5.14 – SESTO: NON UCCIDERE III/IV (Matteo 5.21-26)

5.14– Sesto, non uccidere III/IV(Matteo 5.21-26)

 

21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.25Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

 

Il “Non uccidere” del titolo è un imperativo che però, nel testo originale, è espresso al futuro proprio a sottolineare che l’omicidio è il risultato di una serie di ragionamenti, del dare seguito a conclusioni, anche se non sempre: può essere volontario (premeditato e non), colposo (cioè non intenzionale, ma accidentale per colpa di chi lo provoca), o preterintenzionale, cioèil risultato di un intenzione diversa, come può essere uno spintone dato a una persona che, in seguito ad esso, cade, batte la testa e muore.

L’omicidio del primo tipo è chiaro: una persona decide in piena coscienza di porre fine alla vita di un suo simile organizzandosi e scegliendo le modalitàmigliori per realizzarlo. Si tratta quindi di precluderealla vittima qualsiasi possibilità di scelte future, di percorso, crescita, sviluppo; è decidere la soppressione di una vita per la quale solo Dio può stabilireun termine.

Sappiamo che la prima volta in cui leggiamo“Non ucciderai” è in Esodo 20, ma stante le varianti che comporta questo peccato troviamo un iniziale sviluppodel precetto e su come trattare la sua infrazione in 21.12-14 in cui è scritto “Chi percuote un uomo che, a motivo di questo, muore, sarà messo a morte. Se però non gli ha teso alcun agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io ti assegnerò un luogo dove egli possa rifugiarsi. Se uno agisce con premeditazione contro il suo prossimo,per ucciderlo con l’inganno, tu lo strapperai anche dal mio altareper farlo morire”: qui è distinto l’omicidio con premeditazione, lo stesso che fece Caino col fratello, da quello avvenuto perché chi ha uccisoha incontrato il proprio nemico casualmente e, accecato dall’ira, ha approfittatodell’occasione. Erano tempi in cui il “caso”,così come lo intendiamooggi, era un concetto sconosciuto e in essosi intravedeva la volontà di Dio;per questo era praticata l’estrazione a sorte, che oggi non può essere utilizzata come metodoperché dispensazionale della Legge e,nonostante questo,non sempre praticata.Vero è che gli apostoli, quando si trattò di rientrare nel numero 12, scelsero così Mattia anzichéBarsaba (Atti 1.25-36), malo Spirito Santo non era ancora sceso e l’elezione di Mattia fu il risultato di una preghiera fatta con la certezza di un esaudimento: “Tu, Signore, che conosci i cuori di tutti, mostra quale di questi due hai scelto per ricevere la sorte di questo ministero e apostolato dal quale Giuda si è sviato per andare al suo luogo”. Possiamo dire che gli apostoli, che attendevano l’arrivo del Consolatore promesso, avevano nella preghiera e nell’estrazione a sorte l’unico modo per risolvere il problema di chi potesse sostituire Giuda, il traditore.

Anche ai tempi dell’Antico Patto, comunque, questa procedura non era l’unica, come rileviamo dall’episodio in cui Gedeone, dovendo scegliere solo trecento uominiper combattere contro i Madianiti e gli Amalekiti, utilizzò un criterio che Dio stesso gli aveva suggerito.Gedeoneportò infatti una gran quantità di uomini assetati in un luogo dove vi eradell’acqua: “Tutti quelli che lambiranno l’acqua con la lingua come la lambisce il cane, li metterai da parte; così farai con quelli che per bere si metteranno in ginocchio” (Giudici 7.5).

Rientrando in tema, il colpevole di omicidio premeditato doveva essere messo a morte in base al principio che qualunquemale fatto al prossimo doveva ricadere suchi lo aveva commesso: “Quando alcuni uomini litigano e uno colpisce il suo prossimo con una pietra o con il pugno e questi non muore, ma deve mettersi a letto, se poi si alza ed esce con il bastone, chi lo ha colpito sarà ritenuto innocente, ma dovrà pagare il riposo forzato e assicurargli le cure. Quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani, si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o due, non sarà vendicato, perché è suo denaro.Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido” (Esodo 21.18-24).

