle sue domestiche. Pensa a un campo e lo acquista e con il frutto delle sue mani pianta una vigna. Si cinge forte i fianchi e rafforza le sue braccia. È soddisfatta perché i suoi affari vanno bene; neppure di notte si spegne la sua lampada. Stende la mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti i suoi famigliari hanno doppio vestito. Si è procurata delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti. Suo marito è stimato alle porte della città, quando siede in giudizio con gli anziani del luogo. (…) Apre la bocca con saggezza e la sua lingua ha solo insegnamenti di bontà. Sorveglia l’andamento della sua casa e non mangia il pane della pigrizia”.

Ecco, nonostante il testo proponga una visione della donna possibile solo nella società di un tempo antico, sono il carattere della persona desumibile dai termini utilizzati a venire posti in risalto: si parla di una donna di cui il marito si fida (e viceversa), che possiede un modo di essere fondato sulla continuità che gli garantisce la possibilità di gioire in lei. È una donna non spaventata dalla fatica, che quando non è impegnata nelle sue faccende pensa a soluzioni per migliorare la propria vita e di quanti le stanno intorno. È previdente a tal punto da aver preso in considerazione che un giorno possa nevicare, evento raro ma possibile per i territori in cui è collocato questo scritto. I risultati positivi che ottiene col suo lavoro la spronano a migliorarsi anziché pensare di aver fatto abbastanza. All’occorrenza, rinuncia al sonno pur di risolvere eventuali problemi e rifiuta tutto ciò che non è essenziale, come intrattenersi a spettegolare con altri. È un tipo generoso e compassionevole e il fatto che troviamo menzionato il marito “stimato alle porte della città” ci autorizza a pensare che si tratti di un matrimonio fra due persone fra loro compatibili per carattere.

Tutto questo rafforza ulteriormente l’idea del progetto cui accennavamo prima: l’uomo e la donna sono tenuti a considerare le caratteristiche caratteriali compatibili e a trovare una ragione precisa al loro stare insieme. Nell’idea della loro unione, è contemplata la possibilità di avere figli? Tanto l’uno quanto l’altra, hanno l’istinto genitoriale? C’è piena fiducia reciproca, o ci sono delle riserve? Come risponde l’uno rispetto all’altro di fronte a uno stress prolungato? C’è maturità affettiva, o esistono problemi irrisolti? Queste sono solo un esempio delle domande che ci si deve necessariamente porre; non dimentichiamoci che per ogni casa o costruzione esiste sempre il collaudo che viene effettuato verificando le conformità tra progetto teorico e opere realmente eseguite; controllando i metodi di calcolo strutturale e i risultati vengono riesaminate le prove sui campioni dei materiali ed infine si arriva alle prove di carico sui solai misurando eventuali deformazioni e pressioni. La stessa cosa, figurativamente parlando, la devono fare i due che desiderano coinvolgersi nel progetto matrimoniale, pena una fine indecorosa che vediamo nella frase “Se un regno è diviso in parti contrarie, non può sorreggersi” (Marco 3.24).

Appare chiaro che un’unione non può basarsi unicamente su un generico sentimento d’amore, ma deve avere delle solide fondamenta nelle persone stesse e nella volontà di costruire assieme un futuro che non contemplerà solo dei “bei momenti”, ma anche delle conflittualità da risolvere.

E torniamo ora all’inizio del nostro discorso, cioè l’informazione che la Chiesa deve dare ai suoi membri, in particolare ai giovani che arriveranno a un matrimonio. I due saranno una sola carne, raggiungeranno un primo traguardo, uno stato importante che non potrà più essere sciolto se vorranno davvero concretare l’ideale di Dio nella loro vita: parlar loro di diritti e doveri come se esistesse un manuale per la vita a due, non ha senso e offende l’intelligenza. Al contrario, metterli in guardia sulla serietà della loro scelta in modo molto più esteso di quanto non abbiamo fatto in questa sessione, può certamente far del bene ed evitare catastrofi anche perché ci possiamo chiedere quale validità possa avere un matrimonio realizzato senza consapevolezza o volontà, una scelta che la Scrittura ci autorizza a paragonare a quella di Cristo per la Chiesa.

