05.23 – OCCHIO PER OCCHIO (I/II) (Matteo 5.38-42)

5.24 – Occhio per occhio I (Matteo 5.38-42)

38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera un prestito da te non voltar le spalle”.

Con il quarto intervento di Gesù quale Rabbi sulla Legge che era venuto ad adempiere, si esce dal commento al decalogo per approfondire molti temi a partire da Esodo 21.22-25 dove troviamo enunciato per la prima volta che il  colpevole di una lesione al suo prossimo, la doveva subire nello stesso modo: “Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido”. Questo principio viene poi ribadito in Levitico 24.19-21 e in Deuteronomio 19.21, dove lo troviamo nella sua essenzialità: dopo le regole per i testimoni in processo, leggiamo “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”.

Premessa importante: Israele non aveva un codice legislativo come altri popoli, vedi ad esempio il noto “Codice di Hammurabi” in uso presso i Babilonesi (che comunque arrivarono secondi). Tutto ciò che gli israeliti avevano era la serie di regole, precetti e norme che Mosè aveva ricevuto e trasmesso contemplanti minuziosamente ogni aspetto della vita di relazione con Dio e tra gli uomini. Do a questo punto una lettura molto superficiale: in un periodo storico che potremmo definire di barbarie e molto primitivo, il principio in base al quale chi causava – ad esempio – una ferita doveva provare lo stesso dolore su di sé per capire cosa questo significasse e non farlo più, poteva essere comprensibile. Era però quella la stessa epoca in cui pensare al proprio simile era non meno raccomandato che ricambiare “livido per livido”: “Quando facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mantello, non tornerai indietro a prenderlo: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto, perciò ti comando di fare questo” (Deuteronomio 24.19-22). Il Codice di Hammurabi citato, databile attorno al 1750 a.C., risentiva delle influenze della Legge di Mosè; ad esempio leggiamo che “I poveri, le vedove e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono protette contro i maltrattamenti del marito, in favore dei lavoratori viene alzato il salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali” e veniva applicata la legge del taglione cui Gesù ha fatto riferimento nel passo in esame.

Va poi anche aggiunto, riguardo a Israele, che la giustizia era intesa in modo differente dal nostro: chi svolgeva l’attività di giudice era uno che, esercitandola, a prescindere dalla condanna liberava la persona dall’ingiustizia e dall’oppressione. C’erano così Anziani e Giudici che, prima di emettere una sentenza, indagavano a fondo ascoltando i testimoni a seconda dell’importanza delle cause da trattare. Ai tempi di Gesù l’applicazione della legge del taglione, lungi dall’essere ristretta nelle possibilità dei magistrati che ne ordinavano l’applicazione in determinati casi, era stata estesa liberamente ai singoli concedendo loro di farsi giustizia da sé. “Occhio per occhio e dente per dente” è allora il riassunto di un modo di ragionare, oltre che di un passo scritturale indicatore di un periodo per noi passato.

Dobbiamo prestare attenzione al fatto che Nostro Signore non attacca la Legge in quanto tale, ma l’uso improprio che se nei faceva essendo la vendetta a quel tempo vista come un diritto – dovere. In questo modo, privato della sentenza di un Giudice o degli Anziani, chi si rendeva colpevole di un’offesa fisica poteva subire quella dei parenti dell’offeso ai quali non pareva vero di poter sfogarsi sul malcapitato, ritenuto colpevole senza giusto processo.

Teniamo sempre presente che ogni principio scritturale non può essere estrapolato dal contesto per giustificare l’azione che in esso si sostiene, ma va armonizzato con gli altri: infatti la stessa Legge che ha dato il principio dell’”occhio per occhio”, prima ancora di ripeterlo (Levitico da Esodo), dice “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Levitico 19.18). La Legge quindi non è solo violenza, punizione e annullamento, così come Nostro Signore non amputa, ma cauterizza, non taglia l’albero che il padrone della vigna vorrebbe eliminare, ma lo concima e gli sistema il terreno attorno per farlo prosperare; non abolisce, ma adempie, completa, rende perfetto ciò che l’essere umano non sarebbe mai stato in grado di compiere.

Il Suo discorso sulla legge del taglione parte da lì, la cita e subito affronta, nei restanti versi, quattro distinti aspetti che riguardano la sfera della persona attraverso espressioni indubbiamente forti che verranno poi sviluppate dagli apostoli Paolo e Pietro. Tutto parte dal principio “Non contrastate il malvagio”, cioè chi perseguita in un modo o in un altro. Dopo questa esortazione, abbiamo la violenza fisica (v.39), la contesa legale (v.40), il lavoro o servizio forzato (v.41) e infine la richiesta di regali o prestiti (v.42).

Prima di esaminare i quattro casi proposti da Gesù, consideriamo ancora una volta che si rivolgeva a un popolo religioso o, meglio ancora, composto da persone che comunque erano educate a far riferimento a quell’Iddio che tante volte veniva pregato, adorato, seguito nelle feste che si celebravano più volte all’anno (finora abbiamo visto solo la Pasqua) ed aveva gli elementi per distinguere il bene dal male, per quanto in linee generali. Il principio dal quale parte Nostro Signore è a monte del non contrastare il malvagio e viene espresso in Proverbi 20.22 in cui leggiamo “Non dire «Renderò male per male»; confida nel Signore ed Egli ti libererà”.

