14.06 – Il ritorno di Israele II/III (Zaccaria 12)
I versi che seguono solo la conseguenza del constatare, da parte dei “capi di Giuda” l’intervento di Dio del verso 4 con cui abbiamo concluso la precedente riflessione.
5Allora i Capi di Giuda penseranno: “La forza dei cittadini di Gerusalemme sta nel Signore degli eserciti, loro Dio”. 6In quel giorno farò dei Capi di Giuda come un braciere acceso in mezzo a una catasta di legna e come una torcia ardente tra i covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli vicini. Solo Gerusalemme resterà al suo posto.
Il fatto che venga immediatamente attribuito, da parte dei “Capi di Giuda” al “Signore degli eserciti” il successo rappresentato dalla inutilizzabilità dei sistemi da guerra ci fa capire tutto l’entusiasmo che sapranno infondere al popolo che, umiliato dall’aver riconosciuto nel Messia il Falso Profeta che formerà un tutt’uno con la Bestia, ritroverà vigore a tal punto da sconfiggere “tutti i popoli vicini”. Certo, mi sto esprimendo in una sorta di modo veterotestamentario, ma è importante considerare che quanto descritto non ha necessariamente un valore cronologico essendo il “Giorno del Signore” uno o più momenti, uno o più periodi e non lo scorrere delle 24 ore come quello degli uomini.
7Il Signore salverà in primo luogo le tende di Giuda perché la gloria della casa di Davide e la gloria degli abitanti di Gerusalemme non cresca più di quella di Giuda. 8In quel giorno il Signore farà da scudo agli abitanti di Gerusalemme e chi tra loro vacilla diventerà come Davide e la casa di Davide come Dio, come l’angelo del Signore davanti a loro.
Il verso 7 manifesta la preferenza di Dio per la tribù di Giuda, nome che significa “Lode”, ultimo figlio di Giacobbe. Da ricordare, anche se sono molto conosciute, le parole della sua benedizione: “Non sarà rimosso lo scettro da Giuda né il bastone di comando dai suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene – il Cristo – e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Genesi 49.10).
In questo passo vediamo che il termine “obbedienza” è usato tanto in senso attivo quanto passivo: nel primo caso l’obbedienza è tale perché si viene a realizzare attraverso la conversione e adorazione, nel secondo abbiamo invece lo sperimentare personale del fatto che, per quanto la volontà dei popoli sia diversa da quella del Cristo, “Colui al quale appartiene lo scettro” la annullerà. E qui vediamo la loro sconfitta, come abbiamo già letto e leggeremo.
Giuda rappresenta l’elezione che non può essere annullata o sminuita, ridotta da alcuno, uomo, Stato o esercito che sia e infatti abbiamo letto che verranno salvate “in primo luogo le tende di Giuda”, “tende” come figura della dimora e del cammino, perché altri non si inorgogliscano e vengano stabilite le giuste priorità.
Quanto alla “casa di Davide” dobbiamo chiederci il perché, dal momento in cui Davide apparteneva a quella tribù. Qui va visto come re, quindi se le “tende di Giuda” hanno significato omnicomprensivo di quella tribù, la “casa di Davide” e “gli abitanti di Gerusalemme” hanno relazione con la “gloria”, quindi l’onore e la considerazione dati a tutti, da chi riveste posizioni di comando agli umili.
Il verso ottavo è una descrizione che ha un richiamo storico: “chi tra loro vacilla” nel senso di cadere preda dello sconforto e del timore, come vedremo fra breve, “diventerà come Davide” quanto a forza e a capacità di risoluzione vittoriosa. Ecco perché la “casa di Davide diventerà come Dio, come l’angelo del Signore davanti a loro”, altro riferimento alla potenza data dalla presenza visibile del Signore, tangibile sia per gli eventi vittoriosi sugli eserciti, sia perché il Cristo stesso sarà visibile, come leggiamo al verso 10.
9In quel giorno mi impegnerò a distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. 10Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, a colui che hanno trafitto. Ne faranno lutto come si fa per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
Credo che il verso nono non abbia bisogno di commenti salvo che con la locuzione “in quel giorno” non si intende un periodo di 24 ore ma, come per la Creazione, un tempo indefinito che ha comunque un inizio e una fine come l’intercorrere fra un’alba e un tramonto. Ricordiamo, a proposito di “giorno”, Giosuè, che pregò Iddio e “disse alla presenza di Israele: «Férmati, sole, su Gabaon, luna, sulla valle di Àialon», Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici” (Giosuè 10.12-13).
