01.03 – ZACCARIA (Luca 1. 18-25)

18Zaccaria disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». 19L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. 20Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. 23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».”.

 

            Con questi versi si conclude l’episodio dell’annuncio angelico a Zaccaria, sacerdote impegnato nell’offerta dell’incenso all’altare del luogo Santo. Dalla lettura del primo verso, il 18, emerge un dato già esposto nello studio precedente, dove abbiamo letto che “Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni”: Zaccaria si definisce “vecchio” e per sua moglie usa la stessa espressione dell’evangelista, “avanti negli anni”. Sappiamo che tutti coloro che prestavano servizio al Tempio dovevano avere un’età compresa fra i “trenta e i cinquant’anni” (Numeri 3) per cui quel sacerdote doveva necessariamente non averli ancora raggiunti. Indicando Elisabetta come persona “avanti negli anni”, poi, usava un’espressione che alludeva all’età fertile della donna che, al suo grado massimo dei 20 – 25 anni decresce fino ad arrivare allo zero attorno ai 44, per quanto oggi questo limite sia stato superato. Essendo Elisabetta sterile, in pratica Zaccaria vedeva una doppia impossibilità in sua moglie a partorire anche tenendo presente gli anni che aveva lui stesso, poiché anche gli uomini, sposandosi giovanissimi secondo la nostra ottica occidentale, avevano figli a un’età compresa tra i 14 e i 16 anni.

Pensando queste cose nell’immediatezza dell’annuncio, Zaccaria chiede all’angelo un segno, perché la traduzione letterale della domanda è “Da che cosa conoscerò questo?”; si tratta di una richiesta apparentemente identica ad altre che troviamo negli scritti dell’Antico Patto fatte in situazioni analoghe: pensiamo ad Abramo che, riferendosi al territorio che Dio gli aveva promesso, chiese “Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?” (Genesi 15.8). Possiamo ricordare anche Gedeone che disse “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, dammi un segno che proprio tu mi parli” (Giudici 6.17), per non dire di Maria stessa, madre di Gesù che, quando lo stesso angelo Gabriele le annuncerà la nascita di un figlio, chiederà “Come avverrà questo, perché non conosco – nel senso di avere rapporti coniugali – uomo?”.

            Riguardo alle parole di Zaccaria, molti commentatori hanno difficoltà a capire come mai fu punito per avere rivolto a Gabriele una domanda che, in fin dei conti, altri avevano porto senza subire conseguenze. Va detto che in tutti i tre i casi ricordati c’era già stato, a monte, il credere nelle promesse di Dio: Abramo chiese un segno dopo aver creduto alla promessa che avrebbe avuto una discendenza e Gedeone era veramente desideroso di capire perché erano avvenuti determinati avvenimenti negativi al suo popolo: senza preconcetti e riserve chiese all’angelo “Perdona, mio signore: se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo?”. Maria, infine, non manifestò dubbi sul fatto che avrebbe dato alla luce il figlio annunciato, ma chiese come sarebbe stato possibile visto che non era ancora sposata e con Giuseppe non aveva avuto rapporti. Tutti questi personaggi, quindi, rivolsero domande legittime, dettate dal voler capire e sapere, ma Zaccaria non volle tener conto di alcuni elementi che gli sarebbero stati sufficienti per accogliere il messaggio rivoltogli.

L’apparizione dell’Angelo accanto all’altare dell’incenso, quindi nel luogo Santo inaccessibile a chiunque pena la morte, era già garanzia di un evento soprannaturale. “La tua preghiera è stata esaudita” era poi un’affermazione che chiaramente si riferiva a qualcosa di molto personale che solo Zaccaria e Iddio potevano conoscere, per cui da quell’annuncio avrebbe potuto avere solo gioia e non dubbio. Ricordiamo che Natanaele riconobbe in Gesù “il Figlio di Dio, il Re d’Israele” solo perché gli disse di averlo visto sotto un albero di fichi. Zaccaria quindi, uomo pio che camminava con Elisabetta “in tutti i comandamenti del Signore, senza biasimo”, in quel caso non credette e perciò fu punito – o meglio ebbe nel mutismo il “segno” chiesto – rimanendo incapace prima di tutto di pronunciare quelle parole di benedizione che il popolo aspettava nel Tempio e poi di comunicare col suo prossimo: “Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare tanto nel tempio” (v.21).

Teniamo presente che Zaccaria non chiese un segno sul fatto che sua moglie avrebbe un giorno partorito, ma pretendeva, dopo tutte le dettagliate descrizioni su cosa suo figlio avrebbe rappresentato e le caratteristiche che avrebbe avuto, un segno che le confermasse.

