11.35 – IL DISCORSO ECCLESIOLOGICO 6: IL RAPPORTO FRATERNO I (Matteo 18.15-18)

11.35 – Il discorso ecclesiologico 6, il rapporto fraterno I (Matteo 18. 15-18)

 

15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

 

            È la parola del verso 17, qui tradotta con “comunità”, letteralmente “assemblea”e da altri “Chiesa”che troviamo la giustificazione al titolo di queste riflessioni, “il discorso ecclesiologico”, perché qui, per la prima volta nei discorsi di Gesù riservati ai discepoli, si parla di qualcosa che va oltre alla Sinagoga ebraica, che mai avrebbe avuto il potere di“legare e sciogliere”correlato a ciò che è “in cielo”. Ricordiamo anche le due scuole rabbiniche di Hillel e Shammai, la prima più rigida e l’altra più elastica nell’interpretazione della Legge, che però non ebbero alcun potere in tal senso. Sempre per la prima volta, poi, viene descritta la comunità dei credenti come un organismo vivo, chiamato ad agire e operare anche al suo interno e non solo nella predicazione del Vangelo, in quanto composta da esseri umani che, nonostante la chiamata ad essere “santi”, possono sbagliare e non essere effettivamente liberati da quegli elementi tipici del mondo che li hanno caratterizzati prima della loro salvezza. Per molti queste parole possono costituire un controsenso, ma dobbiamo pensare che riguardano l’uomo nel profondo e dimenticano che, se Cristo li ha liberati dal peccato, non significa che di colpo hanno raggiunto la perfezione, ma sono stati posti nella condizione di perseguire un cammino di verità che richiede lo spogliarsi costante dell’ “uomo vecchio”con tutte le sue prepotenti esigenze.

Ricordiamo in proposito alcuni passi importanti, il primo dei quali già citato: “Celebriamo la festa – la Pasqua, quindi il memoriale– non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”(1 Corinti 5.8), invito rivolto a quei credenti che non si sono ancora liberati del “lievito vecchio”, ma ancor di più Efesi 4.17-32 che descrive in modo perfetto ciò che eravamo e ciò che siamo, o dovremmo essere, condizionale che non ammetterà scusanti quando ci troveremo davanti a Lui nel “rendiconto”: “Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore– notiamo l’appello accorato dell’Apostolo – : non comportatevi più– perché il ricordo di quelle azioni non è scomparso e neppure il loro richiamo – come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità. Ma voi– ecco l’identità nuova – non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità”.

In questa prima parte, allora, Paolo ricorda ciò che gli Efesi erano e ciò che sono, situazione che può dirsi ed essere stabile solo se la condotta dell’uomo vecchio viene abbandonata e si pone in opera il rinnovamento, azione che non finisce mai. Il testo prosegue: “Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date spazio al diavolo. Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo”.

Ecco, quanto letto possiamo definirlo un appello,  un richiamo accorato a riconoscere i difetti ancora presenti in noi per operare alla loro eradicazione esattamente come quando, poco prima nel suo discorso, Nostro signore aveva parlato della necessità di amputare la mano, il piede e/o l’occhio a seconda della “concupiscenza”che attrae ciascun membro della Chiesa. E ricordiamo ancora Colossesi 3.10,11 che ricorda quanto avvenuto in noi un giorno: “Vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova– azione quindi che si sviluppa nel tempo e non subito – per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Sciita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose, rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto”.

Appare ora evidente che, nei passi dell’Apostolo citati, la divisione netta fra chi appartiene a Dio e chi no, quindi tra “uomo vecchio”e “uomo nuovo”, diventa tale solo nel momento in cui chi ha creduto sceglie di aderire al progetto di Dio in prima persona, cioè operando in sé affinché il Signore sia posto nella condizione di agire attraverso il suo Santo Spirito; viceversa, quanto viene letto e la partecipazione alle riunioni dell’Assemblea resteranno solo atti compiuti senza altro scopo che quello dell’apparenza e della soddisfazione della carne, di quella sua parte erroneamente definita “spirituale”.

