10.14 – A CHI CE NE ANDREMO NOI? (Giovanni 6.59-61)

10.14 – A chi ce ne andremo noi (Giovanni 6.59-71)

59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. 60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita.64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». 70Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». 71Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici”.  

Il verso 59 ci informa, come già rilevato, del luogo in cui avvenne il discorso di Gesù sul “pane disceso dal cielo”.Sappiamo così che una prima parte del Suo intervento iniziò all’aperto, quando la folla lo trovò “di là dal mare”(6.25) e una seconda, certo la parte più corposa, nella Sinagoga. Ora Giovanni, nei versi che abbiamo letto, descrive le reazioni dei presenti quando ebbe finito di parlare, con particolare riguardo a “molti dei suoi discepoli”, quelli che fino allora lo avevano seguito per motivi politico-religiosi. A loro stava certamente bene avere abbandonato le loro occupazioni ordinarie, dichiararsi suoi discepoli per i miracoli che faceva e i discorsi sulla libertà e l’identità che avrebbero avuto come figli di Dio, ma Lo avevano inquadrato ancora una volta come un Messia fondamentalmente umano, colui che un giorno sarebbe diventato il “Re d’Israele” nel senso immediato del termine. Quando però parlò di se stesso come “il pane della vita”, e della necessità di mangiare “la sua carne e bere il suo sangue”, iniziarono a mormorare fra loro scandalizzati esattamente come i Farisei e i Dottori avevano fatto poco prima. Quelle parole erano “dure”, greco “skleròs”, cioè non tanto difficili da capire, ma piuttosto detestabili, impossibili da ascoltare, empie, proprio come sostenevano i Suoi oppositori storici.

La “parola dura” è quella che scandalizza. È la pietra d’inciampo. La “parola dura” è quella che ancora oggi fa la selezione, che a un certo punto della vita anche del cristiano nominale interviene, gli si pone davanti tramite un concetto che non rientra nelle sue corde e fa sì che si ritragga rivelando che il vecchio uomo, quello carnale, non era mai morto. Alla carne avere una religione può anche star bene, ma a patto che lasci sempre lasciare una via di fuga, una giustificazione. La religione è deve essere recitazione, mai vita. E infatti, come più volte rimarcato, la religione con il Cristianesimo vero non c’entra nulla. Per quei discepoli lo scandalo fu costituito dal principio della carne e del sangue, oggi può essere la richiesta di abbandonare uno stile di vita, un ragionamento, ciò che è stato conquistato con l’ingiustizia. Dobbiamo portare in noi il frutto concreto del pentimento.

A questo punto, dopo che “molti discepoli”sentenziarono che la parola di Gesù era “dura”, ancora una volta Nostro Signore affonda la sua spada a due tagli e parla non più della Sua morte, ma dalla vittoria che avrebbe riportato su di essa, tornando non solo da dove era venuto, dal cielo, ma con un “nome che è al di sopra di ogni altro”(Filippesi 2.5): il senso delle parole “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”non è quello, immediatamente interpretabile in base al quale la Sua ascensione sarebbe stata un ulteriore motivo di scandalo, ma: quella difficoltà a capire dei discepoli sarebbe cessato se lo avessero visto salire al cielo? Con queste parole Nostro Signore intende dire che il suo ragionamento sulla sua carne e sangue non andava preso in senso letterale, umano, ma spirituale proprio perché “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova nulla”. E infatti fu il prendere quel discorso prendendo le parole nella loro letteralità a scandalizzare; se vi fosse stata apertura mentale, se il preconcetto avesse lasciato spazio al puro desiderio di comprendere, le cose sarebbero andate diversamente, ma quella gente si sentiva superiore, in grado di giudicarLo.

La carne, senza l’intervento dello Spirito Santo, è e rimane inerte, morta nonostante sia apparentemente viva; ricordiamo le parole dell’apostolo Paolo “Misero me uomo, chi mi libererà da questo corpo di morte?”. Morte che domina tutto, anche il ragionare. La carne, nonostante sia in vita, pensa cose morte e fa cose morte perché essa è il suo destino, prospettiva, a meno che non intervenga lo Spirito di Dio a risollevarla per portarla in un territorio nuovo. Ed è la comprensione spirituale delle parole del Cristo, in opposizione alla lettera, che può trasformare la morte in vita. Ricordiamo le parole “La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica”(2 Corinti 3.6).

“Le parole che vi ho detto sono spirito e vita”costituiscono una verità, un attestato, una certezza che si concreta in tutte le volte che il verbo essere compare nell’episodio: dice Gesù nella Sinagoga “Io sono il pane della vita”(2 volte), “sono disceso dal cielo”, “Io sono il pane vivo”; le Sue parole erano le uniche che potessero condurre l’uomo alla salvezza per cui sta alla creatura, anche oggi, scegliere tra una guida cieca oppure Gesù stesso.

