16.31 – Il sermone profetico 4: Carestie (Matteo 24. 7-8)
7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori.
Carestie e terremoti sono altri indicatori del tempo della fine. Non credo sia un compito affidatomi quello di lanciare facili segnali di allarme a mo’ dei predicatori pentecostali dei film americani, ma ritengo che i credenti siano chiamati a vagliare i dati di cui vengono in possesso con la stessa attenzione che un dirigente esamina un bilancio aziendale, se intendono farsi trovare preparati quando il loro Signore verrà. Troppo facile interpretare la parola “fine” in senso univoco, riferendola esclusivamente a quella del mondo perché è una parola che cela in sé un senso ben più ampio, come quello della fine vita del singolo o di una collettività, di una società, di un periodo e tanto altro. Per intenderci, “Fine”, per il ricco stolto della parabola, fu la sua morte che proseguì negli inferi, mentre per Lazzaro la stessa rappresentò l’inizio di una vita nuova nel seno di Abrahamo, per cui possiamo dire che il termine è relativo in quanto, per alcuni, avrà un valore terminale mentre per altri l’esatto opposto. Stando così le cose, va da sé che dobbiamo preoccuparci dei segnali che ci vengono dati attraverso lo scorrere degli eventi perché da essi possiamo essere spronati a vegliare e non a caso al sermone profetico appartengono due parabole fondamentali, quella delle dieci vergini e dei talenti.
Carestie
Costituiscono il primo indicatore e possono essere connesse alle guerre, perché con esse la gente che coltiva e alleva fugge dalle campagne lasciandole deserte, o al cambiamento climatico. Con la carestia si ha una mancanza di derrate alimentari che va sempre più aggravandosi per cui la popolazione si affama e muore, non senza prima essere ricorsa a qualunque mezzo pur di sopravvivere: violenze e rapine per procurarsi il cibo per poi ricorrere al cannibalismo e all’infanticidio come atto estremo. Poiché il discorso di Gesù ha carattere universale, possiamo esaminare brevemente la carestia nel passato, nel presente e nel futuro, sottolineando che, come detto all’inizio, è un primo indicatore nel senso che non è un singolo evento che può far pensare alla fine, ma l’intensificarsi del fenomeno esattamente come non è una febbre occasionale a denunciare una condizione di salute precaria, ma il perdurare di essa.
Abbiamo citato nello scorso capitolo le fami avvenute prima del 70; considerando quelle avvenute dall’antichità ai giorni nostri, abbiamo quella del 974/5 in cui un inverno molto rigido e una primavera tardiva ne provocarono una che uccise un terzo della popolazione franca e la metà degli abitanti di Parigi. Nel XIVo secolo ne abbiamo due, una dal 1315 al 17 in Europa che, assieme alla peste nera, provocò milioni di morti, poi dal 1333 al 37 ve ne fu una in Cina.
Il 1500 ne vide tre, una in Etiopia, un’altra colpì Milano nel 1570 e un’altra l’Europa vent’anni dopo. Il 1600 si tiene sulle tre, poi ne abbiamo quattro nel 1700, dodici nel 1800 e diciassette nel 1900.
Per il tempo presente, se nel 2019 erano a rischio di carestia 27 milioni di persone, per il 2023 il calcolo è di 50, ma se nell’antichità il problema del fenomeno era unico nel senso che mancava il cibo per una causa precisa, attualmente abbiamo una serie di fattori negativi che non potranno che portare all’impossibilità della sopravvivenza: dati allarmanti sull’inquinamento, ma ancora di più la spaventosa crescita demografica che porta all’assoluta mancanza di spazio non perché gli uomini saranno costretti a vivere gomito a gomito gli uni gli altri, ma perché l’energia, i rifiuti, le superfici necessarie alla coltivazione e all’allevamento saranno assolutamente insufficienti. Il cambiamento climatico è ormai irreversibile e porterà conseguenze drammatiche e i suoi effetti li constatiamo senza possibilità di errore. I dati che possiamo raccogliere in proposito lasciamo ben poco spazio alla speranza che non tanto noi, ma i nostri figli o i figli dei nostri figli possano vivere in un mondo, se non a misura di essere umano perché non lo è mai stato, almeno decente.
Abbiamo poi una visione del futuro che non ci è offerta dalla scienza, ma dalla Parola di Dio che da un lato ci lascia gli elementi per valutare l’avvicinarsi degli ultimi tempi e dall’altro ci dà una speranza di salvezza dalla cosiddetta “gran tribolazione” perché il rapimento della Chiesa si verificherà prima degli eventi catastrofici e assolutamente dolorosi che la caratterizzeranno. Infatti lo scopo della vita cristiana è quella di “…servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene” (1 Tessalonicesi 1. 9,10). Ancora, “Dio non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (Ibid. 5.9).
È ai Tessalonicesi, prima e seconda lettera, che Paolo parla degli ultimi tempi anche perché i membri di quella Chiesa erano convinti che il Signore dovesse tornare da un momento all’altro loro viventi e quindi in molti avevano smesso di lavorare e vivere normalmente. Così scrive nella sua seconda lettera: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità” (2.1-12).
Conscio del fatto che a questi versi dovrebbero essere dedicati molti capitoli, suddividiamoli comunque nei loro punti essenziali. Primo, come sappiamo, il credente vive da sempre negli ultimi tempi, ma deve fare attenzione a non confondere il principio dell’ultimo tempo con il suo manifestarsi perché deve venire prima l’apostasia e dev’essere rivelato colui che è comunemente chiamato Anticristo, che sarà ebreo perché altrimenti non potrebbe “insediarsi nel tempio di Dio pretendendo – a differenza di Gesù che lo era – di essere Dio”. Se lo spirito dell’Anticristo è già nel mondo (1 Giovanni 4.3), è trattenuto dall’agire se non nel tempo a lui concesso: poi, se deve insediarsi nei “Tempio di Dio”, il terzo ancora da costruirsi dopo aver raso al suolo la moschea di Al-aqsa, abbiamo un ulteriore indicatore.
