10.02 – MORTE DI GIOVANNI BATTISTA II (Marco 6.14-29)

10.02 – Morte di Giovanni Battista II (Marco 6.14-29)

 

14Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». 15Altri invece dicevano: «È Elia». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». 16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». 17Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. 18Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». 19Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, 20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. 21Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. 22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». 23E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». 24Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». 25E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 26Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. 27E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione 28e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. 29I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro”.

 

Esaminati nella loro essenzialità i comportamenti di Giovanni Battista e di Erode, possiamo passare ai due personaggi femminili il primo dei quali è

 

Erodiade

A parte i dati che possono essere reperiti nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, leggiamo al verso 17 che Giovanni Battista era stato “messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata”: Antipa e lei si erano conosciuti a Roma in un viaggio che Antipa aveva fatto venendo ospitato dal fratello Filippo. Quel “l’aveva sposata”non avvenne dopo il ripudio della prima moglie perché questa, saputo della relazione, si rifugiò presso il padre Areta che mosse guerra al genero, anche per questioni territoriali, sconfiggendolo. Sempre da Giuseppe Flavio possiamo reperire diversi dati sull’ambizione sfrenata di Erodiade, ma leggendo il testo di Marco ricaviamo un dato importante sul perché dell’odio nutrito nei confronti di Giovanni che diceva al marito “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”(v.18). Soprattutto, però, era molto preoccupata per l’influenza che il Battista avrebbe potuto avere su Antipa. Ricordiamo le parole “Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri”: ecco, quel “molto perplesso”e “lo ascoltava volentieri”furono per Erodiade dei campanelli d’allarme molto più forti del fastidio che provava nel sentire che, per la Legge, non poteva essere moglie di Erode. Infatti non poteva escludere che, restando “perplesso”alle parole del Battista, non potesse arrivare alla conclusione che effettivamente quel matrimonio non potesse sussistere. Dove infatti sarebbe potuta andare Erodiade, ripudiata dal marito?

Ora la situazione vissuta da quella donna non era certamente facile poiché sapeva benissimo che non avrebbe certo potuto far uccidere Giovanni subissando Antipa di continue richieste in proposito; lo farà anni dopo perché favorisse suo fratello Agrippa, oppure perché si recasse da Caligola per ufficializzare il suo regno (ma fu invece da lui esiliato), tuttavia non sarebbe mai riuscita a spingerlo ad uccidere un uomo da lui temuto e considerato. Un timore che, evidentemente, derivava in parte dalla propria coscienza. Il nostro testo, riguardo ai sentimenti nutriti da Erodiade per Giovanni, recita “lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva”anche se la traduzione corretta sarebbe “bramava d’ucciderlo”, quindi un desiderio profondo, costante, che si alimentava vie più che il tempo passava: Erodiade era entrata in un circolo mentalmente vizioso e pericoloso perché quando un desiderio, anziché sfogarsi, si scontra contro il muro dell’impossibilità, torna alla sorgente più forte per ripartire di nuovo contro quel muro, tornare al punto di partenza e così via. Ben Sira infatti scrive “Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male. Un cuore ostinato sarà oppresso d’affanni. Il peccatore aggiungerà peccato a peccato”.

C’è poi un altro particolare che può sfuggire in questa vicenda dove si fa più caso allo svolgersi immediato degli eventi che non ai particolari, e cioè che Erode “vigilava su di lui”: perché, visto che nel carcere di Macheronte aveva chi lo sorvegliava? Non resta che concludere che Antipa fosse pienamente consapevole delle intenzioni della moglie e che quindi stava attento affinché non potesse fargli del male in qualche modo. Se poi ciò facesse perché nutriva affetto nei confronti di Giovanni o perché non voleva che in relazione a quella morte scoppiassero dei tumulti da parte del popolo, non sappiamo anche se, essendo la capacità di calcolo la prima “qualità” di un politico o di un regnante, viene da propendere per la seconda ipotesi.

