12.05 – A GERUSALEMME, AL TEMPIO II/IV (Giovanni 7.20-24)

12.05 – A Gerusalemme: Al Tempio II (Giovanni 7.20-24)

           

 

20Rispose la folla: «Sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti?». 21Disse loro Gesù: «Un’opera sola ho compiuto, e tutti ne siete meravigliati. 22Per questo Mosè vi ha dato la circoncisione – non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi – e voi circoncidete un uomo anche di sabato. 23Ora, se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito interamente un uomo? 24Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!».

 

            Prima di esaminare i versi sopra riportati, occorre tenere presente ciò che avviene prima: Gesù era salito al Tempio e si era messo ad insegnare suscitando la meraviglia dei suoi avversari che non riuscivano a capire “Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?” e quindi della folla che lo ascoltava. Abbiamo quindi un doppio riconoscimento da parte di chi chi le Scritture le conosceva per tradizione e dall’altra di quanti erano abituati ad apprenderla proprio da loro. Le due categorie di persone presenti, quindi, era impossibile che non fossero stati toccati nella loro coscienza, più o meno cauterizzata, e che non ammettessero che udivano era qualcosa di nuovo, di esteso, che nessuno prima di allora aveva dimostrato di possedere, neppure i profeti che, quando annunciavano la Parola loro rivolta, era per rivelazione e non per un sapere che possedevano.

Dopo tutte quelle parole, quindi, alla domanda “Perché cercate di uccidermi?”, arriva il giudizio “Sei indemoniato!” descrittivo del fatto che i presenti Lo ritennero affetto da manie di persecuzione, un paranoico, e il riferimento al demonio che secondo loro lo animava riflette l’opinione del tempo in base alla quale chiunque si comportasse in modo diverso dagli altri ne fosse affetto. Possiamo ricordare in proposito Matteo 11. 18,19 “È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono «È indemoniato». È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono «Ecco, è un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori». Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie”, oppure ciò che dissero di lui Maria coi suoi figli in Marco 3.21 “Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti «È fuori di sé»” (vedasi il verso 31, “Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo”).

Ecco allora che, di fronte al messaggio che avrebbe dovuto implicare una severa riflessione sulla propria persona, modo di pensare e di vivere per prendere gli opportuni provvedimenti, si sceglie la via più breve per liquidare il problema del ravvedimento e continuare nei propri errori come se nulla fosse: le parole “Sei indemoniato!”, o come altri traducono “Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?”, costituiscono il segno che i presenti non ritenevano possibile che i capi del popolo, su cui gravava la responsabilità della conduzione spirituale di Israele, potessero arrivare ad uccidere Gesù.

A questo punto vediamo che Nostro Signore non risponde chiaramente alla loro domanda, ma ancora una volta desidera porre le premesse affinché i presenti non giudichino “secondo le apparenze”, ma “con giusto giudizio” e prima di tutto ricorda il miracolo avvenuto in Betesda con l’infermo pochi mesi prima. Ricordiamo che la persona guarita si trovava in quelle condizioni da trentotto anni, numero che ci parla del cammino penalizzante dell’uomo che si è allontanato da Dio e che si raccorda a Deuteronomio 2.14 in cui leggiamo “La durata del nostro cammino, da Kades-Barnea al passaggio del torrente Zered, fu di trentotto anni, finché tutta quella generazione di uomini atti alla guerra scomparve dall’accampamento, come il Signore aveva loro giurato”. I trentotto anni, allora ci parlano di incredulità perché quello fu il peccato degli esclusi dalla terra promessa, e del fatto che viene un tempo in cui l’uomo proverà su di sé le conseguenze della sua trasgressione: “Saprete cosa comporta ribellarsi a me” (Numeri 14.34), perché se non esiste errore che non si paghi, in un modo o in un altro, lo stesso avviene per il peccato.

Possiamo sottolineare il verbo “ribellarsi” che appartiene all’Avversario, che così fece in Eden, ma anche a tutti quegli uomini che decidono di non seguire il volere di Dio, di non cercarlo allora come oggi e che quindi, al momento opportuno, sapranno “cosa comporta”.

La liberazione dell’infermo di Betesda, allora, poteva venire solo da Dio e non da un guaritore qualunque; si trattava di un miracolo specifico che rivestiva una grande quantità di significati visti in minima parte nel capitolo a lui dedicato e il riferimento di Gesù in questo episodio non è casuale: “Un’opera sola ho compiuto e tutti ne siete meravigliati” è il riferimento a ciò che avvenne e di cui ancora persisteva il ricordo; ricordiamo che Gesù passo di là non per caso, ma nemmeno in un tempo ordinario perché a Gerusalemme c’era un’altra festa, forse la Pentecoste, e di quel miracolo non furono informati solo gli abitanti della città, ma anche la gente di tutti quei territori vicini e lontani dai quali provenivano i pellegrini.