Nelle Chiese cristiane, per lo meno in molte, purtroppo tutto ha preso il tono del pressapochismo o del manierismo: si danno consigli su come scegliere l’edificio in cui avrà luogo la cerimonia, su quali tipi di bomboniere concentrarsi, sui vestiti. Nelle Chiese evangeliche molto spesso tutto si risolve invitando un pastore considerato importante che, naturalmente, parlerà di matrimonio con un messaggio scontato cercando – solo allora – di responsabilizzare gli sposi quando hanno già fatto la loro scelta: ma che senso ha?

Se Nostro Signore parla a persone che avevano la possibilità di conoscere il valore del matrimonio e li illumina sull’essenza di questa istituzione, oggi c’è chi si è sposato senza essere consapevole e, nonostante la “sola carne”, non ha colpe perché nessuno, a differenza di ciò che avveniva in Israele, si è mai occupato di lui, di informarlo, di capirlo. Anzi, gli ha posto, anche senza volerlo, in mente delle convinzioni errate. Se la sola lettura o citazione del testo biblico fosse sufficiente a comprendere e discernere, Salomone non avrebbe mai chiesto a Dio un cuore intelligente per poter amministrare la giustizia e discernere il bene dal male: gli sarebbe bastato farsi un prontuario, un vademecum con tutti i casi previsti dalla Legge di Mosè e regolarsi di conseguenza. E guardate la risposta che ebbe: “Poiché tu hai domandato questo, e non hai chiesto per te lunga vita, né ricchezze, né la morte dei tuoi nemici, ma hai chiesto l’intelligenza per poter discernere ciò che è giusto, ecco, io faccio come tu hai detto; e ti do un cuore saggio e intelligente: nessuno è stato simile a te nel passato, e nessuno sarà simile a te in futuro” (1 Re 3.9-12). Ricordiamo suo padre Davide che, come abbiamo ricordato, mangiò i pani di presentazione e non fu ritenuto colpevole.

Forse i concetti esposti possono esser sembrati come ovvi, ma credetemi che non lo sono per tutti, quelli che magari sono cresciuti diversi dai molti. Credo che l’uomo, ogni uomo e donna credente, abbia dovere di chiedersi sempre il perché.

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5.16 – SETTIMO: NON COMMETTERE ADULTERIO II (Matteo 5.27-32)

5.17 – Settimo, non commettere adulterio II (Matteo 5.27-32)

27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”.

Prima di passare alla seconda parte di questo studio è giusto tornare un attimo alla precedente perché abbiamo citato il caso di violenza – con la forza fisica o con la seduzione – su una giovane non fidanzata. Va ricordato che, nel caso fosse promessa sposa, il fatto non poteva rientrare nella categoria degli “incidenti di percorso” cui andava posto rimedio con matrimonio o una multa, ma in quella dell’adulterio che prevedeva la morte. Va tenuto presente che la Legge, vista nel Decalogo e relativi corollari, non era per il popolo qualcosa di oscuro o sconosciuto, ma veniva insegnata senza trascurare nulla; c’era tutta una pedagogia specifica costituita dalla trasmissione orale, e non solo, che possiamo leggere in Deuteronomio 6.4-8: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze. Questi precetti che io ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. Esisteva quindi di una vera e propria profilassi spirituale al fine di evitare che i comandamenti contenuti nel Decalogo venissero infranti, cosa che si verifica sempre quando l’uomo si considera il centro, rifiutando la dipendenza da Dio come Caino e i suoi discendenti.

