11.37 – IL DISCORSO ECCLESIOLOGICO 8: CONCORDIA E PRESENZA (Matteo18.18.20)

11.37 – Il discorso ecclesiologico 8, concordia e presenza (Matteo 18. 18-20)

 

18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.

 

            Riportiamo il verso 18, affrontato nello scorso capitolo, perché strettamente connesso ai due successivi: qui Gesù mostra la Sua Chiesa come un organismo che agisce sotto un’autonomia responsabile, in Sua assenza fisica, fedele ai suoi compiti perché animato dal di Lui timore, termine che, più che alla paura, fa riferimento alla consapevolezza della Persona con la quale si ha a che fare: Gesù non si può ingannare e il fatto che “scruti i nostri pensieri”e dia “la giusta retribuzione”a seconda di come operiamo credo basti. Una Comunità i cui membri hanno cercato e trovato, hanno abbandonato gli elementi del mondo in modo tale che non ne sono più dominati, cui preme una fedeltà reale e non nominale alla Parola di Dio, potrà veramente “legare” e “sciogliere”, ma anche realizzare la promessa del verso successivo, sostenuta dall’Amen di Cristo: “In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”.

Cercando ora di esaminare queste parole possiamo fare la prima sottolineatura, a parte sull’autorevolezza rappresentata dall’ ”amen”, sull’indicazione del luogo, “sulla terra”, qui usata per ricordare tanto la distanza quanto la vicinanza di Dio al Suo popolo nonostante le dimensioni che caratterizzano entrambi, la “terra”e il “cielo”, perché“In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”(Isaia 57.15). E il ponte tra le due identità, uomo e Dio, è lo Spirito Santo. In un precedente capitolo, riguardo ai differenti luoghi in cui entrambe operano, è stato ricordato il verso “Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò siano poche le tue parole”(Ecclesiaste – o Qoèlet – 5.1).

Veniamo ora alla premessa espressa nel verso 19, purtroppo interpretata alla lettera da molti intendendo quel “qualunque cosa”come ciò che è a loro capriccio, riconoscendo a questa espressione un potere quasi magico, ma dimenticandosi che le parole di Gesù, non solo qui, vanno lette in senso spirituale, quello che allora gli Apostoli né i discepoli erano in grado di fare. Non è escluso che loro stessi, ascoltandole, le abbiano interpretate in questo modo, ma furono poi da loro inquadrate correttamente una volta disceso lo Spirito Santo.

Vediamo ora le promesse di Nostro Signore in tal senso, fermo restando che si tratta di un impegno preciso che Lui stesso si assume. Il primo passo è rivolto a tutti gli uomini e donne alla Sua ricerca: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”(Matteo 7.7). Si tratta di un appello a non desistere, a chiedere, cercare e bussare, tutte azioni che denotano uno stato di necessità dimostrato da chi lo compie. Soprattutto una volta trovato e che ci è stato aperto, ecco il chiedere come pratica costante, poiché tutto il verso è caratterizzato da una libertà incondizionata in quanto non viene indicato un limite massimo di volte in cui chiedere o bussare. Dio ha un ufficio, o un “negozio” dove comprare “senza denari e senza prezzo”che non è aperto “dalle – alle”, ma sempre.

Promesse importanti le troviamo in (Matteo) 21.22 “…e tutto ciò che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete”e in Giovanni 14.13, stretto parente del verso che stiamo esaminando: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò”. Anche qui abbiamo “qualunque cosa”, ma anche “nel mio nome”, precisazione che sostiene la responsabilità che ci assumiamo nella preghiera che in molte assemblee cristiane si usa concludere così quasi come una forma rituale, purtroppo spesso dimenticando che “nel nome di Gesù” è compreso ciò che Lui approva ed è, quindi è riferita al cammino sotto la Sua guida. Infatti così scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito”. E qui troviamo delle prime tracce, delle indicazioni viste in quel “se”, che tante volte e non solo qui viene sottovalutato, quando in realtà un “se”nella vita del cristiano c’è sempre ed è quello che fa la differenza in tante circostanze che lo riguardano.

