19.39 – IL SERMONE PROFETICO 12: IL LADRO E IL PADONE DI CASA (Matteo 24.42-44)

16.39 – Il sermone profetico 12: Il ladro e il padrone di casa (Matteo 24.42-44)

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

            Gli interessati alla successione cronologica del testo, avranno notato che ho omesso di affrontare i versi da 33 a 41 perché già affrontati nel quindicesimo volume. Dal verso 42 Gesù inizia a parlare di una necessità direi vitale per il credente, e cioè la veglia, cui abbiamo accennato a volte in queste riflessioni, ma che non abbiamo mai sviluppato. Leggiamo, per dovere di raccordo, ciò che precede, anche perché è scritto “Vegliate dunque”, cioè “alla luce di quanto vi ho detto”, ovvero “Come furono i giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorno che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrò portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata” (vv.37-41). Come sempre, sono parole suscettibili a una plurilettura temporale.

            Il “dunque”, rimanda anche a quelle situazioni che avevano portato alla decisione, da parte del Creatore, di distruggere l’umanità che aveva finito per staccarsi da Lui, salvo Noè e la sua famiglia. Ricordiamo che i suoi contemporanei “non si accorsero di nulla” non perché non videro quel profeta costruire l’arca e non gli chiesero spiegazioni di cosa stesse facendo, ma semplicemente in quanto, impegnati a vivere il loro attimo, furono impermeabili alla sua testimonianza. Infatti, nella sua seconda lettera, l’apostolo Pietro descrive Noè come “messaggero” (o “predicatore”) di giustizia (2.5), sia in parole ma soprattutto in opere, eppure “non si accorsero di nulla”.

            Anche oggi l’umanità corre verso un futuro di totale abbandono, insensibile a qualunque impostazione di vita e metodi anche solo ordinati e armonici, intenta ad ascoltare unicamente le proprie pulsioni. Questo non solo moltiplica l’insensibilità interiore, ma genera il sonno di qualsiasi ragione, priva della possibilità di ascoltare anche solo un debole richiamo di ordine morale. Se un tempo i regimi cercavano di inculcare nelle persone un’ideologia, per quanto enormemente distante dall’etica e pratica cristiane, oggi assistiamo a un allevare le nuove generazioni (e possibilmente a portare le vecchie) verso una acultura totale e ad ogni livello, concentrandola su bisogni che tali non sono, distraendoli ed indirizzandoli esclusivamente verso il futile, spostando l’asse della coscienza, che si forma col tempo e l’esempio, verso una zona neutra, areattiva, quella preferita dall’Avversario.

            L’invito di Gesù ai discepoli, “Vegliate dunque”, riguarda non il condurre un’esistenza senza sonno, ma fondamentalmente a gestire la propria vita con sobrietà e attenzione. A fronte del gran numero dei discepoli, dobbiamo tener presente che pochi sono quelli ricordati per nome, uomini e donne, e che la maggioranza di loro, pur conosciuta da Gesù nel profondo del loro essere, condusse una vita semplice, senza compiere miracoli o grandi predicazioni, ma portando dentro di sé, facendolo germogliare, il seme della Parola. E questo bastò loro per avere quel “posto” che il loro Signore andò a preparare nel Regno dei cieli.

La veglia, quindi, consiste nel non consentire agli elementi del mondo di prevalere sull’impegno spirituale, ciò che faranno i personaggi che, a parte il “padrone di casa” di cui abbiamo letto, verranno da Nostro Signore citati con parabole in questo sermone, e cioè i due servi (il prudente e il malvagio), le dieci vergini e quelli che operarono facendo fruttare i talenti loro affidati.

            Così l’apostolo Pietro sintetizza il concetto: “Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (Ia, 5.8). Ora il “divorare” dell’avversario non consiste in altro se non nell’inglobare la persona nello stesso destino di morte e perdizione che ha lui; per farlo procede a un suo lento, inesorabile controllo, come ha sempre fatto da Eva in avanti.

L’Avversario non si pone mai di fronte al proprio bersaglio in tutta la sua pericolosità esattamente come un predatore si muove in silenzio facendo attenzione a non produrre rumori, intervenendo al momento propizio, come fece Erodiade che meditava da tempo il modo perché Giovanni Battista fosse ucciso: “Venne però il momento propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea” (Marco 6.21). L’Avversario si mimetizza, tanto lui quanto la tentazione che presenta, a prescindere dal genere, proponendola sempre come qualcosa di naturale, appetibile e legittimo, prima sminuendone e poi annullandone la portata e le conseguenze agli occhi di chi è da lui sedotto. E ancora una volta, se andassimo al testo di Genesi della tentazione, troveremmo descritta tutta la strategia di questo personaggio che, come ci ha illustrato Pietro, “va in giro cercando”, cioè studiando chi tra i suoi bersagli può essere una preda facile. I forti non subiscono le sue attenzioni quando sono tali, ma solo quando eventualmente, per i motivi più svariati, scoprono i loro punti deboli ed ecco perché sobrietà e veglia sono sistemi importanti per venire da lui evitati. Leggiamo infatti “Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi” (Giacomo 4.7).

            Vediamo come l’apostolo Paolo affronta il tema: “Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate” (1 Tessalonicesi 5.5-11).

Sono parole che meritano un breve approfondimento, poste proprio a commento della necessità della vigilanza nell’attesa. Infatti abbiamo: “Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrò come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie di una donna incinta, e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro” (vv.1-5).

