16.41 – IL SERMONE PROFETICO XIV: LA PARABOLA DELLE DIECI VERGINI – prima parte – (Matteo 25.1-13)

16.41 – Il sermone profetico XIV: La parabola delle dieci vergini I (Matteo 25,1-13)

 

1 Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». 9Le sagge risposero: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore, aprici!». 12Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

 

Le parabole che stiamo affrontando sono le ultime esposte da Gesù e sono tutte connesse fra loro pur presentando soggetti con differenti responsabilità e compiti nella Chiesa. Finora ci siamo occupati di persone con vari ruoli (ricordiamo il “padrone di casa” o “padre di famiglia” e l’ “economo”) e qui, con le “dieci vergini” tutti coloro che fanno parte della Comunità Cristiana.

Prima di addentrarci nel testo, vediamo qual era l’uso orientale per la celebrazione dei matrimoni, che potevano seguire il protocollo in modo più o meno sfarzoso a seconda della condizione economica degli sposi. La festa di matrimonio avveniva di sera: lo sposo, con gli amici, andava a prendere la sposa a casa di lei per portarla alla propria e si formava così un corteo festante di amici e amiche (di entrambi), tutti portanti lampade accese ed era a casa del futuro marito che si tenevano i festeggiamenti. Le persone per così dire intime partecipavano alla festa fin dalle sue prime fasi, altri però si aggiungevano lungo il percorso, come nel caso di queste dieci persone e penso sia facile individuare negli amici dello sposo presenti i discepoli di Gesù di allora e nelle vergini, chiamate ad aggregarsi lungo la strada, coloro che si sarebbero uniti alla Chiesa nel corso dei secoli. È una prima lettura, perché c’è un tempo collettivo, di tutta l’umanità che ha vissuto dall’apertura della dispensazione della Grazia a quello della Fine, e uno individuale fatto di operosità e di attesa.

Prima osservazione è che l’ambiente descritto da Gesù in modo così sobrio è riferito a un matrimonio che va oltre alla realtà delle semplici persone, avendo un riferimento a Salmo 45.14,15 che è un canto nuziale che Lo riguarda. Ricordiamo ad esempio il verso 3, “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per sempre”; ora nel passaggio citato abbiamo “Entra la figlia del re: è tutta uno splendore, tessuto d’oro è il suo vestito. È condotta al re in broccati preziosi; dietro a lei, le vergini, sue compagne, a te sono presentate; condotte in gioia ed esultanza, sono presentate nel palazzo del re”. Qui, raccordandoci alla parabola, abbiamo l’onore dato a quelle vergini, cui viene concesso di essere “presentate al palazzo del re”, quindi partecipare, essere coinvolte, comprese, formare un tutt’uno con un ambiente riservato, in cui nulla di estraneo può intervenire.

È per me bello pensare che Gesù, nelle Sue parabole, a volte dà dei riferimenti assolutamente precisi dove, in alcune, ciascun elemento è un simbolo ben identificabile e in altre quello che conta è l’impressione generale che si ricava; in altri termini qui il valore risiede nell’invito e nell’appartenenza più che nella distinzione fra la sposa e le sue amiche. La festa in un palazzo regale non può essere paragonata a quella, concettualmente analoga, che si faceva anche nelle famiglie povere di un umile villaggio.

Cerchiamo di capire il concetto di verginità: il termine è solitamente applicato a una persona che non ha mai avuto un rapporto sessuale completo, ma anche per estensione a tutto ciò che è rimasto naturale, intatto, cioè senza interventi o modificazioni esterne. Vergine è sinonimo quindi di purezza, incontaminazione, è un concetto che richiede sensibilità per essere compreso ed apprezzato e mi fa pensare subito a Maria, madre del corpo di Gesù, che non avrebbe mai potuto essere scelta da Dio se non fosse stata vergine, senza cioè l’intervento di un uomo a segnare il suo corpo prima della sua gravidanza. Ricordiamo le parole “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” (Luca 1.39).

Sul tema possiamo ricordare la distinzione che fa l’apostolo Paolo tra chi è sposato e chi no, favorendo i secondi, ma specificando che la verginità è un dono e non di qualcosa che può essere imposto pena sofferenze psichiche non comuni, o considerare il testo di Apocalisse 14.3-5 riguardo ai centoquarantaquattromila: “…e nessuno poteva comprendere quel canto se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra. Sono coloro che non si sono contaminati con donne; sono vergini, infatti, e seguono l’Agnello dovunque vada. Questi sono stati redenti – originale “comprati” – tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello. Non fu trovata menzogna sulla loro bocca: sono senza macchia”.

