16.25 – Contro i farisei II (Matteo 23.13-22)
13Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. [ 14]15Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geenna due volte più di voi.16Guai a voi, guide cieche, che dite: «Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato». 17Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? 18E dite ancora: «Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato». 19Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? 20Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; 21e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. 22E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.
Non sarà sfuggita, leggendo il testo, la mancanza del verso 14. Ciò è dovuto al fatto che in alcuni testi antichi è omesso, mentre in altri è anteposto al 13; e si è supposto che sia stato preso da Marco 12.40 (“Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere”) o da Luca 20.47 che impiega parole analoghe.
Sottolineando i termini coi quali vengono definiti gli scribi e farisei in questo passo, “Ipocriti” (due volte), “guide cieche”, “stolti e ciechi” e infine “ciechi”, cerchiamo di svilupparli.
IPOCRITI
Il primo, “ipocriti”, in italiano definisce coloro che fingono virtù, qualità o sentimenti che non hanno dissimulando le proprie qualità negative, quei sentimenti di avversione e di malanimo che li animano col fine di ingannare gli altri o di guadagnarsene il favore. “Ipocrita”, in origine dal greco, sappiamo che indicava semplicemente l’attore, cioè chi recita una parte, entra in un personaggio che non corrisponde alla sua persona e quindi a chi è veramente, recita un ruolo che cerca di rappresentare nel modo più efficace possibile. Se quindi questo modo di essere può valere nello spettacolo, essere un attore nella vita reale è qualcosa di negativo perché chi agisce in tal modo lo fa simulando i propri veri scopi. L’ipocrisia dei farisei è l’origine di tutto il negativo che avevano e le conseguenze sono descritte nei versi da 12 a 15. Fra l’altro, quando il termine “ipocriti” appare, nel Vangelo è sempre riferito a un comportamento religioso dove l’esempio più lampante è reperibile in Marco 7.6 in cui leggiamo “Ed egli rispose loro – scribi e farisei –: «Bene ha profetizzato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono il culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini»”.
L’ipocrisia quindi, in questo caso, non è solo finzione, ma deviazione verso l’Avversario visto nelle parole “lontano da me” e “invano”: nel momento in cui si scopre che il prossimo può essere ingannato con atteggiamenti esterni, quindi religiosi, che simulino la fede autentica, ecco che si realizza un ruolo perverso che non può che portare a risultati disastrosi il primo dei quali è “chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare”.
“Chiudere” invece di aprire, che sarebbe stato teoricamente il ruolo degli scribi e dei farisei che, se non avessero avuto il cuore lontano e non fossero stati ipocriti, avrebbero condotto il popolo verso il Cristo. Luca, in 11.52, fa dire a Gesù in che modo queste persone avrebbero potuto chiudere il regno dei cieli al loro prossimo: “Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare lo avete impedito”. E qual è la “chiave”? L’unica possibile è contenuta negli scritti dell’Antico Patto, che tutti loro conoscevano materialmente alla perfezione, ma non spiritualmente. “Portar via la chiave” significa proprio fare in modo che Gesù non fosse riconosciuto come “figlio di Davide”, con tutto quello che segue, così annullando di fatto tutta la Legge che, come sappiamo, è “un pedagogo che porta verso Cristo, perché fossimo giustificati per la fede” (Galati 3.24).
Ricordiamo infatti le parole di Filippo a Natanaele, “Noi abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti”, e dell’apostolo Pietro nella sua prima lettera: “Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciarono la grazia a voi destinata” (1a 1.10). Quindi Legge e Profeti contenevano una chiave che avrebbe aperto il regno dei cieli, ma le guide religiose del popolo, ancorate alla loro tradizione e non della Parola di Dio, di fatto ne impedivano il possesso. Non resta che concludere che la stessa cosa la fa oggi, come in passato, chiunque introduce dottrine e comportamenti estranei al Vangelo di Gesù Cristo nella Chiesa distogliendo le anime da Lui.
Inseriamo il verso 14, “Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti, perché divorate le case delle vedove e ciò, fingendo di far lunghe orazioni; per questo riceverete una maggiore condanna”: abbiamo qui un altro metodo distruttivo in oltraggio a tutti i passi della Legge che proteggeva l’orfano e la vedova, che con la morte del marito si trovava priva di un mezzo di sostentamento, maledicendo in modo particolare i loro oppressori e addirittura chi li maltrattava. Ricordiamo Esodo 22. 21.22, “Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani” e altri (Deuteronomio 10.18; 24.17; 27.19) che, in quanto ripetuti come concetto, danno l’idea dell’importanza del tema.
Ebbene, se la Legge proibiva addirittura di prendere “in pegno la veste della vedova”, queste persone le sfruttavano in modo ignobile, inducendole a dar loro una parte del loro reddito (qualora lo avessero, ma di certo era molto misero) con la scusa dell’avanzamento del regno di Dio mentre si servivano di quel denaro per sé, oppure si facevano concedere l’amministrazione dei loro eventuali beni, che naturalmente corrodevano fino a quanto non se ne impadronivano completamente o li esaurivano. Le preghiere di questa gente, che sappiamo sempre ostentate pubblicamente, erano l’arma di cui si servivano contro quelle donne, fatto non nuovo perché già Isaia in 1.15,17 lo denunciava: “Quando stendete le mani – per pregare, mani che avrebbero dovuto essere pure – io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue, Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano – cosa che non facevano –, difendete la causa della vedova – anziché opprimerla –”.