È probabile che le parole sulla Sua resurrezione scandalizzassero ancora di più i discepoli che “non credevano in lui”, mischiati a quelli veri, preludio alla realtà della zizzania nel campo. Sappiamo però che “Gesù sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era quello che lo avrebbe tradito”: impossibile ingannarlo e quel sapere “fin da principio”ci parla di quei nomi “scritti prima della fondazione del mondo”(Efesi 1.4), dell’impossibilità dell’intrusione che questi soggetti avranno nel Regno di Dio. Nostro Signore sa quindi chi gli appartiene, ma anche i pensieri più profondi e reconditi di ogni essere umano e, nel caso in cui questi diventi figlio, ha un progetto per lui perché, se Dio è nei nostri pensieri, noi lo siamo nei Suoi. Credo che, assieme a quella della salvezza, non possa esservi consapevolezza migliore.

“Molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andarono più con lui”: fecero una scelta. Tornare indietro implica rinunciare a seguirlo, a fare il cammino con Lui, scegliere la solitudine, l’identificazione con la morte, tornare da dove si è venuti dopo un breve intervallo in cui si è creduto di aver trovato un’alternativa. Ma la carne, per quelle persone, fu più forte. Quando purtroppo mi ritrovo a fare i conti con la realtà della mia vita orizzontale, coi suoi problemi a volte difficili, mi chiedo sempre che senso abbia non tanto il doverli affrontare, ma la vita stessa, che trova nella morte il suo punto di arrivo. E concludo che, privato della certezza e della prospettiva di occupare un posto nella “casa delle molte stanze”, ogni cosa sarebbe priva di significato. Tornare indietro, allora come oggi, equivale a rinunciare a un cammino con Gesù, a rinnegare, rifiutare le parole “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28.20). È la “bestemmia contro lo Spirito Santo”l’unico peccato a non essere perdonato.

“Molti discepoli tornarono indietro”, ma non tutti. E Nostro Signore, per far sì che i dodici dessero una spiegazione non a Lui, ma a loro stessi, del perché rimanessero lì, chiede “Volete andarvene anche voi?”: la volontà dipende dall’anima e dallo spirito della persona, si esprime sospinta da una forza a loro connessa, ma Pietro, parlando anche per gli altri, che aveva ben vivo il ricordo di ciò che era avvenuto sul lago in tempesta e non solo, lascia spazio a una dichiarazione particolare: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”, che altre traduzioni riportano con “il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”a seconda della fonte, che risente dell’influenza di Matteo 16.

Pietro non dice di aver compreso il discorso sulla carne e il sangue, cosa che avverrà dopo la discesa dello Spirito Santo, ma confessa quale più anziano del gruppo che né lui né gli altri avevano alternative una volta riconosciuto di aver bisogno di un Pastore e, soprattutto, averlo trovato. I verbi “creduto”e “conosciuto”fanno riferimento al fatto che i dodici a quella conclusione erano giunti dopo un’attenta osservazione dei fatti di cui erano stati testimoni e protagonisti al tempo stesso, oltre che di una forte volontà di capire i suoi discorsi. Ed erano arrivati a un punto in cui in loro si era creata la consapevolezza del fatto che, senza di lui, non avrebbero potuto essere. Senza il loro Maestro si sarebbero sentiti persi, a differenza di quanti “tornarono indietro”ad una vita che, temporaneamente, li avrebbe distolti dal pensare che un giorno sarebbero morti trovandosi di fronte a ciò che Gesù aveva detto: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio”(Luca 18.8).

La risposta “Non sono forse io che ho scelto voi, i dodici?”riguarda non l’elezione per la vita eterna, ma la nomina ad apostoli (Luca 6.13). La immediata aggiunta “Eppure uno di voi è un diavolo”ha fatto seguito al tema dell’elezione probabilmente perché gli altri undici, una volta che Giuda Iscariotha si fosse rivelato, non avessero dei dubbi ipotizzando che il loro Maestro avesse sbagliato a scegliere uno di loro. Il termine usato per indicare Giuda è molto particolare perché di lui non è detto che è un “daimon”, cioè uno spirito maligno, ma “diàbolos”, cioè “colui che divide”, “calunniatore”, “accusatore”, col quale è evidente l’identificazione con Satana. Jacques Masson, teologo vissuto tra il 1400 e il 1500, osservò che “Egli era animato dallo spirito di Satana, così da esser fra i dodici quello che Satana era stato nella famiglia di Dio in cielo”. Occorre però specificare che questa identificazione piena avverrà in un punto preciso, quando ricevette da Gesù il boccone intinto, dopo di che leggiamo che “Satana entrò in lui”, cioè ne prese pieno possesso non per umiliarlo come fece e fa con gli indemoniati, ma per i suoi scopi. Giuda quindi, a quel tempo, era una persona che agiva per se stesso, traendo un illecito guadagno rubando dalla cassa comune di cui era responsabile, oltre a disprezzare costantemente tutto ciò di cui, assieme agli altri, era testimone. “Uno di voi è diavolo”, sono parole che quindi si riferiscono alla prospettiva e al destino di quell’apostolo, ma anche al fatto che a spingerlo nelle sue azioni era una forza contraria che andava oltre oltre l’impermeabilità del cuore e della mente. “Durante la cena,(…) il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariotha, di tradirlo”: si noti il “già” che allude al processo inevitabile di chi non solo rifiuta il Vangelo, ma lo combatte, lo ignora volutamente, resta indifferente nonostante le Sue manifestazioni. Giuda qui “stava per tradirlo”, il che significa che aveva già deciso di attendere il tempo opportuno per farlo: avrebbe ferito al calcagno la “progenie della donna”.