Ricordiamo che la guarigione dell’infermo avvenne di sabato, giorno per il quale al tempo di Gesù esistevano ben 1.521 azioni che non era permesso fare: se Esodo 20.10 stabiliva che di sabato non andasse fatto alcun lavoro, i farisei avevano fatto un primo elenco che contemplava il divieto di seminare, arare, mietere, legare i covoni, trebbiare, vagliare, scegliere, macinare, ventilare, impastare, cuocere, tosare la lana, imbancarla, cardarla, tingerla, tessere, ordire, fare due fili, intrecciare due fili, separare due fili di una corda, annodare, sciogliere, cucire due punti, strappare il filo per cucire due punti, cacciare, uccidere, scuoiare, salare, conciare, raschiare, tagliare, scrivere due lettere dell’alfabeto, cancellare, costruire, demolire, accendere un fuoco, spegnere un fuoco, battere con il martello, portare una cosa da un posto a un altro. Per ognuna di queste voci, per un totale di trentanove, ne erano altrettante costruite su ciascuna di esse, fra le quali il divieto di consolare le persone in lutto e visitare gli ammalati per cui, moltiplicando 39×39, abbiamo 1.521 proibizioni. Ecco un esempio della puntigliosità farisaica.

Ecco perché il miracolo di Betesda, fatto di sabato, aveva provocato nei rettori del popolo indignazione ed orrore a tal punto da ritenere Gesù degno di morte. Come ha detto un fratello, il bene della dottrina (escogitata dall’uomo) era più importante del bene dell’uomo, creatura di Dio. E poco importava che questa creatura fosse stata liberata dal peccato e dai suoi effetti, visti appunto nei trentotto anni d’infermità caratterizzati non solo dall’impossibilità della persona di muoversi, ma dall’umiliazione provata per la mancanza di aiuto che il suo prossimo non gli dava, dall’oltraggio del venire ignorato, emarginato.

A questo punto Nostro Signore chiama in causa la circoncisione, orgoglio degli ebrei, segno di appartenenza dei maschi al popolo eletto: “Mosè vi ha dato la circoncisione – non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi” è la prima parte del verso 22. Abbiamo così un richiamo a Levitico 12.3 quando la circoncisione viene istituita ufficialmente, ma il richiamo ai “Patriarchi” è un primo invito-lezione a riflettere sul significato originario di ciò che aveva finito, ai tempi di Gesù, per diventare un mero rito e un segno di distinzione fine a se stesso. Il riferimento è infatti ad Abramo cui Dio, dopo avergli promesso il territorio di Canaan, disse “Da parte tua devi osservare la mia alleanza tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso fra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza fra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso fra voi ogni maschio di generazione in generazione, sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comprato con denaro: così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza” (Genesi 17.9-14).

La circoncisione era quindi il segno esteriore dell’appartenenza, dell’adesione al Patto di Dio con l’uomo che, allora, non poteva averne altri e proveniva, come spiegò l’apostolo Paolo, in seguito alla giustizia che Abramo aveva conseguito per fede: “Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso” (Romani 4.11). E dobbiamo tener presente che i credenti giudei che componevano la Chiesa di Roma erano molti e che tanti sono, in questa lettera, i riferimenti al giudaismo.

Quindi, quando Gesù afferma “Non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi” intende proprio questo: senza fede non solo è impossibile piacere a Dio (Ebrei 11.6), ma anche avere una visione corretta delle cose, dove per “corretto” intendiamo consono alla vera realtà, quella spirituale, che chi non crede non può avere. Ricordiamo le parole della lettera a Tito 1.15: “Tutto è puro per chi è puro, ma per quelli che sono corrotti e senza fede nulla è puro: sono corrotte la loro mente e la loro coscienza”. Così era per gli avversari di Gesù, che non avevano posto il circoncidere “un uomo”, cioè un maschio, in giorno di sabato nei trentanove divieti originari per non infrangere un altro comandamento di Mosè, quello visto in Levitico 12.3, “L’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio del bambino”. “Ottavo giorno” perché è lì che il sangue ha il maggior potere coagulante.

Per i farisei e i rettori del popolo, che avevano finito per corrompere le coscienze altrui quali “pastori che disperdono il gregge”, si poteva intervenire chirurgicamente, ma non guarire, consolare, esercitare la carità nel suo senso più nobile del termine. Gesù aveva guarito di sabato e questo era stato visto come un lavoro, quasi che avesse dovuto trasportare dei pesi o fare comunque fatica per arrivare a quel risultato: aveva invece detto “soltanto una parola”.

Altra sottolineatura va fatta proprio sulle ultime parole di Nostro Signore che non dice “ho guarito un uomo”, ma “interamente un uomo”, con riferimento al suo ristabilimento più immediato visto nel fatto che camminava, ma soprattutto a quello spirituale: l’infermo di Betesda aveva ricevuto il perdono di Dio che si manifestava in modo tale da essere definito “interamente guarito”. Questo particolare agli uditori di Gesù era sfuggito, perché mai avrebbe potuto essere compreso, allora come oggi nel momento in cui menti superficiali, indipendentemente dalla loro cultura, affrontano i miracoli vedendone il risultato, ma non l’origine primaria. Qualunque cosa venga vista con gli occhi della carne non potrà mai essere valutata correttamente nel senso di essere liberatoria, guidare alla verità.

Infine l’esortazione “Non giudicate secondo le apparenze, ma con giusto giudizio” solo apparentemente è tale essendo un richiamo scritturale a Deuteronomio 1.17 che in quella circostanza veniva assolutamente disattesa: “Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali, darete ascolto al piccolo come al grande. Non temerete alcun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio”. Ecco allora che l’insegnamento qui è al non giudicare le cose con precipitazione, o ignoranza, o secondo le apparenze esterne, ma dopo un attento vaglio materiale – perché siamo sulla terra – e spirituale, perché questo non va mai disgiunto da noi. Perché “l’uomo spirituale giudica ogni cosa senza poter essere giudicato da nessuno” (2 Corinti 2.15). Amen.

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