14.09 – I PUBBLICANI E I PECCATORI ASCOLTANO GESÙ (Luca 15.1,2)

14.09 – I pubblicani e i peccatori ascoltano Gesù (Luca 15.1,2)

 

 

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

 

Il capitolo 15 di Luca è dedicato al tema del recupero del peccatore attraverso tre parabole: la pecora smarrita, la moneta perduta e il figlio prodigo, ciascuna delle quali si occupa di un aspetto dell’opera di Gesù e di come viene considerato l’uomo da Lui e dal Padre. L’antefatto è simile a quello narrato da Matteo in 9.10-13 che ricordiamo: “Mentre sedeva a tavola nella casa – quella di Matteo che aveva dato un convito per dare l’addio alla sua professione – sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia assieme ai pubblicani e peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: «Misericordia io voglio e non sacrifici». Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori»”.

Lo scenario offertoci da Luca è simile a quello di Matteo anche se, nel suo caso, i “pubblicani e i peccatori” si raccolgono per un profondo interesse sugli insegnamenti di Gesù. Per inquadrare correttamente la scena va specificato che quel “tutti” del verso 1 non vuole comprendere la totalità dei pubblicani e peccatori presenti in città (non ci viene detto quale), ma quelli tra la folla: saputo della Sua presenza, chi di loro era in zona accorse per ascoltarlo e “si avvicinavano a lui”, provocando per reazione il ritrarsi dei farisei e degli scribi che, scandalizzati, Lo accusarono di accogliere i peccatori e mangiare con loro. Sappiamo che era l’esatto contrario che quelle persone facevano nei confronti del loro prossimo, che disprezzavano e dal quale si tenevano accuratamente separati.

Ora, prima di esaminare le tre parabole, credo sia giusto soffermarsi sull’azione dell’ascoltare, verbo che oggi ha perso molto del suo significato originale. In un mondo in cui ciò che è importante è apparire, andare veloci, intuire anziché elaborare, avere una vaga idea di qualcosa (ed è anche troppo), riempire il proprio tempo non importa con cosa ma basta che sia, riesce difficile pensare che l’ascolto coinvolga tutta la persona perché si tratta di un’arte che richiede sforzo. Il vero ascolto si basa attraverso l’analisi, il voler ricordare, è prendere appunti utilizzando la mente come quaderno, è elaborare, mettere da parte alcuni dati per analizzarli immediatamente o dopo a seconda della loro complessità.

Il verso 1 del nostro passo parla dei “pubblicani e peccatori” che “si avvicinarono a lui per ascoltarlo”, non per parlargli, evidentemente ritenendo quanto avevano da dirgli qualcosa di secondario rispetto agli insegnamenti che avrebbero potuto ricevere. Erano lì, consapevoli dell’importanza del personaggio che avevano davanti, che non mandava via nessuno realizzandosi nell’essere servo. Non abbiamo problemi a identificare i pubblicani, riscossori di tasse e tributi per il governo di Roma, ma i “peccatori”? Era un termine che si riferiva a persone che non avevano buona fama, individui che notoriamente trasgredivano la Legge morale o cerimoniale per cui, agli occhi dei farisei e loro accoliti, erano considerati al livello più basso della popolazione che già mal sopportavano. Ebbene queste persone, consapevoli del loro stato, evitate dagli altri, vengono e ascoltano.

L’ascolto è un’azione, una scelta consigliata nei confronti di Dio che porta conseguenze precise: “Sì, lo smarrimento degli inesperti li ucciderà e la spensieratezza degli sciocchi li farà perire; ma chi ascolta me vivrà in pace e sarà sicuro senza temere alcun male” (Proverbi 1.32,33); “Beato l’uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle mie porte – per tendere l’orecchio qualora giunga un ordine –, per custodire gli stipiti della mia soglia. Infatti, chi trova me trova la vita e ottiene il favore del Signore; ma chi pecca contro di me fa male a se stesso: quanti mi odiano amano la morte” (8.34). In questo caso, allora, i “pubblicani e i peccatori” compiono il primo passo verso la loro salvezza.

L’ascolto è l’unico mezzo per imparare ed essere in grado di esprimere pensieri appropriati (21.28) “Il falso testimone perirà, ma chi ascolta potrà parlare sempre”), e, se si tratta delle parole di Dio, porta a una conoscenza reciproca che non potrà portare che benefici: “Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido” (Salmo 40.1). Ancora, Salmo 66.18,19: “Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato. Ma Dio ha ascoltato, si è fatto attento alla voce della mia preghiera”. Cercavano quindi una relazione con Gesù quelle persone? Forse rispondere affermativamente è azzardato, ma nei due versi dei Salmi citati è chiaro che l’ascolto della Paola di Dio, certo con l’intenzione di identificarsi in lei e metterla in pratica, porta a quello di Dio nei confronti dell’uomo. Si tratta di una relazione reciproca che si instaura.

