14.08 – IL RITORNO DI ISRAELE IV/IV (Zaccaria 14)

14.08 – Il ritorno di Israele IV/IV (Zaccaria 14)

 

 

Giunti al termine di questo nostro breve percorso profetico che ci ha proiettato in un futuro visto sotto l’ottica del ritorno di Israele a Cristo, è doveroso ricordare che si tratta di avvenimenti che sono stati riportati sia per consolazione di quel popolo, ma soprattutto per essere da lui riconosciuti: il “Giorno del Signore” avrà un inizio e una fine e si snoderà attraverso modalità riconoscibili proprio dal fatto che quanto avverrà sarà già stato descritto dai profeti e individuato dagli interessati. Certo che, in quanto tempo della fine, riguarderà anche la Chiesa.

Secondo punto, va evitato, a meno che lo Spirito di Dio non dia indicazioni assolute e precise a chi legge questo testo profetico, di trattare il materiale disponendolo in ordine cronologico, per quanto si possano fare alcune ipotesi, perché non sono stati questi gli intenti del profeta cui è stata affidata la responsabilità di portare il messaggio. Se così non fosse, ci troveremmo in assoluta difficoltà nell’esaminare il capitolo 13, sempre di Zaccaria, che a un certo punto tratta dell’uccisione del Messia: “Insorgi, spada, contro il mio pastore, contro colui che è mio compagno. Oracolo del Signore degli eserciti. Percuoti il pastore e sia disperso il gregge” (v.7) riportato come parametro di adempimento da Gesù in Marco 14.26-28: “E, dopo avere cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse». Ma, dopo la mia resurrezione, vi precederò in Galilea”.

 

6In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo: 7sarà un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce.

 

Va sottolineato che i testi antichi di questi due versi sono fortemente danneggiati e hanno dato origine a traduzioni diverse e perfino contraddittorie. Abbiamo però dei riferimenti che intervengono a sanare il problema, come Isaia 60.19,20: “Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna – ecco allora che i versi letti in cui la luminosità di sole e luna erano stati moltiplicati hanno valore simbolico –. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà – la luna nuova –, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto”.

Per il Nuovo Patto, abbiamo Apocalisse 21.23, che di Gerusalemme dice “La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”, e 22.5 che stabilisce un punto assolutamente conclusivo e segna la fine della terra, del mondo e di tutto ciò che conosciamo a vantaggio di un aggiornamento nuovo: “Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il signore Dio li illuminerà: e regneranno nei secoli dei secoli”.

Assolutamente consolatorie sono le parole del verso successivo, che contiene implicitamente un invito alla preghiera responsabile per comprendere il libro dell’Apocalisse: “Mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere fra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro”. Mi sono chiesto cosa si debba fare per giungere ad essere in grado di “custodire” le parole del libro: credo che questo, a meno che una diversa conduzione dello Spirito Santo che illumina e custodisce i credenti, sia un punto di arrivo e non si possa compilare un formulario o una guida per arrivarvi. “Custodire” è comprendere e qui è racchiuso tutto il vero significato di possedere materialmente una Bibbia, un libro apparentemente come gli altri perché composto di carta, una copertina e dei fogli. Eppure, come ha scritto felicemente un giorno Mons. Gianfranco Ravasi, “Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla; non basta leggere la Bibbia, bisogna anche comprenderla e meditarla; non basta comprendere e meditare la Bibbia, bisogna anche viverla”.

Ecco, credo che le due ultime fasi siano le più difficili perché, per raggiungerle, occorre una rinuncia a quella parte di noi stessi che è il sentimento: comprendere e meditare la Bibbia significa aprire la mente verso realtà che ci riguardano profondamente e vanno poi connesse alla nostra posizione. Tanto più saremo obiettivi e critici verso noi stessi, quindi estrarremo la trave dal nostro occhio, quanto più proficuo sarà il risultato. E vivere la Bibbia è mettere in pratica ciò che abbiamo compreso perché, se così non avviene, restiamo fermi, impossibilitati a qualunque forma di sviluppo e crescita personale. Conseguita una forma di crescita personale, poi, saremo in grado di comunicare ed aiutare gli altri nel vero senso spirituale del termine.

Abbandonato questo breve intermezzo, proseguiamo la lettura del testo:

 

8In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il mare occidentale: ve ne saranno sempre, estate e inverno. 9Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome.

 

C’è un forte senso di conclusione in queste parole: tutto il tormento, la sofferenza, l’amore e l’odio degli uomini saranno archiviati per sempre, non si ascolteranno più le loro parole di rivalsa, i loro “io” e i loro “voglio”, o “mi devi”, o “fa’ questo”, ma “acque vive” che “sgorgheranno”, verbo che suggerisce un suono tranquillo oltre alla naturale spontaneità dell’azione. Gerusalemme sarà davvero una “città di pace” perché non esisterà più la categoria di persone che ha per millenni infestato la terra; infatti leggiamo ancora in Apocalisse 21.8 “…ma per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarò nello stagno di fuoco e di zolfo”. E in 22.15 viene ribadito “Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna”.

