12.12 – LA LUCE DEL MONDO I/III (Giovanni 8.12)

12.12 – La luce del mondo I/III (Giovanni 8.12)

12Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo: chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

            Sono stato in dubbio se rivolgere tutte le attenzioni a questo solo verso oppure inserire anche quelli che seguono in cui viene descritta la questione sorta coi farisei che, di fronte all’affermazione di Gesù come “Luce del mondo”, cercarono in ogni modo di reagire. Ritengo però che sia meglio occuparci di un solo verso, lasciando ad un prossimo capitolo l’analisi degli altri. C’è però, nel testo integrale che non ho riportato, un particolare degno di nota e cioè che Gesù, nel frattempo, si era spostato dal cortile dei gentili a quello delle donne, la parte più frequentata del tempio dai soli israeliti, vicinissimo al Gazith, o Sala del Sinedrio; Giovanni, infatti, si preoccupa di scrivere al verso 20 “Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio”, cioè quel posto, appunto nel cortile delle donne, in cui erano murate 18 cassette destinate a raccogliere le offerte (e non solo), come avremo modo di esaminare nell’episodio conosciuto come quello de “il quattrino della vedova”.

Venendo al verso in esame l’osservazione più immediata è possibile sul “Di nuovo”con cui si apre, che si presta a due interpretazioni o, se preferiamo, a due alternative: infatti, ammettendo come proprio di Giovanni l’episodio della donna adultera, si vuole suggerire che Gesù, chiusa la questione precedente, riprese ad insegnare. Rimanendo però nell’ipotesi che sia difficile collocarlo temporalmente,  possiamo fare un raccordo a 7.53, “E tornarono ciascuno a casa sua”: quel “Di nuovo”potrebbe allora venir letto come una ripresa degli insegnamenti di Gesù avvenuta il giorno seguente, in un ambiente differente.

Veniamo ora al nostro verso che possiamo dividere in quattro parti la prima delle quali è composta da tre elementi che vivono di vita propria e presentano una progressione andando via via aggiungendosi: “Io sono”, “Io sono la luce”e “Io sono la luce del mondo”. Ciascuna di essi ha un senso compiuto.

IO SONO

Rappresenta da sempre il modo in cui un individuo pensante e agente dichiara la propria identità, la sua condizione morale, psicologica o lo stato in cui versa. L’uomo la usa per qualificarsi di fronte al proprio simile, a volte mentendo, ma Dio se ne serve sempre per presentarsi e la prima volta che questo avvenne fu con Abrahamo quando, all’età di novantanove anni quindi prima di raggiungere i cento che è la cifra del compimento, si sentì dire “Io sono l’Iddio Onnipotente, cammina davanti a me e sii integro”(Genesi 17.1). “Io sono”, quando è Dio a pronunciarlo, è sinonimo di promessa a meno che non definisca la Sua Identità assoluta e insondabile, “Io solo colui che è”, tradotto anche con “colui che sono”(Esodo 3.14). Come promessa ricordiamo le parole dette a Giacobbe, “Io sono il Dio di Abrahamo, tuo padre; non temere perché io sono con te: ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza a causa di Abrahamo, mio servo”. Più avanti nella storia, si presentò a Mosè usando come credenziali, perché non poteva essere confuso con altri e doveva esservi una linea continua nell’osservanza delle Sue parole, queste parole: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abrahamo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”(Esodo 3.6). Tra l’altro, riguardo al “Colui che è”, al popolo bastava proprio la prima persona del verbo essere per identificarlo: “Così dirai agli israeliti: «L’Io sono mi ha mandato a voi»”. Altre volte le parole furono semplici, “Io sono il Signore”, alle quali viene aggiunto a ricordo “che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo”. È quindi impossibile rivolgersi a Lui o accostarsi alla Sua Parola, quindi a Gesù quanto alla Scrittura, senza tenere presente l’onnipotenza, la volontà e il piano che ha per l’uomo che deve a Lui inevitabilmente adeguarsi mettendo da parte ciò che è sconveniente e non caritatevole: “Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore”(Levitico 19.12).

Quando l’ “Io sono” si presenta, pone sempre l’uomo nelle condizioni di temerlo, lo avvisa di camminare rettamente, gli presenta una via che, se vuole avere la Sua benedizione, comporta l’astenersi da determinate azioni quali ad esempio il non farsi idoli per prostrarsi davanti ad essi (Levitico 26.1), non opprimere il prossimo (25.17), non raccogliere gli avanzi della mietitura per lasciarli al forestiero (23.22), osservare i Suoi comandamenti per metterli in pratica (22.31), questo perché “…vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto perché non foste più loro schiavi; ho spezzato il vostro giogo e vi ho fatto uscire a testa alta”(26.13).

