13.29 – TU, CHE SEI UOMO, TI FAI DIO (Giovanni 10.31-42)

13.29 – Tu, che sei uomo, ti fai Dio (Giovanni 10.31-42) 

 

31Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. 32Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». 33Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». 34Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? 35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, 36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: «Tu bestemmi», perché ho detto: «Sono Figlio di Dio»? 37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; 38ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». 39Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

 

            Il “Di nuovo” iniziale si raccorda concettualmente a 8.59 quando Gesù, una volta che disse “Prima che Abrahamo fosse, io sono”, subì un tentativo di lapidazione da parte degli stessi oppositori che compaiono in questo episodio, che “Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio”.

Soffermiamoci allora su questa reazione, ancora una volta dovuta alla comprensione parziale del Suo messaggio: se allora i Giudei furono pronti a recepire il senso dell’ ”Io sono”, fanno altrettanto con le parole “Io e il Padre siamo una cosa sola”, ignorando totalmente tutti gli altri elementi che erano stati presentati alla loro attenzione. Infatti leggiamo al verso 32 “Vi ho fatte vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?”; le “opere buone”, greco kalà èrga cioè opere moralmente belle, nobili, eccellenti, non erano solo i Suoi miracoli, ma tutte quelle opere che dimostravano la benignità di Dio e che l’apostolo Pietro, parlando in casa del centurione Cornelio, riassunse con queste parole: “Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficiando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10.37,38). Abbiamo allora nelle parole di Pietro un doppio riferimento: da un lato la guarigione dalle malattie del corpo, dall’altro il risanare “tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo”, quindi dell’Avversario che non poté far nulla nel momento in cui le anime di costoro furono strappate dal suo dominio.

Tra l’altro, se Dio non avesse consacrato “in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazararet”, egli non avrebbe certo potuto fare alcunché, sarebbe cioè stato un singolare filosofo, un predicatore morale come tanti, ma senza lo Spirito Santo non avremmo avuto un solo miracolo; al contrario, dal primo – per quanto ne sappiamo – delle nozze di Cana alla Sua resurrezione e ascensione al cielo, abbiamo tutta una serie di attestazioni a riprova delle Sue frasi relative all’identificazione col Padre, compresa quella che abbiamo letto oggi, “Io e il Padre siamo una cosa sola”.

Prestiamo ora attenzione alla risposta dei Giudei alla domanda di Gesù “per quale di esse – opere buone come visto poco sopra – volete lapidarmi?”: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio” (v.33). Ora è singolare che quei Giudei fossero tutti unanimi nel ritenere Gesù un uomo, ma al tempo stesso il loro stesso sguardo era atrocemente chiuso di fronte alle opere che faceva, impossibili ad una persona comune per cui, definendolo esclusivamente “uomo”, cioè separandolo dal Suo essere Dio, a bestemmiare erano proprio loro.

Altra riflessione può essere fatta sulla bestemmia, reato previsto da Levitico 24.13-16 che i Giudei volevano accollare a Nostro Signore: “Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Conduci quel bestemmiatore fuori dell’accampamento; quanti lo hanno udito posino le mani sul suo capo e tutta la comunità lo lapiderà». Parla agli israeliti dicendo: «Chiunque maledirà il suo Dio, porterà il peso del suo peccato. Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo della terra, se ha bestemmiato il Nome, sarà messo a morte”. Queste parole uscirono dal Signore perché, a seguito di una lite sorta fra un egiziano e un israelita, quest’ultimo “bestemmiò il Nome, imprecando”.

Ora confrontiamo la bestemmia intesa come imprecazione a Dio e un’altra, ben più grave, che è contro lo Spirito Santo, perché proprio Gesù disse in proposito “Qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non verrà perdonata” (Matteo 12.31): la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste nel rifiuto della Verità per essere salvati impedendo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo di agire. Riconoscendo Gesù solo come “uomo” escludendo che potesse essere qualcosa di più nonostante le manifestazioni da Lui prodotte, ecco che quei Giudei mettevano in pratica la “bestemmia” che “non verrà perdonata”.

Riconoscere Gesù come “il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente” implica la realizzazione della Sua promessa in Matteo 10.32: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”; invece si può sostenere che limitarsi ad accettare Gesù come personaggio storico, uomo saggio o semplice profeta conservando quest’opinione fino alla fine, equivale a mettere in atto la bestemmia contro lo Spirito Santo, che poi è il resistere alla Sua opera ignorandola deliberatamente. Marco 3.28 aggiunge in proposito che “chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”.