Credo che qui, a prescindere da quanto scritto finora, quel “diavolo”riferito a Giuda sia strettamente connesso a un’altra definizione che Gesù dà di lui: in Giovanni 17.12 leggiamo “Quando ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la scrittura”. Qui si aprirebbe un argomento immenso, che penso sia impossibile da sviluppare se non poco per volta, stante gli scopi che si prefiggono questi studi sul Vangelo.

Se però Giuda è il livello più alto – in questo contesto – della manifestazione satanica, ricordiamo che non è importante riflettere sulla capacità distruttiva di questo personaggio, quanto piuttosto sul fatto che l’Avversario abita certe persone, compresi quegli Scribi e Farisei cui Gesù si rivolse dicendo “Voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio”. Ecco perché, per trovare un angelo dell’Avversario, o un appartenente a lui, non dobbiamo andare troppo lontano. E, a volte, questo non lo pensiamo. Amen.

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4.02 – APOSTOLI 2 (Luca 6.12-16)

4.2 – Apostoli II (Luca 6.12-16)

 

 12In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. 13Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: 14Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; 16Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.”

PIETRO

            Prima di iniziare a parlare di questo apostolo, ma anche di tutti gli altri, va tenuto presente che sarà necessario citare degli episodi o delle frasi che potranno essere sviluppate solo in parte. Le brevi note che si troveranno su tutti gli apostoli, quindi, vanno intese come dei semplici appunti in vista dell’approfondimento che verrà fatto quando si giungerà a commentare i passi veri e propri secondo la cronologia che ci siamo dati.

Dei dodici abbiamo quattro elenchi forniti dai sinottici e dal libro degli Atti, alcuni dei quali differiscono per nome e ordine, ma riferenti alle stesse persone. Pietro è il primo a comparire in tutti e Matteo scrive “Il primo è Simone, detto Pietro”, nome che sappiamo anticipatogli da Gesù nell’incontro che ebbe con lui per interessamento di suo fratello Andrea. In quell’occasione fu chiamato così in aramaico: “«Tu sei Simone, figlio di Giona; sarai chiamato Cefa», che significa pietra” (Giovanni 1.42). Cefa significa “sasso”, “pietra”, ma anche “roccia”, elementi da considerare perché costituiscono una profezia su di lui che riguardò la sua vita dopo la discesa dello Spirito Santo a Gerusalemme, ma è al tempo stesso connessa al fatto che fu Pietro il primo dei dodici a riconoscerlo come “Il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente”. In quell’occasione Gesù gli disse “«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»” (Matteo 16.17-19). È questo un verso che purtroppo costituisce un terreno minato, un caso di contesa per la cristianità perché in essi la Chiesa Romana vede l’istituzione di Pietro come primo fra gli apostoli nel senso di capo e ha dato l’imprimatur a una versione che, con una licenza che quanto meno intristisce, al posto di “su questa pietra” ha “su di te”, stravolgendone il senso.

Pietro, per le ragioni che vedremo, era una persona dal carattere particolare e Gesù, chiamandolo Cefa, volle fare riferimento al ruolo che avrebbe avuto; nel verso di Matteo che abbiamo letto, impiegò il termine “pietra” definendo come tale la verità sulla quale poggia la fede del vero cristianesimo: Gesù è il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente. Simone sarebbe stato una pietra secondo quanto troviamo nella sua prima lettera in cui usa lo stesso termine: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1 Pietro 2.4). Ora l’apostolo fa un distinguo ben preciso fra la “pietra viva”, e le “pietre vive” divenute tali non per loro potere: queste costituiscono la Chiesa, composta da tutti coloro che credono e sono stati salvati di cui Gesù è la pietra angolare, la prima che viene posata e che sorregge tutto l’edificio, quella che i costruttori avevano disprezzato (Salmo 118.22), quella che Dio aveva “…posto come fondamento in Sion, una pietra provata, una pietra angolare e preziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire” (Isaia 28.16).