L’ascolto è infatti il modo migliore per ottenere, è un aspetto della rinuncia a se stessi: “Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicìnati per ascoltare piuttosto che offrire sacrifici, come fanno gli stolti, i quali non sanno di fare del male” (Ecclesiaste 4.17) dove “ascoltare” e “offrire sacrifici” sono la descrizione di ciò che abita nel cuore dell’uomo: chi si mette all’ascolto di Dio sa di avere solo da imparare, che dovrà accogliere quanto gli verrà detto; chi offre sacrifici porta del suo, adempie a una regola, può farlo anche svogliatamente, sbadatamente perché si tratta di una formalità da adempiere esattamente come fanno oggi quei cristiani che frequentano la Chiesa soltanto la domenica e vivono tutti gli altri giorni come se Dio non esistesse. Entrano in un luogo e ne escono esattamente come prima, nulla è cambiato in loro; al limite, si ritengono soddisfatti di avere adempiuto a un precetto o a un’usanza.

Torniamo un attimo sul nostro versetto 1: Luca scrive che “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”, ma non che, a un certo punto come avvenne con altre persone, si allontanarono da lui scandalizzati, quindi costituiscono un esempio. Non si dice che si convertirono, ma è talmente grande il divario tra il loro comportamento e quello dei farisei da non porli in opposizione a Gesù. Si è parlato dell’ascolto, ma non del suo contrario, l’indifferenza, il proseguire per la propria strada, l’ostinato rifiuto dell’appello al ravvedimento.

Così leggiamo in 2 Re 17.12-14: “…servirono gli idoli dei quali il Signore aveva detto: «Non farete una cosa simile!». Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: «Convertitevi dalle vostre vie malvagie e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo tutta la legge che io ho prescritto ai vostri padri e che ho trasmesso a voi per mezzo dei miei servi, i profeti». Ma essi non ascoltarono, anzi resero dura la loro cervice, come quella dei loro padri, i quali non avevano creduto al Signore, loro Dio”.

Ecco, qui abbiamo la descrizione di comportamenti assurdi da parte del popolo: idolatria, percorrere vie diverse da quelle indicate loro, non ascoltare e infine non credere. Potremmo definirli peccati, eppure Geremia 11.19 Iddio dice “Ma è proprio me che offendono, o non piuttosto se stessi, a loro stessa vergogna?”. Al verso 24 “Essi non ascoltarono né prestarono orecchio alla mia parola; anzi, procedettero ostinatamente secondo il loro cuore malvagio e, invece di rivolgersi verso di me, mi hanno voltato le spalle”.

Il non ascolto della parola di Dio quindi porta alla rovina che, nell’immediato per Israele di allora, si caratterizzava con eventi negativi ad alta sofferenza se non mortali, ma per l’uomo d’oggi si concreta nell’esclusione dal Regno.

I farisei, gli scribi, i rettori del popolo, avevano la possibilità di ascoltare il Figlio di Dio, come dalla voce dal cielo “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Matteo 3.17) e non lo fecero tranne alcuni di loro che rimasero nell’ombra, ma al loro posto ecco arrivare davvero gli ultimi, magari non per povertà, ma certo per disprezzo.

Il non ascolto porta infatti a prestare attenzione a particolari irrilevanti per una corretta visione, se non dei dettagli, almeno d’insieme che è quella che poi conta per determinare il dunque della persona: il verso 2, “I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»”, non contiene alcun riferimento alle parole che Gesù diceva a tutti, farisei e scribi compresi: le tre parabole furono rivolte anche a loro, non solo ai “pubblicani e ai peccatori” che, ascoltando nel vero senso della parola, avranno capito che non esiste errore e peccato tanto grande da non venire perdonato e che il destino del peccatore, qualora lo voglia davvero, non è quello di “bruciare all’inferno”, ma quello di trovare accoglimento e perdóno. Tutta quella gente raccoltasi attorno a Gesù, stava considerando seriamente se non era il caso di cambiare vita, tornare indietro, diventare membri della famiglia di Dio.

Guardando ai verbi del secondo versetto vediamo il primo, “mormorare”, cioè per l’originale greco “ad alta voce, in crocchi, fra loro”. Anche qui si circondano di un muro ideale e fanno corporativismo facendo leva sul loro stile di vita che ritenevano puro per giudicare chi non potevano, rendendosi in tal modo simili a tutti coloro che, facendo leva sulla loro morale ridotta e su principi assolutamente personali, da sempre si sentono autorizzati a giudicare il loro prossimo senza mai preoccuparsi della loro coerenza.

