16.10 – Figli della luce (Giovanni 12.34-36)
34Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?». 35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.
Le domande che abbiamo letto furono conseguenti alla dichiarazione di Gesù “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. L’osservazione “Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno” appare però provenire, per la richiesta che segue, più da menti abituate allo studio della Scrittura che da semplici pellegrini giunti a Gerusalemme per la festa. Il testo del verso 34, poi, per come è strutturato presenta, più che una domanda rivolta umilmente ad un Maestro da parte di chi gli riconosce un’autorità superiore a quella degli scribi e farisei, un attacco presuntuoso, un invito a chiarire più davanti a dei “sapienti” che a persone del popolo. Il termine usato da Gesù, “Figlio dell’uomo”, era a loro estraneo nonostante l’avessero sentito tante volte.
In altri termini, poiché è impossibile che “la folla” parlasse simultaneamente, non resta che concludere che uno dei Giudei presenti, anziché accusarlo di falso perché pretendeva di essere il Messia, gli abbia voluto far notare che da nessuna parte della Legge si parlasse dell’innalzamento di un “Figlio dell’uomo”. Questo, però, da parte di persone che non guardavano alla totalità, ad armonizzare il testo per comprenderlo al di là delle questioni secondarie che si ponevano costantemente l’uno l’altro.
Eppure, a parte i passi a cui quella domanda si riferiva e che possono essere reperiti in 2 Samuele 7.12-15; Salmo 89. 27-29; 90.4; Isaia 9. 6,7 e altri, è Daniele 7.12-13 a rispondere al tema: “Guardando ancora nelle visioni notturne ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile a un Figlio dell’uomo; giunse al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”. Quindi, il Messia era ed è il “Figlio dell’uomo”, “simile” a lui perché, se fosse stato uguale, sarebbe stato uno come tanti e non avrebbe mai potuto vincere la morte e gli inferi. Vedendo un essere di siffatto aspetto, Daniele contemplava il mistero del Dio fattosi uomo.
Sull’ “innalzamento” è già stato detto, ma certo senza esaurirlo perché, pur essendo vera la similitudine col serpente di rame nel deserto, è altrettanto innegabile che, se come abbiamo letto nel passo esaminato nello scorso capitolo “Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori”, al precipitare dell’Avversario corrisponde l’ascesa di Gesù, come sancito nel futuro in Apocalisse 12.10: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte”. Satana, infatti, è già precipitato così come “chi non crede è già condannato”; si tratta solo di tempo e di spazio.
Nel “colui che li accusava” vediamo tutta l’inutilità dell’opera di questo personaggio, che vorrebbe sedurre fino ad arrivare a strappare gli eletti di Dio dalla Sua mano, ma per l’annullamento del suo potere definitivo, non può. Infatti: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi”.
E va sottolineato e ricordato che l’intercessione –e questo compito appartiene al Figlio e non ad altri – è stata possibile solo perché “è morto, anzi è risorto”. Ecco allora cosa significa quell’essere “innalzato”: parte dalla croce e da lì in poi prosegue, esattamente come il cammino della creazione, della persona da quando nasce a quando muore.
Vediamo dal testo che Gesù, alla domanda “Chi è questo figlio dell’uomo?”, provocata anche dalla contrarietà di non riuscire a conciliare la figura del Messia con quel titolo, non risponde, iniziando a parlare di qualcosa di molto più urgente, cioè porsi nelle condizioni di affrontare un cammino che abbia finalmente un senso: “Ancora per poco tempo la luce è con voi; camminate mentre avete la luce, che le tenebre non vi colgano, perché chi cammina nelle tenebre non sa dove va”.
Come osservò un fratello, era passato il tempo della discussione e dell’istruzione ed il tempo dato ad Israele per convertirsi e scegliere di seguire il Servo stava per concludersi. C’era “poco tempo” per ravvedersi, come del resto è anche oggi, dare luogo ad un serio processo interiore per mettere in discussione le proprie convinzioni, “poco tempo” per gioire – per i nemici – della Sua morte, “poco tempo” per rimanere nella quiete delle loro case nell’attesa che, circa quarant’anni dopo, arrivassero le truppe romane a distruggere la città. Il tempo, anche per tutti gli uomini oggi, è poco, nonostante cerchino di rallentarlo, fermarlo in ogni modo dimenticando di essere soggetti a termine con un’eternità da affrontare preparàti.
Come dirà al verso 46, “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” e lo stesso Giovanni, presentando Gesù, scriverà “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”, certo, che lo accoglie. E cosa dice Isaia 42.6, parlando di Lui? “Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano in essa: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”.
Le “tenebre” allora, senza un intervento di Gesù, sono una realtà in cui si dimora stabilmente, senza possibilità di liberazione; appunto, ci si “abita”, verbo che suggerisce anche l’abitudine a farlo. Chi vive nelle tenebre non vive solo nel buio, ma in un’oscurità profonda, nel silenzio, nella devastazione, nell’assenza di vita, solo che non se ne rende conto. Vivere nell’assenza di vita può sembrare un controsenso, eppure è quello che accade perché se vivo nella prospettiva certa di un accoglimento presso il Padre ho un futuro, ma se lo faccio prendendo ciò che mi dà la mia vita a termine senza pensare ad altro agisco solo rifugiandomi in ciò che passa, portato via da una corrente che è il trascorrere stesso del tempo, l’invecchiamento, i mutamenti che il mondo porta senza che io li voglia. In altre parole, porto in me, e con me, la mia stessa fine e, se quello che conta il risultato, non credo che questo sia un ragionamento pessimista, ma l’unico possibile. Ovviamente, tutto questo se Cristo non interviene a spezzare il giogo del peccato in cui vive l’essere umano.
