10.05 – LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI E DEI PESCI 2/2 (Marco 6.35-44)

10.5 – La prima moltiplicazione dei pani e dei pesci II (Marco 6.35-45)

 

35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; 36congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». 37Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». 38Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». 39E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. 40E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. 41Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. 42Tutti mangiarono a sazietà, 43e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. 44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. 45E subito dopo egli costrinse i suoi discepoli a montare sulla barca, verso Bethsaida, mentre egli licenziava la moltitudine. Poi, quando l’ebbe accomiatata, se ne andò sul monte, per pregare”.

 

Dato dei cenni di base sul significato dei numeri contenuto nell’episodio, possiamo passare ad esaminare il resto a partire dalle persone. La nostra traduzione riporta “ordinò di farli sedere tutti, a gruppi”, ma in realtà il termine “prasiài” andrebbe tradotto correttamente in “per aree”o “per quadrati”composti, come sappiamo, da cinquanta o cento elementi: in tal modo abbiamo rilevato che si evitava il disordine che avrebbe comportato una distribuzione casuale del cibo; un gruppo così costituito avrebbe dato modo ai discepoli anche di verificare se i pani e i pesci li avessero ricevuti tutti ed eventualmente rimediare perché un’area di cento persone, la più numerosa, comportava la presenza di dieci elementi per lato. Emerge a questo punto il problema, facilmente risolvibile stante il fatto che Gesù era giunto lì coi Suoi con una barca da pesca, dei recipienti coi quali distribuire i pani e i pesci, che i discepoli si procurarono prima che il loro Maestro prendesse quel cibo, alzasse“gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro”: “li dava”, cioè li prendeva da quell’unico recipiente che aveva “quel ragazzo”che Andrea aveva contattato, rimasto sconosciuto.

Tempo fa è stato sottolineato l’intervento di Papa Francesco che giustamente ha affermato che quei pani e quei pesci non furono moltiplicati, “ma semplicemente non finirono”, affermazione sostenuta anche da altri prima di lui in tempi di molto anteriori al nostro; Marco scrive “recitata la benedizione”, altri traducono “fece la benedizione”, Giovanni “rese grazie”: Lui che era Dio, ma in forma umana come inviato del Padre, lo ringraziò per la presenza di quei pani e quei pesci che stavano per essere consumati, cosa che nel corso della Sua vita farà più volte lasciandoci un esempio del ringraziamento da elevare al Padre che ogni giorno ci consente il nutrimento per il corpo, prendendosi cura di noi. In altri termini, collegandoci al fatto che diamo istintivamente per scontato il fatto che lavoriamo, mangiamo e riposiamo, il ringraziamento è doveroso perché non è detto che queste cose facciano sempre parte della nostra vita.

Abbiamo fatto un parallelismo tra il popolo presente lì e quello, molti secoli prima, nel deserto che mangiò la manna, ma credo che uno dei tanti significati del miracolo dei pani e dei pesci risieda nelle parole già espresse nel sermone sul monte, quando Gesù esortò a cercare “prima il regno di Dio”perché le altre cose sarebbero state “sopraggiunte”: a prescindere dalle motivazioni che avevano spinto i presenti ad essere là, ora la dimostrazione dell’amore di Dio che dava loro ciò che non avevano chiesto, ma di cui avevano bisogno, era davanti a loro, potevano sperimentarla concretamente. Ciascuno dei presenti poteva trarre le proprie conclusioni perché non solo erano stati soddisfatti i malati, gli infermi e il desiderio di avere informazioni sul Regno, ma era stato dato anche quel “cibo che perisce”,figura di quello “a vita eterna”. Se Gesù era stato in grado di sfamare cinquemila persone, quanto più avrebbe potuto soddisfare pienamente la loro anima e quanto era a lei connesso? Nessuno dei presenti, quindi, avrebbe potuto affermare di essere tornato a casa senza che dopo l’incontro con Gesù gli fosse mancato qualcosa.

Penso spesso, quando leggo questo episodio, che nulla dicono gli Evangelisti delle reazioni dei discepoli e soprattutto non riesco a immaginarmi lo stupore di quel “ragazzo”che diede, non sappiamo se dietro compenso ma credo di sì, ciò che aveva ai dodici, che non era gran cosa non solo a livello di numero: quando Giovanni in 6.13 scrive che erano “pani d’orzo”non lo fa a caso, ma per sottolineare che era un alimento povero, costituito da focacce di farina d’orzo. In un passo del Talmud si riporta un dialogo tra due persone: il primo dice all’altro “C’è una bella raccolta d’orzo”, ottenendo come risposta “Vallo a dire ai cavalli e agli asini”. Quel “pane” non risulta comunque esser stato disprezzato dai presenti che poterono toccare con mano la totalità dell’intervento di Dio nei loro confronti, che prima aveva voluto nutrirli nello spirito e ora provvedeva ad un di più, non essendo tenuto a sfamare nessuno: la logica del ragionamento terreno avrebbe concluso che loro, avendo voluto venire fin lì spontaneamente, potevano benissimo tornarsene a casa e mangiare una volta rientrati. Sarebbe quindi stato un loro problema. Invece il nostro verso 42 recita “Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci”.