Il secondo verbo è “dire”. Quando una persona “dice” qualcosa è sempre per esprimere il proprio pensiero o ciò che ha acquisito. Qui possiamo andare a Matteo 12.34 quando, parlando proprio a quella categoria di persone, Gesù così si espresse: “Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

Gli ultimi due verbi sono “accogliere” e “mangiare”: il primo significa “ricevere presso di sé, ammettere nel proprio gruppo”, quindi non innalzare barriere. Gesù non mandò via i pubblicani dimostrando di non aderire all’orgoglio nazionale e neppure gridò contro “i peccatori” dando per scontato che la loro posizione fosse di impedimento a venire salvati. Quelle due categorie di persone non andavano a lui per curiosità o per vedere qualche miracolo, ma “per ascoltarlo” e questo faceva di loro persone degne di essere accolte. Il “mangiare” poi è qualcosa che non necessariamente si verificò quel giorno, ma può essere una reminiscenza del convito dato da Levi Matteo, quando fu mossa a Gesù un’identica accusa e fu tramandata stante, per gli scribi e farisei, la sua gravità.

Mangiare con qualcuno, infatti, era sinonimo di familiarità, soprattutto condivisione e identificazione. E Gesù si identificò col peccatore, ma non col peccato, cosa che solo Lui poteva fare. Ricordiamo infatti 1 Corinti 5.11: “Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro: con questi tali non dovete neanche mangiare insieme”.

Concludendo, penso a quei pubblicani e peccatori che, accostandosi a Lui per ascoltarlo, fecero il primo, importante passo per il loro destino spirituale; il loro sarebbe stato un ascolto che avrebbe portato a una scelta che difficilmente non si sarebbe verificata, quella dell’accoglienza Sua secondo Giovanni 1.12, “A quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Amen.

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14.08 – IL RITORNO DI ISRAELE IV/IV (Zaccaria 14)

14.08 – Il ritorno di Israele IV/IV (Zaccaria 14)

 

 

Giunti al termine di questo nostro breve percorso profetico che ci ha proiettato in un futuro visto sotto l’ottica del ritorno di Israele a Cristo, è doveroso ricordare che si tratta di avvenimenti che sono stati riportati sia per consolazione di quel popolo, ma soprattutto per essere da lui riconosciuti: il “Giorno del Signore” avrà un inizio e una fine e si snoderà attraverso modalità riconoscibili proprio dal fatto che quanto avverrà sarà già stato descritto dai profeti e individuato dagli interessati. Certo che, in quanto tempo della fine, riguarderà anche la Chiesa.

Secondo punto, va evitato, a meno che lo Spirito di Dio non dia indicazioni assolute e precise a chi legge questo testo profetico, di trattare il materiale disponendolo in ordine cronologico, per quanto si possano fare alcune ipotesi, perché non sono stati questi gli intenti del profeta cui è stata affidata la responsabilità di portare il messaggio. Se così non fosse, ci troveremmo in assoluta difficoltà nell’esaminare il capitolo 13, sempre di Zaccaria, che a un certo punto tratta dell’uccisione del Messia: “Insorgi, spada, contro il mio pastore, contro colui che è mio compagno. Oracolo del Signore degli eserciti. Percuoti il pastore e sia disperso il gregge” (v.7) riportato come parametro di adempimento da Gesù in Marco 14.26-28: “E, dopo avere cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse». Ma, dopo la mia resurrezione, vi precederò in Galilea”.

 

6In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo: 7sarà un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce.

 

Va sottolineato che i testi antichi di questi due versi sono fortemente danneggiati e hanno dato origine a traduzioni diverse e perfino contraddittorie. Abbiamo però dei riferimenti che intervengono a sanare il problema, come Isaia 60.19,20: “Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna – ecco allora che i versi letti in cui la luminosità di sole e luna erano stati moltiplicati hanno valore simbolico –. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà – la luna nuova –, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto”.

Per il Nuovo Patto, abbiamo Apocalisse 21.23, che di Gerusalemme dice “La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”, e 22.5 che stabilisce un punto assolutamente conclusivo e segna la fine della terra, del mondo e di tutto ciò che conosciamo a vantaggio di un aggiornamento nuovo: “Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il signore Dio li illuminerà: e regneranno nei secoli dei secoli”.

Assolutamente consolatorie sono le parole del verso successivo, che contiene implicitamente un invito alla preghiera responsabile per comprendere il libro dell’Apocalisse: “Mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere fra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro”. Mi sono chiesto cosa si debba fare per giungere ad essere in grado di “custodire” le parole del libro: credo che questo, a meno che una diversa conduzione dello Spirito Santo che illumina e custodisce i credenti, sia un punto di arrivo e non si possa compilare un formulario o una guida per arrivarvi. “Custodire” è comprendere e qui è racchiuso tutto il vero significato di possedere materialmente una Bibbia, un libro apparentemente come gli altri perché composto di carta, una copertina e dei fogli. Eppure, come ha scritto felicemente un giorno Mons. Gianfranco Ravasi, “Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla; non basta leggere la Bibbia, bisogna anche comprenderla e meditarla; non basta comprendere e meditare la Bibbia, bisogna anche viverla”.

