06.03 – L’AMBASCIATA DI GIOVANNI BATTISTA (Luca 7.18-30)

6.03 – L’ambasciata di Giovanni (Luca 7.18-30)

 

18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordiodono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzia te mando il mio messaggero,davanti a te egli preparerà la tua via.
28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. 29Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. 30Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro.
”.

 

Con questo episodio, ma in realtà anche nel precedente della resurrezione del figlio della vedova di Nain, inizia quello che definisco il “tratto incerto” di quella linea cronologica che ho voluto dare alla mia lettura dei Vangeli. Abbiamo infatti una serie di episodi, miracoli e insegnamenti il cui ordine non può essere stabilito con certezza a differenza di quanto avvenuto col periodo dell’infanzia di Gesù. Credo che, con la lettura che ho fin qui dato, dopo il miracolo a Nain Nostro Signore fosse rientrato a Capernaum perché altrimenti i discepoli del Battista difficilmente lo avrebbero potuto rintracciare.

Dal verso 18 acquisiamo un primo dato, cioè il rapporto tra Giovanni ed Erode Antipa che, pur tenendolo prigioniero, gli consentiva di ricevere delle visite. Nel Vangelo ci sono diversi passi che ci parlano dell’atteggiamento di questo “re” verso il Battista, che approfondiremo meglio nell’episodio della sua decapitazione; Giovanni rimproverava Erode (anche pubblicamente?) per la sua condotta adultera e al tempo stesso incestuosa (aveva sposato la moglie di suo fratello Filippo, vivente) proibita dalla legge di Mosè: Levitico 18.16 infatti recita “Non scoprirai la nudità della moglie di tuo fratello: è la nudità di tuo fratello”, e 20.10 “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte”). Per questo Marco scrive “Erode aveva mandato a prendere Giovanni e l’aveva messo in carcere” (6.17) non appena, come abbiamo già visto e vedremo, era entrato nel suo territorio. Accanto a questo forte risentimento, sappiamo che “…lo temeva, sapendolo uomo giusto e santo” (19,20). In più “vigilava su di lui. Nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri” (20,21).

Si possono allora spendere due parole su Erode, che da un lato voleva far morire chi lo rimproverava e dall’altro lo temeva riconoscendogli giustizia e santità. Quando lo ascoltava, poi, si mescolavano perplessità e curiosità, essendo superstizioso e convinto che il potere umano che aveva sugli uomini, gli desse il diritto di disporre di tutto e di tutti. Antipa, per la posizione sociale che ricopriva, era convinto di essere un intoccabile, da Dio compreso, e che i rimproveri e le altre verità dettegli da Giovanni passassero in secondo piano di fronte alla sua persona. Come molti oggi, convinti di avere una libertà che non esiste.

Veniamo ora a Giovanni e alla domanda che inviò a Gesù tramite i suoi discepoli, due e non uno perché la testimonianza del singolo non era ritenuta valida (Deuteronomio 17.6): poteva dubitare il prigioniero di Erode della missione di chi aveva battezzato, dopo aver visto lo Spirito Santo scendere su di lui in forma di colomba e dopo tutto il periodo passato nel deserto istruito sulla sua funzione di precursore del Messia? Credo che il messaggio “Sei tu quello che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro?” esprima certamente un dubbio, ma riveli tutta l’umanità del Battista che aveva annunciato, e annunciava ancora parlando in carcere e con Erode, Gesù come Messia. In pratica Giovanni, proprio come uomo, non aveva rinunciato all’idea di un Liberatore anche umano. Quindi da un lato Giovanni come profeta sapeva che Gesù era il Messia che aveva presentato alle folle sulle rive del Giordano, ma l’uomo che era in lui trovava difficile rapportare ciò che era la sua conoscenza del Messia con i dati che di lui gli giungevano in cella e che i suoi discepoli gli rapportavano. In poche parole con quella domanda Giovanni non voleva dire che temeva di essersi sbagliato presentando Gesù alla folla come “L’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, ma gli esprime i suoi dubbi in relazione all’idea che si era fatta di Lui, comune a tanti, del Re trionfante che avrebbe portato Israele (e quindi i suoi profeti, lui compreso) alla vittoria sulla terra. Giovanni, in prigione, sperava in manifestazioni eclatanti che lo togliessero da quella condizione di indubbia sofferenza nella quale versava e si chiedeva perché Erode non fosse ancora stato sconfitto. I suoi discepoli, visitandolo, gli portavano notizie di un Messia che girava per il territorio predicando e facendo miracoli, ma il dato obiettivo della vittoria sul peccato attraverso le guarigioni veniva messo in dubbio dal fatto che mancavano quelle grandi manifestazioni come ad esempio quella dell’esercito egiziano travolto dalle acque del mar Rosso, o una di quelle tante vittorie impossibili riportate da Israele sui suoi nemici di cui leggiamo nei libri storici; pensiamo solo a quella di Davide su Golia, episodio che tutti conoscono ancora oggi. Ricordiamo le parole di Giovanni 6.15 (“Gesù allora, sapendo che volevano prenderlo per farlo diventare re, se ne andò di nuovo verso la montagna, tutto solo”) che ci parlano di un re enormemente distante dal concetto umano.