Vigeva così il principio di reciprocità per un popolo che, composto da individui chiamati adessere santidalDio che liaveva eletti, nel caso facesserodel male aipropri simili, dovevanopagare di personaprovando su di sé le conseguenze delle azioni negative che avevano messo in attosuglialtri.Così l’omicidio premeditato o volontario non poteva essere tolleratoperché avrebbe precluso alla vittima un cammino con Dio all’interno di una società originariamente chiamata a realizzare il Suo regno sulla terra. Uccidere una persona equivaleva ad estraniarsi ed estraniarla da quel percorso comunitario e il fatto che l’omicidasopravvivessealla propria vittima era una realtà non aveva alcuna ragionedi essere.

Discutere oggi sull’ammissibilità della pena di morte o della legittimità della cosiddetta “legge del taglione”non ha senso perché nel cristianesimo reale, non nominale, i principi sono altri, non valendo il “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, ma il“non giudicate e non sarete giudicati, (…) perché con la misura con cui misurate sarà altresì misurato a voi. (…)fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”(Luca 6. 31 e 37).Credo che il verocristianesimo sia diverso da quello apparente e che la società umana sia diversa quella cristiana, ben diversa da quella che dà per scontata l’appartenenza a un sistema religioso solo per un’aspersione praticata ad unsoggetto incapace di intendere e volere.L’appartenenza a Cristo si identifica nell’Ecclésia, alla quale la persona deve aderire responsabilmente e senza alcuna imposizione, nel popolo dei “chiamati fuori” da un mondo e da unconsorzio umanoche non gli appartiene.

Per l’omicidio volontario a seguito di uno scatto di ira incontrollata valeva quanto riportato in Numeri 36.16-19: “Ma se uno colpisce un altro con uno strumento di ferro e quegli muore, quel tale è omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. Se lo colpisce con una pietra che aveva in mano, atta a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. O se lo colpisce con uno strumento di legno che aveva in mano, atto a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere messo a morte. Sarà il vendicatore del sangue quegli che metterà a morte l’omicida; quando lo incontrerà, lo ucciderà”.

Era poi contemplata la possibilità diun altro tipo di omicidio, quello che poteva verificarsiper difendere la propria casa o famiglia, se il fatto avveniva di notte: “Se il ladro, colto nel fare uno scasso, è percosso e muore, il proprietario non è colpevole di omicidio nei suoi confronti. Se il sole si era già alzato quando avvenne il fatto, egli è colpevole di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il danno; se non ha di che risarcirlo, sarà venduto per il furto da lui fatto” (Esodo 22.2,3).Per il furto, infatti, se avveniva di giorno e quindi l’autore del crimine poteva essere identificato, vigeva il principio in base al quale chi lo perpetrava era costretto alla restituzione del doppio rispetto al valore del bene asportato.

 

Veniamo ora agli altri tipi di infrazione al sesto comandamento, che possono rientrare, per la Legge data a Mosè, in un’azione preterintenzionale: in questo caso valeva il principio del rifugio, o asilo, in sei città istituite allo scopo peraccoglierequanti provocavano la morte del proprio simile senza averne l’intenzione.“…e questa è la regola per l’omicida che si rifugia là, per aver salva la vita: chiunque ha ucciso il suo prossimo involontariamente, senza averlo odiato prima. Così, quando uno va col suo compagno nel bosco a tagliar legna e, mentre vibra un colpo con la scure per abbattere un albero, il ferro gli sfugge dal manico e colpisce il compagno che poi muore, quel tale si rifugerà in una di queste città e avrà salva la vita; perché il vendicatore del sangue, mentre l’ira gli arde in cuore, non insegua l’omicida e lo raggiunga, quando il cammino è troppo lungo, e non lo uccida anche se meritava la morte, perché nel passato non aveva odiato il compagno” (Deuteronomio 19.4-6).