Mi ha colpito questo “amare” e “praticare” perché va alla radice del comportamento di molti, che simulano ciò che non sono per ingannare e frodare il prossimo. Certo lo fanno per tornaconto personale, ma in realtà agiscono così perché non conoscono altro modo di esprimersi nel senso che lo hanno eletto a metodo di vita. Mentire occasionalmente può capitare, ma non come frutto di calcolo, piano a danno di qualcuno; quando ciò avviene, si pratica la menzogna e se questo accade è perché la si ama, si diventa un tutt’uno con lei, in poche parole non si fa altro che difendere se stessi, quella parte dell’essere umano che tante volte Gesù ha esortato a rinunciare perché fonte di male.

Le “acque vive” che sgorgano da Gerusalemme sappiamo bene che sono quelle dello Spirito, questa volta a libera disposizione e non più cercate con fatica, cercate “come l’argento” e investigate “come per i tesori” come afferma il libro dei Proverbi.

Da notare la direzione delle acque, “parte verso il mare orientale”, cioè il Mar Morto, anticamente detto “di Sodoma”, “parte verso il mare occidentale”, cioè il Mediterraneo, due direzioni che simboleggiano l’universalità della disponibilità illimitata nel tempo (“ve ne saranno sempre, estate – quando i torrenti si seccano – e inverno”).

Interessante in proposito la visione di Ezechiele al capitolo 47 quando il profeta vede l’acqua che, da sotto la soglia del Tempio, esce vero Oriente e Occidente, ma l’idea della perfezione del piano di Dio la dà ancora una volta Giovanni in Apocalisse 11.1,2: “E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”.

La fine dell’immondizia e dell’impurità è anche stabilita al verso 9 del nostro testo, perché se “Il Signore sarà re di tutta la terra, in quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome”, questo significa che non esisteranno più tutti quei falsi dèi che venivano adorati sulla terra e distoglievano le menti degli esseri umani indipendentemente dalla loro età anagrafica. E del resto, senza impuri, cani, stregoni e tutte le altre categorie escluse dalla città e regione di Dio, la presenza degli idoli non avrà alcun senso. Non dimentichiamo che non esisteranno più né la Bestia (quindi qualunque idea di impero), né il falso profeta (quindi nessuna seduzione o rivendicazione di autonomia). Sono morti con loro e con essi finirà anche quel senso di insopportazione che purtroppo coglie le persone spirituali che si trovano a condividere spazi e tempo con chi fa dell’impurità una norma di vita. Esattamente come avveniva per Lot nella terra di Sodoma.

Da citare senz’altro il cantico del ventiquattro anziani in Apocalisse 11.17-18: “Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai preso in mano la tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno. Le genti fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, i profeti, e ai santi, e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra”.

 

10Tutto il paese si trasformerà in pianura, da Gheba fino a Rimmon, a meridione di Gerusalemme, che si eleverà e sarà abitata nel luogo dov’è, dalla porta di Beniamino fino al posto della prima porta, cioè fino alla porta dell’Angolo, e dalla torre di Cananèl fino ai torchi del re. 11Ivi abiteranno, non vi sarà più sterminio e Gerusalemme se ne starà tranquilla e sicura.

 

La trasformazione di tutto il Paese in pianura è indicativa del fatto che non sarà più necessario salire sui monti per elevarsi e cercare un luogo per pregare – secondo l’uso che conosciamo dalla scrittura –. Gheba e Rimmon erano due luoghi ai confini di Giuda, uno a Nord e l’altro a Sud, mentre per quanto riguarda la città, i luoghi menzionati, dalla “porta di Beniamino (…) fino ai torchi del re” offrono un itinerario che, se seguìto, circonda Gerusalemme come un cerchio.

Leggiamo poi al verso 11 “Non vi sarà più sterminio”, che, per essere compreso, più propriamente andrebbe letto da Diodati che scrive “non vi sarà più distruzione a mo’ d’interdetto”: il termine allude a qualcosa che, per la sua lontananza da Dio e la sua stessa natura a lui contraria, era votato allo sterminio. Rende l’idea Deuteronomio 7.25,26: “Darai alle fiamme le sculture dei loro dèi. Non bramerai e non prenderai per te l’argento e l’oro che le ricopre, altrimenti ne resteresti come preso il trappola, perché sono un abominio per il Signore, tuo Dio. Non introdurrai un abominio in casa tua, perché sarai, come esso, votato allo sterminio. Lo detesterai e lo avrai in abominio, perché è votato allo sterminio”.

Quello che vuol dire il testo di Zaccaria, è che non vi sarà più nessuno che andrà a turbare la quiete e la gioia perfetta del rapporto con Dio: “Gerusalemme se me starà tranquilla e sicura” come non lo sarà mai stata.

 

Credo sia giusto fermarsi qui, per quanto il panorama che è stato fornito in questi quattro capitoli non sia certo esaustivo. Ciò che mi premeva era dare uno sguardo alle parole di Gesù sul fatto che Israele non lo avrebbe visto fino a quando non avrebbe detto “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Sappiamo anche che la Gerusalemme di cui Ezechiele parla è quella Nuova, poiché aspettiamo “la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno. Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2 Pietro 3.12,13), e Isaia scrive “Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché credo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio” (65.17).

Secondo l’autore della lettera agli Ebrei, è questa la città che Abrahamo attendeva, “la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso” (11.10), quella in cui verrà asciugata ogni lacrima a tutti coloro che avranno creduto (Apocalisse 21.4). Amen.

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