C’è in questo verso una parola importante, “contaminati con donne”, contrapposta a “vergini”: la questione non credo sia da porsi in senso esclusivamente letterale, ma debba essere rivolta, pur tenendo conto della prima, alla non fornicazione spirituale che è l’idolatria. Ci sono infatti peccati contro il corpo ed altri contro lo Spirito, anche se i primi comportano sempre i secondi.

 

Le protagoniste della nostra parabola sono dieci vergini, potremmo dire abilitate, in quanto tali, a partecipare alla festa nuziale aggregandosi al corteo come abbiamo visto. Una volta giunte a destinazione, avrebbero avuto un ruolo nella celebrazione della festa e sarebbero state parte integrante di essa. Questa era la loro prospettiva e tutte e dieci le vediamo rispondere prontamente all’invito, “presero le loro lampade ed uscirono incontro allo sposo”, frase che esprime la finalità dell’uscire di casa anche se sappiamo che poi l’entusiasmo derivante dall’idea di partecipare alla festa, essendo l’attesa stancante per tutte, lasciò posto al torpore.

Ora soffermiamoci un poco sulle “lampade” prese da queste persone: non potevano avere in mano qualcosa di diverso perché festa e corteo si tenevano di notte e a questo punto il collegamento è con Matteo 5.15,16, “Non può restare nascosta una città sopra un monte, né si accende una lampada per tenerla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti coloro che sono nella casa”. L’applicazione spirituale però è posta al verso successivo, “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.

Paolo scriverà ai Filippesi queste parole: “Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (2.15,16).

Le lampade, a parte queste applicazioni spirituali, erano indispensabili per partecipare al corteo verso la casa dello sposo; senza di esse nessuno poteva aggregarvisi. Erano delle aste con alla sommità un piatto di rame che conteneva stracci di lino imbevuti di olio e pece che, col passare del tempo, andavano alimentati per evitare che la fiamma si affievolisse fino a spegnersi. Da notare il numero dieci, che esprime da sempre la perfezione vista nelle aspettative di Dio. Le dieci vergini rappresentano quindi l’ottimale, la totalità degli invitati alle nozze, persone conosciute da chi li ha chiamati, che mai avrebbero potuto avere accesso alla festa, cui era stato richiesto come unico requisito quello di portare con sé il necessario per alimentare il fuoco della lampada.

L’uscire “incontro allo sposo” è certamente il fine, ma non va dimenticato il mezzo e ciò che dev’essere il vissuto in quello spazio temporale che intercorre fra l’uscita e il congiungimento col resto del corteo, che troviamo ad esempio in Tito 2.13,14 “È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. E credo che in questi versi abbiamo tanto la descrizione del tempo che passa quanto dell’olio che deve essere aggiunto alla lampada.

Molti commentatori spiegano l’olio con il riferimento allo Spirito Santo ed è vero, ma se c’è lo Spirito c’è anche la luce vista nel risultato del suo ardere che si concreta necessariamente con le opere che il verso citato identifica nel rinnegare l’empietà e nel vivere in questo mondo in modo appropriato, consono alla nostra fede. È qualcosa che impegna, è una rinuncia, è un evitare, starne lontani adottando in compenso quegli atteggiamenti da utilizzare nell’attesa, parola questa che di per sé non piace a molti.

Ora sappiamo che, delle dieci vergini, metà di loro era saggia e l’altra no; Matteo usa il termine “stolte” che allude, più che ad un problema mentale, di metodo, di impostazione, direi strutturale e, alla fin fine, di scelta come in Geremia 17.5-6, “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno – cosa che vediamo più che mai nel tempo che viviamo –, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra i salsedine, dove nessuno può vivere”. E il tamerisco, appunto, ha una vita del genere.

Al contrario, i versi da 7 a 9: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le sue radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti”. Si noti la simmetria direi musicale fra i due passi che sono l’uno il contrario dell’altro, ma con in comune due piante, esattamente come l’essere umano può essere stolto o savio, come nella nostra parabola.

