13.04 – MARTA E MARIA (LUCA 10.38-42)

13.04 – Marta e Maria (Luca 10.38-42)     

 

38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

Il verso di esordio, apparentemente scritto da Luca per raccordare i due episodi dell’insegnamento su chi fosse il “prossimo”e quello che abbiamo letto, presenta dei punti interessanti: Gesù, non da solo, “entrò in un villaggio”che sappiamo essere Betania, il cui nome significa “casa dei poveri”, oggi chiamato in arabo “Al-Azariyeh”, cioè “casa di Lazzaro”. Entrambi i nomi sono indicativi per quanto succederà: Marta e Maria infatti erano sorelle di Lazzaro, qui non citato, ed erano appunto di quella località come leggiamo in Giovanni 11.1: “Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato”.

Elemento che dà un significato particolare al racconto e alla località, poi, lo abbiamo nel luogo in cui si verificò, poiché Betania si trovava lungo “la strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico”(era a tre km da Gerusalemme) e quindi possiamo pensare che l’ambiente scelto da Gesù per l’esposizione della parabola del buon samaritano non fu casuale.

Altro elemento offertoci dal verso 38 è poi la citazione di Marta, “Signora”, nominata per prima perché sorella maggiore di Maria e responsabile della casa da loro abitata. Abbiamo poi il verbo, “lo ospitò”, tradotto da altri con “lo accolse in casa sua”: fu questa la prima volta? Fu qui che iniziò il rapporto tra Gesù e quella famiglia, Lazzaro compreso per quanto non nominato? Non possiamo stabilirlo con certezza, poiché è probabile che Nostro Signore fosse passato per Betania altre volte, diretto a Gerusalemme.

I verbi “entrare” e “ospitare”, poi, ci rimandano a come Gesù era solito agire e di come ordinò fare altrettanto ai suoi discepoli: “In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi”(Matteo 10.11-13). Certo la situazione era diversa perché i discepoli avevano il Maestro con loro, che già sapeva quale fosse la casa in cui abitavano persone degne di riceverlo; oramai non era certo uno sconosciuto nemmeno per chi o coloro che non lo conoscevano di persona. Comunque siano andate le cose, visto che quello che propongo è un’interpretazione, un raccordo, certo è che Marta, quale responsabile della casa, “lo accolse”; dire quanti, quali e se vi fossero i discepoli, non è dato perché Luca, il solo che ha riportato l’episodio, potrebbe aver interpellato tanto uno dei dodici, quanto le due sorelle a Betania. Va tenuto però presente il plurale, “Mentre erano in cammino”.

Cercando di analizzare la figura di Marta, è evidente che fosse una persona energica e responsabile che cercava di svolgere al meglio quanto richiedeva la gestione di una casa. Come tutte le persone pratiche, forti di carattere e volenterose, badava al concreto delle cose senza valutarle nella loro globalità o, se preferiamo, considerarne le variabili. Ricordando infatti che, nell’occasione della morte del fratello Lazzaro, andò “incontro”a Gesù mentre sua sorella “stava seduta in casa”(a piangere) e che lo rimproverò: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”, stesse parole che gli dirà poi Maria, ma con significato diverso. Marta, amata da Nostro Signore assieme alla sorella e al fratello (Giovanni 11.5), limitandoci al nostro episodio, è la figura della persona “calata nel proprio ruolo”, in questo caso per fare degna accoglienza all’ospite confondendo però tra il riguardo a lui dovuto umanamente e la profonda attenzione necessaria ai contenuti del messaggio che portava. Possiamo anche pensare che Marta fosse, al pari di sua sorella e del fratello, benestante perché la casa doveva essere grande, ammettendo che non si limitò ad ospitare Gesù, ma anche i dodici o una parte di loro. Il modo con cui il testo greco la presenta, infatti, “in casa sua”allude ad esserne padrona  nel senso di disporne, governarla, occuparsi di lei come vediamo in Giovanni 12.2 quando, sei giorni prima della Pasqua, leggiamo che “…qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali”.

Di tutt’altro carattere la sorella Maria, che viene descritta dai passi di cui disponiamo come una persona profondamente sensibile, che alla praticità delle cose preferisce il loro senso, distinguere ciò che è veramente utile da quanto non lo è; ciò lo vediamo non solo perché qui si pone a sedere ai piedi di Gesù, nella stessa posizione degli studenti ebrei coi loro maestri, ma soprattutto per l’episodio appena ricordato, quello della cena sei giorni prima della Pasqua, in cui viene contrapposta alla sorella che “serviva”: “Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo”(vv.3,4).

Per quanto sarà un episodio che analizzeremo, vediamo che Maria valutò la persona e la presenza di Gesù in mezzo a loro tale da giustificare il versamento di quel profumo “assai prezioso”sulla Sua persona. Ricordiamo anche il comportamento assunto alla morte del fratello: quando Marta andò da lei in casa dicendole “«Il Maestro è qui, e ti chiama», udito questo, ella si alzò subito e andò da lui”(11.28,29) consapevole che solo da Gesù avrebbe potuto trovare consolazione, come effettivamente avvenne. Le parole che poi gli disse, identiche a quelle della sorella, “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”manifestano tutta la sua impotenza di fronte all’umano dolore oltre che alla visione limitata che aveva, ritenendo possibile che Gesù potesse operare solo se fosse stato fisicamente presente sul luogo. Fu una convinzione che corresse presto, visto che il profumo fu versato successivamente alla resurrezione del fratello, ricordandosi le parole “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”(11.40).