La giustizia di Dio aveva istituito sei città di rifugio, o di asilo,per chi aveva causato la morte del suo simile senza volerlo, città“che voi designerete affinchévi si rifugi l’omicidache avrà ucciso qualcuno involontariamente; queste serviranno di asilo contro il vendicatore del sangue, perché l’omicida non sia messo a morte prima di comparire in giudizio dinnanzi alla comunità” (Numeri 36.12): il numero 6, che ci parla di imperfezione, fu istituito da YHWH a salvaguardia tanto del responsabile del reato quanto del vendicatore; fu un atto di protezione e non di distruzione al contrario di come agisce Satana, l’Avversario, colui che fu “omicida fin dal principio”che, oltre a tentare, accusa incessantementee suscita una vendetta accecata dall’odio. Tutto questo è simboleggiato nel capitolo citato dal versi 24a 26: “Ecco allora le regole secondo le quali la comunità giudicherà fra colui che ha colpito e il vendicatore del sangue. La comunità libererà l’omicida dalle mani del vendicatore del sangue e lo farà tornare alla città di asilo dove era fuggito. Lì dovrà abitare fino alla morte del Sommo Sacerdote che fu unto con l’olio santo. Ma se l’omicida esce dalle città di asilo dove si era rifugiato e se il vendicatore del sangue trova l’omicida fuori dai confini della sua città di asilo e lo uccide, il vendicatore del sangue non sarà reo del sangue versato. Perché l’omicida deve restare nella sua città fino alla morte del Sommo Sacerdote; dopo la morte di esso, l’omicida potrà ritornare nella sua proprietà”.

È interessante notare che le città di rifugio, sotto la custodia dei levitied istituite da Dio, eranotre ad Est ed altrettante ad Ovest del territorio;viste su una cartina risulta che erano disposte in modo tale da non essere difficili da raggiungereda qualunque luogoe ciascuna di esse era servita da un ottimo sistema viario.L’autore diomicidio-involontario – una volta giunto là, era protetto ma doveva risiedervi, non uscire dalle loro mura, altrimenti avrebbe potuto subire la vendetta del parente dell’ucciso.Sicuramente chi ha definito Nostro Signore la settima città di rifugio, quella perfetta, non ha commesso un errore: in fondo, chi si affida a Lui non lo fa mai perché ha peccato ribellandosi volontariamente, ma per completa ignoranza e, non conoscendo ancora la Sua grazia, non poteva comportarsi diversamente. Mentre eravamo tutti in quella condizione, Dio pensava a noi: “Io conosco i progetti che ho fatto per voi: progetti di pace e non di sventura, per darvi un avvenire e una speranza” (Geremia 29.11).

Il ritratto del cristiano in proposito è descritto dall’apostolo Paolo con queste parole: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Efesi 2.1-10).

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5.12 – SESTO, NON UCCIDERE I/IV (Matteo 6.21-26)

5.12 – Sesto, non uccidere I/IV: Caino e Abele (Matteo 5.21-26)

 

21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

 

E siamo arrivati agli insegnamenti di Gesù sulla Legge in cui si parte da un comandamento estendendolo fino alle radici della coscienza e dello spirito: “Avete inteso(…) ma io vi dico”. L’osservanza della Legge, fatta per l’uomo che aveva perso la propria innocenza in Eden, a partire dal cammino del popolo nel deserto era il solo modo possibile per ottenere la benedizione e l’assistenza di Dio ma, soprattutto, era stata data nell’attesa di Colui che l’avrebbe adempiuta. È importante tener presente la definizione che dà della Legge l’apostolo Paolo, probabile autore della lettera agli Ebrei, in base alla quale essa è “l’ombra dei futuri beni”, ma non avendo “la forma reale stessa delle cose” (10.1); è da questo principio che bisogna partire per comprendere la forza dell’insegnamento di Gesù tanto su di essa e sui Profeti quando leggeremo che “insegnava come avendo autorità, non come gli scribi o i farisei” generando stupore e ammirazione in quanti lo ascoltavano.