Se Gesù è quindi la pietra d’angolo, Cefa è una pietra come tutte le altre, ma particolare ed unica al tempo stesso proprio perché non solo sarà il primo a riconoscere in Gesù il Cristo, ma per tutto quello che darà in seguito, per il ruolo importante non solo di predicazione verso gli ebrei.

Cefa non sarà “la” pietra, ma “una” pietra e il testo di Matteo 16.18 su cui tanti hanno conteso significa proprio che Gesù avrebbe edificato la propria Chiesa non su Pietro come apostolo, ma sulla verità che lui espresse: “Tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio Vivente”. Pietro, attribuendo a Gesù il titolo di Cristo lo riconosce come il Messia che avrebbe dovuto venire un giorno e come “Figlio dell’Iddio vivente” cioè individua come procedenti da Dio tutti gli eventi che sarebbero accaduti, ammette che Gesù era non solo un inviato, ma dichiara chi veramente era, da dove venisse, la realtà spirituale e fisicamente eterna che lo contraddistingueva dagli altri. Impossibile una Chiesa che non si fondi su questa verità che non a caso fu minata dalle eresie che, fin dal primo secolo, iniziarono a mettere in discussione proprio la natura del Cristo. È da lì che si parte, dal Figlio di Dio che assunse forma di servo e che morì per noi. Senza quella dichiarazione di Pietro, fatta poi anche dagli altri, in cosa si crederebbe? Riconoscere Gesù nei termini che abbiamo visto è il primo passo, non ve ne possono essere di alternativi perché sarebbero inutili; non salva sapere che Lui è stato un pensatore e un predicatore d’amore, pace e fratellanza tra gli uomini: non è vero, è riduttivo, offensivo alla luce del fatto che, prima di tutto, Gesù mostrò l’amore dell’unico Dio vero e Santo a favore dell’uomo, così inadeguato e lontano, sacrificandosi per la salvezza di quanti lo avrebbero accolto.

Pietro fu un personaggio diverso dagli altri dodici: irruento, facile tanto ad entusiasmarsi quanto a cadere nella paura, energico e pronto a parlare a volte a sproposito nel momento in cui seguiva la propria umanità, era quello tenuto in più considerazione dal gruppo dei dodici senza che lo considerassero comunque un capo, vista la discussione che sorgerà tra loro in Marco 9.33,35: “Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»”.

Pietro fu testimone, con Giacomo e Giovanni, di miracoli ed avvenimenti che gli altri apostoli non videro. Se il Vangelo ce lo dipinge come una persona molto “umana” nelle sue reazioni (l’orecchio tagliato di Malco, episodio che ci lascia supporre che quest’apostolo fosse corpulento, o il camminare sull’acqua salvo sprofondarvi dentro, il suo pianto amaro al terzo rinnegamento di Gesù), il libro degli Atti lo descrive come una persona di cui Dio si servì per la predicazione, istruendolo anche con visioni. Paolo lo cita come Cefa in Galati 2.9 come colonna della Chiesa assieme a Giacomo e Giovanni e qui, se vogliamo, possiamo vedere anche il significato di “roccia” come risultato dell’azione della Grazia che farà di lui un personaggio così importante per la predicazione del Vangelo e nell’edificazione della Chiesa primitiva essendogli affidato il compito di essere “l’apostolo degli incirconcisi”, cioè degli ebrei (Galati 2.8).

Pietro abbiamo detto essere interessante per la sua profonda umanità nel senso che, se fu un predicatore formidabile e per nulla timoroso di fronte all’autorità politica contraria al Vangelo, non fu esente da errori di comportamento trattando differentemente quanti si convertivano dal giudaismo e dal paganesimo. Si tratta di un episodio che può insegnare molto anche a noi perché possiamo capire quanto sia facile essere condizionati dalle nostre certezze presunte, dal nostro retaggio culturale. Il passo di riferimento è quello di Pietro che predica in casa del centurione romano Cornelio narrato in Atti 10.9-33. In quell’occasione, quando iniziò a parlare, l’apostolo disse “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Ebbene, questo concetto fondamentale fu da lui dimenticato nonostante la visione avuta e le parole udite in quell’occasione.

