16.24 – Contro i farisei I (Matteo 23.1-12)
1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Il testo di Matteo, rispetto a quello di Marco (12-38-40) e Luca (20.45-47) è molto più dettagliato quanto a interventi ed è certo che comprenda discorsi contro queste persone pronunciati da Gesù anche in altre occasioni. La situazione e il luogo in cui avvenne sono gli stessi degli episodi precedenti e vedono cioè la presenza dei farisei, dei discepoli e della folla; Luca scrive che questo discorso fu pronunciato “Mentre tutto il popolo ascoltava”, quindi tutti udirono sia le parabole che le questioni sorte con tutte le fazioni che costituivano il Sinedrio. Gli scribi e i farisei, infine, ricordiamo che avevano ammesso la loro ignoranza in merito al perché Davide chiamasse “Signore” un suo discendente, quindi “figlio”.
Il verso secondo inizia con la denuncia di un’usurpazione, cioè la “cattedra”, meglio traducibile con “sedia” di Mosè, vale a dire che pretendevano di legiferare come lui, ritenendosi tramiti della volontà di Dio da comunicare al popolo. È questo un evidente riferimento alla legge orale, che i farisei e gli scribi mettevano sullo stesso piano, in totale contrasto con le parole di Deuteronomio 4.2 “Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo”.
Si può ricordare anche 30.11-14: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo perché tu dica: «Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?». Non è al di là dal mare, perché tu dica: «Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?». Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.
Scribi e Farisei sedevano sulla sedia dei maestri, nella sinagoga, per spiegare la Legge secondo le loro interpretazioni, nel sinedrio e nei tribunali inferiori per applicarla, ma non avevano il diritto di promulgarne di nuove proprio perché avrebbero irrimediabilmente turbato l’equilibrio che Dio aveva istituito. Aggiungendo o togliendo qualsiasi elemento, tutto quanto originariamente promulgato avrebbe perso la sua forza.
Ora, poiché gli insegnamenti di queste persone riguardavano sia la Legge che le sue interpretazioni, con la frase “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono”, è chiaro che Gesù si riferisca alle prescrizioni ordinate da Dio e non da loro, perché altrimenti vi sarebbe contraddizione con quanto esposto dopo, perché altrimenti approverebbe il legare i “fardelli pesanti e difficili da portare ponendoli sulle spalle della gente”. È, in pratica un invito simile a quello che l’apostolo Paolo rivolge ai Tessalonicesi, cioè “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1°, 5.21).
Nel dire e non fare degli scribi e farisei – si parla della maggioranza e non dei singoli – null’altro emerge se non la religione nel senso più deleterio del termine, quello che porta la coscienza a cauterizzarsi e in Romani 2, parlando dei Giudei, troviamo descritto molto bene questo atteggiamento: “Ma se tu ti chiami Giudeo e ti riposi sicuro sulla Legge e metti il tuo vanto in Dio, ne conosci la volontà e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi l’espressione della conoscenza e della verità… Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che dici di non commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti vanti della Legge, offendi Dio trasgredendola! Infatti sta scritto: Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra le genti” (17-24).
Nei versi riportati abbiamo un ritratto ampliato di questi personaggi che certo non andavano a rubare materialmente, ma frodavano gli altri autogiustificandosi, che non commettevano materialmente adulterio, ma concupivano e desideravano talché nessuno di loro, nell’episodio della donna adultera, osò scagliare la pietra per primo. Quel “Tu” che abbiamo letto è rivolto a coscienze non rigenerate dal Vangelo, per cui vale quel “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”.
Quello che Gesù vuol dire è che, senza lo Spirito Santo, non è possibile spiegare degnamente la Scrittura e infatti, chi non porta il Vangelo della libertà dentro di sé, non può fare altro che legare agli altri pesi importabili, paragone questo con gli animali da soma, come disse l’apostolo Pietro: “Ora dunque perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?” (Atti 15.10). Non avendo la Verità dello Spirito, non resta che insegnare l’osservanza della forma, dell’apparenza, ma nel privato tutto questo scompare.
Senza commentare ciò che nel nostro testo è chiaro, vanno citate le filatterie, cioè i tefillin, strisce di pergamena sulle quali erano scritti dei passi della scrittura che venivano piegate e messe in una scatoletta legata sulla fronte, o sul fianco, o sul braccio sinistro, vicino al cuore, durante la preghiera, perché chi le portava si ricordasse di adempiere alla Legge col cuore, con la mente e con il corpo. Fu una pratica utilizzata dopo la cattività di Babilonia interpretando Deuteronomio 6.4-9 “Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte”. Filatteria, inoltre, deriva dal greco “filaktéria” che significa “salvaguardia, protezione”.