Particolarmente interessante e edificante o il verso 7, “Il mistero dell’iniquità è in atto, ma prima è necessario che sia tolto di mezzo colui che lo trattiene” e questo è lo Spirito Santo che agisce attraverso la Chiesa; via Lei, non avrà più ragione di restare operativo nel mondo per cui il diretto rappresentante di Satana avrà campo assolutamente libero. Anche da qui abbiamo un’ulteriore conferma che quella parte dell’umanità che avrà voluto perseguire la propria autonomia e indipendenza da Dio, la troverà finalmente e sarà abbandonata a se stessa e all’anti-Dio che farà di lei ciò che vorrà, non più frenato da alcunché, salvo venire poi incatenato per mille anni.
Ma si parlava di carestie. Abbiamo visto il passato, il presente con relative previsioni della ragione e della scienza; resta da vedere ciò che verrà nel futuro, quello dopo il rapimento della Chiesa e notizie in merito le reperiamo nel libro dell’Apocalisse al capitolo sesto. Anche qui mi rendo conto che si apre una visione a dir poco immensa, ma che va purtroppo contenuta allo stretto necessario.
Giovanni ha qui la visione dei sette sigilli e l’apertura dei primi quattro. Il sigillo è un marchio che ha la funzione di garantire l’autenticità/integrità di un documento che può essere aperto solo per compiere atti di estrema importanza. Non può essere sciolto prima, non dopo, quindi questo strumento ci parla anche della fine di un tempo di attesa, di un momento assolutamente solenne. A seguito dell’apertura di ciascuno dei quattro sigilli, entra sulla scena un cavallo, con cavaliere, di colore diverso. Il cavallo, animale da guerra qui simbolo anche di vittoria o comunque successo di una missione, dalla corsa veloce, maestoso, che nei tempi antichi quando le macchine da guerra erano molto pesanti e usate per lo più negli assedi incuteva timore e formava un tutt’uno col proprio cavaliere, compare a raffigurare l’ineluttabilità dei giudizi che porta.
Ebbene, leggiamo: “Quando l’Agnello aprì il terso sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi, ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati»” (vv.5,6). Il nero: un non colore, detto anche “colore acromatico”, con luminosità nulla e simboleggia la totale assenza di speranza, le tenebre intese come assenza di Dio, la morte anche se si è in vita. Il cavaliere ha in mano una bilancia, fatto apparentemente anomalo perché solitamente chi cavalca ha in mano un’arma. Qui la bilancia è l’arma e infatti la voce che parla si riferisce a un razionamento, o meglio ancora a una vendita a prezzi proibitivi perché “una misura di grano”, originale “chénice”, circa 60 grammi, avrebbe avuto il prezzo di una giornata lavorativa di un operaio. La frase “olio e vino non siano toccati” è di interpretazione più complessa: tradotta letteralmente risulta “l’olio e il vino non danneggerai” quindi, se il cavaliere raffigura la carestia pesando grano e orzo simbolo di nutrimento, ma non il vino e l’olio, significa che sarà possibile ricorrere all’illusione di sfamarsi tramite questi due elementi. In altri termini l’uomo che avrà rifiutato il pane della vita, avrà il vino e l’olio della morte e dell’illusione.
Abbiamo poi la visione del quarto sigillo: “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loto potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”.
Il cavallo, più che verde, sarebbe “verdastro”, o “giallastro”, quindi un colore sgradevole, come quello di un morto o di un livido a un certo stadio e infatti il nome del cavaliere è Morte ed è seguito dagli inferi, quindi da ciò a cui la Morte porta. Sembra quasi che venga descritta una sorta di pesca a strascico, in cui la rete sono gli inferi che raccolgono indistintamente tutto ciò che vi cade dentro, ma abbiamo anche la morte del corpo (la Morte) associata a quella dell’anima e dello spirito (gli inferi).
Notare di cosa morirà la “quarta parte della terra”: spada, quindi armi, quindi guerra, fame (carestia o comunque impossibilità di nutrirsi), peste (epidemie o pandemie, evidentemente peggiori rispetto a quella del COVID-19 recentemente avvenuta), e con “le fiere della terra”, greco férion cioè “belva, animale feroce, selvaggio”, ma anche “animale malefico, rettile, serpente”, o ancora può indicare qualunque animale fino agli insetti. Se quindi, stante il fatto che “le fiere della terra” che conosciamo quali i grandi predatori come ad esempio tigri e leoni (per citare i primi che vengono in mente) sono in estinzione e quindi pare improbabile che siano in grado di portare sterminio, non così per generici esseri viventi, rettili o insetti che siano, sui quali credo sia prudente restare sul generico nel senso che, nel momento in cui si manifesteranno questi eventi, sarà chiaro a cosa e chi il verso si riferisce.
Abbiamo così esaminato in breve cosa racchiude il termine “carestie” e “fami” non tutte usate nelle traduzioni in circolazione. Lo sguardo dato al passato, presente e futuro può aiutarci a comprendere quegli eventi che il Padre ha riservato per i tempi a venire. Certo, per attenderlo nel modo migliore, per essere da Lui trovati svegli e non addormentati. Amen.
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