05.39 – PADRE NOSTRO IX/IX (Matteo 6.13)

05.39 – Padre nostro IX (Matteo 6.13)

 

“…13e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli. Amen.”

La volta scorsa abbiamo cercato di dare uno sguardo sui Cherubini in quanto esseri spirituali la cui presenza e ruolo è connessa al regnare di Dio, alla Sua realtà che l’uomo naturale, come scrive l’apostolo Paolo, “non conosce e non può comprendere” al contrario di tutto ciò che riguarda la terra nella sua realtà e manifestazioni: capire i suoi fenomeni è questione di tempo, di spazio, conoscenza e studio, ma con così per le cose spirituali, impenetrabili salvo una rilevazione dello Spirito Santo.

Il Regno, però, è una condizione, un’appartenenza, richiede un possesso diottrico di cui siamo stati privati e che solo lo Spirito può metterci in condizione di percepire. È scritto che “…noi conosciamo in parte e in parte profetizziamo; ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è è imperfetto scomparirà.(…)Adesso vediamo in modo confuso, come in uno specchio, ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come io sono conosciuto” (1 Corinti 13.9-12). Abbiamo qui la descrizione della limitazione del vivere nella carne rapportata alla conoscenza che verrà data una volta liberi da essa, avuta pienamente la cittadinanza del Regno che, pur avendola già, non abbiamo ancora acquisito in modo ufficiale; il credente di oggi infatti ha il passaporto per entrarvi, ma è in viaggio verso la meta.

Tornando ed espandendo un poco l’argomento affrontato nelle riflessioni precedenti, il Cherubino è connesso alla presenza di Dio ed è per questo che lo troviamo in quattro luoghi: abbiamo visto che in Eden prima del peccato ne è citato uno, Lucifero, il più importante di loro, coperto di pietre preziose e avente una funzione protettiva. Da cosa? Mi sono chiesto se le attenzioni di questo essere non fossero rivolte all’anello più debole della catena, l’uomo, che, creato libero, avrebbe potuto cibarsi del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, cosa che forse avvenne proprio quando, per il piano scellerato di volersi fare uguale a Dio, cessò di assisterlo per farsi strumento della sua seduzione. Certo i nostri progenitori peccarono per scelta, dimostrando di non fidarsi di quanto aveva detto loro il Creatore, ma in loro fu instillata subdolamente l’intenzione di diventare come Lui, che fossero stati ingannati, cosa possibile solo se coincidente col piano distruttivo del tentatore creato, come Cherubino, prima di loro.

Il secondo luogo in cui troviamo questi esseri è fuori del giardino, posti a protezione della via per l’albero della vita, “A oriente del giardino di Eden” (Genesi 3.23), cioè là dove il sole sorge, posizione che ci parla di salvaguardia dalla “luce” della conoscenza umana che a tutto vorrebbe pervenire e tutto vorrebbe investigare.

Abbiamo poi trovato i Cherubini scolpiti sul coperchio dell’arca in un posizione che denota protezione e al tempo stesso contemplazione di un mistero perché le creature del regno spirituale, se hanno una visione perfetta del loro ruolo e dimensione, trovano difficile comprendere i meccanismi dei rapporti di Dio con l’uomo e i suoi interventi per la sua salvezza.

La totalità del rapporto fra YHWH e i Cherubini la troviamo poi nel Luogo Santissimo, altrimenti detto “Santo dei Santi” all’interno del quale nessun uomo poteva entrare salvo il Sommo Sacerdote una volta all’anno. Leggiamo in 2 Cronache 3.7-14 che Salomone “Rivestì d’oro la navata, cioè le travi, le soglie, le pareti e le porte; sulle pareti scolpì cherubini. Costruì la cella del Santo dei santi, lunga, nel senso della larghezza della navata, venti cubiti e larga venti cubiti. La rivestì di oro fino, impiegandone seicento talenti. Il peso dei chiodi era di cinquanta sicli d’oro; anche i piani di sopra rivestì d’oro. Nella cella del Santo dei santi eresse due cherubini, lavoro di scultura e li rivestì d’oro. Le ali dei cherubini erano lunghe venti cubiti. Un’ala del primo cherubino, lunga cinque cubiti, toccava la parete della cella; l’altra, lunga cinque cubiti, toccava l’ala del secondo cherubino. Un’ala del secondo cherubino, di cinque cubiti, toccava la parete della cella; l’altra, di cinque cubiti, toccava l’ala del primo cherubino. Queste ali dei cherubini, spiegate, misuravano venti cubiti; essi stavano in piedi, voltati verso l’interno. Salomone fece la cortina di stoffa di violetto, di porpora, di cremisi e di bisso; sopra vi fece ricamare cherubini”. La loro presenza era quindi ovunque e, dalle misure che troviamo nel testo, occupavano tutta l’area della stanza. Le loro ali andavano a toccare le quattro le pareti. I Cherubini, allora, erano assolutamente connessi alla presenza di Dio che figurativamente dimorava in quel luogo a prescindere dalla presenza umana. Eppure, nonostante la loro potenza e funzione, è scritto che il signore “siede” su di loro (Salmo 80.1 – 99.1).