Nello specifico, cosa qualifica le vergini le une dalle altre? Non la bontà d’animo, non la gioia della convocazione alla festa, ma la prudenza, la previsione, il pensiero costruttivo, l’accortezza. Che l’arrivo di un corteo nuziale non poteva essere previsto, era cosa nota. Che si sarebbe dovuto attendere anche molto, pure. E ciononostante, cinque su dieci prendono le lampade senza preoccuparsi di avere con sé l’olio, che le altre prendono con sé “in piccoli vasi”. Quello che le cinque stolte fanno, anche se non sembra e quindi anche se non lo hanno pensato (ma le nostre azioni parlano molto più delle parole), è un atto di violenza e di offesa prima di tutto verso loro stesse e quindi verso lo sposo. Ricordiamo infatti che queste persone erano invitate non a uno dei tanti matrimoni che si celebravano nei paesi o nelle città, ma a una festa regale, quindi era impensabile non dotarsi del necessario. Se poi non poteva essere previsto il passaggio del corteo anche nel più normale dei matrimoni, figurarsi in uno come quello per cui dovevano aggregarsi.

Tra l’altro il motivo dell’olio risiedeva non solo nel fatto che avrebbero dovuto illuminare il cammino dello sposo, ma anche il loro sostare nell’attesa perché a quel tempo le notti erano davvero buie e l’illuminazione pubblica non esisteva. Le lampade, quindi, sarebbero dovute restare accese per un tempo indefinibile e di qui il motivo dei “piccoli vasi” che certamente le cinque sagge presero più di uno a testa. Nell’atteggiamento delle stolte c’è un senso di sufficienza a dir poco disarmante, ma ancor più una superficialità che domina su tutto: vanno incontro allo sposo senza preoccuparsi di essere presentabili con l’unica cosa che era loro richiesta, cioè avere delle lampade che avrebbero dovuto restare accese, altrimenti la loro presenza sarebbe stata senza scopo.

Ad accomunare le une e le altre è il sonno; abbiamo letto “si assopirono tutte e si addormentarono”, e ciò che è tradotto con “assopirono” è in realtà “iniziarono a dondolare il capo” che rende più l’idea della progressione, così come “si addormentarono” è più “si sdraiarono per dormire”.

A questo punto non si può non sottolineare il fatto che questa è l’unica parabola in cui ad avere un comportamento “negativo” non ci sono solo persone indolenti o poco avvedute, ma tutti i personaggi, a conferma del fatto che anche se si sa della venuta di Gesù e il perfetto compiersi delle Sue promesse, non essendo immediata, possa generare sonnolenza spirituale. Ogni giorno, salvo eventi particolari, è al tempo stesso profondamente diverso e uguale all’altro. Sarebbe bellissimo se fossimo realmente sempre vigili, ma purtroppo così non è e chi ha provato a stare sveglio la notte anche per lavoro sa che vi sono dei momenti in cui la veglia è difficile, il sonno arriva a ondate ogni due o quattro ore e resistergli senza ricorrere da elementi come caffè, cioccolato o succhi di frutta è un’impresa ardua. In molti casi, per affrontare la notte, chi riesce dorme il pomeriggio prima anche se non si dovrebbero superare i 45 minuti.

Così anche il cristiano, che nell’attesa deve pur sempre occuparsi anche delle cose di questa vita, può rimanere invischiato in faccende che riguardano la sua semplice esistenza e trascurare i suoi impegni spirituali. E anche tutto questo arriva a ondate che, se non usiamo tutta la nostra coscienza, rischia di travolgerci, fino a quando non si sente il grido, nella parabola degli spettatori al passaggio del corteo, “Ecco lo sposo, andategli incontro!” che sveglia tutte le vergini di soprassalto.

L’arrivo è improvviso, non c’è tempo di fare altro se non di alzarsi, mettere ancora dell’olio sul piatto, e andare. Ancora una volta Gesù sorprende, arriva quando meno ce lo aspettiamo e non si tratta di una frase fatta perché nella vita di ogni credente il Signore ha sempre fatto così, ci ha chiamati quando non ce lo aspettavamo, ha sempre risposto quando non ce lo aspettavamo, ci chiamerà e tornerà allo stesso modo perché non sta a noi dirgli cosa, come e quando deve agire, altrimenti non sarebbe Dio. E concludo questa prima parte con la citazione di un cartello che un amico medico ha messo nel proprio studio in modo che tutti i suoi pazienti lo vedessero: “Rilassati. Dio c’è e non sei tu”. Un messaggio chiaro che inquadra il rapporto di subordinazione fra l’uomo e il suo Creatore. Proprio per questo chi appartiene alla categoria delle vergini stolte non lo comprenderà mai. Amen.

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