È interessante notare allora che le filatterie certamente racchiudono un significato importante, ma essendo un segno esteriore hanno un valore relativo, che si annulla nel momento in cui, badando esclusivamente ad esse, non si hanno più i “precetti fissi nel cuore” e tutto il resto. Ecco perché leggiamo che “I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4.23), senza tutte quelle interferenze fuorvianti che sono i simboli paragonabili agli oggetti citati da Nostro Signore come paramenti, statue e oggetti di vario tipo che oggi una parte della cristianità utilizza anteponendoli, purtroppo, alla vera adorazione. E come sempre la critica non è agli oggetti, ma all’utilizzo che se ne fa e al pericolo che rappresentano. I filatteri venivano allargati da scribi e farisei per renderli più visibili e tangibili, ma erano dei sostituti di tutte quelle azioni e pensieri verso Dio di cui erano mancanti.
Abbiamo poi “le frange”, la cui istituzione la troviamo in Numeri 15.37-41: “Il Signore parlò a Mosè dicendo così: Parla ai figli di Israele e dì loro che si facciano delle frange agli angoli delle loro vesti in tutte le loro generazioni e mettano sulla frangia dell’angolo un filo di lana azzurra. Esse saranno per voi delle frange, e, quando voi le vedrete, ricorderete tutti i precetti del Signore e li eseguirete e non devierete seguendo il vostro cuore e i vostri occhi perché seguendoli voi diverrete infedeli. Affinché vi ricordiate ed eseguiate tutti i miei precetti e siate santi al vostro Dio. Io, il Signore Dio vostro, che vi feci uscire dalla terra d’Egitto per esservi Iddio, Io, il Signore, sono Dio vostro”.
Le “frange” erano un segno di distinzione rispetto agli altri popoli, una prescrizione ordinata per ricordare ancora una volta che era il comandamento al quale guardare costantemente, al contrario del “cuore” e degli “occhi” che, se seguiti, avrebbero portato all’infedeltà. Il comandamento è ripetuto anche in Deuteronomio 22.12, “Metterai fiocchi alle quattro estremità del mantello con cui ti copri”, quelli che toccò la donna emorroissa dimostrando così di credere in Gesù come Puro e Figlio di Dio, ed è probabile che sia per questo motivo che gli evangelisti distinguano fra “vestiti” (Marco 5.27) e “lembo della veste”, quindi la frangia (Matteo 9.20; Luca 8.44).
Ora nel nostro passo è detto che scribi e farisei “allungano le frange”, cioè le portavano più lunghe di quelle del popolo per apparire più religiosi degli altri. Ancora una volta quindi il simbolo, concepito originariamente per responsabilizzare (come le filatterie), era stato degradato a usanza e alibi perché esso si trasforma facilmente in metodo per apparire che, in quanto tale, sostituisce l’essere, come il proverbio popolare “l’abito non fa il monaco” insegna.
Allo stesso risultato si perviene esaminando le parole “Rabbi”, “Padre” (spirituale) e “guida”, anche questi titoli onorifici particolarmente ricercati dagli scribi e farisei. Dicendo ai Suoi “Non fatevi chiamare «rabbi» perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate «Padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide» perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo”, Gesù ricorda di essere il Solo ad avere il primato su ogni cosa e a non poter essere quindi sostituito, nemmeno in parte, da nessuno.
Ci può essere chi è particolarmente versato nelle Scritture, chi parla per lo Spirito, chi è in grado di spiegare passi complessi e portare messaggi edificanti, ma questo non può essere mai scambiato per chi non può essere, cioè un perfetto, trasformandosi in uno che pretende onori, fama e di essere seguìto in tutto ciò che dice di fare. E se volessimo stilare un elenco, gli scribi e i farisei di oggi li rinveniamo in tutti coloro che, invece di svolgere il loro ufficio di pastori, dottori o evangelisti nella Chiesa, fanno in modo di essere al centro dell’attenzione incentrando su di sé ciò che andrebbe rivolto a Dio.
È un tema molto complesso, ma che si può sintetizzare nel fatto che l’orgoglio umano, in campo cristiano, porta inevitabilmente a comportamenti devianti (gli stessi del mondo) per i quali non esiste che un solo antidoto, la rinuncia a se stessi che si cela nell’ultimo verso in esame, “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”, che ribalta completamente il concetto e l’uso che il mondo ha della persona; anche in quel campo, molti sono coloro che hanno titoli e ricoprono Uffici che non sono affatto consoni alla loro persona. Eppure, nonostante siano degli usurpatori, si cullano in essi e pretendono un onore che non gli spetta. E purtroppo lo stesso avviene nella Chiesa, o nelle Chiese, perché questa è la mentalità dell’uomo attaccato alla terra. La persona spirituale, infatti, cercherà solo l’approvazione di Dio e in questo suo desiderio non potrà altro che vedersi mancante. E prostrarsi dinnanzi a chi, nonostante tutto, lo ha amato e liberato. Amen.
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