Con le parole “Io sono Gabriele, che sto davanti a Dio, e sono stato mandato per parlarti e portarti questo lieto annuncio”, l’angelo ricorda la sua dignità e funzione di messaggero potente: prima di lui era apparso soltanto a Daniele rivelandogli la visione dell’ariete e del capro (Daniele 8. 16-26) oltre al mistero delle settanta settimane di anni (9. 21-27). Certo Zaccaria aveva quanto meno sottovalutato la portata dell’annuncio e di colui che gli aveva parlato: “sto davanti a Dio” ci rimanda ad Apocalisse 8.2, all’apertura del settimo sigillo, “Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio per circa mezz’ora. E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e a loro furono date sette trombe”. Gabriele, il cui nome significa “Uomo di Dio”, aveva onorato Zaccaria della sua presenza, senza contare il fatto che lo stesso Iddio l’Iddio di Israele aveva accolto la sua preghiera e della moglie e li aveva designati per essere i genitori del precursore del Suo Amato Figlio. Quell’uomo sarebbe rimasto così muto “fino al giorno in cui queste cose avverranno”, in realtà anche sordo perché leggiamo che, quando i suoi vicini e parenti volevano avere conferma sul nome di suo figlio, “domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse” (Luca 1.62).

Zaccaria, in quel suo isolamento di circa nove mesi, ebbe modo così di riflettere su cosa significasse l’appartenere a quel Dio che un giorno disse a Mosè “Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o meno?” (Esodo 4.11). Fu così che Zaccaria non si allontanò da Lui ritenendosi offeso o colpito ingiustamente, ma una volta riacquistate le sue normali facoltà esplose in un cantico che, se ne avremo la possibilità, esamineremo.

Zaccaria è per noi l’esempio di un uomo che dà per quello che è, conscio della responsabilità che aveva come sacerdote che per quanto era in suo potere, con un cuore desideroso di rimanere in comunione con Dio nella dispensazione in cui viveva, fece emergere la sua umanità là dove non avrebbe dovuto. Come mi disse un giorno un fratello, “si distrasse”. Zaccaria non ritenne il giudizio dell’angelo su di lui come qualcosa di eccessivo come Caino, che disse “Il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare” (Genesi 4.13) e poi si allontanò dalla presenza di YHWH, ma si identificò nelle parole di Proverbi 3.11,12 “Figlio mio, non disprezzare la punizione dell’Eterno e non detestare la sua correzione, perché il Signore corregge colui che gli ama, come un padre il figlio che gradisce”. È questo un verso importante che l’autore della lettera gli Ebrei commenta così: “È per vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! Del resto noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri terreni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre celeste, per avere la vita? Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità. Certo, sul momento ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza. Dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (12. 7-11).

Giunti a questo punto non va trascurato un altro elemento dell’episodio, un protagonista apparentemente passivo che individuo nel popolo presente nei cortili del tempio che aspettava la benedizione che quel sacerdote non poteva pronunciare perché muto. Leggiamo “Capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni, e restava muto” (v. 22). Il popolo fu testimone del primo evento ufficiale della manifestazione di Dio e chi avesse voluto indagare, come fece Luca, sulla persona del Battista, avrebbe potuto avere un primo elemento relativo all’autorità con la quale predicava. Figlio di sacerdoti va bene, ma annunciato con quelle manifestazioni era tutt’altra cosa. La stessa cosa si sarebbe potuta fare sulla persona di quel Gesù che diceva di essere il Cristo: esisteva un piano, una linea di eventi a catena inconfutabili.

Zaccaria rimase a Gerusalemme fino al termine della settimana di servizio che doveva prestare la sua classe e quindi se ne tornò a casa, che pare sia stata a Jutta, a poco più di sei chilometri dalla città. Secondo la promessa, Elisabetta rimase gravida, ma “si tenne nascosta cinque mesi”, cioè aspettando il sesto, quando il feto è già completamente formato, è in grado di sentire i suoni, le voci e si posiziona gradualmente a testa in giù in vista del parto. Mi sono chiesto perché Elisabetta si comportò in questo modo: penso che il suo fu un comportamento dettato dalla prudenza in considerazione della sua età avanzata oppure, dovendo essere Giovanni un nazireo, non voleva contrarre nessuna impurità. Alla moglie di Manoah, citata nella scorsa riflessione, fu detto “Guardati dal bere vino o bevanda inebriante e non mangiare nulla di impuro poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio sulla cui testa non passerà rasoio, perché il bambino sarà un nazireo di Dio fin dal seno materno” (Giudici 13.4,5). Ancora, uno dei motivi del suo tenersi nascosta, poteva risiedere nel fatto che Elisabetta non desiderasse esporsi alla curiosità dei vicini dando così prova, oltre che di prudenza, di riservatezza, qualità non comuni soprattutto oggi, tanto nella donna che nell’uomo.

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