Maria, quindi, è la figura dell’ascesa del credente da ciò che prima ignora e che poi sperimenta personalmente: infatti prima la vediamo “seduta ai piedi del Signore”, poi ci fu per lei il tempo della riflessione, dell’elaborazione di quanto ascoltato, quindi la sperimentazione degli effetti della parola di Dio con la risurrezione di Lazzaro, ed infine l’adesione totale a Lui con il versargli addosso il profumo.

Venendo ora all’episodio in esame, va sfatata l’ipotesi che vede in Marta un personaggio negativo. Semplicemente, è apparentemente meno positivo della sorella che sapeva benissimo, come lei, che per ricevere un ospite andavano osservate regole precise, a cominciare dall’acqua per lavare i piedi impolverati e forse a questo aveva adempiuto, ma tutto il resto, alla luce di ciò di cui Gesù parlava, non riteneva avesse ragione di essere. Marta era lieta di avere Gesù come ospite, era la responsabile della casa e in quanto tale era solo lei che poteva accoglierlo, però confonde l’accoglienza formale, diremmo noi “del galateo”, con quella spirituale. Per lei, per lo meno in questo episodio, era importante “fare bella figura” non a livello egoistico, ma non concepiva un atteggiamento diverso, per onorare il proprio ospite, da quello di approntare tutto il meglio per riceverlo e non capisce perché la sorella non debba comportarsi allo stesso modo. Certo che Maria sapeva che avrebbe dovuto comportarsi come Marta, ma non riuscì, c’era qualcosa che la teneva seduta e questo “qualcosa” era “la Parola di Gesù” che “ascoltava”consapevole, come altri del resto, che “nessuno parlò mai come costui”. Gesù non insegnava o parlava a una folla, ma a lei e alla sorella che, credo, ascoltava distrattamente, “distolta per i molti servizi”.

La nostra traduzione ha “Allora si fece avanti”, ma l’originale ha piuttosto “venne”che ci autorizza a pensare da un’altra stanza della casa, convinta che il suo rimprovero – ancora – fosse ben accolto da Gesù: “Non t’importa nulla che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?”. “Mi ha lasciata”lascia intendere che all’inizio i comportamenti delle due furono identici, ma che poi Maria non poté fare a meno che sedersi ad ascoltare. Furono la sua sensibilità e la sua indole a portarla ad assumere quella posizione, null’altro importava. E qui esce una considerazione ovvia e cioè che anche noi, se ascoltiamo i richiami delle convenienze, dei doveri umani, della consuetudine, del “così si fa”, e ci concentriamo su di essi in nome di un nostro presunto dovere, non troviamo il tempo per ascoltare la Parola di Dio che ha per noi un messaggio individuale, preciso, specifico. Così facendo, però, ci priviamo inconsapevolmente di molto, dell’essenziale.

La risposta di Gesù fu questa (ripresa dalla traduzione di Giovanni Diodati che è preferibile): “Marta, Marta, tu sei sollecita e ti travagli intorno a molte cose. Ora di una sola cosa fa bisogno. Ma Maria ha scelto la buona parte, che non le sarà tolta”. I due termini, “essere solleciti” e “travagliarsi” hanno una quantità enorme di riferimenti nella Scrittura, comunque sempre rivolti, considerati come gli effetti che il mondo ha sulla persona. Marta era ansiosa e preoccupata perché i preparativi da lei messi in atto fossero degni della persona che ospitava, ma dimenticava che non poteva esservi accoglienza migliore se non l’ascolto di quanto aveva da dire, la “buona parte”,“di una cosa sola c’è bisogno”.

Possiamo fare un parallelo con Giovanni 14.23 “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”, cioè la stessa cosa veniva offerta tanto a Maria quanto a Marta, ma la prima non ebbe bisogno che Gesù glielo spiegasse. Credo che la differenza fra le sue sorelle sia stata spiegata molto bene da un fratello di cui riporto le parole: “Marta e Maria ci sono presentate come esempi di due aspetti diversi del carattere cristiano, cioè la devozione interna e l’attività pratica; quest’ultima è una qualità molto preziosa in un credente, ma tra le diverse occupazioni della vita può, se non si fa attenzione, diventare un tranello, permettendo alle cure e ai fastidi delle cure mondane di indebolire la vita spirituale dell’anima. D’altra parte c’è il pericolo che le sole occupazioni spirituali generino pigrizia e trascuratezza dei doveri che, quali cristiani, abbiamo verso le nostre famiglie, verso la Chiesa visibile e la società in generale. Contro questo pericolo le Marie devono stare in guardia, non meno delle Marte contro le attrazioni del mondo”. Per questo l’apostolo Paolo scelse di non dipendere dalle offerte dei credenti per il suo sostentamento, ma per mantenersi continuò il mestiere che conosceva, quello di tappezziere, e scrisse“Noi non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi”(2 Tessalonicesi 3.7-10).

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