Venne però, come sappiamo, “il giorno propizio”, quello in cui più che in qualunque altro la tanto desiderata morte di Giovanni avrebbe potuto verificarsi: certo Erodiade seppe con un largo anticipo dei festeggiamenti per il compleanno del marito ed ebbe tutto il tempo per organizzarsi nei dettagli, con buona percentuale di riuscita, ma avrebbe avuto bisogno della collaborazione della sua giovane figlia di cui i Vangeli tacciono il nome, ma che sempre Giuseppe Flavio ci dice si chiamasse Salome. Si presume che all’epoca fosse molto giovane, attorno ai dodici anni, e che la danza che fece in quel convito, come si usava anche al tempo, avesse un alto contenuto erotico, come del resto tutte quelle in uso nelle corti non solo orientali del tempo. Non a caso, infatti, le donne di corte appartenenti alla nobiltà non danzavano mai, per lo meno in pubblico, ritenendo la cosa di competenza più delle prostitute che non di persone che conducevano una vita rispettabile.

Erodiade quindi, come purtroppo molte madri ancora oggi, non esitò a sacrificare l’onorabilità della propria figlia per i suoi scopi, evidentemente, molto tempo prima che si trovasse a danzare in quella corte visto che, per eccellere in qualsiasi campo, ci vuole tempo ed assiduità. Il testo di Marco, come quello di Matteo, lascia dei dubbi sulla reale consapevolezza di Salome, salvo che sulla sua vanità, ma non certo su quella della madre che attese gli effetti del vino, mescolato alla concupiscenza, sul marito: Erode finì per fare una promessa che era appunto frutto dei fumi dell’alcool. La dichiarazione che fece davanti a tutti, lo inebriava al pari del resto perché nessun altro avrebbe potuto farla.

E a questo punto c’è un abisso tra l’ingenuità di Salome, che non sapeva cosa chiedere nonostante capisse le parole “fosse anche la metà del mio regno”di cui evidentemente non sapeva che farsene, e la puntualità della risposta della madre, “la testa di Giovanni Battista”: quella di Erodiade fu una strategia che possiamo paragonare a quella di Satana in Eden quando, non potendo arrivare direttamente ad Adamo e neppure ad Eva, utilizzò il serpente che a sua volta sedusse la donna che arrivò al marito. Entrambe furono strategie che mirarono ad un immediato di rovina, ma che poi ricadde, nonostante l’apparenza, sugli autori dell’omicidio più che sulla vittima. Tralasciando il destino finale della persona, quindi dell’anima, anche quello terreno non fu esattamente ciò che i protagonisti si aspettavano: tempo dopo, infatti Giuseppe Flavio scrive: “Acclamato imperatore, Gaio liberò Agrippa e lo nominò re della tetrarchia di Filippo, che era morto. Arrivato nei suoi domini, Agrippa per l’invidia suscitò le ambizioni del tetrarca Erode.  Costui era stimolato al desiderio di diventare re soprattutto da sua moglie Erodiade, che ne biasimava l’inerzia e gli ripeteva che, per non aver voluto recarsi a Roma dall’imperatore, era rimasto privo di più larghi domini: se aveva fatto re Agrippa, un semplice privato, non avrebbe fatto re anche lui, che già era tetrarca?.  Spinto da questi discorsi, Erode si presentò dinanzi a Gaio, il quale però ne punì l’ambizione esiliandolo nella Spagna. Infatti subito dopo di Erode era arrivato ad accusarlo Agrippa, a cui Gaio diede in aggiunta anche la tetrarchia dell’altro. Ed Erode morì nella Spagna, dove l’aveva accompagnato in esilio anche sua moglie”.

S’infransero così i sogni di gloria e di potere esattamente come quelli dell’Avversario quando fu precipitato sulla terra assieme ai suoi angeli, nell’attesa di essere gettato nello “stagno di fuoco e di zolfo”una volta costituito per sempre il regno di Dio.

Ultima interessante considerazione, che però guarda al futuro, la possiamo fare considerando Erodiade come l’antesignana della “donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù”dell’Apocalisse, che non versa da sé quel sangue, né ordina nel senso stretto del termine che vengano uccisi, ma che delega alla Bestia, cioè al Potere, che faccia loro guerra, li vinca e li uccida.

