11.02 – TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO (Marco 7.8-13)

11.02 – Trascurando il comandamento di Dio (Marco 7.8-13)

 

8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 9E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. 10Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. 11Voi invece dite: «Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio», 12non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. 13Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

 

Leggendo questo passo occorre tener presente che, nella versione di Matteo, alla domanda dei “venuti da Gerusalemme” sul perché alcuni dei suoi discepoli trascuravano la regola di lavarsi le mani prima di mangiare, Gesù risponde con un altro interrogativo, “E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio per la vostra tradizione?” (15.3) che mostra quanto era stato da loro stravolto il significato del quinto comandamento, “Onora il padre e la madre” e poi passa a citare le parole di Isaia che abbiamo brevemente esaminato nello scorso capitolo.

Il verso ottavo, “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini” è una demolizione del principio ebraico delle due Taroth, cioè che esista una Legge scritta e una orale, come tuttora l’ebraismo sostiene. “Trascurare” e “osservare”, poi, stabiliscono la distanza enorme che si viene a creare tra l’uomo e il suo Creatore quando si allontana dal comandamento originale per praticare una tradizione aggiunta: l’attenersi alle Sue parole è l’unico modo che l’uomo ha per percorrere un cammino a Lui accetto e aggiungere o togliere equivale, oltre che inquinare un sistema privandolo di equilibrio, sostituirsi alla Sua persona e così spingere persone inconsapevoli a seguire un esempio sbagliato confermando in tal modo la definizione di “Guide cieche” che portano il prossimo alla rovina. Possiamo paragonare l’aggiungere e togliere ad un intervento sul DNA per modificarlo: il risultato è la perdita delle caratteristiche originali di un organismo originariamente creato ed inevitabilmente provoca dei gravi scompensi a lungo termine; pensiamo ai danni alla salute provocati dagli OGM, come allergie, resistenza agli antibiotici, alla riduzione della biodiversità, all’assenza di una agricoltura sostenibile come conseguenza della monocoltura. Si calcola che ogni anno si estinguano almeno trentamila specie viventi perché “Potenzialmente, ogni organismo GM è  una nuova specie introdotta nell’ecosistema e rischia di compromettere gli equilibri naturali del pianeta” (Dossier Greenpeace “OGM, gli impatti sulla salute”).

Aggiungere e togliere. Gli scribi e i farisei erano tutt’altro che persone superficiali o frivole; ricordiamo che i primi erano dei teologi che venivano “ordinati” a quarant’anni dopo studi severi, i secondi si erano separati dal popolo con l’intento di servire e raggiungere Dio attraverso la scienza biblica e la pratica costante della Legge scritta o orale. A questo punto è evidente che, trovandosi davanti al Figlio, avrebbero potuto confrontarsi con Lui per imparare e gioire delle Sue rivelazioni, ma era proprio la loro essere così fondati sulla tradizione a impedirgli di ascoltarlo e aprirgli il cuore. Un’anima che fa un percorso spirituale sincero di umiltà e confronto col Dio che si vuole far conoscere non trova nessun problema ad accoglierne le rivelazioni, ma chi si confronta con Lui avendo già i suoi splendidi castelli di dottrine umane travestite di spiritualità, è molto difficile che voglia imparare, trovare il coraggio di scindere le cose, potare, ammettere che tutto (o gran parte) di ciò che ha praticato finora sia sbagliato e voler rimediare. L’unica soluzione che può escogitare è arroccarsi sulle sue posizioni: ricordiamo che il religioso un dio lo ha già trovato ed è convinto che sia quello vero, ma non si chiede mai il perché e preferisce creare dei dogmi anziché trovare delle risposte. Ricordiamo che, senza la resurrezione di Gesù, anche noi saremmo dei religiosi vuoti: “Se Cristo non è resuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Corinti 15.14).

La frase di Gesù “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” è lapidaria, ma lo è ancor di più la traduzione, migliore, di Giovanni Diodati “Bene annullate voi il comandamento di Dio, perché osserviate la vostra tradizione”: la lettura spirituale di Nostro Signore vuole denunciare la strategia di questi personaggi, molto più pericolosi di quanto non possa sembrare, che avevano fatto in modo che il comandamento originario andasse distrutto e, per dimostrarlo, cita il quinto comandamento, “Onora tuo padre e tua madre” e un suo riferimento in Esodo 21.17 che prevedeva la morte per chi li maledisse, letteralmente “parlasse male di loro con astio”. Alla stessa pena soggiaceva il figlio ostinato e ribelle: “Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre, né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno agli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: «Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è un ingordo e un ubriacone». Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male, e tutto Israele lo saprà ed avrà timore” (Deuteronomio 21.20,21).

Ora vediamo brevemente in cosa consista, relativamente allo sviluppo che Gesù dà a questo comandamento, onorare il padre e la madre: non si tratta qui di ubbidienza o di rimanere in uno stato di subordinazione finché sono in vita, ma di rispetto in quanto genitori. Il primo caso di mancato onore del Padre lo troviamo in Cam, figlio di Noè che, al contrario dei fratelli, fu colui che lo derise quando, “Avendo bevuto del vino, si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda” (Genesi 9.20,21); su di lui e la sua discendenza si abbatté un giudizio che la penalizza ancora oggi. Dal lato opposto, un esempio è da individuare nel comportamento di Giuseppe, figlio di Giacobbe, che quando in Egitto chiese di essere seppellito presso i suoi padri nella caverna del campo di Efron l’Ittita, fu esaudito nonostante, una volta che il suo corpo fosse deceduto, non avesse certo la possibilità di sapere se il suo desiderio sarebbe stato esaudito (Esodo 49 e 50).