Tornando al nostro episodio vediamo che a questo punto Nostro Signore non risponde subito a parole, ma agisce, rendendo i discepoli di Giovanni diretti testimoni dei fatti. L’incontro coi discepoli del Battista era evidentemente avvenuto all’aperto e forse in un intervallo tra un insegnamento e l’altro alla folla, infermi compresi. In quell’occasione Gesù prima guarì molti da malattie, presumo di vario genere fisiche e molte mentali, e poi lasciò ai discepoli il messaggio che leggiamo al verso 22 aggiungendo “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”, proprio perché sappiamo che il Cristo lo sarebbe stato, rappresentando quella famosa “pietra di inciampo” di cui parla Isaia 28.16 “Ecco, io pongo in Sion una pietra d’inciampo e una roccia di scandalo, ma chiunque crede in lui non sarà svergognato”. C’è quindi chi cade, ma c’è chi attraverso di lui vive.

Analizziamo meglio le parole di Gesù a Giovanni, che gli ricordano amorevolmente ciò che già sapeva, ma che la sua preoccupazione e la privazione della libertà iniziavano a far vacillare senza far venir meno la sua funzione; i miracoli che venivano fatti stavano a ricordare parte del contenuto di Isaia 35 che traccia una successione di eventi destinati a realizzarsi nei secoli e non subito, poiché il piano di Dio, prima di compiersi, richiede che il numero dei suoi eletti sia compiuto: “Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina, Egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarsi sorgenti d’acqua. I luoghi ove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa; nessun impuro la percorrerà. Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno. Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà. Vi cammineranno i redenti. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”. Ecco, di queste parole Giovanni credeva si realizzassero anche gli ultimi versi, quelli che gli avevano fatto sorgere delle domande importanti, ma Gesù gli ricorda che prima di manifestarsi come vittorioso su ogni cosa, veniva il tempo per la guarigione dei ciechi, dei sordi, degli zoppi, dell’avvenire e speranza che sarebbe stato dato a tutti quanti avrebbero creduto in lui nei secoli.

Da non sottovalutare neppure la frase “ai poveri è annunciata la buona notizia”, cioè il Vangelo: ecco perché sono “beati i poveri” di cui abbiamo tanto parlato nelle riflessioni passate. Anche qui Nostro Signore fa qualcosa che era stato predetto da Isaia e che solo Lui poteva fare: “Lo Spirito del Signore Dio– quello visto da Giovanni in forma di colomba – è sopra di me, perché il Signore– non il popolo o un sommo sacerdote – mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”. Giovanni pensava probabilmente di venire liberato da Gesù, non tenendo presente che veniva prima la liberazione dei prigionieri del peccato.

Dobbiamo fare quindi molta attenzione a non scambiare Giovanni Battista per un incredulo, tenendo sempre presente la funzione e la definizione stessa che Nostro Signore dà di lui proprio in questo episodio: “Tra i nati di donna non sorse mai nessuno maggiore di Giovanni Battista, ma il minimo nel regno dei cieli è maggiore di lui”. Perché? L’essere “maggiori” qui non ha nulla a che vedere col premio, ma con la dispensazione della Legge paragonata a quella della Grazia, così diverse tra loro. Dobbiamo ricordare che nella Grazia non siamo più servi, ma figli. Che le tenebre sono passate e già risplende la vera luce. Che la presenza dello Spirito Santo è data a tutti, a patto che non lo contristino. Tutti temi importanti che se ci sarà concesso esamineremo.

