07.01 – LE DONNE AL SEGUITO DI GESÙ (Luca 8.1-3)

7.01 – Le donne al seguito di Gesù (Luca 8.1-3)

1In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici 2e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; 3Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni”.

            Dopo quanto avvenuto in casa di Simone, Luca ci parla della scelta di Gesù di intraprendere un viaggio missionario “per città e villaggi” della Galilea a predicare: non si accontentava quindi del fatto che venisse a lui l’umanità più varia dai paesi circonvicini, ma andò personalmente a cercare quanti non avevano avuto possibilità di intraprendere un viaggio più o meno lungo per ascoltarlo. Il nostro testo specifica che il gruppo di Gesù era composto dagli apostoli e da donne che parteciparono alla vita di quel gruppo, rientrandone quindi a pieno titolo, condividendone fatiche e testimonianza. Un dettaglio molto significativo lo rileviamo al verso 2 e cioè che si trattava di persone “guarite da spiriti cattivi e da infermità” al pari di molti altri uomini nei cui confronti Nostro Signore aveva operato: dov’erano finiti? Perché non Lo avevano seguito, al pari di quelle donne, che se interpellati avrebbero potuto testimoniare quanto la loro vita fosse stata cambiata da una Sua semplice parola? Ricordiamo quanto dettogli dal centurione di Capernaum, “Di’ soltanto una parola, e il mio servo sarà guarito” (Matteo 8.8). Queste donne, quindi, non si accontentarono di avere ricevuto una guarigione nel corpo o nella mente, ma decisero di abbandonare quello che il mondo offriva loro per il servizio apostolico nella sua parte nascosta. E tutto il gruppo che partì da Capernaum seguì la strada della rinuncia prima ancora di quella che portava alle varie “città e villaggi” della Galilea che incontreremo.

Soffermiamoci brevemente sugli anni che aveva Gesù: erano trenta quando aveva iniziato il Suo Ministero Pubblico, in ossequio al fatto che i Leviti lo iniziavano proprio a quell’età secondo Numeri 4.3 “Registrate tutti gli uomini, dai trenta ai cinquant’anni: saranno arruolati per prestare servizio alla tenda dell’incontro”; c’è infatti un nesso tra il ministero sacerdotale degli appartenenti alla tribù di Levi e quello di Nostro Signore, poiché anche quegli uomini dipendevano da Dio non solo per le pratiche religiose, ma per il loro sostentamento essendo le altre tribù quelle che, tramite l’istituzione della decima, dovevano provvedere a loro. Infatti leggiamo “I Leviti non riceveranno in possesso un territorio come le altre tribù d’Israele. In cambio io do loro in possesso le decime che gli israeliti mi offriranno” (Numeri 18.24). È quindi giusto sostenere che Gesù e i suoi discepoli abbandonarono tutto per seguirlo e compiere quelle opere che il piano di salvezza per gli uomini contemplava. Ricordiamo Lui stesso, che aveva appreso il mestiere di falegname–carpentiere dal padre, avrebbe potuto tranquillamente vivere dignitosamente nella sua originaria città di residenza, Nazareth.

Altra considerazione poi va fatta guardando quei dodici che lo seguivano: anche loro avevano un lavoro e delle relazioni sociali che lasciarono vivendo come il loro Maestro. Come scrisse una amico, “A volte l’ospitalità risolveva in parte il loro «Dacci oggi il nostro pane necessario», ma anche altre occasioni consentivano la soluzione: ricordiamo ad esempio gli episodi delle necessità più evidenti, le “Nozze di Cana”, il “Convito a casa di Simone il fariseo” ed altri ancora”. Di quel viaggio e non solo abbiamo quindi due atteggiamenti, quello di Gesù e di coloro che lo seguivano: il primo sapeva tutto quel che avrebbe fatto, chi avrebbe incontrato, guarito e cosa avrebbe detto, i secondi altro non potevano fare se non mettere in pratica anzitempo quel metodo che poi stabilirà l’apostolo Paolo in Ebrei 12.2: “Teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ci ha aperto la strada della fede e ci condurrà fino alla fine” che riassume in un solo verso uno degli aspetti fondamentali di quella che dovrebbe essere la nostra vita dall’incontro con Lui all’eterna dimora, la fine, il fine.