Avvicinandoci al problema posto da Gesù agli scribi e farisei, il quinto comandamento è qui inteso come dare al padre e alla madre il sostegno necessario perché questi lo hanno dato quando i figli ne avevano bisogno, cioè da bambini indipendentemente dall’età: un figlio viene vestito, gli si insegna a muovere i primi passi sostenendolo, andrebbe soprattutto capito e aiutato, guidato fino al conseguimento dell’autonomia grazie alla quale diventerà una persona responsabile anche di fronte alla legge degli uomini occupando un posto nella società cosiddetta “civile”. Così si esprime l’apostolo Paolo nella sua prima lettera a Timoteo: “…essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio”.

E qui viene in mente quell’uomo che voleva unirsi ai discepoli di Gesù, ma disse “Permettimi prima di seppellire mio padre”: la risposta che ebbe e sulla quale ci siamo già soffermati, “lascia i morti seppellire i loro morti, ma tu va’, e annuncia il regno di Dio”, non è un invito a rinnegare la pietà filiale, ma evidentemente si riferisce al fatto che quel padre non aveva bisogno di una cura continua perché aiutato da altri, altrimenti vi sarebbe una palese contraddizione col quinto comandamento e ciò non sarebbe stato possibile. “Onora tuo padre e tua madre”, allora, trova l’applicazione nell’assistenza dovuta ai genitori.

Ebbene, vediamo a che punto era arrivata l’errata interpretazione degli scribi e farisei: “Invece voi dite: «Se uno dichiara al padre o alla madre; Ciò con cui dovrei aiutarti è Corbàn, cioè offerta a Dio», non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”: la parola Corbàn pare fosse una formula di consacrazione pronunciando la quale un uomo poteva dedicare tutto o parte dei suoi averi per gli usi religiosi, ma così facendo quell’offerta gli impediva di fare altro, come sopperire ai bisogni dei genitori che, in quanto vecchi, dipendevano da lui esattamente come, da bambino, questi aveva bisogno di loro per vivere. In pratica, si spingeva il figlio all’ingratitudine e, con un rito religioso, li si scioglieva da ogni obbligazione verso i genitori.

Si era così creata una religione volontaria non poi diversa, come risultato finale, dall’adesione a riti pagani di cui Israele si era macchiato nella storia perché, pur venendo condannata l’idolatria, l’amore per Iddio era stato gradualmente abolito. Eppure, il vero culto a YHWH non era frutto di invenzione, ma le volontà divine erano state rivelate da Mosè e da tutti i profeti dopo di lui. Questo ci parla del fatto che anche la Chiesa, nuovo popolo di Dio, può introdurre elementi del tutto estranei a quell’adorazione “in spirito e verità” così tanto espressa negli scritti del Nuovo Patto. Allora come oggi, ogni aggiunta alla Parola di Dio comporta un allontanamento da Lui, in quanto peccato e, anziché migliorare l’uomo, lo peggiora. Le parole di Gesù a quegli inviati da Gerusalemme non sono poi così dissimili, nella sostanza, da quelle di Paolo ai Colossesi: “Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio: costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo fi giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio” (2.18.19).

Come quei “venuti da Gerusalemme”, anche quelli che nella Chiesa aggiungono o tolgono dimostrano il loro disinteresse per le cose spirituali in quanto, pur avendo a disposizione il Testo per eccellenza che leggono, non usano l’intelligenza per chiedersi se tutti quei corollari aggiunti abbiano un senso e soprattutto non contrastino con la realtà del Vangelo, sempre semplice nei suoi principi basilari.

Esemplare in proposito è l’episodio in cui Geremia, richiamando il popolo a tornare sulla via del Signore cessando di venerare altri dèi e ricordando le punizioni del passato, così si sentì rispondere: “Quanto all’ordine che ci hai comunicato nel Nome dei Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi, decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme” (44.16). “Noi non ti vogliamo dare ascolto” quasi che dovessero ubbidire a lui e non al Signore al quale si oppongono con forza, “anzi, decisamente eseguiremo”.

Infine, l’ultimo verso del nostro passo, “Così annullate la parola di Dio con tradizione che avete tramandato voi”, formula una precisa accusa: la “parola di Dio” è quanto Lui ha ordinato all’uomo nel suo esclusivo interesse e che persone a Lui dedite hanno tramandato in ogni tempo, scritti che l’Avversario non è riuscito ad inquinare nonostante i suoi sforzi. “Voi”, è la categoria nella quale rientrano tutti coloro che, per i motivi più disparati, nei secoli hanno voluto “migliorarla” arrogandosi il diritto di equiparare l’autorità della tradizione a quella originale.

Credo che per un religioso non vi sia nulla di più oltraggioso che ascoltare parole che denuncino le sue posizioni, le sue convinzioni false o errate perché, alla fine, a loro di Dio non interessa nulla: infatti, sappiamo che “i Giudei cercavano di ucciderlo”. Ricordiamo la nota di Luca in Atti 7.57,58 a proposito del martirio di Stefano: “Proruppero allora in grida altissime turandosi le orecchie; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo”.

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