12.09 – MAI UN UOMO HA PARLATO COSÌ (Giovanni 7.40-53)

12.09 – Mai un uomo ha parlato così (Giovanni 7.40-53)

           

 

40All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». 41Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42Non dice la Scrittura: «Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». 43E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. 44Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. 45Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». 46Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». 47Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? 48Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? 49Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». 50Allora Nicodemo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: 51«La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». 52Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». 53E ciascuno tornò a casa sua.

 

            Quanto letto relativamente ai commenti della folla è la conseguenza dei discorsi sentiti fino ad allora nel cortile del Tempio di cui Giovanni ha riportato l’essenziale. Leggiamo però che l’apostolo ha scritto “All’udire queste parole”, quindi l’invito “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva chi crede in me”, ma non possiamo escludere anche quelle altre dette due o tre giorni prima, quando da un lato abbiamo la volontà di arrestarlo e, dall’altro, la gente che si domandava “Il Cristo, quando verrà, compirà forse segni più grandi di quelli che ha fatto costui?”(v.31). Ebbene, questa domanda in un certo senso portò i presenti a due conclusioni più una risposta la prima delle quali fu che Lui fosse “davvero il profeta!”,in cui sottolineiamo l’articolo determinativo per cui Lo prendevano per Elia o per quel “profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli”a cui avrebbero dovuto “dare ascolto”citato in Deuteronomio 18.15. Sappiamo che non era chiaro, per l’interpretazione che davano a quel passo, se si trattasse del Messia o del Suo precursore, ma è certamente indicativo, in questa pericope, quanto fosse incisivo quel “davvero”e l’articolo “il”che andava dritto al cuore del problema. Fra la moltitudine c’era quindi chi si poneva nelle condizioni di approfondire la posizione di Gesù con successo.

La seconda conclusione è più specifica, “Costui è il Cristo”: anche qui abbiamo l’indicativo “è”,quindi privo di forma dubitativa, a conferma del fatto che Gesù non poteva essere altri se non il Messia promesso e questa portò ad un’osservazione, o replica, che rivela quanto il popolo ignorava e cioè le effettive origini di Colui che stava parlando: era opinione diffusa che Gesù venisse “dalla Galilea”(Nazareth e Capernaum), ma in realtà apparteneva tanto alla genealogia di Davide in quanto nato a Betlehem di Efrata. Aveva dunque tutte le credenziali per essere creduto. Quelli che allora parlavano in quel modo, dubitando che Gesù fosse effettivamente il Cristo perché secondo loro veniva da una regione estranea al casato di Davide, sbagliano per ignoranza. Sappiamo che i capi dei sacerdoti e gli scribi dissero ad Erode che il “Re dei Giudei”sarebbe nato a Betlehem e lo facevano su passi della Scrittura ben precisi.

Prima di tutto il Cristo non avrebbe potuto venire da nessun’altro, genealogicamente, se non da Davide secondo Salmo 89.4,5: “Ho stretto alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide, mio servo. Stabilirò per sempre la tua discendenza, di generazione in generazione edificherò il tuo trono”. In proposito possiamo ricordare le due genealogie di Matteo e Luca in cui vengono nominati i rappresentanti delle generazioni che si succedettero nel tempo fino a Gesù. Lo stesso dicasi per Salmo 132.11 “Il Signore ha giurato a Davide, promessa da cui non torna indietro: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono»”. Abbiamo poi Isaia 11.1 con “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse– padre di Davide –, un virgulto spunterà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”. Geremia 23.5,6: “Ecco, verranno i giorni (oracolo del signore) nei quali io susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia”.

La provenienza da Betlehem sappiamo che fu predetta dal famoso passo di Michea 5.2, ma trova la sua base proprio in Iesse, quando viene così identificato in 1 Samuele 17.12: “Davide era figlio di un Efrateo di Betlemme di Giuda chiamato Iesse, che aveva otto figli”. E tutto torna perché chi indaga nella Scrittura, a prescindere dall’epoca in cui vive, non può venire confuso se guidato dallo Spirito e non si arrende (ricordiamo il cercare “come i tesori”).

Comunque, come accade anche oggi, abbiamo da una parte chi ha creduto in lui e chi no, con opinioni diverse e quel “volevano arrestarlo”, o “prenderlo”come traducono altri, ci può lasciar pensare che quella fu la volontà non solo dell’autorità religiosa che aveva mandato le “guardie”, ma anche di coloro che, tra la folla, vedevano in lui un impostore e il loro integralismo li spinse ad azioni violente contro di Lui. È importante sottolineare che il verso 44 ha senso ambivalente e riguarda anche gli inviati ad arrestarlo: erano le guardie del Tempio, che curavano l’ordine pubblico non solo lì, ma anche in città ed erano alle dipendenze del Sinedrio e in particolare del suo magistrato.