Confrontando le parole dei Giudei con quelle di Pietro, che riconobbe in Gesù “Il Cristo, il figlio del Dio vivente”, vediamo una definizione perfetta; una lode e benedizione migliore non era possibile ed infatti “Tu sei beato Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli” (Matteo 16.17). In quell’occasione Pietro, dal carattere irruento, energico, pronto agli interventi drastici e risolutori, rinunciò ad ascoltare se stesso e permise al Padre di parlargli, al contrario di quanto avverrà più avanti, quando negherà di conoscere il suo Maestro, rinnegandolo.

 

A questo punto, tornando al nostro episodio, abbiamo la riposta di Nostro Signore al verso  34 che chiama in causa la “vostra Legge”, riferendosi alle Scritture dell’Antico Patto, in particolare Salmo 82.6 quando, parlando ai giudici e magistrati d’Israele, Dio aveva detto “Voi siete dèi, siete tutti figli dell’altissimo, ma certo morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti”. È interessante notare poi che in Esodo 21.6 e 22.8 viene usato, per indicare queste persone, l’Ebraico Elohim e Adonai. Quindi “dèi” in quanto rappresentanti di Dio sulla terra che verranno comunque da Lui vagliati e soggetti a morire “come ogni uomo”.

E qui la realtà che ci si pone innanzi si fa “pesante”: anche coloro che stavano giudicando Gesù reo di bestemmia perché, “essendo uomo”, si faceva “uguale a Dio” erano “dèi” nei senso che ricoprivano una funzione elevata presso il popolo; erano responsabili della sua istruzione, conduzione e del giudicare al posto loro. Capiamo? Avrebbero conosciuto il Giudizio in quanto, come “dèi” andavano contro a Colui che li aveva ordinati in tal senso.

Possiamo ampliare questo concetto anche a tutte le epoche e non solo per quanto riguarda l’àmbito di chi è chiamato a gestire la Parola di Dio in base al dono ricevuto: ricordando Romani 13.1, “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio”, vediamo che è Lui che le ha volute, ma sta poi a chi esercita il potere restare fedele alla Costituzione e alle leggi di uno Stato oppure no. Certo ci troviamo di fronte a un tema che andrebbe sviluppato e che qui mi limito ad accennare unicamente come riferimento.

Al verso 35 abbiamo quindi la domanda al riguardo: la stessa Scrittura chiama “dèi” degli uomini perché hanno ricevuto da Dio l’incarico di amministrare la giustizia (e non solo): se quindi chiama “dèi” uomini comunque peccatori come gli altri, che si dovrebbe dire di Lui, quando al Suo battesimo fu udita la voce “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”? (Matteo 3.17).

Altra ragione di riflessione la individuiamo nella pericope “la Scrittura non può essere annullata”, che va oltre al semplice fatto che essa non può che dire il vero e non contraddirsi: è anche un riferimento a tutto ciò che il Padre ha stabilito e comunicato agli uomini attraverso i profeti, per cui tutte le tappe del percorso di redenzione per quanti Lo avrebbero accolto e perdizione per tutti gli altri; nel nostro caso ricordiamo Giovanni 12.37-41: “Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, perché si compisse la parola della dal profeta Isaia: »Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?». Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: «Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!». Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. Tuttavia, anche fra i capi, molti credettero in lui, ma a causa del farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga; Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”.

Ricordiamo anche il “Tutto è compiuto” di Gesù quale dichiarazione che tutto ciò che la Scrittura aveva detto di Lui era stato adempiuto: “Dopo questo, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto,  Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito”.

Ora, proprio perché tutto il suo esistere umano fosse riconoscibile fin nello “iota”, citiamo Salmo 69.22, “Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto” (Salmo 69.22. Ecco perché “la Scrittura non può essere annullata”.

L’ultimo messaggio di Gesù ai suoi oppositori è chiaro perché li mette nella condizione di capire che non avevano motivo per non credere se non per puro rifiuto alla Parola: “Se non compio le opere del Padre mio – quindi se sono un impostore privo di qualsiasi autorità – non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle mie opere – non solo ai miracoli – perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre”.

Niente di più logico. E infatti saranno altri, obiettivamente, a constatare quanto Gesù disse: il racconto del capitolo 10, dopo la Sua mancata lapidazione, prosegue con queste parole.

 

“Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di lui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.”

 

Amen.

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