Siamo giunti a un punto del discorso sul monte in cui Nostro Signore inizia ad affrontare alcuni comandamenti a partire dal sesto in base al capitolo 20 del libro dell’Esodo in cui il “Decalogo”, o “Sommario”, viene enunciato e che è giusto riportare:

 

01 –   Io sono il Signore Iddio tuo, che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altre dèi davanti a me;

02 –   Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli e quaggiù sulla terra e nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai;

03 –   Non userai il Nome del Signore, tuo Dio, invano, poiché il Signore non lascerà impunito che pronuncia invano il suo nome;

04 –   Ricordati del giorno di sabato per santificarlo;

05 –   Onorerai tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano lunghi sulla terra che il Signore Iddio tuo ti dà;

06 –   Non ucciderai;

07 –   Non commetterai adulterio;

08 –   Non ruberai;

09 –   Non farai falsa testimonianza contro il tuo prossimo;

10 –   Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.

 

Ho trascritto l’elenco originale, riportato anche in Deuteronomio 5, perché forse non tutti sanno che differisce da quello tradizionalmente insegnato dalla Chiesa di Roma che ne ha purtroppo stravolto l’ordine, eliminando e aggiungendo arbitrariamente degli elementi.

Riguardo ai comandamenti, sesto compreso, vediamo che la proibizione è utilizzata al tempo al futuro a dimostrazione della loro immutabilità nel tempo e che la sua infrazione è il risultato di un lungo processo progettuale che si sviluppa in un’anima che si lascia contaminare dal peccato, permanendo in esso, divenendo così contraria alle esigenze che Dio ha fatto conoscere. Il peccato infatti è prima di tutto una condizione, quella in cui versa la creatura lontana per natura dal proprio creatore. È lo stato in cui si versa ereditariamente dopo la trasgressione dei progenitori in Eden, liberi di accettare la vita nel Giardino, o la morte sulla terra. Se non si pone rimedio a questo stato diventando figli per la fede in Cristo, lo stato di allontanamento da Dio genera tutti gli altri e per questo fu dato il decalogo, o Sommario della Legge.

Per poter affrontare il tema del sesto punto del Sommario, prima di entrare nel merito dell’insegnamento di Gesù, credo occorra esaminare l’omicidio nella storia guardando a due uccisioni emblematiche e relative conseguenze, tenendo presente che per “Legge” gli ebrei consideravano tutti i libri formanti il Pentateuco. Partire con questa base significa inevitabilmente andare all’omicidio perpetrato da Caino su Abele che troviamo al capitolo quarto del libro della Genesi. Si tratta di un episodio che molti conoscono, in cui vi sono particolari sui quali si sorvola se si legge l’episodio come un semplice racconto, ma che descrivono come l’idea dell’omicidio si forma e si sviluppa in una persona.