 

Fatta questa importante premessa, possiamo affrontare quanto detto da Gesù ai discepoli che, in questo intervento, forse allude a quella discussione animata avvenuta poco prima, quando vi era stata la discussione tra chi di loro fosse “il maggiore”, cioè il più importante, il più atto a comandare sugli altri, o il preferito dal Maestro. Ancora, ricordiamo quando si erano rivolti accuse reciproche perché si erano ritrovati con un solo pane sulla barca, insufficiente a sfamarli. Possiamo dire che sicuramente quanto avvenuto nei due episodi era qualcosa di tipicamente, tristemente umano e altrettanto la è l’ipotesi formulata al verso 13, “Se un tuo fratello commetterà una colpa contro di te”, dove la “colpa”, originale dal greco “peccare contro, ingiuriare”, si riferisce a torti o a litigi di natura privata. Superficialmente c’è chi è convinto che certe cose, fra veri cristiani, sia impossibile che succedano, ma qui – e non solo – emerge l’esatto contrario, anzi, vi è un richiamo a Levitico 19.17-19 “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore. Osserverete le mie leggi”. Ed è bello considerare che, se in questo passo abbiamo delle proibizioni ferme, nelle parole che troviamo negli scritti del Nuovo Patto il motore che muove i componenti della Chiesa è l’amore che portano in e per Cristo a spingerli, che non consente l’odio covato nel cuore. L’amore per il “prossimo”viene poi purtroppo generalizzata ed estesa a chiunque, mentre in realtà è riferita a chi è “vicino”, quindi al confratello, o consorella e non può essere applicata alle persone con le quali abbiamo a che fare quotidianamente, che non fanno parte della famiglia di Dio. Non si tratta di comportarsi come dei settari, ma di dare priorità e chi la deve avere tenendo sempre presente che coloro che non conoscono l’amore di Dio possono comunque diventare suoi figli in futuro, a meno che non abbiano uno spirito di opposizione.

Possiamo dire che l’offesa e il contrasto portato da chi appartiene al mondo è naturale e inevitabile ma quella portata da un fratello, per le dinamiche che si sono instaurate, è innaturale ma possibile, e allora occorre agire affinché si pervenga ad una soluzione proprio perché quello stato di inimicizia conseguente alla “colpa”contro la persona venga a cessare: esattamente come per le amputazioni di cui Gesù ha parlato poco prima di questi versi, tese ad impedire lo sviluppo di situazioni moralmente e spiritualmente incresciose, con il “va’, e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolta, avrai guadagnato il tuo fratello”, abbiamo la cura contro il rancore, “il rancido del cuore” come qualcuno lo ha definito, che sfocerebbe inevitabilmente in astio aperto facilmente riconoscibile dagli altri componenti della Chiesa che, ignorandone le cause, potrebbero venire scandalizzati ed interrogarsi in merito senza possibilità di comprendere.

“Avrai guadagnato il tuo fratello”è il risultato del “se ti ascolta”, cioè ammette il proprio torto e qui viene chiamata in causa l’intelligenza spirituale tanto dell’una quanto dell’altra parte, poiché l’eventuale offeso deve porre amorevolmente l’offensore nelle condizioni di ammettere il proprio errore; in altri termini non basta dire “tu mi hai fatto questo”, perché altrimenti la questione verrebbe posta nello stesso ambito in cui l’offesa è stata generata e la contesa si riproporrebbe identica. Piuttosto, qui vengono chiamate in causa la verità e la carità assieme affinché il fratello sia guadagnato, cioè che la contesa cessi a vantaggio dell’amore possibile solo nel momento in cui la parte colpevole comprenda – più che ammetta, perché quello viene da sé – il proprio errore. Anche qui possiamo citare ad esempio il profeta Natan che, quando dovette far riconoscere a Davide il peccato commesso con la moglie di Uria, non andò da lui accusandolo, ma gli narrò una parabola ponendolo nella condizione di autoaccusarsi, rivelandogli successivamente che era lui ad avere sbagliato e non il personaggio ipotetico presentato (2 Samuele 12.1-12): Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui». Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo»”.

Ecco allora che, porgendo ai suoi discepoli questo insegnamento, Gesù non intende esporre soltanto una formale, corretta procedura, ma sottolinea l’obiettivo primario, il “guadagnare il tuo fratello”che, “se ti ascolta”, si troverà ad essere un debitore spirituale perché, grazie a quell’intervento, sarà stato posto nelle condizioni di crescere spiritualmente avendo rimosso un’importante pietra d’inciampo nel proprio cammino. Inoltre, chiamando in causa l’intelligenza dell’offeso, avrà posto quest’ultimo nelle condizioni di utilizzare una strategia tesa non al redimere ciò che di umano si era venuto a creare, ma al ristabilimento di un equilibrio tanto necessario quanto inevitabile per entrambi perché, nel culto, la presenza dell’inimicizia e della non comunione piena non sono ammessi. L’obiettivo finale è infatti posto in risalto da Giacomo, “fratello del Signore”: “…se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati”(5.19,20). Perché siamo esenti dall’errore fino a prova contraria. Amen.

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