 

Salome

È stata qui ipotizzata come vittima inconsapevole della madre, ma fino a un certo punto, poiché se sono ravvisabili dei tratti d’ingenuità nella prima parte, non sapendo cosa chiedere ad Antipa, nulla oppose alla richiesta di Erodiade, anzi la ripeté: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”(Matteo 14.8), per quanto “istigata da sua madre”(ibid.). Non rileviamo poi nessun senso di orrore nelle parole “La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre”(v.11), quasi come se fosse – come in effetti fu – un tramite impersonale, una sorta di messaggero, a significare che Erodiade aveva chiesto ed a lei andava portata, con una consapevolezza ed un’accettazione del ruolo come fu per Giuda, in cui l’Avversario entrò nel momento in cui accettò il “boccone intinto”che Gesù gli porse.

Il racconto evangelico si presenta, a parte quelli esaminati,

 

Altri personaggi

Sono quelli che non hanno idee precise su Gesù, ma cui bastano quelle frammentarie in loro possesso: “Si diceva: «Giovanni Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elia». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti»”. Ancora oggi, per chi si accontenta del poco che sa senza approfondire, attorno al Cristo esistono le opinioni più disparate. Eppure, basterebbe poco per cercarlo, ma non lo si fa, si preferisce restare in una neutralità, senza mai risolvere da nessuna parte. Ancora Ben Sira scrisse “Se soffi su una scintilla, si accende; se vi sputi sopra, si spegne; eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca”. Per chiarire chi sia Gesù, basterebbe poco: sarebbe sufficiente alzarsi e andare a parlargli, o meglio ascoltarlo per poter rispondere come Pietro “Tu sei il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”.

 

Susanna

Anche se non citata, è l’unica persona che avrebbe potuto riferire a Matteo, Marco e Luca come si svolsero veramente quei fatti, impedendo così loro di scrivere per sentito dire. In quanto moglie di un procuratore di Erode, difficilmente non avrebbe potuto essere presente. Così, la sua scelta di vivere col gruppo di uomini e donne che seguivano Gesù, ci fa capire quanto ritenesse poco importante non solo la vita di corte, ma la sua stessa esistenza, ben sapendo che la scelta di seguire il Cristo avrebbe potuto comportare anche la propria morte. Nulla ci viene detto delle reazioni dei presenti all’evento che, salvo un ripensamento, dovettero aver ritenuto quell’esecuzione come il soddisfacimento alla loro curiosità per vedere se Antipa avesse tenuto fede alla sua promessa.

 

La guardia

Questa persona, ricevuto l’ordine, “Andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio”(v.27): il termine tradotto come “guardia”, o “sergente”da altri, è “speculatore”, cioè un ufficiale addetto ai generali dell’esercito, ma anche agli imperatori, in qualità di aiutante di campo, per recapitare messaggi o altre faccende riservate. Probabilmente ritenne la decapitazione di Giovanni un compito come un altro come fecero i soldati romani che crocifissero Gesù per i quali era uno dei tanti condannati a morte e di cui è scritto “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. In quel contesto, era impensabile che quella “guardia”si opponesse all’ordine ricevuto esattamente come nulla avrebbe potuto, nonostante il grado più alto, Antipa, prigioniero di una promessa assurda. Se quell’ufficiale si fosse opposto, avrebbe subito la stessa sorte di Giovanni senza poterne impedire la morte.

Concludendo, quindi, abbiamo la riuscita di un piano ordito da una persona sola, in grado di porre gli eventi in modo tale che nessuno potesse tirarsi indietro. Certo, questo vale dal punto di vista delle azioni terrene, di una mentalità che influenza e vincola in quanto si assimila col tempo perché, nonostante la vita sia illusoria, alla fine nulla resta se non ciò che si porta davanti al trono del Giudizio o della Grazia e non si fa attenzione. E torniamo così alle parole di Gesù: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono coloro che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quando pochi sono quelli che la trovano!”. Amen.

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10.01 – MORTE DI GIOVANNI BATTISTA I (Marco 6.14-29)

10.1 – Morte di Giovanni Battista I (Marco 6.14-29)

 

14Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». 15Altri invece dicevano: «È Elia». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». 16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». 17Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. 18Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». 19Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, 20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. 21Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. 22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». 23E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». 24Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». 25E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 26Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. 27E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione 28e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. 29I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro”.