Ecco, credo che le due ultime fasi siano le più difficili perché, per raggiungerle, occorre una rinuncia a quella parte di noi stessi che è il sentimento: comprendere e meditare la Bibbia significa aprire la mente verso realtà che ci riguardano profondamente e vanno poi connesse alla nostra posizione. Tanto più saremo obiettivi e critici verso noi stessi, quindi estrarremo la trave dal nostro occhio, quanto più proficuo sarà il risultato. E vivere la Bibbia è mettere in pratica ciò che abbiamo compreso perché, se così non avviene, restiamo fermi, impossibilitati a qualunque forma di sviluppo e crescita personale. Conseguita una forma di crescita personale, poi, saremo in grado di comunicare ed aiutare gli altri nel vero senso spirituale del termine.

Abbandonato questo breve intermezzo, proseguiamo la lettura del testo:

 

8In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il mare occidentale: ve ne saranno sempre, estate e inverno. 9Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome.

 

C’è un forte senso di conclusione in queste parole: tutto il tormento, la sofferenza, l’amore e l’odio degli uomini saranno archiviati per sempre, non si ascolteranno più le loro parole di rivalsa, i loro “io” e i loro “voglio”, o “mi devi”, o “fa’ questo”, ma “acque vive” che “sgorgheranno”, verbo che suggerisce un suono tranquillo oltre alla naturale spontaneità dell’azione. Gerusalemme sarà davvero una “città di pace” perché non esisterà più la categoria di persone che ha per millenni infestato la terra; infatti leggiamo ancora in Apocalisse 21.8 “…ma per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarò nello stagno di fuoco e di zolfo”. E in 22.15 viene ribadito “Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna”.

Mi ha colpito questo “amare” e “praticare” perché va alla radice del comportamento di molti, che simulano ciò che non sono per ingannare e frodare il prossimo. Certo lo fanno per tornaconto personale, ma in realtà agiscono così perché non conoscono altro modo di esprimersi nel senso che lo hanno eletto a metodo di vita. Mentire occasionalmente può capitare, ma non come frutto di calcolo, piano a danno di qualcuno; quando ciò avviene, si pratica la menzogna e se questo accade è perché la si ama, si diventa un tutt’uno con lei, in poche parole non si fa altro che difendere se stessi, quella parte dell’essere umano che tante volte Gesù ha esortato a rinunciare perché fonte di male.

Le “acque vive” che sgorgano da Gerusalemme sappiamo bene che sono quelle dello Spirito, questa volta a libera disposizione e non più cercate con fatica, cercate “come l’argento” e investigate “come per i tesori” come afferma il libro dei Proverbi.

Da notare la direzione delle acque, “parte verso il mare orientale”, cioè il Mar Morto, anticamente detto “di Sodoma”, “parte verso il mare occidentale”, cioè il Mediterraneo, due direzioni che simboleggiano l’universalità della disponibilità illimitata nel tempo (“ve ne saranno sempre, estate – quando i torrenti si seccano – e inverno”).

Interessante in proposito la visione di Ezechiele al capitolo 47 quando il profeta vede l’acqua che, da sotto la soglia del Tempio, esce vero Oriente e Occidente, ma l’idea della perfezione del piano di Dio la dà ancora una volta Giovanni in Apocalisse 11.1,2: “E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”.

La fine dell’immondizia e dell’impurità è anche stabilita al verso 9 del nostro testo, perché se “Il Signore sarà re di tutta la terra, in quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome”, questo significa che non esisteranno più tutti quei falsi dèi che venivano adorati sulla terra e distoglievano le menti degli esseri umani indipendentemente dalla loro età anagrafica. E del resto, senza impuri, cani, stregoni e tutte le altre categorie escluse dalla città e regione di Dio, la presenza degli idoli non avrà alcun senso. Non dimentichiamo che non esisteranno più né la Bestia (quindi qualunque idea di impero), né il falso profeta (quindi nessuna seduzione o rivendicazione di autonomia). Sono morti con loro e con essi finirà anche quel senso di insopportazione che purtroppo coglie le persone spirituali che si trovano a condividere spazi e tempo con chi fa dell’impurità una norma di vita. Esattamente come avveniva per Lot nella terra di Sodoma.

Da citare senz’altro il cantico del ventiquattro anziani in Apocalisse 11.17-18: “Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai preso in mano la tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno. Le genti fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, i profeti, e ai santi, e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra”.

 

10Tutto il paese si trasformerà in pianura, da Gheba fino a Rimmon, a meridione di Gerusalemme, che si eleverà e sarà abitata nel luogo dov’è, dalla porta di Beniamino fino al posto della prima porta, cioè fino alla porta dell’Angolo, e dalla torre di Cananèl fino ai torchi del re. 11Ivi abiteranno, non vi sarà più sterminio e Gerusalemme se ne starà tranquilla e sicura.

 

La trasformazione di tutto il Paese in pianura è indicativa del fatto che non sarà più necessario salire sui monti per elevarsi e cercare un luogo per pregare – secondo l’uso che conosciamo dalla scrittura –. Gheba e Rimmon erano due luoghi ai confini di Giuda, uno a Nord e l’altro a Sud, mentre per quanto riguarda la città, i luoghi menzionati, dalla “porta di Beniamino (…) fino ai torchi del re” offrono un itinerario che, se seguìto, circonda Gerusalemme come un cerchio.

