5.07 – LE BEATITUDINI 6: I PURI DI CUORE (Matteo 5.3-10)

05.07 – Il sermone sul monte : le beatitudini VI (Matteo 5.3-10)

 

3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”.

BEATI I PURI DI CUORE

E arriviamo al cuore, argomento molto vasto cui anche la letteratura ha dato uno spazio enorme in tutte le epoche: quest’organo, così complesso e fondamentale per la vita non solo degli esseri umani, è stato da sempre visto come la sede dei sentimenti e dei pensieri, mutando i propri battiti in base alle emozioni e non solo allo sforzo fisico. Il cuore, assieme allo stomaco e al fegato, è suscettibile allo stress anche cronico e, se prolungato, può danneggiare in modo grave tutto il sistema cardiovascolare tramite l’ipertensione, a sua volta causa di inconvenienti anche gravi. Nella Bibbia il cuore è visto come l’organo che risponde alle emozioni e che arriva a influenzare fortemente quello che dovrebbe essere teoricamente, asetticamente, un altro ente del tutto autonomo, cioè il cervello dal quale scaturiscono tutti gli impulsi, spesso automatici, per la nostra vita e sopravvivenza. Allora non si sapeva che il cuore possiede dei neuroni che lo abilitano ad agire indipendentemente dal cervello che in alcuni casi, come dimostrano le ricerche del californiano HearthMath Insitute, gli obbedisce.

La conoscenza della fisiologia del muscolo cardiaco, tanto ai tempi del Nuovo che dell’Antico Patto, nonostante allora fosse elementare, aveva individuato comunque delle linee di base valide ancora oggi: pensiamo solo a Proverbi 14.30 “Un cuore calmo è vita per il corpo, ma l’invidia è il tarlo delle ossa”, o a 4.23 “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, perché da esso sgorgano le sorgenti della vita”. Collegato a questo verso, che troviamo in 14.30 possiamo citare 17.22 “Un cuore allegro è una buona medicina, ma uno spirito abbattuto inaridisce le ossa”.

La “cardiologia biblica”, però, al di là di questi esempi e molti altri che si possono trovare in cui il cuore è citato nelle situazioni più disparate, si occupa fondamentalmente di lui come motore delle azioni e delle scelte della persona e la prima volta in cui viene nominato in tal senso la troviamo poco prima del terzo giudizio di Dio sull’uomo mediante il Diluvio: “Ora Iddio vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo” (Genesi 6.5). Era un’umanità che pensava esclusivamente a se stessa, che si preoccupava della propria sopravvivenza materiale cercando di riempire il proprio tempo senza interrogarsi su come affrontare degnamente la propria vita e la propria morte in vista dell’eternità di cui conosceva l’esistenza; leggiamo infatti che “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine” (Ecclesiaste 3,11). Per questo le religioni sono un tentativo umano per sopperire a questo senso innato. Per questo, quando un uomo muore, se non è illuminato dallo Spirito Santo, ha paura.

Il cuore, quindi, caratterizza la vita dell’essere umano ed è visto come sede del vero motore delle scelte che poi effettivamente andrà a compiere perché, attratto dalle emozioni che lo stimolano in positivo, tenderà ad agire e progettare affinché durino il più possibile o si realizzino in futuro. “Cuore” è una parola che nella Scrittura è usata circa mille volte e solo in una parte, il 20 per cento, si allude al muscolo vero e proprio; per il resto la sua applicazione è figurata ed è connessa tanto all’uomo naturale che tutti conosciamo, quello che “non comprende le cose di Dio, perché per lui sono follia, e non è capace di intenderle, perché possono essere giudicate solo per mezzo dello Spirito” (1 Corinzi 2.14), quanto a quello spirituale, tale perché Dio stesso è intervenuto personalmente a renderlo così. Sono realtà tra le quali c’è un baratro, un mondo differente per modo di vita, aspirazioni e prospettive perché nessuno sarebbe mai in grado di essere un “puro di cuore” senza un intervento di Colui che lo ha creato e accolto.

Sotto questo aspetto sono gli scritti dell’Antico Patto a illuminarci per primi, tutta la storia del popolo di Israele che, nonostante l’assistenza continua di Dio dal momento in cui lo chiamò fuori dall’Egitto fino ad arrivare alla venuta di Gesù Cristo, si sviò provando su di sé giudizi anche terribili. Precisazione obbligatoria: se il verso che abbiamo citato molte volte, “Questo popolo mi onora con le labbra, ma suo cuore è lontano da me”, è riferito al popolo eletto, questo non vuol dire che non possa applicarsi anche al cristianesimo quando questo lascia che sia l’abitudine e la ritualità a prevalere sulla coscienza, sul cuore, come recita il proverbio profano “passata la festa, gabbato il santo”; solo perché si crede, non siamo autorizzati a fare qualsiasi cosa perché “tanto siamo salvati” o “tanto Dio ci protegge”. C’è una diffusa opinione in base alla quale ciò che è scritto nell’Antico Patto siano cose passate e non ci riguardino perché viviamo nella dispensazione della grazia, ma non è così: ricordiamoci sempre che Gesù non venne per abolire la Legge, ma per adempierla e che essa è e rimane il metro per misurare il bene e il male.