Ebbene quegli uomini andarono lì e, dopo averlo ascoltato, non furono in grado di eseguire l’ordine loro affidato per un motivo molto semplice, cioè furono toccati nel profondo della loro coscienza mentre gli altri, quelli della folla ostile, semplicemente non poterono. Giovanni non dice che le guardie credettero, ma solo che furono concordi nel dire “Mai un uomo ha parlato così”, frase che, detta da loro, ci dice molto perché conoscevano tutti i membri del Sinedrio, avevano ascoltato i loro discorsi, frequentavano la Sinagoga e conoscevano gli insegnamenti dei rabbini più autorevoli. Eppure, in quel momento, dichiarano di non avere mai sentito nessuno parlare in quel modo, cioè con quella conoscenza e autorità che ai sinedriti mancava nonostante gli studi severi che avevano intrapreso e la scienza scritturale che possedevano, ma in maniera umana. Dobbiamo tener presente che il mandato di arresto a quei tempi non era necessariamente immediato, ma poteva anche essere intesto come da eseguire alla prima occasione favorevole, poiché sappiamo che “i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano in ogni modo di toglierlo di mezzo, ma temevano il popolo”(Luca 22.2). Ecco perché le guardie inviate ebbero occasione di ascoltare Gesù mentre parlava, ricordando che Giovanni riporta una minima parte di ciò che disse. Lo stesso timore descritto da Luca emerge anche in Marco 11.32 quando annota, in un contesto diverso, che “…temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni– Battista – fosse veramente un profeta”.

“Mai nessuno parlò come quest’uomo”allora ci rivela che solo ascoltando le parole di Gesù, il Vangelo, l’uomo può riconoscere se sia il Figlio di Dio che dice di essere oppure no alla luce di quel “Tutto è compiuto”che riguarda non solo l’osservazione della Legge fin nello “iota”, ma nella presentazione del piano di Dio per l’uomo e nel fatto che solo ascoltandolo si può giungere ad una perfetta identità con Lui: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”(Giovanni 14.3).

La risposta delle guardie del tempio adirò profondamente i membri del Sinedrio e li accusarono di essere stati sedotti, ricordando loro che nessuno dei capi o dei farisei aveva creduto in lui e definiscono “maledetta”la moltitudine perché ignorava la Legge, quella cui proprio loro avrebbero dovuto insegnare per portarli non tanto alla minuta osservanza, ma al suo senso spirituale fino a quando non sarebbe giunto il Cristo, il Messia promesso. Ora è chiaro che quel “maledetta”riflette tutto il disprezzo che quella classe religiosa provava per i propri simili, atteggiamento ben diverso da quello che la Legge stessa dava per naturale, cioè che tutti fossero fratelli e l’uno prossimo dell’altro. Impossibile infatti pascere un gregge che non si ama. Invece sappiamo che proprio loro parlavano degli ebrei che non avevano studiato nelle loro scuole ed erano ritenuti “fango che si calpesta”, “uomini di terra” e “vermi”.

A questo punto ecco intervenire un personaggio che aveva incontrato Gesù due anni prima, Nicodemo, figura del dubbio provato e del timore di manifestare la propria fede, ma anche della Parola che germina lentamente nel cuore. Certo, anche del tormento che prova un’anima quando è frenata dal prendere una posizione che avrebbe inevitabilmente generato sofferenza personale vista nell’esclusione dalla società cui apparteneva. Sappiamo che Nicodemo non era l’unico: pensiamo a Giuseppe d’Arimatea, “membro del sinedrio, buono e giusto, che non aveva aderito all’operato degli altri”(Luca 23.50) e a tutti quelli che “…anche tra i capi, credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dischiaravano per non essere esclusi dalla sinagoga”(Giovanni 12.42). Sono queste persone che provano su di sé gli effetti della Parola di Dio, “più tagliente di una spada a doppio taglio”, che sono coscienti di non appartenere al mondo di prima ed ora si trovano di fronte ad una scelta da affrontare. Vivere in una coscienza divisa è terribile, per lo meno fino a quando non si trova il coraggio per spiccare il volo verso l’Alto. Ebbene, Nicodemo prende la parola e lo fa in modo prudente, potremmo dire combattendo a modo suo affrontando i suoi pari grado in modo legale alla luce di tre passi: Deuteronomio 1. 16,17 “Ascoltate le cause dei vostri fratelli e decidete con giustizia fra un uomo e suo fratello o lo straniero che sta presso di lui. Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali, darete ascolto al piccolo come al grande”, dove si parla di ascolto e decisione non offuscata da impressioni o sentimenti provenienti dalla carne.

Abbiamo poi 17.8: “Un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni”e questo accadeva in presenza dell’accusato. In 19.16 infatti si parla dell’eventualità in cui “un testimone ingiusto si alzi contro qualcuno per accusarlo di ribellione”. E sappiano che l’accusato aveva diritto di replica, come dalle parole di Pilato a Gesù in Marco 15.4: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano”. Secondo Nicodemo, quindi, proprio coloro che in quel frangente condannavano Gesù a priori e reputavano “maledetta”la folla, erano i primi a trasgredire la Legge. Lungo dal pensare a questo, lo esortano a studiare (ricordiamo il loro detto “va’ e impara”) le Scritture perché da esse veniva la verità in base al quale “dalla Galilea non sorge profeta”, ma sbagliavano: Giona nacque infatti a breve distanza da Cana (2 Re 14.25), Eliseo poco distante da Betlehem (1 Re 4.12; 19.16), e Nahum a El Kush, piccolo villaggio della Galilea.

L’episodio si concluse con un nulla di fatto:“Ciascuno tornò a casa sua”, temporaneamente al sicuro nelle proprie quattro mura.

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