Non possiamo non “Tenere fisso lo sguardo in Gesù” quanto ad esempio e parole, che ci consentono di camminare su sentieri di vita e non di morte, di percorrere una strada senza distrarci perché c’è un obiettivo da raggiungere. E infatti la strada che percorriamo oggi è la stessa di quella intrapresa da molti altri fratelli e sorelle che ci hanno preceduti nel tempo e che ora l’hanno conclusa perché è Lui che, appunto, ci conduce “fino alla fine”.

Luca, poi, ci parla di “alcune donne” e ne menziona tre, segno che quelle citate per nome non furono le uniche: che vi fosse anche la peccatrice innominata che abbiamo incontrato recentemente, perdonata per l’amore dimostrato verso Gesù, in cui vedeva colui che la poteva salvare? Non lo sappiamo, certo è che Maria di Magdala, Giovanna e Susanna non erano persone comuni né per carattere, né per posizione.

 

Maria di Magdala

Era una donna indipendente come le altre del gruppo ed era originaria dell’omonima città chiamata anticamente “El Migdel”, cioè “Torre del faro”, posta sulle rive occidentali del Lago di Galilea. È falsamente ricordata dalla tradizione per essere stata una prostituta e, per giustificare il suo mestiere, si è venuto fare una connessione tra i “sette demoni” da cui fu effettivamente liberata, coi “sette peccati capitali” che sempre la tradizione ha estratto “filosoficamente” dalla lettura delle Scritture. I “sette demoni” hanno invece connessione con una totale infermità mentale che la spingeva a compiere azioni sconnesse in quanto l’Avversario era riuscito a soggiogarla totalmente, al punto da poterla mettere in relazione all’indemoniato di Gadara presso il quale dimorava una “legione di demoni”. Di questo innominato leggiamo: “Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre” (Marco 5.3-5). Questo è un aspetto della possessione, non certo la vendita del proprio corpo ad altri.

Credo che di questa Maria non abbiamo nessun racconto riferito alla sua vita passata perché non rileva cos’era un essere umano prima del suo incontro col Cristo, ma quello che ha fatto dopo. Certo è che, con questo accenno ai sette demoni che la possedevano, possiamo capire che Maria seguiva Gesù ed ebbe con lui un rapporto che altre non ebbero proprio perché memore dell’esistenza che conduceva prima del suo incontro con Lui e del suo vecchio stato di miseria morale e spirituale.

È poco probabile che Maria sia stata presente dalla partenza del gruppo da Capernaum soprattutto perché le sue condizioni di indemoniata difficilmente le avrebbero consentito di fare un viaggio, da sola o accompagnata, da Magdala alla città in cui Gesù abitava. Dobbiamo perciò concludere che si aggregò al gruppo quando, dopo la seconda moltiplicazione dei pani, “Dopo aver rimandato a casa la folla, Gesù sì sulla barca e andò nel territorio di Magdala” (Marco 15.39).

La vediamo, a differenza di alcuni discepoli sfiduciati dopo la morte del loro Maestro che iniziavano a dubitare che potesse effettivamente risorgere, andare a visitare il sepolcro con Maria di Cleopa (Matteo 28.1), sappiamo che non temette di essere additata al pubblico disprezzo come sua seguace quando, con Maria madre di Jose, stava ad osservare dove veniva deposto il corpo del Signore. Maria Maddalena, poi, in un passo a me molto caro, è l’unica persona a chiamare Gesù con un possessivo identico, ma diverso a livello spirituale da quello di Tommaso, “Mio Signore”: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto” (Giovanni 20.13). È a lei che Gesù, premiandola, appare per prima una volta risorto: scrive infatti Marco “Risuscitato al mattino del primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni” dandole così anche il privilegio di annunciare ai suoi discepoli l’avvenuta risurrezione. Credo che le si possa attribuire, fatte le proporzioni fra maschile e femminile, la stessa importanza dell’apostolo Pietro, così come Giovanna per Giacomo e Susanna per Giovanni, testimoni di eventi che gli altri discepoli e apostoli non videro.