Nella sua prima lettera ai Corinzi Paolo di Tarso fa una lunga esposizione invitando i cristiani di quella Chiesa a considerare l’esempio di Israele e i suoi errori pagati a caro prezzo, con queste parole: “Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come le desiderarono loro. Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: «Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi». Non abbandoniamoci all’impurità come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro e caddero vittime dei serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, stia attento a non cadere” (10.5-11).

Paolo qui si guarda bene dal dichiarare che lo sviarsi per noi è impossibile; certo Gesù ha pagato per i peccati che possiamo sempre commettere nella carne, ma una cosa è camminare uniti a Lui e cadere per un incidente di percorso, altra cosa è desiderare cose cattive nel proprio intimo, cioè non porre freno a ciò che sappiamo essere male, o cadere nell’idolatria, cioè sostituire una persona o uno stile di vita diverso a quello ricevuto o rivelatoci un giorno, mettere Dio alla prova con una condotta che rientri nel comandamento “Non tentare il Signore Iddio tuo”.

Rientrando ora in tema, il cuore è un problema sia a livello di corpo, perché soggetto ad ammalarsi come tutti gli altri organi, sia a livello spirituale e di questo se ne accorsero molti, soprattutto quanto a motore delle azioni, positive o negative: ricordiamo ad esempio Davide che, conscio del proprio peccato e del fatto che da solo non avrebbe mai potuto fare nulla per mutare la propria condizione, scrisse nel Salmo 50: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore: nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno”. Ricordiamoci che quella che abbiamo letto è la preghiera di un re costituito su Israele che non si assolse, ma si prostrò riconoscendo di avere bisogno dell’intervento di Dio nella sua vita per poter sussistere.

Ancora, sono determinanti le parole di Ezechiele che sottolineano l’impossibilità fisica di un rinnovamento umano senza un preciso operare di Dio: “Vi aspergerò di acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre iniquità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme” (Ezechiele 36.25-27). Un rinnovamento, dunque, un miracolo.

A questo punto è inevitabile chiedersi se su quell’altopiano in cui Gesù proclamò le beatitudini ci fossero dei puri di cuore. Potremmo azzardare che Nostro Signore, facendo un collegamento estensivo, si rivolgesse a degli israeliti come Natanaele, uomo in cui non c’era “alcuna frode”, ma sbaglieremmo perché la chiave di lettura corretta risiede in due parole, “puri” e “cuore”.

I farisei avevano strutturato rigidamente il concetto di purezza, esasperandolo e vedendolo come l’osservanza di una serie di precetti, per non contaminarsi, che prendevano dalla Legge trasmessa al popolo da Mosè. In questo caso Gesù fa riferimento alla purezza levitica esteriore ottenuta mediante l’abluzione rituale, che vedeva in quel caso l’uomo “puro” se applicava alcune norme di comportamento. Leggiamo in proposito Marco 7.14,15: “Chiamata di nuovo la folla, diceva loro «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro, ma sono le cose che escono dall’uomo che lo rendono impuro”. Ora, dopo queste parole, fu interrogato dai discepoli che non avevano capito. Disse loro “«Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore, ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è ciò che lo rende impuro. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultéri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono l’uomo impuro»” (Marco 7. 18-23).

E vediamo allora che il cuore ritorna, e vediamo che Gesù elenca ciò che sono le vere impurità che contaminano la sua creatura e da dove provengono. Ecco quindi che essere “puri” legalmente è una cosa, esserlo “di cuore” è un’altra. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”, espressione che nel linguaggio dell’Antico Patto si riferiva ai membri della corte, quelli che vedevano la faccia del re. “Vedranno Dio” è poi un’espressione che si rifà alle parole che Lui stesso disse a Mosè che gli chiedeva di vedere il Suo volto: “L’uomo non può vedermi e vivere”.

Saranno quindi i puri di cuore a vedere Dio, cioè tutti coloro che rientreranno nella categoria descritta in 1 Corinzi 6-9,11: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio”.

Una degna conclusione di questa beatitudine possono essere le parole di Giovanni nella sua prima lettera: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli è” (3.2). Amen.

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