Pietro dovette essere ripreso da Paolo per la preferenza che dava ai giudei convertiti rispetto ai pagani e questo, anziché squalificarlo, rivela quanto sia facile cadere nell’errore nonostante rivelazioni che poi, involontariamente e per la nostra natura defettibile, si dimenticano. Ed è da sottolineare che in Pietro la potenza di Dio operava non poco, vista la resurrezione di Tabità a Giaffa operata poco tempo prima dell’incontro con Cornelio e la sua famiglia. Questo ci fa tornare al principio dell’impossibilità dell’esistenza del “conduttore perfetto” perché, se esistesse, non ci sarebbe bisogno de “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Pietro fu quindi “il primo” sotto le ottiche che abbiamo visto brevemente, ma non con funzioni direttive che ci autorizzino a ritenere che avesse autorità sugli apostoli: nella Chiesa non può esistere una gerarchia o una scala di importanza, ma uomini che hanno un dono e che lo esercitano rispondendo direttamente a Dio e che vanno riconosciuti, ma senza pensare ad un’autorità umana o di gradi come può accadere per l’esercito o altri corpi organizzati. La Chiesa di Cristo non può essere una multinazionale o una grande azienda, con dirigenti e operai, ma è una struttura spirituale, un tempio in cui ciascuno opera in base ai domi ricevuti e non dalle persone che “converte”, dal carisma umano o dalla cultura che possiede.

 

ANDREA

                  Sappiamo che fu il primo dei discepoli con cui Gesù Parlò, assieme a Giovanni. Il suo nome significa “Virile” o “Uomo di valore” e sappiamo essere fratello di Pietro, come lui pescatore, col quale aveva un rapporto di amicizia e di condivisione spirituale come rileviamo dalla frase che gli disse non appena lo incontrò, “Noi abbiamo trovato il Messia” (Giovanni 1.41). La Chiesa ortodossa, per questo episodio, lo definisce “Protòcletos”, cioè “il primo chiamato”. Come Giovanni, suo amico, era una persona sensibile e dette prova di riconoscersi peccatore e bisognoso del Cristo che sarebbe arrivato non limitandosi a farsi battezzare da Giovanni Battista, ma divenendo suo discepolo.

Andrea era una persona profondamente interessata alla predicazione di Gesù e desideroso di conoscere gli avvenimenti che avrebbero riguardato l’umanità in futuro. Leggiamo in proposito Marco 13.1-5: Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta». Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: «Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?»”. Questa fu una domanda che suscitò l’esposizione del cosiddetto “sermone profetico” e testimonia quanto Andrea, con gli altri tre che ebbero un rapporto con Gesù più ravvicinato che non i rimanenti otto,tenessero in considerazione le parole di Gesù in ogni cosa, comprese quelle che riguardavano avvenimenti non ancora avvenuti. Credo sia un particolare importante, perché un conto e credere a un miracolo che si constata di persona, e un altro è accettare per vere parole che non si ha modo di verificare.

Andrea, chiamato a seguire personalmente Gesù dopo la pesca miracolosa sul mare di Galilea con Pietro, Giacomo e Giovanni sulla quale abbiamo riflettuto, abitava con Pietro e sua moglie a Capernaum ed era di Betsaida. Come lo ha definito un caro fratello, era un “uomo di pubbliche relazioni” come vediamo nell’episodio degli ebrei greci che volevano vedere Gesù: “Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù” (Giovanni 12.20-22).

Andrea aveva già dato prova di interessarsi delle persone che venivano alle predicazioni di Gesù, come leggiamo nel miracolo della prima moltiplicazione dei pani e dei pesci: fu lui infatti ad indicare che, in mezzo alla fola, c’era “un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due piccoli pesci, ma cos’è questo per tanta gente?” (Giovanni 6.9). In proposito e aprendo una piccola parentesi, è degno di nota come Papa Francesco Bergoglio ha inquadramento l’episodio quando, urtando non poco la suscettibilità dei tradizionalisti, disse che i pani e i pesci non si moltiplicarono, «ma semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Quando uno dice “moltiplicare” può confondersi e credere che faccia una magia. No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore che, se vogliamo, quello che possediamo non termina”.

In effetti a parlare di moltiplicazione sono coloro che si sono adoperati per scrivere i brevi titoli che precedono gli episodi dei Vangeli e non i diretti Autori e scrivere di “moltiplicazione dei pani” risulta più immediato che non “i pani che non finirono”; il paragone con la farina e l’olio della vedova, poi, appare quanto mai pertinente perché abbiamo due casi, tra loro simili, il primo dei quali ricordato in 1 Re 17.14-16: si tratta di un miracolo che operò il profeta Elia alla vedova di Sarepta: “«La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”.In 2 Re 4.1-38, ve ne fu un altro, operato invece da Eliseo, in cui fu un vasetto d’olio a riempire tutti i vasi che la vedova fu in grado di farsi prestare dai vicini.