Cominciamo così a mettere a fuoco il significato di quanto promesso da Gesù anche in 5.14,15: “E questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto gli abbiamo chiesto”. Credo che qui sia quel “secondo la sua volontà”a determinare la risposta, che certo può valere anche per le nostre esigenze materiali, perché altrimenti la preghiera del “Padre Nostro”non sarebbe stata insegnata. In Giacomo 5.14-18 leggiamo “Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode. (…) molto potente è la preghiera efficace del giusto”. Prima di pregare, quindi, è necessario un esame, per vedere se possiamo accostarci al Padre considerati come aventi diritto a farlo, secondo la Sua Parola oppure no, e in questo caso porvi rimedio. Giacomo poi passa a descrivere la preghiera del singolo citando un esempio illustre: “Elia era un uomo come noi: pregò intensamente che non piovesse, e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi, pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto”,anche qui riferita ad un fatto di testimonianza e non perché Elia si servisse di quel miracolo per fini personali.

Mi sono chiesto se, negli scritti del Nuovo Patto, fosse possibile trovare una conferma al verso in esame, vale a dire la promessa dell’esaudimento di una preghiera della Comunità concorde, caratteristica che aveva appunto la prima Chiesa come in Atti 1.14: “Tutti questi– a quel tempo gli undici – erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui”. Ebbene, leggiamo 12. 5-12 che riferisce un episodio avvenuto tempo dopo: “Mentre Pietro era in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni, detto Marco, dove molti erano riuniti e pregavano”.

 

Altra domanda che ci possiamo fare è se esista differenza fra la preghiera del singolo e quella comunitaria, e la risposta va inquadrata in modo direttamente proporzionale al progetto esistente, poiché ciascun credente è testimone dell’aiuto multiforme che riceve da Dio individualmente, ma la Chiesa, quindi tutti i suoi membri, hanno dovere di pregare per il suo sviluppo e perché possano testimoniare in modo efficace, più opportuno, per portare delle anime a Cristo. Ecco perché abbiamo letto recentemente che, dopo la preghiera Comunitaria, tremarono i muri del luogo in cui la Chiesa era ospitata.

Può essere di consolazione sapere che la preghiera ha una funzione temporanea, vale a dire fino a quando saremo presenti su questa terra, come dalle parole che Gesù disse ai Suoi: “Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla”(Giovanni 16.22,23). E qui Nostro Signore parla tanto di quando si manifesterà a loro dopo la sua risurrezione, quanto dell’incontro finale dei credenti con Lui.

Veniamo così al verso 20 in cui Gesù espone una verità allora in forma embrionale, “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, che completa un altro passo, quello relativo alla missione data ai discepoli “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Matteo 28.20.

Gesù è allora con il singolo, sempre, ma la Sua presenza si realizza nella Chiesa composta dai “due o tre”in poi. Sappiamo già della differenza con la Sinagoga, che di persone ne richiedeva almeno dieci, lasciando in tal modo sguarniti quei piccoli centri isolati dove gli israeliti non potevano riunirsi se in numero inferiore a quello prescritto, ma senza realizzare un’assemblea. E sappiamo che la Sinagoga non era un centro culturale, ma quello in cui le persone si riunivano per essere istruite dai Maestri nella Legge, nei Profeti e negli altri libri.

Ebbene, la Chiesa è tale anche con due persone, cui spetta la responsabilità di pregare perché il Signore voglia farla crescere, cosa che certamente avverrà se lo spirito di servizio e la concordia animeranno questo primo nucleo che sarà in grado non di far proseliti, ma di vivere, progredire e soccorrere quelle anime alla ricerca di Dio. Ecco allora che anche Marco 11.24, “Tutto quello che chiedete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà”, alla luce dello sviluppo che abbiamo fatto, implica la consapevolezza di cosa si chiede: la risposta del Padre non potrà mancare proprio perché la Chiesa avrà posto le premesse per la realizzazione dell’esaudimento. Sono convinto che questo, e non altro, rientri nel “qualunque cosa”che verrà ottenuto dal Padre. E che il resto, avendo cercato prima il “Regno di Dio”, verrà dato in aggiunta. Amen.

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