 

Giovanna

È la conferma del fatto che Gesù non è solo “venuto per i poveri” e che il “Guai a voi, ricchi” non riguarda la quantità dei beni che uno possiede, ma l’uso che se ne fa e l’importanza che questi rivestono nella vita della persona. Giovanna era un’aristocratica, ma se quel “Cuza” fosse stato quell’ ”ufficiale del re” che aveva il figlio che stava per morire, poi guarito da Nostro Signore (Giovanni 4.46-53), spiegherebbe il motivo della sua presenza nel gruppo. Giovanna, il cui nome significa “Amata da Dio”, sarebbe, secondo questa ipotesi, la madre di quel giovane e il marito, per gratitudine, non avrebbe certo posto opposizione di fronte alla sua scelta di seguire Gesù per il tempo che avrebbe voluto. È però doveroso segnalare che non troviamo altre sua notizie nei Vangeli, per cui l’abbinarla a quella guarigione va vista solo come ipotesi. Non si può escludere neppure che frutto della testimonianza di Giovanna fosse la conversione di quel “Menaen, compagno d’infanzia di Erode il Tetrarca” (quindi Antipa) che faceva parte della Comunità di Antiochia in Atti 13.1.

L’importanza dell’opera dello Spirito su Giovanna non è certo da sottovalutare perché pensiamo cos’abbia potuto significare, per una donna abituata alle comodità e agli agi di una corte, patire il caldo, la sete e sicuramente il disprezzo della gente come discepola di Gesù. Anche lei, come Maria di Magdala, Lo seguì perché liberata, anche se non da sette demoni, e comprese che la vera ricchezza e i veri onori non sono quelli che ci tributa il mondo, ma quelli futuri.

 

Susanna

Compare qui per la prima e unica volta. Di lei parla il significato del nome, “Giglio”, fiore importante soprattutto se messo in relazione al “Cantico” di Salomone quando leggiamo “Il mio amore è venuto a godersi il suo giardino, a raccogliere gigli tra aiuole di piante profumate. Io sono del mio amore e il mio amore è mio. Egli si diletta fra i gigli” (6.2). Ora il cantico, definito superficialmente come l’unico testo biblico che celebra l’amore carnale tra uomo e donna, ma che in realtà ha innumerevoli riferimenti al rapporto d’amore tra Cristo e la Chiesa, ha nel giglio un elemento importante perché riassume la bellezza, la purezza, l’innocenza e la fragilità. Il giglio è simbolo di salvezza e dell’intervento di Dio per il Suo popolo: “Sarò come rugiada per Israele, fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del libano” (Osea 14.6).

Susanna, alla luce di questi riferimenti, ritengo sia stata una persona che, per quanto un essere umano lo possa essere, rifletteva le caratteristiche di questo fiore. La sua capacità di distinguersi può essere parafrasata con un’espressione del Siracide: “Come un giglio fra i rovi, così l’amica mia fra le ragazze” (2.1,2). Ricordiamo le parole di Gesù nel discorso sul monte: “Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come loro” (Matteo 6.28,29).

Certo la Susanna di Luca non era quella prima del suo incontro con Gesù: attenta ascoltatrice nelle assemblee della sinagoga, aveva compreso sicuramente le letture relative all’impurità umana, in particolare di Geremia 2.22 “Anche se continui a lavarti con molto sapone, resterà sempre davanti ai miei occhi la macchia della tua colpa” ed aveva trovato nel perdono di Gesù quella purificazione dal peccato per la quale era venuto nel mondo.

Mi piace a questo punto citare le parole di un caro fratello: “Maria di Magdala, Giovanna e Susanna, sperimentarono e provarono cosa aveva significato e comportava essere del peccato introdotto nel mondo dalla disubbidienza di Eva, subendo quotidianamente tutte le conseguenze che ciò aveva comportato; ebbene come fu per Eva, ora anch’esse si trovavano nella stessa possibilità di scegliere tra l’albero della vita, Gesù Cristo, e l’albero della conoscenza del bene e del male, Satana. Saviamente, grazie anche alle opportunità che Gesù concesse loro, scelsero l’albero della vita sotto le cui fronde la morte non sarà più, come non ci sarà più pianto, cordoglio, dolore e la separazione da lui. Dio Padre e Dio figlio non solo hanno dimostrato la primordiale potenza creatrice formando l’uomo ad immagine e somiglianza divina, ma hanno donato la grazia eterna salvando l’uomo peccatore dall’inferno e dalla morte”, amen.

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