Vero è che nel miracolo dei pani e dei pesci è scritto che ne avanzarono dodici ceste, ma furono appunto di avanzi, non pani o pesci interi; è scritto che “Raccolsero dodici ceste piene di pezzi di pane e di resti di pesci. Or coloro che avevano mangiato di quei pani erano cinquemila uomini” (Marco 6.43,44). Del resto ricordiamo il miracolo delle nozze di Cana, in cui mutò la sostanza e non cambiò il numero degli otri. Il gesto creativo di Dio non può essere limitato, iscritto nei confini delle possibilità umane.

Andrea viene citato un’ultima volta nel libro degli Atti in cui abbiamo il quarto elenco degli apostoli ed è, come negli altri tranne che in Marco, citato al secondo posto. Leggiamo che, dopo l’ascensione, tutti erano soliti riunirsi in una casa, in una stanza al piano superiore di essa: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui” (Atti 1.12-14).

Notizie successive non ce ne sono state trasmesse nel Nuovo Testamento, ma Eusebio di Cesarea, vissuto tra il 265 e il 340, considerato il primo ad occuparsi di storia della Chiesa, scrive che fu attivo in Asia Minore, lungo il Mar Nero, il Volga e a Kiev. Si tratta di un autore, Eusebio, i cui studi non sono accettati all’unanimità così come il suo racconto della morte di questo apostolo, tramite crocifissione a forma di “X” ancora oggi nota come “Croce di S. Andrea”.

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2.06 – I PRIMI DISCEPOLI I/II (Giovanni 1.35-42)

2.06 – I primi discepoli  I/II (Giovanni 1.35-42)

 

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

 

Dopo la tentazione nel deserto vista nel capitolo scorso, riannodare le file della cronologia non è facile. Un punto fermo è che solo superando le tentazioni nel deserto Gesù avrebbe potuto iniziare ad organizzarsi chiamando attorno a sé dei discepoli. Poiché a Matteo premono i contenuti, presenta un racconto essenziale collocando la chiamata dei primi discepoli dopo l’arresto di Giovanni, il suo abbandono di Nazareth con relativo trasferimento a Capernaum. Quasi lo stesso fa Marco, Luca parla del suo ritorno in Galilea e del fatto che insegnava nelle sinagoghe. L’apostolo Giovanni però era presente fin dall’inizio, essendo già discepolo del Battista e ci scrive dati più particolari senza però riferire il momento preciso in cui avvenne il battesimo di Gesù. In compenso è molto attento a contare i giorni. Leggiamo il racconto, su cui ci siamo già soffermati, delle sue risposte ai sacerdoti e ai leviti, poi quelle che diede ai farisei fino a quando non scrive “Il giorno dopo”: al capitolo 1 leggiamo “29Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me». 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: «Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo». 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»”. Viene quindi da pensare che Giovanni inizi a parlare del Battista dopo il battesimo di Gesù e che il racconto delle sue risposte alle domande prima agli inviati dei sacerdoti e loro associati e poi a loro stessi, sia stato scritto per dare una sorta di contemporaneità al racconto della tentazione nel deserto di Gesù. In 1.19 Giovanni scrive “Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo”, poi abbiamo una delegazione non più di inviati, ma di farisei che gli chiedevano ragione del suo battezzare, segno che tra un incontro e l’altro dovette passare del tempo: tempo per gli inviati di tornare a Gerusalemme, tempo per i farisei e loro simili di riflettere, decidere di recarsi là di persona, tempo per recarsi sulle rive del giordano: uno spazio che può essere ragionevolmente compreso nei quaranta giorni delle tentazioni. Gesù allora ritorna da Giovanni, o meglio passa nei pressi dove stava con due dei suoi discepoli, “il giorno dopo” che il Battista aveva risposto alle domande che gli furono rivolti dalle autorità religiose di allora.

Iniziano qui i primi incontri con quegli uomini, ma nel corso della vita terrena di Gesù anche donne, determinanti nella storia della salvezza in base alle loro caratteristiche interiori. I primi, futuri discepoli di Gesù lo erano di Giovanni Battista, segno che avevano creduto al suo messaggio, avevano ricevuto il segno esteriore del ravvedimento, del volersi predisporre a ricevere il Cristo che sarebbe venuto di lì a poco, quindi che aspettavano la sua manifestazione. Erano Andrea, fratello di Pietro, e Giovanni autore del Vangelo che, secondo la sua abitudine, preferisce parlare di sé in terza persona, senza nominarsi direttamente. A questi, ebrei osservanti che ben sapevano la funzione dell’agnello come animale sacrificale, il Battista indicò Gesù che passava: “Ecco l’Agnello di Dio”, che loro potevano intravedere come Colui che li avrebbe liberati dal peccato e che per noi è immagine della trasformazione secondo 1 Pietro 1.18,19: “Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi”.