Il verso 10, invece, ha connessione con le parole di Gesù che hanno originato questa serie di interventi: lo “Spirito di Grazia e Consolazione” verrà “riversato” su tutto Israele che potrà così “guardare a me, a colui che hanno trafitto” cioè crocifisso (Matteo 27.35) senza dimenticare Giovanni 19.33,34 “Venuto però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito uscì sangue ed acqua”.
Abbiamo letto “Ne faranno lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange un primogenito”, modo per descrivere il dolore per quanto fatto a Gesù da parte dei loro padri e, per loro, per averlo costantemente respinto. Interessanti i quadri di Geremia 3.21 e Atti 2.37: “Sui colli si ode una voce, pianto e gemiti degli israeliti, perché hanno reso tortuose le loro vie, hanno dimenticato il Signore, loro Dio”, e la reazione, sempre degli israeliti, alla predicazione dell’apostolo Pietro: “All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero: «Che dobbiamo fare, fratelli?»”
Infine, il “lutto per un figlio unico” e il pianto per “il primogenito” sono indicatori del dolore più grande per un israelita perché, oltre alla perdita del figlio, si vede interrotta la discendenza, cosa per i tempi antichi terribile.
Attenzione anche al fatto che Giovanni riporta le parole di Zaccaria sul volgere “lo sguardo a colui che hanno trafitto” anche alla crocifissione, accanto al ricordare “Non gli sarà spezzato alcun osso”. Anche Apocalisse pone il principio del ritorno del Signore come primo monito in 1.7: “Ecco, egli viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen!”.
È comunque importante ricordare che tutto quanto stiamo esaminando avviene per quadri; tutto l’annuncio profetico segue una successione di idee, di avvenimenti non cronologici, ma che si verificano comunque tutti in quel “giorno”.
11In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo. 12Farà lutto tutto il paese, famiglia per famiglia”.
Il verso col quale si conclude la nostra indagine su Zaccaria 12 può essere raccordato alle parole dell’apostolo Paolo in 2 Corinti 3.14,15 quando, parlando degli ebrei e dei cristiani, ricorda il velo che Mosè mise sul suo volto perché risplendeva e dice: “…ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento perché viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto”. Capiamo? Il “velo” rimane non rimosso, cioè nonostante la scienza del Talmud e dell’immensa tradizione rabbinica, l’Antico Testamento resta senza una corretta interpretazione perché non risolve sul riconoscimento di Gesù Cristo.
Il verso 11 dà quindi un rimando, per la descrizione del dolore degli ebrei dei tempi futuri, all’uccisione di Giosia, diciassettesimo re di Giuda, che perì appunto nella campagna di Meghiddo: “Gli arcieri tirarono sul re Giosia. Il re diede quest’ordine ai suoi servi: «Portatemi via, perché sono ferito gravemente». I suoi servi lo tolsero dal suo carro, lo misero in un altro suo carro e lo riportarono a Gerusalemme, ove morì. Fu sepolto nei sepolcri dei suoi padri. Tutti quelli di Giuda e di Gerusalemme fecero lutto per Giosia. Geremia compose un lamento su Giosia; tutti i cantanti e le cantanti lo ripetono ancora oggi nei lamenti su Giosia: è diventata una tradizione in Israele. Esso è inserito fra i lamenti”. (2 Cronache 35.23-26).
Credo, per la complessità degli argomenti trattati, che sia giusto fermarci qui, riservando al prossimo studio la conclusione su questo “giorno del Signore” sul quale non può essere data definizione alcuna perché tutto è “giorno del Signore”: lo è stato il “Sia la luce”, la creazione di Adamo e via attraverso i millenni. Il “Giorno del Signore” non è ancora concluso e, sotto questi aspetti, terminerà con la terra, che coi cieli “passeranno stridendo” (2 Pietro 3.19).
Questo breve excursus, che verrà concluso con alcuni versi del capitolo 14 sempre di Zaccaria, ha voluto e vuole dare solo delle linee che ciascuno sarà poi libero di sviluppare o meno in base all’interesse che rivestiranno per lui le parole di questa profezia. Amen.
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