13.07 – LA VERA BEATITUDINE (Luca 11.27-29)

13.07 – La vera beatitudine (Luca 11.27-29)          

 

27Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 28Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

 

            L’episodio in esame è riportato dal solo Luca, che possiamo considerare un’importante variante di ciò che è narrato quando “andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»”(9.19-21). Fu una realtà-verità talmente importante da venire riportata da tutti gli altri sinottici, Matteo 12.46,50 e Marco 3.31-34, tra loro simili ma tutti degni di attenzione: alla notizia dei parenti che lo cercavano, Gesù risponde “«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!»”. Marco scrive, dopo analoga domanda,“Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli, perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.

Già in quest’occasione Gesù stabilì un importante principio e cioè che se come uomo aveva dei parenti come Dio le relazioni con loro avevano senso soltanto se avessero creduto in Lui perché era quello l’unico modo per stabilire un rapporto, al pari di tutti gli altri uomini e donne. Era finito il tempo in cui, dodicenne di ritorno dal tempo, è detto che “…venne a Nazareth e stava loro sottomesso”(Luca 2.51) cioè a suo padre e sua madre: doveva attendere che quel percorso comune a tutti gli altri israeliti, prima dei trent’anni, fosse concluso e nell’attesa “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”(v.52). Fu così che divenne maggiorenne col Bar Mitwah a tredici anni, dopo di che svolse il mestiere del padre per mantenersi, ma “a circa trent’anni cominciò il suo ministero ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli”(Luca 3.23).

A tredici anni, quindi, Gesù era considerato come tutti gli altri ebrei pienamente responsabile delle sue azioni davanti a Dio e agli uomini. I trenta, poi, erano quelli in cui i Leviti erano ammessi ad effettuare il loro servizio che si protraeva fino al raggiungimento del cinquantesimo (Numeri 4.3). Quando Gesù pronunciò le parole su cui ci stiano soffermando, quindi, aveva una doppia indipendenza dalla sua famiglia di origine, vale a dire quella dell’età responsabile e quella dell’età del servizio.

Ora se nel caso dell’episodio riportato dai sinottici l’anonimo o gli anonimi che lo informarono del fatto che era cercato dalla madre e dai fratelli presumevano che avesse una reazione di riguardo umano, poi smentita dai fatti, qui a parlare è una donna che probabilmente era sua discepola e non poté trattenere il proprio entusiasmo a fronte di un discorso che il suo Maestro fece subito dopo la parabola dell’ “uomo forte”che abbiamo da poco esaminato: “Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: «Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito». Venuto la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima”(Luca 11.24-26).

Dobbiamo tener presente che quanto detto da Gesù fu conseguente alla liberazione dell’indemoniato muto, che secondo la versione di Matteo era anche cieco (12.22-45): evidentemente quella donna era stata sconvolta da quella guarigione ed aveva compreso le parole del Maestro che spiegava le conseguenze cui va incontro chi, beneficiato di un intervento di Dio così specifico, non si converte dandogli modo di entrare in lui. Sappiamo che i Giudei avevano i loro esorcisti ma non se si trattasse, in caso di successo, di un artificio o se effettivamente liberassero persone possedute. In ogni caso certo non erano in grado di spiegare le dinamiche illustrate da Gesù e, a giudicare dagli insuccessi ottenuti con la donna emorroissa, non sempre il risultato dei loro interventi era efficace.