Ecco un nuovo elemento che in quel momento Andrea e Giovanni non potevano sapere: Gesù venne nel tempo opportuno, ma prima che l’universo fosse creato aveva già accettato il suo compito, in previsione della rovina portata da Satana in Eden. “Negli ultimi tempi”, cioè in quello spazio breve della storia in rapporto all’eternità, si è manifestato per noi, cioè per ogni individuo che crede. E vengono in mente le parole di Maria, “Ha guardato alla bassezza della sua serva”.

 

Preso atto delle parole del Battista, ad Andrea e Giovanni non rimaneva altro che cercare di capire chi fosse quell’uomo che stava passando nei pressi: va bene, era l’Agnello di Dio, ma cosa pensava, dove viveva, cosa avrebbe fatto? Per loro nulla era più importante dell’attesa di qualcosa che non conoscevano nei dettagli, ma che prima o poi si sarebbe verificata. “Lo seguirono” indica una reazione immediata, dettata dall’interesse, di conoscere. Gesù, voltandosi, li vede e si rivolge a loro con una semplice domanda, non “chi”, ma “Cosa cercate”, un distinguo fondamentale: è molto facile sapere chi si cerca. Quando cerchiamo una persona, c’è sempre un motivo. Ma la domanda “cosa cerchi”, a meno che non si tratti di un oggetto, un utensile, richiede una risposta molto più impegnativa, obbliga a guardarsi dentro. Se uno chiede al suo prossimo cosa cerca, lo mette solitamente in imbarazzo perché lo obbliga a rivelare i suoi pensieri, ammesso che intenda rispondere. Forse, cosa cerca non lo sa nemmeno. Allora, se la risposta giunge, il risultato è sempre riferito al benessere della persona: sto male e vorrei stare bene, sto bene ma vorrei stare meglio; pochi sono coloro che si accontentano del proprio stato, quando non intervengono patologie gravi che portano l’essere umano ad una smodata ricerca di denaro, averi e potere.

Andrea e Giovanni gli chiedono dove abitasse. Non fu una risposta dettata dall’imbarazzo o perché, colti alla sprovvista, gli chiesero la prima cosa che venne loro in mente: lo avevano appena chiamato “Rabbi”, cioè Maestro, e il chiedergli dove abitasse implicava che lo volevano ascoltare così come la risposta che ebbero, “Venite e vedete”, era spesso data dai rabbini ai loro discepoli quando dovevano affrontare delle importanti questioni dottrinali. “Venite e vedete” nel senso di considerare, di ascoltare e fare le relative, autonome valutazioni. Gesù non impone loro nulla, non li chiama per primo, ma sono Andrea e Giovanni a farsi notare seguendolo e da lì poi si instaurerà una profonda relazione, dopo che saranno andati e lo avranno ascoltato.

Andarono dunque e videro dove egli dimorava”, non in una casa perché non si era ancora trasferito, ma era solo giunto lì per farsi battezzare. È molto probabile che Gesù abitasse in una specie di capanna, di quelle usate allora dai guardiani dei campi. Era quello un periodo particolare: abitava a Nazareth, ma aveva trascorso i quaranta giorni nel deserto, si sarebbe trasferito dalla sua città a Capernaum, Giovanni Battista stava per essere arrestato da Erode Antipa e c’era l’imminente viaggio a Cana con sua madre e i parenti, per cui un’abitazione nel senso vero e proprio del termine non sarebbe servita a nulla.

C’è però un particolare che Giovanni inserisce nel suo racconto ed è, oltre che “quel giorno rimasero con lui”, l’orario, che la nostra traduzione italiana riporta ne “le quattro del pomeriggio” dall’originale “era intorno le dieci ore”; si tratta dei diverso modo di contare le ore del giorno secondo i romani, che come ancora oggi si calcolano dalla mezzanotte, e gli ebrei, che iniziano a partire dalle nostre sei del mattino.

Ritengo che Giovanni annota l’orario per un motivo preciso, far sapere che lui e Andrea si intrattennero con Gesù per circa due ore poiché alle sei del pomeriggio si chiudeva la giornata secondo il giudaismo. Tale chiusura non va intesa come se da quell’ora esistesse un coprifuoco e nessuno potesse uscire di casa per cui l’ipotesi che si può fare è che, prima che arrivasse un nuovo giorno, Andrea e Giovanni restassero con Gesù a parlare, Andrea trovasse Pietro e lo conducesse al suo nuovo Maestro.