Leggiamo poi al verso 11 “Non vi sarà più sterminio”, che, per essere compreso, più propriamente andrebbe letto da Diodati che scrive “non vi sarà più distruzione a mo’ d’interdetto”: il termine allude a qualcosa che, per la sua lontananza da Dio e la sua stessa natura a lui contraria, era votato allo sterminio. Rende l’idea Deuteronomio 7.25,26: “Darai alle fiamme le sculture dei loro dèi. Non bramerai e non prenderai per te l’argento e l’oro che le ricopre, altrimenti ne resteresti come preso il trappola, perché sono un abominio per il Signore, tuo Dio. Non introdurrai un abominio in casa tua, perché sarai, come esso, votato allo sterminio. Lo detesterai e lo avrai in abominio, perché è votato allo sterminio”.

Quello che vuol dire il testo di Zaccaria, è che non vi sarà più nessuno che andrà a turbare la quiete e la gioia perfetta del rapporto con Dio: “Gerusalemme se me starà tranquilla e sicura” come non lo sarà mai stata.

 

Credo sia giusto fermarsi qui, per quanto il panorama che è stato fornito in questi quattro capitoli non sia certo esaustivo. Ciò che mi premeva era dare uno sguardo alle parole di Gesù sul fatto che Israele non lo avrebbe visto fino a quando non avrebbe detto “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Sappiamo anche che la Gerusalemme di cui Ezechiele parla è quella Nuova, poiché aspettiamo “la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno. Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2 Pietro 3.12,13), e Isaia scrive “Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché credo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio” (65.17).

Secondo l’autore della lettera agli Ebrei, è questa la città che Abrahamo attendeva, “la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso” (11.10), quella in cui verrà asciugata ogni lacrima a tutti coloro che avranno creduto (Apocalisse 21.4). Amen.

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14.07 – IL RITORNO DI ISRAELE III/IV (Zaccaria 12)

14.07 – Il ritorno di Israele III/IV (Zaccaria 14)

 

 

Prima di affrontare parte del capitolo 14, va ricordato che la narrazione per quadri, o visioni, dà indicazioni di ciò che avverrà nel futuro in modo tale da essere riconosciuto dai diretti interessati alla luce della Scrittura. A chi legge quanto scritto da Zaccaria senza vivere quel tempo specifico, verrà data quindi un’informativa generica nell’attesa che venga rivelata, concretata e identificata quando gli eventi promessi si verificheranno realmente. Credo che, trattandosi di episodi che riguardano la Chiesa che vive dopo il rapimento, vadano affrontati senza la pretesa di porli in un’esatta successione temporale. Certo, il capitolo 14 si raccorda e amplia di molto non solo ciò che è stato scritto nel 12, ma anche rende più chiare le parole di Gesù quando disse “Non mi vedrete finché diciate: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore»”.

 

1Ecco, viene un giorno per il Signore, allora le tue spoglie saranno spartite in mezzo a te. 2Il Signore radunerà tutte le nazioni contro Gerusalemme per la battaglia, la città sarà presa, le case saccheggiate, le donne violentate, metà della città partirà per l’esilio, ma il resto del popolo non sarà strappato dalla città.

 

Vediamo che ancora una volta il termine “giorno” è quanto mai differente dal nostro. Se come credo si tratta dello stesso del capitolo 12, potremmo ipotizzare che vi sia contraddizione fra l’intervento di Dio sui nemici di Israele e Gerusalemme assalita e presa dalle nazioni, ma non è così perché questi versi anticipano gli altri del 12. È importante sottolineare che si tratta di una situazione temporanea, perché seguirà presto l’intervento di Dio visto in una nuova opera del Figlio:

 

3Il Signore uscirà e combatterà contro quelle nazioni, come quando combatté nel giorno dello scontro 4In quel giorno i suoi piedi si poseranno sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente, e il monte degli ulivi si fenderà in due, da oriente a occidente, formando una valle molto profonda, una metà del monte si ritirerà verso settentrione e l’altra verso mezzogiorno.

 

Il terzo verso contiene dei riferimenti molto interessanti perché quando viene detto “Il Signore uscirà” si intende sempre annunciare un Suo intervento in giudizio su qualcuno (quindi sconfitta ed eliminazione), a protezione di altri. E qui possiamo andare a 2 Tessalonicesi 2.3-12 quando l’apostolo Paolo parla degli ultimi tempi e dà una cronologia impossibile da fraintendersi: “Nessuno vi inganni in alcun modo! – perché i falsi profeti sono ovunque – Prima infatti verrà l’apostasia – cioè l’abbandono della fede come scelta responsabile e l’abbraccio di un credo diverso che vedrà l’uomo al posto di Dio – e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario – quindi l’anticristo, Satana in forma umana – colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio – cioè si mette al di sopra di chiunque ha posizioni di potere molto forti come Capi di Stato o del mondo finanziario o anche solo di forte influenza sugli altri, e creerà una religione basata sul sociale e l’apparente libertà individuale, Costui diventerà la suprema autorità religiosa all’interno di una chiesa che sarà solo nominale e dalla quale verrà riverito –. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo – la volontà di Dio –. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene – qualcuno che per un certo tempo gli impedirà di operare pienamente per la rovina dell’umanità apostata –. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta”. Da notare Apocalisse 17.14, “Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re; quelli che stanno con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli”.