Caino era il primogenito e il suo nome significa “Acquisto” perché sua madre ritenne di aver avuto un favore da Dio rimanendo incinta di lui e credette di aver pagato, “partorendo con dolore”, il suo debito. Non si può nemmeno escludere che sperava che Caino fosse il destinato a porre rimedio alla situazione in cui lei e suo marito versavano. Adamo ed Eva erano infatti presenti quando venne formulato il giudizio sul serpente con la “progenie della donna” che gli avrebbe schiacciato il capo. A proposito del primogenito di Eva leggiamo che “Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore»” (Genesi 4.1). Quando poi lei constatò che suo figlio era fragile, soggetto ad ammalarsi e a soffrire come tutti, ecco che capì la vita umana sarebbe stata ben diversa da quella conosciuta in Eden e “Partorì ancora Abele, suo fratello” il cui nome significa “soffio” o “vanità”. Il primo figlio di Eva fu agricoltore, il secondo pastore ed entrambi offrirono in sacrificio a Dio secondo i frutti del loro lavoro, ma mentre Abele presentò i primogeniti del suo gregge con il loro grasso, quindi rinunciando ai migliori capi e anticipando i sacrifici della dispensazione della Legge, Caino si limitò ad un’offerta generica in cui era esente il sentimento di adorazione e di amore per il proprio Creatore. Quando infatti Caino “fu molto irritato e il suo volto era abbattuto” (v. 5), perché constatava che il fratello veniva benedetto e la sua offerta veniva ignorata, Dio non lo lasciò solo coi suoi pensieri ad arrovellarsi e intristirsi ulteriormente, ma gli parlò: “Perché sei irritato ed è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai” (v.6), che altri traducono “devi dominarlo”.

Da queste parole possiamo trarre alcuni elementi: Dio invita Caino a riflettere rispondendo prima di tutto da sé alla domanda sul perché fosse irritato e abbattuto e questo fu un’esortazione ad un ascolto profondo, ad una analisi, a mettere da parte sia la delusione che porta alla tristezza interiore, sia l’astio che ne avrebbe potuto esserne la conseguenza: calmati, fermati, rifletti perché sei dotato di anima, quindi di intelligenza, ed il tuo problema lo puoi risolvere.  Trovando le ragioni del suo stato psicologico, Caino ne avrebbe trovato anche il rimedio perché la radice del problema non risiedeva nell’offrire frutti della terra anziché pecore, ma in tutto il suo modo di pensare e agire a monte: “Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto?”. Erano parole che tendevano ad indicare una strada, un percorso che Abele aveva già intrapreso senza che alcuno glielo indicasse, scelto dopo aver riflettuto: impossibile che Adamo ed Eva non avessero spiegato ai loro figli il perché della sofferenza, fisica e morale, del lavoro e come mai dovessero faticare per poter sopravvivere.

Se Caino non avesse “agito bene”, cioè lasciandosi guidare dalla propria coscienza e depurandosi dei pensieri che lo contaminavano, sarebbe stato sempre dominato dal proprio istinto che lo avrebbe portato sempre più lontano dalla presenza e dalle attenzioni di Dio che mostrava di gradire le offerte del fratello con una vita meno travagliata della sua, sostenendolo nelle proprie fatiche e facendolo prosperare. Il peccato, inteso come tutto ciò che è contrario al bene e quindi alla santità, era “accovacciato alla porta” della mente di Caino in attesa di prenderne possesso e solo lui avrebbe potuto tenerlo fuori, dominandolo, vale a dire non dandogli ascolto, non lasciando che pensieri egocentrici e ciechi prendessero il sopravvento su di lui. Con quelle parole Caino fu posto di fronte a un bivio: proseguire nel suo senso di ostilità e delusione, oppure cambiare modo di agire ponendo un freno ai suoi istinti, avrebbe dovuto accompagnare ciò che offriva ad una vita coerente mettendo al primo posto il rapporto con Dio anziché la propria istintività.

Alle parole di verità che gli erano state rivolte, Caino preferì la propria e ritenne di risolvere il problema eliminando fisicamente il proprio fratello, premeditandone l’omicidio: lo portò nei campi, quindi dove nessuno li vedesse – tranne Dio, ma non gli importava perché per Caino veniva prima di tutto la materia – e lo uccise. Quando fu giudicato è scritto che, invece di pentirsi, “Si allontanò dalla presenza dell’Eterno”, cioè decise di vivere autonomamente escludendo il Creatore, dando origine a una stirpe che arrivò al proprio culmine negativo con Lamek che, accecato nell’orgoglio e soffocata definitivamente la propria coscienza, volle sostituirsi a Dio dicendo “Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito e un giovane per avermi procurato un livido. Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamek lo sarà settanta volte sette” (v.23,24), cioè all’infinito. Lamek, per questa delirante affermazione, utilizzò le parole che il Signore aveva detto al suo capostipite dopo l’omicidio del fratello, “Chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte” (v.15).