Il matrimonio era un’istituzione concepita per popolare la terra in modo “ordinato”, vale a dire con lo scopo che nessuna linea genealogica si estinguesse e, a differenza di quanto accaduto nella dispensazione della coscienza, Dio istituì delle norme precise tese a preservare la razza che non poteva venire contaminata da unioni tra consanguinei e mutazioni genetiche destinate a produrre malformazioni e/o ritardo mentale nella popolazione. È Levitico 18 ad elencare nei dettagli tutte le relazioni carnali illecite. È un capitolo molto importante che va esaminato, per quanto lo spazio ridotto lo renda possibile solo a grandi linee, dai versi 4 e 5 che fungono da introduzione: “Fate ciò che io vi comando attraverso le mie leggi e osservate i miei statuti, per camminare in essi: io sono il Signore Iddio vostro. Osservate i miei statuti e le mie leggi: chiunque li metterà in pratica, vivrà per essi: io sono il Signore”. Sta all’uomo scegliere se aderire o meno all’esigenza divina riguardo alla gestione del proprio corpo ed è avvertito che, se osserverà gli statuti e le leggi presentate, “vivrà per essi”. Si tratta di scegliere fra bene e male, cioè tra ciò che è approvato da Dio e ciò che non lo è; inutile accusare il testo o il suo Autore di essere reazionario o dileggiarlo perché non viene consentito l’esercizio di una sessualità “libera”: ogni uomo o donna poteva e può scegliere di seguire i comandamenti nel suo interesse, oppure no. Ma non è possibile poi avere la pretesa, in caso di ribellione a ciò che non un uomo ha stabilito, di “vivere per essi”. Chi quindi non si adegua ai precetti che seguono, si colloca quanto meno fuori dall’attenzione e la protezione di Dio: sceglie di anteporre il proprio “ma” subendone le conseguenze.

6Nessuno si accosti ad una sua parente carnale per scoprire la sua nudità. Io sono il Signoreè il verso d’esordio, dove altri hanno tradotto “parente carnale” con “consanguineo” anche se cosa s’intenda per essi viene spiegato versi nei successivi, non potendo la Legge lasciare dei dubbi in quanti intendevano metterla in pratica. “Scoprire la nudità” è uno dei modi per riferirsi al rapporto carnale, come già accennato con altri casi. Per scongiurare fraintendimenti, ecco che il verso parte proprio dall’ovvio, non essendovi parente carnale più stretto del proprio padre o della propria madre. Essendo l’omosessualità non consentita, “padre” o “madre” stanno a indicare che quanto esposto riguarda sia gli uomini, che le donne. 7Non scoprirai la nudità di tuo padre né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità.8Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre”. Immediatamente dopo la madre naturale viene un’altra donna, considerata allo stesso livello della genitrice perché comunque carne del padre. Viene qui in mente l’episodio dell’incestuoso di Corinto, che aveva questo tipo di rapporto (1 Corinti 5.1-5). 9Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, generata in casa o fuori; non scoprirai la loro nudità”: da qui vediamo che, come nel verso precedente, per essere fratelli o sorelle secondo la carne non è necessario discendere dagli stessi genitori, ma ne basta uno ed è quell’ “o” a negare ci sia differenza tra fratello e fratellastro, sorella o sorellastra. Qui, in particolare, penso che il verso si riferisca a fratelli o sorelle acquisiti, quindi anche figli di un matrimonio precedente interrotto a causa di una vedovanza poiché la dichiarazione ufficiale dei rapporti fraterni a livello famigliare è più definita al verso 11 che recita “Non scoprirai la nudità della figlia di una moglie di tuo padre, generata da tuo padre: è tua sorella, non scoprirai la sua nudità”: cambiano i termini, ma non la sostanza. Al verso 10,  “Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, perché è la tua propria nudità”vediamo cheil o la nipote sono visti in modo profondamente identificativo giungendo ad essere accomunati agli stessi nonni, parenti carnali come gli zii paterni e materni:12Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è parente carnale di tuo padre.13Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è carne di tua madre”. Si arriva poi alla zia acquisita, altra configurazione di incesto:14Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre: non accostarti con sua moglie: è tua zia”. Infine chiudono l’elenco la nuora e la cognata comprendendo implicitamente genero e cognato:15Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità.16Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello.