Le parole di Gesù si raccordano qui, anche per la circostanza storica, al profeta Geremia 13.16,17: “Date gloria al Signore, vostro Dio, prima che venga l’oscurità e i vostri piedi inciampino sui monti, al cadere della notte. Voi aspettate la luce, ma egli la ridurrà in tenebre e la muterà in oscurità profonda”.
“Camminate mentre avete la luce”, è allora l’ultimo appello ad andare a Lui prima che sia troppo tardi e l’ultima occasione per ascoltarlo e vederlo sarà il martedì, il giorno dopo questo discorso, perché da lì in poi Gesù si ritirerà coi dodici in attesa del Suo arresto.
Camminare nelle tenebre sembra un controsenso perché la prudenza suggerirebbe di stare fermi, ma non si può: l’uomo è costretto, si può dire “condannato a camminare”, ma senza la Luce di Dio “non sa dove va”: nel buio ogni cosa è uguale, ci si può solo immaginare le cose attraverso l’udito o il tatto; a tale situazione è paragonata la vita senza Cristo ed è arduo pensare che il sole fisico non sia luce, ma non lo è se pensiamo ai nostri sensi corrotti, all’incapacità del corpo e della mente umana di trascendere.
Le “tenebre” non sono la sola definizione possibile per chi vive lontano da Dio: c’è il deserto, la figura della barca sballottata dalle onde, il vuoto, l’informe, il freddo, tanto per citare quelle che mi vengono in mente, ma credo bastino e che in ogni caso, se chi cammina in questi elementi “non sa dove va”, certamente verrà un momento in cui comprenderà o di non essere arrivato da nessuna parte, o in quella sbagliata dalla quale non potrà tornare più indietro.
L’unica alternativa possibile è data proprio dalle ultime parole del Maestro, “Mentre avete la luce, credete nella luce per diventare figli della luce”: è una trasmissione, un dono che diventa una condizione perché “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Corinti 5.17). E quando qualcosa nasce, lo fa spontaneamente, pur essendo una nascita sempre il risultato di un seme.
Un’altra traduzione di questo verso riporta “Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre: chi cammina nelle tenebre, non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”, quindi suggerisce una decisione che inizia con un viaggio e l’impiego del verbo “diventare”, con davanti la preposizione “per”, apre dinnanzi a noi la possibilità di cose future: non si diventa infatti “figli della luce” così, di colpo, con una fonte luminosa enorme che abbaglia e che prende – come è stato per i profeti anche dell’Antico Patto –, ma lo di diventa come in Proverbi 4.18, “La strada dei giusti è come la luce dell’alba che aumenta lo splendore fino al meriggio”.
Possiamo ricordare, circa la trasformazione nella persona che ha creduto in Gesù, Efesi 5.5, “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce, ora che frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Ancora 1 Tessalonicesi 5.5: “Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo né alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e stiamo sobri”.
Giovanni, dopo questo appello di Gesù, ne annota il comportamento, “se ne andò e si nascose loro”: se si accetta l’interpretazione di alcuni commentatori, questo sarebbe stato il suo ultimo discorso e andrebbe spostato al martedì, il giorno più impegnativo e denso di insegnamenti sia nel Tempio che ai discepoli con l’esposizione del celebre sermone profetico. Il Mercoledì e il Giovedì, infatti, furono giorni passati coi discepoli, in parte in Betania. È un’ipotesi, poiché nonostante la cronologia di Marco, che suddivide i giorni della settimana della Passione, riuscire a stilare una successione precisa è impresa impossibile. Del resto, anche la cena stessa con Maria che unge i piedi di Gesù è fatta risalire dal discepolo di Pietro a mercoledì, mentre Giovanni la colloca “Sei giorni prima della Pasqua”, quindi anteriormente. Inoltre, per lo snodarsi delle vicende, pare più probabile che la cena da Simone il Lebbroso avvenne secondo la cronaca di quest’ultimo Discepolo, per cui la differenza temporale rimane come interrogativo, ma non pone certo in discussione né i contenuti né i molti temi che l’episodio include.
Personalmente ritengo che, se non si accetta l’ipotesi di quei commentatori, con quell’andarsene e nascondersi ai loro occhi, Gesù abbia voluto dare un’anticipazione di ciò che sarebbe avvenuto, nella speranza che quegli ultimi contenuti esposti lasciassero un segno. Resta comunque una questione aperta, perché riesce difficile, nel capitolo 11 di Giovanni, trovare un punto in cui il discorso di Gesù possa venire interrotto e ripreso in un altro momento con lo stesso tema, alla fine del giorno successivo.
Comunque, proprio la domanda del verso 34, “Come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve venire innalzato? Chi è questo figlio dell’uomo?” aveva già trovato una risposta prima, in Giovanni 8.28 quando fu detto “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo – secondo Daniele 7.12-13 che abbiamo letto –, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato”. Amen.
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