Quindi ciò che fu di avanzo non era qualcosa di scartato perché non gradito, ma in quanto i presenti erano talmente sazi da non riuscire a finire ciò che era stato loro distribuito: in altri termini i discepoli non diedero a quella gente degli alimenti razionati, che i presenti avrebbero dovuto farsi bastare, ma li misero nella condizione di averne ancora fino a quando la loro fame non sarebbe cessata. È un particolare importante che ci parla del fatto che quando il cristiano esercita la propria fede riceve da Dio davvero oltre ciò che gli serve. Come disse il salmista, “Non manco di nulla”. Certo Nostro Signore avrebbe potuto trasformare quei pani e pesci in qualcosa di squisito (ricordiamo l’acqua in vino alle nozze di Cana), ma in quella circostanza volle far capire ai suoi e a tutti i presenti che l’uomo può ottenere da Dio non ciò che vuole, ma quanto gli è utile. E mi viene sempre il mente la risposta data a Paolo quando, a proposito delle sue preghiere per la “spina nella carne”, gli fu detto “La mia grazia ti basta”. A volte ci dimentichiamo del fatto che non siamo lasciati soli poiché facciamo parte della Chiesa, composta non solo dai vivi nel corpo, ma da tutti coloro che risposano in Cristo in una dimensione diversa e coi quali vivremo in un giorno senza fine. Uomini e donne che hanno affrontato i nostri stessi percorsi quanto a prove, umiliazioni, dolori e gioie. E che lo hanno aspettato.

Dando i pani e i pesci a quella gente certo Gesù non salvò loro la vita perché avrebbero potuto benissimo rientrare ai loro paesi senza morire di fame, ma dimostrò di comprendere la loro realtà e quindi di si occupò di quelle persone senza che glielo chiedessero. E qui Gesù si conferma un tutt’uno con il Padre che “sa ciò di cui avete bisogno prima che glielo chiediate”ed ecco perché, personalmente, per i problemi che possono caratterizzare la mia vita terrena chiedo molto raramente, rendendomi conto della differenza tra le cose materiali di cui teoricamente necessiterei e la quantità enorme di ciò che non conosco e non vedo. E che dovrei-vorrei conoscere e vedere, primi fra tutti quei peccati di cui non mi rendo conto e che eppure commetto. Quando preghiamo, dobbiamo sempre tenere presente che è il Padre, non noi, a sapere ciò che ci serve.

Sappiamo che avanzarono dodici ceste, traduzione che fa riferimento al kòfinos, cesta grande che veniva usata per portare oggetti voluminosi. E il numero di quei recipienti pieni era lì, a testimoniare ai presenti che la perfetta cura di Dio non era preclusa a nessuno perché sicuramente tutti, contandoli, avranno pensato alle altrettante tribù di Israele per le quali il Cristo era giunto dopo tante promesse. Ecco perché troviamo che “In Cristo ho tutto pienamente”e “posso ogni cosa in Colui che mi fortifica”: nel momento in cui si staccano i sensi dalla realtà che ci circonda, umiliante sempre e comunque, si schiudono territori nei quali non entreremmo mai altrimenti.

Qui Matteo precisa che “quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”(14.21), quindi un numero maggiore. Un miracolo che, come ha osservato qualcuno, “sorpassa di gran lunga in grandezza quelli dell’Antico Testamento. L’unico che possa reggere al paragone è quello della manna nel deserto, che questo miracolo richiamò vivamente alla memoria della moltitudine eccitando il loro entusiasmo di modo che, se Gesù lo avesse permesso, l’avrebbero subito proclamato re”. Sarebbe stata però, appunto, un’azione dettata dall’entusiasmo, fraintendendo quel gesto di pietà e amore che Nostro Signore aveva avuto verso di loro e scambiandolo come una garanzia di assistenza e vittoria sull’invasore romano e non solo. Bernardo di Chiaravalle ha scritto che Gesù si tirò indietro quando gli uomini volevano farlo re, ma si fece avanti quando vollero crocifiggerlo.

C’è ancora un particolare che va sottolineato, fornitoci dall’apostolo Giovanni: “Quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto»” (6.12): perché? Non si tratta solo di un modo per contrastare lo spreco, cosa che il mondo non fa visto che ogni anno in vengono buttati via 16 milioni di Euro di alimenti non consumati, ma piuttosto il motivo di quell’ordine risiedeva nel fatto che quei pani e quei pesci erano il risultato della carità di Dio verso gli uomini, donne e bambini, e non potevano essere lasciati marcire a terra. Quei pani e pesci erano figura della Parola di Dio che “non torna a me a vuoto senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”(Isaia 11.11). Lasciare là ciò che era avanzato, sarebbe stato un totale controsenso.

C’è poi un altro dettaglio importante, e cioè che non furono raccolti dei semplici avanzi come accade quando riordiniamo una tavola dopo un pranzo, ma quando leggiamo che “portarono via i pezzi avanzati”(Matteo 14.20) o, come scrive Marco, “Dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene”, gli evangelisti si riferiscono a quelli spezzati da Gesù e non da altri.

Il verso 45 conclude l’episodio: “Subito dopo egli costrinse i suoi discepoli a montare sulla barca, verso Bethsaida, mentre egli licenziava la moltitudine. Poi, quando l’ebbe accomiatata, se ne andò sul monte, a pregare”. Viene da pensare che, così come i dodici erano tornati a Lui raccontandogli ciò che avevano fatto e insegnato, allo stesso modo Gesù si comportò col Padre, pregandolo per tutta quella gente che era giunta a lui: vero è che avevano frainteso il senso del miracolo, ma ne avrebbero certamente parlato e in ogni caso ne avrebbero conservato il ricordo, lì dentro di loro, a testimonianza del fatto che Dio e non altri aveva loro provveduto. Stava poi a tutti i presenti in quel giorno trarre le necessarie conclusioni, per la loro salvezza, che fu sicuramente un soggetto di preghiera quella sera, da parte di Nostro Signore, che pensò anche a tutti coloro che il Padre gli avrebbe dato. Amen.

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