Seguono poi alcune indicazioni di etica e igiene che avrebbero dovuto distinguere, come le precedenti, Israele dagli altri popoli: “17Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia. Non prenderai la figlia di suo figlio né la figlia di suo figlio per scoprirne la nudità: sono parenti carnali. È un’infamia.18Non prenderai in sposa la sorella di tua moglie, per non suscitarne rivalità, mentre tua moglie è in vita.19Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’impurità mestruale.20Non darai il tuo giaciglio alla moglie del tuo prossimo, rendendoti impuro con lei.22Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole.23Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una perversione”.

Nessuna di queste unioni proibite, tanto nella prima che nella seconda parte del capitolo, è inconcepibile per il cosiddetto “uomo naturale” tant’è che il paganesimo antico e moderno le ha impiegate quasi come metodo; basta pensare alla Grecia antica prima, durante e dopo i tempi dell’apostolo Paolo (Corinto ed altre) come ai popoli che Israele avrebbe cacciato dalla terra che gli era stata promessa. “24Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.25La terra ne è stata resa impura; per questo ho punito la sua colpa e la terra ha vomitato i suoi abitanti.26Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo della terra, né il forestiero che dimora in mezzo a voi.27Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi e la terra è divenuta impura.28Che la terra non vomiti anche voi, per averla resa impura, come ha vomitato chi l’abitava prima di voi,29perché chiunque praticherà qualcuna di queste abominazioni, ogni persona che le commetterà, sarà eliminata dal suo popolo.30Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi; non vi renderete impuri a causa di essi. Io sono il Signore, vostro Dio”.

Ho ritenuto utile inserire anche quelle che potremmo definire “situazioni estreme” perché si verificano ancora oggi sia come pratica individuale che come spettacolo, così come non ci vuole molto a riconoscere per estensione al verso 21, che prima ho omesso, la produzione degli “snuff movies” ricercati a prezzi inimmaginabili anche nell’ambito cosiddetto “pedofilo”: “Non consegnerai alcuno dei tuoi figli per farlo passare a Moloc e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore”. E Moloc era il dio cananeo il cui culto veniva celebrato nella Geenna, la Valle di Hinnom, tramite sgozzamento e bruciamento dei bambini, spesso figli primogeniti. È vero, abbiamo letto dei versi che pongono situazioni molto pesanti, ma sono convinto che occorra conoscere il negativo per conoscere ed apprezzare il positivo.

In pratica: l’uomo è stato creato maschio e femmina, quindi la sessualità è da considerarsi un dono da esercitarsi liberamente con la persona che ciascun individuo, maschio e femmina, si è scelto. Qualche millennio dopo una parte della cristianità, con perversione opposta alle categorie che abbiamo trovato in Levitico 18, ma sempre di perversione si tratta, giungerà a considerare il rapporto sessuale un peccato a meno che non fosse giustificato da fine procreativo prescrivendo che, prima dell’atto, si frapponesse un lenzuolo forato tra i corpi sostenendo che lo scopo fosse quello di procreare e non il piacere fine a se stesso. Credo che quando la sessualità, legittima espressione di sé, viene repressa, trovi inevitabilmente sfogo in altre vie che la stessa Bibbia condanna. Leggiamo in Proverbi 5.18,19 “Sia benedetta la tua fonte, e vivi lieto con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, cavriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii del continuo rapito nell’affetto suo”.

Possiamo concludere queste riflessioni con una semplice presa d’atto: quando Dio creò l’essere umano, lo pose in un territorio circondato da quattro fiumi. Doveva restare lì, protetto, senza conoscere ciò che non gli sarebbe servito o, meglio ancora, gli avrebbe procurato molto danno. Da allora, nonostante il peccato e il suo essere fuori da quel giardino, gli è sempre stato indicato un confine, un territorio, un “recinto” visto sbrigativamente, almeno nella Legge, nei termini “farai” o “non farai”, anche questi posti nel suo interesse. Aggiungere nuove norme o precetti a quelli già dati da Dio, così come eliminarli o torcerli a proprio vantaggio, equivale a infrangere quelli già esistenti e le conseguenze non possono che essere disastrose nel rapporto con Lui. Perché è l’abbattimento dei confini che il Creatore ha stabilito, non perché dispotico, ma in quanto conoscitore perfetto della propria creatura, che rende l’uomo davvero schiavo. Amen.

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