 

Il “giorno dello scontro”, o “della battaglia” si riferisce a quella di Madian, sotto Gedeone, che non vide la vittoria di un esercito contro un altro, ma fu molto simile a ciò che à destinato ad accadere. Leggiamo infatti: “…il Signore fece volgere la spada di ciascuno contro il compagno, per tutto l’accampamento” dell’esercito dei Madianiti che avrebbero dovuto combattere contro gli Israeliti. Al riguardo, teniamo presente le importanti parole di Zaccaria 14.12 che si connettono anche a quelle del capitolo 12 (“Colpirò tutti i cavalli di terrore e i loro cavalieri di pazzia”): “Questa sarà la piaga con cui il Signore colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme: Imputridiranno le loro carni, mentre saranno ancora in piedi; i loro occhi marciranno nelle orbite e la lingua marcirà loro in bocca. In quel giorno vi sarà, per opera del Signore, un grande tumulto fra loro: uno afferrerà la mano dell’altro e alzerà la mano sopra la mano del suo amico” (14.12,13).

Il verso 4 ha connessione col ritorno di Gesù, che verrà visto da tutti realizzando le parole “riguarderanno a me, colui che hanno trafitto” e relativo cordoglio di cui abbiamo già parlato mentre la sua seconda parte, partendo dalla descrizione essenziale dell’evento, riporta chiaramente una manifestazione che darà origine, come ha scritto qualcuno, “a mutamenti climatici, cosmici e astronomici”. Anche qui, credo siano ipotesi su cui lavorare, ma a cui difficilmente si potrà giungere ad una interpretazione univoca. Isaia 30.26 riporta “La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni, quando il Signore curerà la piaga del suo popolo e guarirà le lividure prodotte dalle percosse”.

Quello che credo sia importante è il fatto che “il Signore poserà i suoi piedi sopra il monte degli ulivi”, cioè arriverà e si fermerà per operare, quindi abbiamo la personalizzazione della stabilità e dell’attuazione del Suo piano. Farà quello che ha promesso, quindi anticipato, annunciato agli uomini perché potessero/possano salvarsi.

E anche qui possiamo connetterci ad Apocalisse 19.11-21: “Poi vidi il cielo aperto ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, sul suo capo vi erano molti diademi e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni; ed egli le governerà con una verga di ferro e pigerà il tino del vino dell’ira ardente del Dio onnipotente. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei re e Signore dei signori. Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole. Egli gridò a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: «Venite! Radunatevi per il gran banchetto di Dio; per mangiare carne di re, di capitani, di prodi, di cavalli e di cavalieri, di uomini d’ogni sorta, liberi e schiavi, piccoli e grandi». E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. Il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che era sul cavallo e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni”.

 

Ora, sul testo su cui stiamo riflettendo, non può sfuggire il particolare del monte degli Ulivi: perché proprio lui? Ricordiamo che fu un luogo caro a Gesù: fu lì che parlò ai discepoli degli avvenimenti che si sarebbero realizzati in un futuro tanto prossimo quanto remoto (Matteo 24.4 e segg.). Dopo l’ultima cena, fu là che si diressero (Matteo 26.30); là si trovava il Getsemani (v.36). In quel luogo avvenne l’episodio in cui sudò sangue, fu arrestato, ma soprattutto, particolare che non sempre viene tenuto a mente, dal monte degli Ulivi salì al cielo; ricordiamo che, una volta asceso, “Essi – i discepoli – stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo. Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato” (Atti 1.10-12).

Da dove quindi il Figlio partì per i territori del Padre, tornerà per dare corso al giudizio finale e a tutti quegli eventi che lo precederanno.

 

5Allora voi fuggirete attraverso la valle fra i monti, perché la nuova valle fra i monti giungerà fino ad Asal; voi fuggirete come quando fuggiste durante il terremoto, al tempo di Ozia, re di Giuda. Verrà allora il Signore mio Dio, e con lui tutti i suoi santi.

 

Punto particolarmente arduo da risolvere è il “terremoto al tempo di Ozia, re di Giuda”. Unica traccia, a parte quella del nostro passo, è la citazione di Amos 1.1 che scrive “Parole di Amos, che era allevatore di pecore, di Tekòa, il quale ebbe visioni riguardo a Israele, al tempo di Ozia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele, due anni prima del terremoto”.