 

Episodio di facile comprensione ma per questo non meno complesso, non è collocabile con certezza nel tempo: da un lato pare che i primi versi, da 14 a 16, siano un ponte narrativo: Matteo e Marco pongono Erode Antipa che sente parlare di Gesù mentre i suoi discepoli erano in missione e Lui “partì di là per insegnare e predicare nelle loro città”(Matteo 11.1), ma la morte di Giovanni viene presentata come un fatto già avvenuto. Il verso 16, che riporta le parole “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!”, è utilizzato per introdurre ciò che portò alla morte del Battista in un periodo che gli storici collocano tra il febbraio e il marzo dell’anno 29. Scrive Giuseppe Ricciotti “Se egli era stato chiuso in prigione verso il maggio del 28, erano già passati una decina di mesi”: ricordiamo che l’incarcerazione nel Macheronte di Giovanni fu dovuta a vari fattori, ma principalmente alla collaborazione fra i Farisei ed Erode Antipa (che ricordiamo divenne amico di Pilato durante il processo a Gesù): i primi erano seriamente disturbati dalla predicazione di quel profeta, il secondo non poteva accettare i suoi rimproveri di incesto e adulterio secondo la Legge di Mosè. Era quindi necessario incarcerarlo, ma ciò non era possibile fino a quando Giovanni si trovava in un territorio che non fosse sotto la giurisdizione erodiana.

Vale la pena di ricordare che il Battista, prima di venire arrestato, operava ad “Ainon, presso Salim” cioè sotto la città libera di Scitopoli che, in quanto appartenente alla Decapoli, non apparteneva ad Erode. Essendo però Scitopoli praticamente incuneata fra due tronconi del territorio di Antipa si ritiene che, per venire arrestato, Giovanni sia stato attirato da qualcuno in una zona in cui potesse essere legittimamente preso e portato in prigione. Probabilmente i responsabili di quest’azione furono i Farisei, che in Luca 13.32,32 si comportarono con Gesù in modo contrario: quando gli dissero “Partene e vattene via da qui, perché Erode ti vuole uccidere”, lo fecero dietro suggerimento di Antipa stesso che, non volendo sporcarsi le mani con sangue di un altro giusto, sapeva che altri lo avrebbero catturato. Fu in quella circostanza che Nostro Signore definì Erode “volpe”: “Andate e dite a quella volpe: «Ecco, io scaccio demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali, e non avete voluto! ”.

 

Giovanni Battista

è allora il primo personaggio che esamineremo, rimandando per le sue origini, il ministero e il modo con cui lo esercitò a quanto già scritto alcuni capitoli fa. Conosciamo questo profeta per quello che effettivamente fu, cioè il precursore del Messia, ma se non fosse specificato il suo rimprovero ad Erode, potremmo pensare che si fosse limitato ad annunciare il Cristo, a battezzare e far discepoli. Invece, come profeta, non solo parlava di Dio agli uomini che avrebbero avuto il privilegio di poterlo incontrare in forma umana, ma rimproverava ad Erode un comportamento indegno per uno che avrebbe dovuto rappresentare il popolo su cui regnava, per quanto non fosse ebreo. E la storia dell’Antico Patto è piena di re che ebbero un comportamento moralmente inaccettabile ripresi da Dio per bocca dei profeti. Ricordiamo che Erode Antipa governava sulla Galilea, quindi su ebrei, senza che le autorità religiose avessero nulla da obiettare apertamente sul suo stato coniugale. Ricordiamo le parole della Legge di Mosè in proposito: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte”(Lev. 20.10). Antipa infatti era sposato con la figlia del re dei Nabatei Areta IV e, convivendo con Erodiade moglie del proprio fratello Filippo, si era reso colpevole anche di incesto secondo Levitico 18.16 “Non scoprirai la nudità di tua cognata: è la nudità di tuo fratello”condizione definita anche “impurità”in 20.21: “Se uno prende la moglie del fratello, è un’impurità: ha scoperto la nudità del fratello: non avranno figli”.