C’è allora ancora una volta un confine che siamo liberi di valicare o meno nel senso che, nel momento in cui le nostre azioni sono tese ad ottenere una vendetta nei confronti di chi ci ha fatto del male, agiamo di nostra iniziativa e precludiamo al Signore la possibilità di intervenire. Se però spostiamo la nostra ottica confidando in lui anche come Difensore, avremo la liberazione effettiva dal male: “…ma liberaci dal male”, o “dal maligno”, che sono la stessa cosa.

In pratica: non contrasto il malvagio perché sono un debole e se mi difendo pecco, ma supero il principio, vado oltre perché confido nel Signore. Restituire, rendere male per male è umano ed è una reazione immediata che siamo invitati a non fare per il semplice fatto che non siamo soli: come cristiani non abbiamo sposato una generica ideologia di amore e pace che mai riusciremmo a mantenere fino in fondo, ma siamo stati salvati e non apparteniamo più a questo mondo con la sua logica e le sue regole. Molto spesso la vendetta è la messa in atto di una rivalsa nel tentativo di placare un animo ferito che tuttavia raramente, a vendetta compiuta, resta soddisfatto, liberato dall’umiliazione o dal torto subito.

Dirà l’apostolo Paolo ai Romani “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti «Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo», dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (12.17-21). Anche questi versi pongono il cristiano in un ambito differente, estraneo al male che viene fatto, ricordando “Se possibile, per quanto dipende da voi”, cioè guardate che quel che fate sia per scelta consapevole e non per una posizione assunta per filosofia. Il principio è “Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo”. Non sono parole che appartengono a una dispensazione diversa dalla nostra, per cui potremmo ipotizzare siano decadute, anzi: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le labbra da parole d’inganno, eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua, perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere; ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male” (1 Pietro 3.10-12).

Posso testimoniare di avere vissuto personalmente un’esperienza del genere in cui mi sono trovato nell’impossibilità totale, quindi anche volendolo, di “resistere al malvagio” che, così come è comparso, si è dileguato in un tempo molto più breve di quanto sarebbe avvenuto qualora lo avessi combattuto.

Interessante la riflessione dell’apostolo Paolo che scrisse “per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia” (1 Corinti 12.7): si può ragionevolmente supporre che quell’inviato, o come altri traducono, “angelo” di Satana fosse stata una persona che lo picchiò quando si trovava in carcere a causa delle sue predicazioni; costui gli causò una lesione permanente agli occhi che gli impediva di leggere e di scrivere correttamente. In Galati 4.15 infatti nomina dei credenti che avrebbero voluto, se possibile, cavarsi gli occhi per darli a lui.

Rientrando al tema del porgere l’altra guancia, ma tenendo ben presente quanto citato in precedenza, ci domandiamo: è fattibile? È questo che Nostro Signore intendeva, cioè va preso in senso letterale, oppure questa sua espressione è da intendersi come “parente” dei versi riferiti all’enucleazione dell’occhio e all’amputazione della mano di cui abbiamo già trattato? Mi pare di riconoscere chiaramente, nelle parole che seguono l’invito a non contrastare il male, un modo per qualificare l’atteggiamento interiore che esclude, come già rilevato in altre circostanze, la rivalsa, la vendetta, l’infierire. Sono azioni che non troviamo mai come positive, ma se fosse categoricamente esclusa la reazione a un’aggressione Giovanni Battista avrebbe ordinato ai soldati che gli chiedevano “E noi, cosa dobbiamo fare?” di disertare, mentre disse “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe” (Luca 3.14). Le leggi di guerra di allora, infatti, autorizzavano la devastazione e il saccheggio, senza contare la violenza sulla popolazione civile che avviene in tutte le guerre da sempre, anche nel nostro “civilissimo” secolo.

Possiamo ricordare Gesù stesso, che al soldato che gli diede uno schiaffo non offrì l’altra guancia – per lo meno letteralmente – ma gli disse “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” facendolo desistere (Giovanni 18.22).

Credo che sia la persona coinvolta che debba decidere il comportamento opportuno da adottare in proporzione alla portata dell’offesa fisica, cosa del resto stabilita dai codici penali umani a proposito della legittima difesa, in cui questa deve essere proporzionale alla minaccia. Credo che vada sempre tenuto in considerazione il fatto che Luca, riportando le parole di Gesù lette in Matteo, scrive “A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra” e che Pietro scrive “…Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato non rispondeva con insulti, maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia” (1 Pietro 2.22,23).

Credo che il cristiano sia chiamato a valutare con intelligenza quanto si verifica attorno a lui e, alla luce dei passi paralleli che abbiamo coinvolto, tutto viene sviluppato partendo da rapporti tra persone che hanno una base comune, non costrette a confrontarsi – ad esempio – con etnie dedite geneticamente allo sfruttamento, alla delinquenza e agli espedienti per sopravvivere (che tra l’altro combattevano). Viviamo un tempo ultimo in cui tante cose devono accadere ad ogni livello, sia esso politico, ambientale, economico o migratorio e la fine della società che conosciamo non è poi così lontana. Ma quello che deve contraddistinguere il cristiano, da sempre, è la sua capacità di guardare oltre, grazie allo Spirito.

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