La frase “Verrà allora il Signore mio Dio, con tutti i suoi santi”, è illuminante in quanto allude all’imminenza, questa volta anche temporale, del giudizio sul mondo al quale parteciperanno i credenti di ogni popolo e lingua, oltre a comprendere quanto letto in Apocalisse 19. Una traduzione più preferibile riporta “…e tutti i santi saranno con te”, a sottolineare la contemplazione del profeta e la distanza accorciata stante il senso di appartenenza molto più marcato di quel “con te” rispetto a “con lui”.

Il Signore Dio è qui descritto nell’atto dell’arrivare nel luogo da tanto promesso ed è anche segno dell’esaudimento di quella preghiera dei “santi” visti e ascoltati dall’apostolo Giovanni in Apocalisse 6.9-11: “Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?». Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro”. Ecco, il ritorno del Figlio “con tutti i suoi santi” sarà anche l’esaudimento di questa preghiera.

Così scrive Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi: “È proprio della giustizia di Dio ricambiare con afflizioni coloro che vi affliggono e a voi, che siete afflitti – per le persecuzioni – dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Essi saranno castigati con una rovina eterna, lontano dal volto del Signore e dalla sua gloriosa potenza. In quel giorno – appunto quello del Signore – egli verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile da tutti quelli che avranno creduto” (1.5-10).

Al prossimo studio il finire questa panoramica su una parte degli avvenimenti destinati a verificarsi col ritorno del Figlio di Dio in giudizio.

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14.06 – IL RITORNO DI ISRAELE II/IV(Zaccaria 12)

14.06 – Il ritorno di Israele II/III (Zaccaria 12)

I versi che seguono solo la conseguenza del constatare, da parte dei “capi di Giuda” l’intervento di Dio del verso 4 con cui abbiamo concluso la precedente riflessione.

 

5Allora i Capi di Giuda penseranno: “La forza dei cittadini di Gerusalemme sta nel Signore degli eserciti, loro Dio”. 6In quel giorno farò dei Capi di Giuda come un braciere acceso in mezzo a una catasta di legna e come una torcia ardente tra i covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli vicini. Solo Gerusalemme resterà al suo posto.

 

Il fatto che venga immediatamente attribuito, da parte dei “Capi di Giuda” al “Signore degli eserciti” il successo rappresentato dalla inutilizzabilità dei sistemi da guerra ci fa capire tutto l’entusiasmo che sapranno infondere al popolo che, umiliato dall’aver riconosciuto nel Messia il Falso Profeta che formerà un tutt’uno con la Bestia, ritroverà vigore a tal punto da sconfiggere “tutti i popoli vicini”. Certo, mi sto esprimendo in una sorta di modo veterotestamentario, ma è importante considerare che quanto descritto non ha necessariamente un valore cronologico essendo il “Giorno del Signore” uno o più momenti, uno o più periodi e non lo scorrere delle 24 ore come quello degli uomini.

 

7Il Signore salverà in primo luogo le tende di Giuda perché la gloria della casa di Davide e la gloria degli abitanti di Gerusalemme non cresca più di quella di Giuda. 8In quel giorno il Signore farà da scudo agli abitanti di Gerusalemme e chi tra loro vacilla diventerà come Davide e la casa di Davide come Dio, come l’angelo del Signore davanti a loro.

 

Il verso 7 manifesta la preferenza di Dio per la tribù di Giuda, nome che significa “Lode”, ultimo figlio di Giacobbe. Da ricordare, anche se sono molto conosciute, le parole della sua benedizione: “Non sarà rimosso lo scettro da Giuda né il bastone di comando dai suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene – il Cristo – e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Genesi 49.10).

In questo passo vediamo che il termine “obbedienza” è usato tanto in senso attivo quanto passivo: nel primo caso l’obbedienza è tale perché si viene a realizzare attraverso la conversione e adorazione, nel secondo abbiamo invece lo sperimentare personale del fatto che, per quanto la volontà dei popoli sia diversa da quella del Cristo, “Colui al quale appartiene lo scettro” la annullerà. E qui vediamo la loro sconfitta, come abbiamo già letto e leggeremo.

Giuda rappresenta l’elezione che non può essere annullata o sminuita, ridotta da alcuno, uomo, Stato o esercito che sia e infatti abbiamo letto che verranno salvate “in primo luogo le tende di Giuda”, “tende” come figura della dimora e del cammino, perché altri non si inorgogliscano e vengano stabilite le giuste priorità.

Quanto alla “casa di Davide” dobbiamo chiederci il perché, dal momento in cui Davide apparteneva a quella tribù. Qui va visto come re, quindi se le “tende di Giuda” hanno significato omnicomprensivo di quella tribù, la “casa di Davide” e “gli abitanti di Gerusalemme” hanno relazione con la “gloria”, quindi l’onore e la considerazione dati a tutti, da chi riveste posizioni di comando agli umili.

Il verso ottavo è una descrizione che ha un richiamo storico: “chi tra loro vacilla” nel senso di cadere preda dello sconforto e del timore, come vedremo fra breve, “diventerà come Davide” quanto a forza e a capacità di risoluzione vittoriosa. Ecco perché la “casa di Davide diventerà come Dio, come l’angelo del Signore davanti a loro”, altro riferimento alla potenza data dalla presenza visibile del Signore, tangibile sia per gli eventi vittoriosi sugli eserciti, sia perché il Cristo stesso sarà visibile, come leggiamo al verso 10.