I discepoli di Giovanni, dimostrando di aver recepito il messaggio, partirono alla volta della fortezza in cui il loro maestro era rinchiuso. Il fatto Gesù che avesse parlato del Battista in pubblico, gli diede l’occasione non solo di pronunciare la frase sulla posizione spirituale diversa che hanno gli appartenenti alle due dispensazioni, ma di chiarire il ruolo dello stesso: non una “canna dimenata dal vento”, cioè un isolato abbandonato a se stesso, non “un uomo vestito con abiti di lusso”, cioè un cortigiano. Con questi due paragoni il Cristo afferma allora che il Battista non era una persona di cui non ci si potesse fidare, avente un comportamento come quello della canna al vento, volta ora di qua ora di là e neppure come quello di un cortigiano, da sempre disposto ad assecondare gli umori del proprio re e ad adularlo ipocritamente, attento a non perdere il proprio ruolo. Anzi, chi era andato ad ascoltarlo e a farsi battezzare, si era presentato addirittura ad uno che era “più che un profeta”. Un bell’elogio del Precursore che, se avesse peccato di incredulità, non sarebbe mai stato fatto.

Al contrario, con la domanda “Sei tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?”, Giovanni si qualifica semplicemente come un uomo di Dio colto da un dubbio sorto in base ad osservazioni che chiunque nella dispensazione della Legge avrebbe fatto. E qui sta uno degli aspetti secondo cui il minimo nel regno dei cieli è a lui maggiore: non si tratta di importanza, ma di posizione, di prospettive differenti, di visuale maggiore che ogni credente può avere perché accettare Gesù, nonostante quel che si dica, non è semplice. Altrimenti non sarebbe una beatitudine, come dalle parole “Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto” (Giovanni 20.29).

A questo punto il racconto di Luca differisce da quello di Matteo nelle parole finali, che però si raccordano perfettamente tra loro: “Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti” (11.12-15). Qui si parla di “subire violenza” e di “violenti” che, se guardiamo al termine come letterale, rendono il verso impossibile a meno che si tratti di insistenza e sforzo, quello che abbiamo visto nell’invito “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Non a caso il verbo greco qui impiegato parla di forza ed è utilizzato nella versione dei LXX anche in Genesi 33.11: “Così quegli insistette, ed egli accettò”. È un concetto che nel Vangelo compare molte volte.

Dopo questo, Gesù passa a indicare in Giovanni “Elia che doveva venire”, non il Tisbita che tutti aspettavano e cui alludevano quando gli chiesero se fosse Elia, ricevendo risposta negativa (Giovanni 1.21), ma quello indicato da Malachia in 4.5 “Ecco, io vi mando Elia, prima che venga quel grande e spaventevole giorno del Signore” quindi colui che avrebbe preparato la strada al Messia battezzando sulle rive del Giordano.

Di Luca restano i versi 29 e 30 che ci parlano di personaggi agli antipodi: da una parte abbiamo il popolo che ascoltava Giovanni con i pubblicani; questi, facendosi battezzare, riconoscevano che Dio era giusto a differenza di loro stessi, ma dall’altra quelli che avrebbero dovuto gioire più di tutti, i Farisei e i Dottori della Legge, che lo disprezzarono rendendo “vano il disegno di Dio su di loro”, espressione ben più grave che va oltre la semplice opinione, con superficialità non degno di attenzione. Quel “rendere vano” è un oltraggio, un atto cosciente, è un costringere Dio a prendere provvedimenti di esclusione dai suoi piani. Anche oggi sono davvero tanti quelli che si comportano allo stesso modo, rifiutando il messaggio di Cristo perché vogliono sopravvivere, restare nel loro sistema di vita, grande o piccolo, importante o insignificante non importa. Senza sforzarsi, impegnarsi, chiedersi “le ragioni della loro origine e fine” o impostare un metodo per affrontare un giorno l’eternità. C’è un disegno di Dio per ogni essere umano, che contempla la vita eterna, il bando definitivo dell’umiliazione, come abbiamo letto nei versi di Isaia all’inizio: “Gioia e felicità li seguiranno, fuggiranno tristezza e pianto”. Credo che sia contro l’interesse dell’uomo non affrontare questo problema, perché sappiamo che, là dove non ci sarà gioia, si troverà il “pianto e lo stridore dei denti”. Amen.

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