Nell’Antico Patto – ma anche nel Nuovo comunque per quanto la Grazia venuta da Gesù Cristo consenta un rapporto diverso, ma non per questo meno responsabile – l’identità di YHWH si presenta con l’assoluto “Sono io che do la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco, e nessuno può liberare dalla mia mano”(Deuteronomio 32.39).

Ora, fatta questa panoramica molto generale, l’ “Io sono”di Gesù non è diverso, ma complementare, cioè necessario sul piano qualitativo, quantitativo, strutturale, compiuto nel senso che mette in luce ciò che nell’antichità era velato, nascosto. La Sua identità come “Il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente”riservata a chi lo aveva ed ha conosciuto, necessitava infatti di ampliamenti: l’uomo non può andare a Lui se non conosce le caratteristiche più importanti della Sua natura, il Suo ruolo, ciò per cui è sceso dai cieli irraggiungibili sulla terra, quindi rendendosi visibile come qualsiasi essere umano, al contrario del Padre. Ad esempio, parlando della resurrezione dei morti ai Sadducei, disse che “Iddio non è il Dio dei morti, ma dei viventi”(Matteo 22.32), di non essere “venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”rivelando la Sua volontà di salvare ciò che sarebbe inevitabilmente andato perduto ed è bello considerare che, quando si presentò ai discepoli risorto, non disse “io sono”, ma “Coraggio, sono io, non abbiate paura”(Marco 6.50).

Davanti al Sinedrio si presentò in modo inequivocabile: quando il Sommo Sacerdote gli domandò “«Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?», Gesù rispose «Io lo sono»”(Marco 14.61,62), ma agli altri uomini, quelli non chiusi dal proprio orgoglio che avrebbero potuto accoglierlo o quantomeno farlo dopo un percorso di dubbio e crescita personale, usò altri termini, come ad esempio “Il pane vivo disceso dal cielo”, “Il pane della vita”. Non venuto da se stesso, ma inviato dal Padre, rimarcò la differenza fra Lui e i suoi accusatori, “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo”(Giovanni 8.23), disse di non far nulla da se stesso, di essere venuto perché “coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono, diventino ciechi”(9.39), “non per condannare, ma per salvare il mondo”(12.47) di essere “la porta”(10.9), il “buon pastore”, “la resurrezione e la vita”(11.25), “la via, la verità e la vita”perché, parole dette a Pilato, “Tu lo dici, io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”(18.37).

È sicuramente da sottolineare che l’identità di Gesù, come abbiamo visto, sotto gli aspetti del Suo “Io sono”è l’apostolo Giovanni a rivelarla esplicitamente più degli altri tre evangelisti e verrà da lui completata nell’ultimo scritto quando Gesù dirà “Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”(Apocalisse 1.8), “Io sono il Primo e l’ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi”(v.17,18).

Anche qui abbiamo dato una panoramica generale e ciascuna delle identità di Gesù andrebbe sviluppata e lo faremo, per quanto non qui, ma nel corso dei vari capitoli di questi scritti; nel caso del nostro verso, all’ “Io sono”segue “la luce”a significare una delle qualità del Dio che, non essendo in Lui “tenebre alcune”non può che avere questa funzione. La “luce”di cui parla Gesù non è qualcosa di generico, ma da identificare nel “sole”sia perché il Suo volto brillò così alla trasfigurazione, sia per la promessa profetizzata da Zaccaria, padre di Giovanni Battista: “Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace”(Luca 1.78,79). Sono questi passi che suggeriscono un cammino continuo verso una direzione consapevole e precisa il cui risultato è descritto nella parabola della zizzania: “La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti – cioè i giustificati per fede –splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchie, ascolti!”(Matteo 13.40-43).

Concludendo, “Io sono”è al tempo stesso un’affermazione lapidaria perché ha come primo riferimento l’identità di Dio con l’eternità nella quale vive e dalla quale proviene nel momento in cui si rivela, ma in questo caso ha bisogno, perché l’uomo comprenda, di un complemento oggetto che, per il verso in esame, è prima “la luce”e poi “del mondo”; e qui Gesù parla a tutti coloro che lo ascoltano, allora come oggi, perché possano determinare la loro condizioni di salvati o di perduti. Amen.

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