 

9In quel giorno mi impegnerò a distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. 10Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, a colui che hanno trafitto. Ne faranno lutto come si fa per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.

 

Credo che il verso nono non abbia bisogno di commenti salvo che con la locuzione “in quel giorno” non si intende un periodo di 24 ore ma, come per la Creazione, un tempo indefinito che ha comunque un inizio e una fine come l’intercorrere fra un’alba e un tramonto. Ricordiamo, a proposito di “giorno”, Giosuè, che pregò Iddio e “disse alla presenza di Israele: «Férmati, sole, su Gabaon, luna, sulla valle di Àialon», Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici” (Giosuè 10.12-13).

Il verso 10, invece, ha connessione con le parole di Gesù che hanno originato questa serie di interventi: lo “Spirito di Grazia e Consolazione” verrà “riversato” su tutto Israele che potrà così “guardare a me, a colui che hanno trafitto” cioè crocifisso (Matteo 27.35) senza dimenticare Giovanni 19.33,34 “Venuto però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito uscì sangue ed acqua”.

Abbiamo letto “Ne faranno lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange un primogenito”, modo per descrivere il dolore per quanto fatto a Gesù da parte dei loro padri e, per loro, per averlo costantemente respinto. Interessanti i quadri di Geremia 3.21 e Atti 2.37: “Sui colli si ode una voce, pianto e gemiti degli israeliti, perché hanno reso tortuose le loro vie, hanno dimenticato il Signore, loro Dio”, e la reazione, sempre degli israeliti, alla predicazione dell’apostolo Pietro: “All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero: «Che dobbiamo fare, fratelli?»”

Infine, il “lutto per un figlio unico” e il pianto per “il primogenito” sono indicatori del dolore più grande per un israelita perché, oltre alla perdita del figlio, si vede interrotta la discendenza, cosa per i tempi antichi terribile.

Attenzione anche al fatto che Giovanni riporta le parole di Zaccaria sul volgere “lo sguardo a colui che hanno trafitto” anche alla crocifissione, accanto al ricordare “Non gli sarà spezzato alcun osso”. Anche Apocalisse pone il principio del ritorno del Signore come primo monito in 1.7: “Ecco, egli viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen!”.

È comunque importante ricordare che tutto quanto stiamo esaminando avviene per quadri; tutto l’annuncio profetico segue una successione di idee, di avvenimenti non cronologici, ma che si verificano comunque tutti in quel “giorno”.

 

11In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo. 12Farà lutto tutto il paese, famiglia per famiglia”.

 

Il verso col quale si conclude la nostra indagine su Zaccaria 12 può essere raccordato alle parole dell’apostolo Paolo in 2 Corinti 3.14,15 quando, parlando degli ebrei e dei cristiani, ricorda il velo che Mosè mise sul suo volto perché risplendeva e dice: “…ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento perché viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto”. Capiamo? Il “velo” rimane non rimosso, cioè nonostante la scienza del Talmud e dell’immensa tradizione rabbinica, l’Antico Testamento resta senza una corretta interpretazione perché non risolve sul riconoscimento di Gesù Cristo.

Il verso 11 dà quindi un rimando, per la descrizione del dolore degli ebrei dei tempi futuri, all’uccisione di Giosia, diciassettesimo re di Giuda, che perì appunto nella campagna di Meghiddo: “Gli arcieri tirarono sul re Giosia. Il re diede quest’ordine ai suoi servi: «Portatemi via, perché sono ferito gravemente». I suoi servi lo tolsero dal suo carro, lo misero in un altro suo carro e lo riportarono a Gerusalemme, ove morì. Fu sepolto nei sepolcri dei suoi padri. Tutti quelli di Giuda e di Gerusalemme fecero lutto per Giosia. Geremia compose un lamento su Giosia; tutti i cantanti e le cantanti lo ripetono ancora oggi nei lamenti su Giosia: è diventata una tradizione in Israele. Esso è inserito fra i lamenti”. (2 Cronache 35.23-26).

Credo, per la complessità degli argomenti trattati, che sia giusto fermarci qui, riservando al prossimo studio la conclusione su questo “giorno del Signore” sul quale non può essere data definizione alcuna perché tutto è “giorno del Signore”: lo è stato il “Sia la luce”, la creazione di Adamo e via attraverso i millenni. Il “Giorno del Signore” non è ancora concluso e, sotto questi aspetti, terminerà con la terra, che coi cieli “passeranno stridendo” (2 Pietro 3.19).

Questo breve excursus, che verrà concluso con alcuni versi del capitolo 14 sempre di Zaccaria, ha voluto e vuole dare solo delle linee che ciascuno sarà poi libero di sviluppare o meno in base all’interesse che rivestiranno per lui le parole di questa profezia. Amen.

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