In entrambi i casi, quello di Caino e di Lamek, abbiamo una progressione interiore negativa che fondamentalmente parte sì dal non aver imposto dei freni al loro agire, ma da una morale sostitutiva che li voleva vedere protagonisti del loro destino, da una volontà costante e assoluta del voler vivere difendendo la propria persona senza curarsi del proprio prossimo e soffocando quella coscienza che, per la dispensazione nella quale esistevano, Dio aveva posto in loro.

Caino e Lamek, che diede origine alla poligamia, sono gli esempi delle persone che, non volendo vigilare su loro stesse, mettono la propria natura corrotta al primo posto e sono disposti a difenderla con qualunque mezzo, sia questo “lecito” o meno. “Il peccato è accovacciato alla tua porta” è tradotto anche “sta spiando alla porta e i suoi desideri sono verso di te”, atteggiamenti che denotano che il peccato è un’idea, un pensiero che attende il momento propizio per agire. “Peccato” è una parola astratta che, pilotata dall’Avversario, dà conseguenze purtroppo concrete anche se nel verso che abbiamo letto viene presentato antropomorficamente. Anche oggi, come testimoniano le cronache che leggiamo quotidianamente, si uccide per questo, in un gesto primitivo per eliminare chi ostacola anche se di poco la sopravvivenza e la riuscita dei progetti dell’omicida, le sue esigenze, di un Ego che cresce smisuratamente. Si uccide per uno scatto d’ira che, per manifestarsi in quel modo, non è mai stata tenuta a freno dallo Spirito o anche solo dalla ragione. L’omicidio, crimine nelle leggi di tutte le nazioni, è sempre il risultato di un mancato dominio sulla carne che vorrebbe sempre e comunque, non conosce freni se abbandonata a se stessa e arriva ad eliminare tutto ciò che la ostacola. Ricordiamo le parole di Agur in Proverbi 30.12-16: “C’è gente che si crede pura, ma non si è lavata dalla sua lordura. C’è gente dagli occhi così alteri e dalle ciglia così altezzose! C’è gente i cui denti sono spade e i cui molari son coltelli per divorare gli umili ed eliminarli dalla terra e i poveri in mezzo agli uomini. La sanguisuga ha due figlie: «Dammi! Dammi!». Tre cose non si saziano mai, anzi quattro non dicono mai «Basta!»: gli inferi, il grembo sterile, la terra mai sazia d’acqua, e il fuoco che mai dice «Basta!»”.

In opposizione, così Agur parla di sé: “Sono stanco, o Dio, sono stanco e vengo meno, perché io sono il più ignorante degli uomini e non ho intelligenza umana; non ho imparato la sapienza e ignoro la scienza del Santo. Chi è salito al cielo e ne è sceso? Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi ha racchiuso acque nel suo mantello? Chi ha fissato tutti i confini della terra? Come si chiama? Qual è il nome di suo figlio, se lo sai? Ogni parola di Dio è appurata, egli è uno scudo per chi non ricorre a lui” (vv. 1-5).

È bello notare che, come Giobbe lamentava la mancanza di un simile che lo comprendesse e lo aiutasse nel suo dibattimento con Dio, Agur si chiede il nome del Figlio di Dio, che si rivelerà agli uomini alcune centinaia di anni più avanti. Caino, primo omicida della storia che trattava Dio e il suo rapporto con Lui con estrema sufficienza, è il rappresentante dei tanti che verranno nei secoli e le sue motivazioni, certo viste brevemente, saranno utili riferimenti quando vedremo le parole di Gesù in proposito.

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