Giovanni, che allora doveva avere tra i 19 e i 20 anni, che sarà il più giovane dei gruppo dei dodici, non scrive il contenuto dei dialoghi intercorsi quel giorno, ma furono intensi ed esaustivi a tal punto da riferire di Andrea che, non appena incontrato Simone, gli disse entusiasta “Noi abbiamo incontrato il Messia”: non un Rabbi qualunque, ma quello che tutto Israele attendeva da tempo. La presentazione che Andrea fece a Simone, forse anche lui discepolo del Battista, fu presa sul serio visto che entrambi sapevano molto bene che Giovanni Battista annunciava l’arrivo di qualcuno molto più grande di lui, uno a cui lui non era degno di sciogliere il laccio dei sandali e neppure di portarli.

A differenza di quanto avvenuto precedentemente, Giovanni riporta un particolare dell’incontro di Gesù con Pietro: lo guarda in volto e gli dice “Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa (che vuol dire Pietra)”. Qui possiamo fare qualche osservazione, la prima tecnica: come abbiamo avuto modo di leggere precedentemente, Giovanni inserisce delle brevi note: spiega che Cefa vuol dire Pietra – alcuni traducono “Pietro” –, prima informa i lettori che il termine Messia “interpretato vuol dire il Cristo”, prima ancora che Rabbi “tradotto, significa Maestro”, segno che scrive per lettori non ebrei. Cefa, per inciso, può essere tradotto anche con “roccia”.

La seconda osservazione è che lo chiama per nome e gli ricorda il padre, come farà spesso nelle occasioni importanti, come ad esempio dopo l’averlo riconosciuto come “il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”: “Tu sei beato Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Matteo 16.17); ancora ritroviamo questo ricordo nelle tre domande dopo la resurrezione, per riabilitarlo dei suoi tre rinnegamenti: “Simone, figlio di Giona, mi ami tu?” (Giovanni 21.15,16,17). Simone era il primogenito e non possiamo escludere che avesse ereditato il carattere del padre o che comunque fosse per lui importante per ragioni a noi ignote. Può anche essere più semplicemente che, chiamandolo “figlio di Giona”, Gesù volesse ulteriormente personalizzare il suo messaggio alludendo al fatto che, se di “Simone” potevano essercene tanti, solo lui era “figlio di Giona”.

Simone, figlio di Giona, sarebbe stato chiamato Cefa, così come Saulo di Tarso sarebbe stato chiamato Paolo. Cefa è una parola aramaica che significa pietra, o roccia e che ha connessione al carattere di quest’uomo che, da impulsivo, sanguigno, tendente a fare affermazioni avventate o a contare troppo sulle sue forze salvo poi pentirsene, fu trasformato dalla Grazia in un personaggio determinante e dominante nel libro degli Atti. Primo a riconoscere Gesù come Figlio di Dio, ma anche unico a rinnegarlo perché terrorizzato; pronto a difendere il suo maestro anche con le armi, diventerà un Suo potente testimone e il personaggio più importante della Chiesa di Gerusalemme.

Cefa fu così indicato dal suo futuro Maestro e sarà oggetto di numerosi suoi interventi che gli anticiperanno il suo destino: sulla sua affermazione che vede in lui “il figlio dell’Iddio vivente” edificherà la Sua Chiesa (Matteo 16.18), di fronte alla dichiarazione in base alla quale si credeva pronto a seguire Gesù fino alla morte, gli viene ricordato che lo avrebbe rinnegato tre volte prima del canto di un gallo. Poi abbiamo la frase che allude al martirio che avrebbe subìto: “In verità, in verità io ti dico che quando tu eri giovane, ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà là dove tu non vorrai” (Giovanni 21.18). Secondo la tradizione il martirio di Pietro avvenne a Roma sotto Nerone tramite crocifissione, a testa in giù per richiesta di Pietro. Così tramandano Girolamo, Tertulliano, Eusebio e Origene vissuti attorno all’anno 200. Di certo c’è una lettera di Clemente di Roma, datata tra il 95 e il 97 in cui si legge “Per invidia e per gelosia i più validi e i più importanti pilastri della Chiesa hanno sofferto la persecuzione e sono stati sfidati fino alla morte. Volgiamo il nostro sguardo ai santi Apostoli. San Pietro, che a causa di un‘ingiusta invidia, soffrì non una o due, ma numerose sofferenze, e, dopo aver testimoniato con il martirio, assunse alla gloria che aveva meritato”.

Si conclude così quello che per Giovanni è il terzo giorno. Nel primo abbiamo avuto le risposte del battista agli Scribi, Farisei e Sadducei. Il secondo ha visto la testimonianza che indicò in Gesù “L’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. Quella fu l’occasione per testimoniare di ciò che aveva visto quando lo aveva battezzato, quaranta giorni prima. Nel terzo abbiamo avuto i colloqui che abbiamo esaminato e nel quarto, che vedremo, ci saranno altri due incontri, con dinamiche simili eppur diverse, con Filippo e Natanaele, chiamato anche Bartolomeo.

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