Giovanni allora riprendeva Erode ricordandogli “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”(v. 18, identico anche in Matteo) e Antipa, che non provava per lui sentimenti di rancore particolare, lo fece mettere in prigione perché nessuno poteva riprendere un re senza portarne le conseguenze. Svilupperemo più avanti la psicologia di questo personaggio, ma quel che per ora è importante è sottolineare che un profeta non è tale solo quando porta un messaggio di conforto, ma anche di riprensione indipendentemente da come questo viene accolto dagli interessati. In altri termini Giovanni non andò a parlare ad Erode con astio perché lo giudicava un immorale, ma come messaggero, inviato di Dio che tramite lui lo invitava a ravvedersi. “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”. Non si trattava di un rimprovero personale o perbenista, ma di una sottolineatura, un avvertimento a guardarsi da azioni che avrebbero comportato un giudizio imminente anche sulla propria persona. Giovanni si comportò con Erode come Nathan con Davide che andò personalmente a riprenderlo perché aveva preso la moglie di Uria facendo in modo che morisse in battaglia per poter disporre liberamente di lei (2 Samuele 12). Giovanni, come profeta e quindi strumento nelle mani di Dio, fu l’unico ad avere il coraggio di opporsi ad Erode e non fu una sua vittima, ma subì la perfidia e l’odio provato da Erodiade, strumento nelle mani dell’Avversario.

 

Erode Antipa

era figlio di Erode il Grande e di Maltace, sua quarta moglie. Sappiamo che avrebbe dovuto avere in eredità il regno del padre, che poco prima di morire decise di lascarlo ad Archelao. Per decisione di Roma, il territorio di Erode fu diviso in quattro regioni fra i suoi tre figli Archelao, Filippo ed Antipatro, detto appunto Antipa, che ottenne la Giudea e la Perea. Poiché le notizie storiche su di lui sono reperibili da Giuseppe Flavio, esaminiamolo dal punto di vista della persona come appare dai Vangeli, che vanno letti con ottica spirituale. Il primo dato lo otteniamo dalle parole di Gesù che abbiamo citato, quando lo definisce “volpe”, animale che per noi è sinonimo di furbizia e scaltrezza. Con questo termine però poteva indicarsi anche lo sciacallo, immondo come lei, ma con la caratteristica di cibarsi, a parte di piccoli animali, di carogne per cui era ritenuta grandemente impura stante il fatto che un uomo, per aver toccato un cadavere, tale diventava.

Del sacerdote è detto “non si avvicinerà ad alcun cadavere; non potrà rendersi impuro neppure per suo padre e per sua madre”(Levitico 21.11). Per gli uomini comuni valeva questa regola: “Quando qualcuno, senza avvedersene, tocca una cosa impura come il cadavere di una bestia selvatica o il cadavere di un animale domestico o quello di un rettile, rimarrà egli stesso impuro e in condizione di colpa”(5.2). Nel caso di persone, poi, leggiamo “Chi avrà toccato il cadavere di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni”. Penso allora che l’accostamento allo sciacallo da parte di Gesù sia da riferirsi all’impurità di Antipa che aveva preso la moglie del proprio fratello mentre questo era ancora in vita.

Altra caratteristica di Erode era la sua superstizione che rileviamo quando s’interrogò su chi fosse Gesù. Sappiamo che molti, anziché andare direttamente da Nostro Signore, si chiedevano chi fosse e ognuno si dava una risposta, ma Antipa disse in un primo momento “Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?”(Luca 9.9). Immediatamente Luca aggiunge “E cercava di vederlo”, cosa che gli riuscirà quando gli sarà inviato da Pilato. Comunque, non riuscendo a farselo portare a corte nonostante gli avesse sguinzagliato dietro i suoi informatori e agenti, concluderà “Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!”(Matteo 14.2) oppure, più sinteticamente in Marco, “Quel Giovanni che ho fatto decapitare, è risorto”(v. 16). Non meditò sull’inutilità del suo gesto né, di fronte a quella supposta risurrezione, pensò a ravvedersi, ma rimase esattamente l’uomo curioso e viziato che era, con una coscienza superficiale, la stessa che gli aveva fatto sottovalutare quella promessa così avventata fatta “più volte”in pubblico a Salome, “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”(v.23).