Abbiamo letto che, a seguito di queste azioni, scribi e farisei riceveranno una “condanna maggiore” proprio perché al reato contro le vedove aggiungevano il pretesto della preghiera e del loro poter progredire dietro offerta.
Il verso 15 riguarda la cura e la metodologia farisaica per fare proseliti: percorrere “il mare e la terra per fare un solo proselito” è un’espressione proverbiale per indicare l’impegno che mettevano nel cercare chi potesse un giorno diventare come loro non tra i connazionali, ma paradossalmente tra i pagani, gli unici che potevano essere chiamati “proseliti”, come abbiamo visto con i Greci che volevano vedere Gesù. Ora, trascinando questi dal paganesimo a un ebraismo vuoto, scribi e farisei li ponevano in una condizione ancora peggiore della prima perché li spostavano da uno stato di ignoranza semplice a una in cui la Verità era a portata di mano, ma la nascondevano e sostituivano con le loro pratiche e precetti.
GUIDE CIECHE
Questa seconda definizione ci presenta l’assurdità della situazione e ci fa venire in mente subito la frase “Lasciateli, sono ciechi, guide di ciechi. Se un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno nella fossa” (Matteo15.14; Luca 6.39). L’unico antidoto a questa rovina è in Galati 5. 18 che sostiene la necessità di camminare “secondo lo Spirito” e, guardando l’Antico Patto, nella preghiera di Salomone quando chiese “Ora concedimi saggezza e scienza, perché io possa guidare questo popolo” (2 Cronache 1.10). Ricordiamo che, a seguito di quella richiesta, “Iddio disse a Salomone: «Poiché tu hai avuto in cuore questo, e non mi hai chiesto ricchezze né potere o gloria, né la vita dei tuoi nemici e nemmeno lunga vita, anzi hai chiesto saggezza e scienza per poter guidare il mio popolo sopra il quale ti ho costituito re, saggezza e scienza ti sono date, e anche ti donerò ricchezze, potere e gloria che nessun re ha avuto prima di te, né avranno quelli che verranno dopo»”.
La condizione di “guide cieche” degli oppositori di Gesù, quindi, era mancante già dalle origini nel senso che si affidavano a un sapere umano senza mai confrontarsi con il Solo che avrebbe potuto dar loro la capacità di intendere. E si badi che non è la cecità ad essere vista come un peccato, ma la presunzione e la valutazione positiva che scribi e farisei davano di loro stessi: “Se voi foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane” (Giovanni 9.41).
Ma cosa vedevano, o credevano di vedere, queste persone? Nostro Signore cita due esempi, fra i tanti che poteva portare, tutti riferiti al giuramento, tema da Lui affrontato nel sermone sul monte quando lo proibì dichiarando di attenersi a un “sì” o a un “no”. Scribi e farisei, infatti, dividevano il giuramento in due categorie, una vincolante e l’altra no, procurandosi quindi un alibi per ingannare il prossimo talché i pagani, conoscendo quest’uso, costringevano gli Ebrei a giurare sul nome di YHWH con la formula “Am hai Elohim”, “Come Dio vive”.
La frase “Se uno giura per l’oro del tempio resta obbligato” trova la sua origine in Esodo 30.28 quando leggiamo “…le loro offerte – del popolo – apparterranno al Signore”, ma questa frase fu interpretata in senso assoluto, dimenticando, penso volutamente, che quelle si trovavano nel Tempio, allora dimora dell’Iddio Vivente e Vero per cui andava da sé che quanto donato veniva santificato in quel luogo.
Questa incapacità di inquadrare correttamente i principi scritturali di cui quelli relativi al giuramento sono solo un esempio, producono la qualifica di
STOLTI E CIECHI
Lo stolto è chi ha poca intelligenza e si comporta in modo insensato; qui Gesù fa riferimento a due condizioni, la prima umana e la seconda, la cecità, spirituale. Infatti la stoltezza allude all’incapacità di ragionare e agire in modo sensato, mentre la cecità al non vedere anche le cose macroscopiche: se l’altare veniva consacrato e “tutto ciò che toccherà l’altare sarà sacro” (Esodo 29.37), andava da sé che ciò che quelle persone insegnavano alla gente (vv 18-22) era una cosa assurda a tal punto che Nostro Signore ripete ancora una volta “Ciechi!”, facendo seguire un discorso teso a incentrare la responsabilità che si assume colui che giura, non certo approvandolo.
Concludendo questa seconda parte, se considerassimo le parole del passo in esame come storiche o limitate al tempo di Gesù, sbaglieremmo perché altrimenti Matteo le avrebbe riportate in minima parte. Purtroppo, il metodo farisaico è vivo ancora oggi, solo i personaggi sono cambiati e sta alla persona individuarli, visto che l’uomo è sempre lo stesso e soprattutto l’Avversario non può che continuare a ripetersi. E il Figlio Eterno di Dio che ha parlato, non ha mai espresso opinioni, ma solo verità. Amen.
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