Poi, riguardo ai versi che abbiamo letto, vediamo l’identità cristiana che si riassume nell’appartenenza al giorno, dove ogni cosa è illuminata, ma il vigilare e lo stare sobri è parte integrante della vita. Quanto alla pericope “sia che vegliamo, sia che dormiamo”, è riferita a chi sarà in vita, o si sarà addormentato nel Signore con la morte del corpo e verrà chiamato ad unirsi a Lui con la risurrezione.

Ancora in Romani 13.11-14 “…è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la vostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. (…) Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne”. E in Apocalisse 16.15 è Gesù stesso a dire “Ecco, io vengo come un ladro. Beato è chi è vigilante e custodisce le sue vesti per non andare nudo e lasciar vedere le sue vergogne”. Quest’ultimo passo ci consente di ampliare il concetto della nudità, rimandandola a quella di Adamo ed Eva, che la scoprirono solo dopo aver trasgredito e quindi perduto la loro originaria dignità spirituale: chi non sarà trovato “vestito” – ricordiamo “rivestiti di Cristo” di Galati 3.27 – non avrà più Dio Padre come sarto, che “fece all’uomo e sua moglie delle tuniche di pelli e li vestì” (Genesi 3.21), ma conoscerà solo una nudità senza rimedio, con le proprie “vergogne”, cioè tutte le sue azioni negative, irrimediabilmente scoperte.

Tornando al testo, ecco la prima delle quattro parabole che Gesù esporrà per far capire l’inopportunità del sonno a fronte del Suo ritorno: “Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”. È interessante il verbo usato per “scassinare”, che se tradotto letteralmente non sarebbe capito da nessuno perché è in realtà “perforare” in quanto in Palestina, essendo le case di terra, era facile entrare facendo un buco nel muro, con poco rumore. Una persona abile, quindi, poteva riuscire ad entrare in casa altrui senza svegliare il proprietario. La veglia, invece, con l’orecchio attento ai più piccoli rumori nel silenzio della notte, avrebbe consentito di reagire e la Legge di allora dava la non punibilità a chi avesse ucciso il ladro, a condizione che il tutto avvenisse col buio: “Se un ladro viene sorpreso mentre sta facendo una breccia in un muro e viene colpito e muore, non vi è per lui vendetta di sangue. Ma se il sole si era già alzato su di lui, vi è per lui vendetta di sangue” (Esodo 22.1,2).

Nel paragone con il padrone di casa, che altre versioni traducono con “padre di famiglia”, emerge allora tutta la necessità dell’attenzione a che il ladro non entri: ci sono beni e persone da difendere, a qualunque costo, anche quello della vita del ladro, per il quale la Legge eliminava “la vendetta di sangue”, vale a dire il diritto dei parenti a vendicare la morte dell’ucciso secondo il principio de “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede” (Deuteronomio 19.21).

Se quindi consideriamo il personaggio della parabola come un “padrone di casa”, abbiamo un uomo che difende unicamente la sua proprietà, ma se lo vediamo come “padre di famiglia”, ecco la responsabilità sulla propria moglie e, presumiamo, i figli, vale a dire: se quella persona non presta attenzione e non prende le contromisure del caso, a soffrirne le conseguenze non sarà solo lui, ma anche tutte le persone che si trovano sotto la sua responsabilità. Ci pensino bene coloro che sono stati chiamati a pascere il gregge di Cristo, o che se ne assumono le vesti e poi conducono una vita non conforme, come nella parabola che esamineremo nelle prossime riflessioni.

Ora, per la nuova economia della Grazia, ogni credente è “padrone di casa” o “padre di famiglia” perché il legame che si è venuto a creare dopo il battesimo (responsabile) è doppio, vale a dire tra lui e Gesù Cristo (e quindi col Padre) e con i fratelli e le sorelle, per cui non esiste cristiano che sia responsabile prima di tutto verso se stesso e poi, con la stessa importanza, nei confronti degli altri nel senso che la benedizione che ottiene da Dio si riversa sui suoi confratelli e, allo stesso modo, il procedere stentatamente nella fede, con scelte inopportune, non ponderate e superficiali, impedisce il progresso di quanti sono a lui collegati, perché non vedono un esempio e si trovano limitati nelle loro azioni e scelte.

Ecco allora che lo stare “sobri” implica il fare attenzione, andare oltre a una semplice condizione, soprattutto il non fraintendere, come ad esempio in Luca 12.15, “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede”.

Abbiamo anche Colossesi 2.8, “Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo”, altro punto fermo della vigilanza cristiana che richiama sempre le tattiche dell’Avversario, che traveste e si traveste, inquinando con discorsi apparentemente spirituali la verità e la Parola.

L’apostolo Giovanni, infine, scrive “Fate attenzione a voi stessi – non agli altri – per non rovinare quello che abbiamo costruito e per ricevere una ricompensa piena”: piena, non parziale, non ridotta. E qui la veglia e la sobrietà si trasformano in operatività, in esame del nostro passato per vedere se esistono modi per rimediare ad errori oppure se, nel nostro vivere, abbiamo degli elementi di biasimo che ci potremmo portare dietro nel mondo a venire, quando certamente, se non rimossi, emergeranno e suoneranno a nostra condanna.

È una pratica di fede. È una pratica di vita. “Perché, nell’ora che non immaginate, verrà il Figlio dell’uomo”. Amen.

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