Quarto luogo in cui i Cherubini agiscono è la mobilità – immobilità della Corte Celeste nell’attesa che tutto si compia. Ezechiele, che li vide, li descrisse come riuscì, raffigurandoli simbolicamente: “Muovendosi, potevano andare nelle quattro direzioni senza voltarsi, perché si muovevano verso il lato dove era rivolta la testa, senza voltarsi durante il movimento. Tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote erano pieni di occhi tutt’intorno; ognuno dei quattro aveva la propria ruota. Io sentii che le ruote venivano chiamate «Turbine». Ogni cherubino aveva quattro facce: la prima quella di uomo, la seconda quella di bue, la terza quella di leone e la quarta quella di aquila. (…). Quando i cherubini si muovevano, anche le ruote avanzavano al loro fianco: quando i cherubini spiegavano le ali per sollevarsi da terra, le ruote non si allontanavano dal loro fianco; quando si fermavano, anche le ruote si fermavano; quando si alzavano, anche le ruote si alzavano con loro perché lo spirito di quegli esseri era in loro. La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e si fermò sui cherubini. I cherubini spiegarono le ali e si sollevarono da terra sotto i miei occhi; anche le ruote si alzarono con loro e si fermarono all’ingresso della porta orientale del tempio, mentre la gloria del Dio d’Israele era in alto su di loro” (Ezechiele 10.11-19).

Guardando brevemente il testo, il Cherubino ha occhi ovunque a denotare la sua visione perfetta del micro e del macro. Ha poi quattro facce, circa le quali possiamo fare questi collegamenti: l’uomo è l’unica tra le creature a possedere intelligenza, il bue tra gli animali addomesticati è il più instancabile, il leone tra le fiere è il più regale e potente mentre l’aquila, fra gli uccelli, è quella che ha il volo più perfetto e la vista migliore. I maestri ebrei aggiungono “tutti questi hanno ricevuto il dominio e grandezza gli è stata data, eppure sono fermi al di sotto del carro dell’Iddio Santo”. Questi, grazie alle loro facce, non perdono tempo a voltarsi, ma si spostano usando le ruote o le ali a sottolineare il fatto che sono in grado di agire sulla terra e in cielo, nelle due regioni, o nei due regni distinti, che si sono venuti a creare dopo il peccato dei nostri progenitori. Ricordiamo sempre la loro funzione racchiusa nella radice stessa del termine kavar che implica una rete e quindi una protezione. Diversi sono i Serafini, descritti nei capitoli 4 e 5 dell’Apocalisse che diversi commentatori, anche antichi, hanno voluto identificare i quattro Vangeli.

Sappiamo che i regni sono quindi due, quello sulla terra, retto dal “Principe di questo mondo”, cioè dall’Avversario, e quello che è già preparato, ma non si è ancora manifestato nella sua potenza e gloria, quella della Gerusalemme nuova che scende dal cielo “come una sposa adorna per il suo sposo” (Apocalisse 21.2). Lì è scritto che “Non vi sarà più maledizione. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli” (33.3-5).

Il regno della terra realizzato dall’Avversario ebbe come motore l’orgoglio, l’invidia e la volontà di distruggere (le stesse ragioni che portarono Caino ad uccidere il fratello), quello di Dio Padre ebbe all’inizio un ordine, “Sia la luce”, che solo Lui poteva dare. Credo ci sia differenza. “Tuo è il Regno” è un riconoscimento che contiene la certezza che sia l’unico che possa vincere quello fondato sul non senso, sull’apparenza e l’illusione, sul contrario del bene. Tutto cominciò da lì: ascoltando l’Avversario, l’uomo scoprì l’inganno quando era troppo tardi esattamente come accade oggi, quando le basi sulle cui ha costruito la sua vita, senza Cristo, crollano.

A volte ci si dimentica che il Regno implicherà il cambiamento della nostra fisionomia e corpo che avverrà con quel “batter d’occhio” quando “tutti saremo trasformati” (1 Corinti 15.51,52): “È infatti necessario– per entrare nel Regno – che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità. Si compirà la parola della Scrittura: «La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?»” (54,55). È l’anticipazione del cambiamento che ci attende perché, come disse Gesù, rispondendo ai Sadducei, “Quando risusciteranno dai morti non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli”(Marco 12.25), vale a dire non procreeranno, non sarà necessario perché si sarà completato il numero degli eletti “prima della fondazione del mondo” (Efesi 1.4)

“Potenza”e “Gloria”sono altri attributi che vengono dati al Padre, complementari al Regno che non sarà mai distrutto: stanno a ricordare ancora una volta la differenza che intercorre tra quella umana e quella divina, la prima illusoria e la seconda reale che mai come in questo caso sembrano essere un controsenso. Siamo abituati a stupirci di fronte alle grandi opere che i nostri simili fanno e quando si parla di “potenza” è facile associarla a quella militare che garantisce la supremazia di un popolo su un altro, ma ci si dimentica che sarà solo alla fine dei tempi le due glorie e le due potenze verranno messe a confronto. La storia ci insegna che l’uomo si è sempre illuso e si è posto in contrasto con Dio: lo ha fatto individualmente (Caino) e collettivamente (la torre di Babele) volendo fare affidamento sulle sue sole forze e sull’ingegno che gli è stato dato, ma ha sempre perso. Nonostante questo, sviluppa scelleratamente il progetto e la realizzazione di quella “Babilonia la grande”, anch’essa destinata a cadere come descritto in Apocalisse ai capitoli 17 e 18. Eppure, nonostante l’adorazione che le avranno dato i popoli, “…quanto ha speso per la sua gloria e il suo lusso, tanto restituitele in tormento e afflizione. Perché diceva in cuor suo «Seggo come regina, vedova non sono e lutto non vedrò». Per questo, in un solo giorno, verranno i suoi flagelli: morte, lutto e fame. Sarà bruciata dal fuoco, perché potente Signore è Dio che l’ha condannata” (18.7,8).

E il “Padre nostro” si conclude con l’Amen, derivato da un verbo ebraico che significa “essere fermo, sicuro, fedele”, che costituisce un’attestazione di verità spirituale e non viene mai pronunciata alla leggera. E così facciamo, nell’attesa che il Regno, la potenza e la gloria di Dio si manifestino. Amen.

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