Antipa non era un malvagio nel senso umano del termine: era certo un calcolatore perché, “benché volesse farlo morire (Giovanni)ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta”(Matteo 14.5), ma è quel “lo ascoltava volentieri”che ci parla di una personalità in bilico tra il fare e il non fare quando si tratta di mettere in pratica ciò che Dio si aspetta dall’uomo. Certo, quando Erode parlava con Giovanni, questi non si limitava a ripetergli come un pappagallo che non poteva tenere con sé la moglie del fratello, ma in quanto maggiore di tutti i profeti venuti prima di lui chissà quanti argomenti portò alla sua attenzione con fine di farlo giungere a un ravvedimento. Questo “volentieri”, che può essere tradotto anche “di buon grado, con piacere, spontaneamente”, non andava però oltre al soddisfacimento di quella curiosità personale che tanto si identificava con la spettacolarità, poco importava se del venire informato senza sforzo o dell’essere testimone di uno spettacolo particolare. Antipa ascoltava “volentieri”Giovanni così come “sperava di vedere qualche miracolo”fatto da Gesù, il tutto senza coinvolgere cuore e anima. Mi sono chiesto perché Erode “lo interrogò, facendogli molte domande”(Luca 23.8-12): fu perché voleva soddisfare la sua curiosità più immediata, avere dei dati che lo facessero stupire, ma di cui non solo non avrebbe saputo che farsene, ma che avrebbe anche disprezzato. Dunque, guardando questo episodio, se Giovanni cercava di far riflettere Antipa parlandogli della responsabilità che aveva come regnante sul popolo oltre che sulla sua persona, sulla necessità di lasciare la vita che aveva condotto fino ad allora e ravvedersi, Gesù, parlando ad Erode, avrebbe dato ciò che è santo ai cani e le sue perle ai porci (Matteo 7.6). Sarà proprio il mutismo di Nostro Signore a scatenare in Antipa la reazione tipica dell’adulto bambino, quello malizioso e vendicativo: “Allora anche Erode, coi suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste– in chiaro segno di scherno – e lo rimandò a Pilato”.

Tornando all’episodio in esame, Antipa si rivela come un uomo prigioniero del proprio Io, non una persona “cattiva” come molti altri personaggi che si possono incontrare negli scritti dell’Antico e nel Nuovo Patto, ma un re coi suoi capricci da uomo ricco, spiritualmente appartenente al primo terreno, quello della strada battuta sulla quale si precipitano gli uccelli che facilmente possono prendere il seme che vi cade sopra.

Abbiamo detto vittima del proprio Io, ma anche di Erodiade, la vera organizzatrice dell’esecuzione del Battista all’interno della quale Antipa si trovò intrappolato perché, fatta quella promessa irresponsabilmente e in preda al vino e alla concupiscenza, l’avrebbe dovuta mantenere in quanto parola di re. Erode aveva fatto mettere in catene Giovanni e lì avrebbe dovuto restare, considerandolo quasi un suo giocattolo personale per i motivi di cui abbiamo parlato, ma il fatto stesso che dava al prigioniero la possibilità di ricevere le visite dei suoi discepoli ci parla di come non vi fosse un particolare accanimento nel regime carcerario cui lo aveva sottoposto.

Per fare qualcosa di diverso, interrompere l’ovattata monotonia della vita di corte nonostante i problemi del regno, ecco arrivare il suo compleanno – che gli ebrei non osservavano ritenendola idolatra – e l’opportunità di un banchetto particolare, quello in cui nulla deve mancare a livello di piaceri non solo di gola. Erano presenti funzionari civili, militari e i personaggi più ricchi ed influenti della sua provincia ed ecco perché Antipa avrebbe dovuto stare molto attento a ciò che avrebbe detto qualora avesse promesso qualcosa.

Di fronte a Salome, figlia di Erodiade della quale è tramandato il nome grazie a Giuseppe Flavio, inebetito dal vino oltre che dalla concupiscenza per la nipote, ecco la promessa assurda: le avrebbe dato qualunque cosa, anche la metà del regno (che gli fruttava 200 talenti annui). Trattandosi di una promessa regale fatta in pubblico, avrebbe dovuto mantenerla. Faremo altre considerazioni quando esamineremo i caratteri dei restanti personaggi, ma per ora valutiamo le reazioni una volta presentata la richiesta: “il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto”(v.26). Non poteva fare altro. “Fattosi molto triste”, di quella “tristezza del mondo”che “porta alla morte”, parente stretta di quella che proverà Giuda Iscariotha. Potrei ipotizzare che, condannando a morte il Battista, Erode pose un enorme macigno a chiusura della sua coscienza, talché più tardi dirà con naturalezza “Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?”.

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