Ecco allora la frase ad alta voce per farsi sentire, “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”, pronunciata dal suo entusiasmo di donna e di madre di uno o più figli che certo non erano come Lui. Si trattò però di una frase infelice nel senso che, ancora una volta, limitava Gesù perché lo legava in qualche modo alle sue radici umane nel senso che, invece di esprimere la gioia come altri che dissero “Un profeta è sorto fra noi”, non vedeva altro che la soddisfazione  e l’orgoglio che secondo lei provava di sua madre Maria, definita dall’angelo Gabriele “favorita dalla grazia”. Nel suo magnificat Maria stessa dirà “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”non perché “fortunata” ad avere un figlio così, ma per l’onore della scelta che Dio le aveva rivolto e per tutte le attenzioni di cui fu circondata dalla nascita di suo Figlio in poi passando attraverso la crocifissione dove verrà affidata alle cure dell’apostolo Giovanni. Ricordiamo che sicuramente vide Gesù risorto, che su di lei, come sui “circa centoventi”scese lo Spirito Santo a Gerusalemme, credo quindi consolata come pochi da quella “spada che ti trapasserà l’anima”, ancora una volta gli effetti dello Spirito che provò certamente anche in maniera dolorosa.

Credo che la vita di Maria, più che nei tentativi umani di ingerenza nella vita del figlio, sia da ricercarsi in quel suo costante conservare nel proprio cuore gli avvenimenti che si verificavano e non capiva interrogandosi sul loro significato anziché crogiolarsi nel fatto che avrebbe messo al mondo Uno che sarebbe stato “santo”e “chiamato Figlio dell’Altissimo”(Luca 1.35). Certo nel momento in cui guardò alla propria realtà umana, sbagliò, come nel caso in cui, assieme agli altri figli, “…uscirono per andare a prenderlo perché dicevano: «È fuori di sé»”(Marco 3.30).

La frase di quella anonima, quindi, era fuori luogo, non c’entrava nulla né con la realtà di Gesù, “nato di donna”come qualunque essere umano, né con quella di Maria sua madre, che non volle mai avere né mai ebbe un ruolo di rilievo nella Chiesa costituita dalla discesa dello Spirito Santo fino al termine degli scritti che costituiscono il Nuovo Testamento. Sarà poi il progressivo fraintendimento della Scrittura, le aggiunte ad essa e soprattutto le molte influenze pagane e idolatre che porteranno alla sua venerazione, attribuendole ruoli, compiti e funzioni che nulla hanno a che vedere con l’impianto evangelico e dottrinale originario.

La religione, cioè il rifiuto di un metodo serenamente e spiritualmente sano e critico di affrontare il testo sacro, ha fatto il resto. Come ben sappiamo dalle realtà che dovette affrontare e dalle Sue parole, Nostro Signore attaccò sempre il metodo religioso, che è attaccamento a precetti formali e metodi di ragionamento che esaltano la forma e il rito trascurando completamente la carità, l’amore e l’illuminazione che procede da Dio, impossibile se vengono a mancare i presupposti che la determinano.

A questo punto, tornando al nostro testo, le parole di Gesù demoliscono il concetto che la discepola innominata riteneva valido: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e l’osservano”. Va sottolineato che con quel “piuttosto”, che altri traducono “anzi”, sembra che Nostro Signore intenda mettere in secondo piano la figura di Maria, il che non è vero essendo traducibile il termine greco originale anche con “Sì, ma”. Ecco allora che questa risposta racchiude in sé l’esortazione a non pensare agli altri ma, in campo spirituale, fondamentalmente a se stessi perché il lavoro da fare nei nostri confronti è talmente tanto che non dovremmo avere il tempo di fare altro, nello specifico ad esempio di guardare la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello perché così facendo ignoreremmo la trave che è nel nostro. Ricordiamo quando Pietro, parlando di Giovanni a Gesù risorto, si sentì dire: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”(Giovanni 21.22): ciascun credente ha una via preparata per lui, è unico come uniche sono le sue sembianze fisiche.

Il primo messaggio, quindi, è la diversificazione dei ruoli, è l’invito-ordine a pensare prima di tutto alla posizione che ogni essere umano ha davanti a Dio: ascolti la Parola di Dio? È il primo passo perché questo determina la considerazione, la valutazione che poi porta alla decisione dell’accoglimento. E Maria queste cose le faceva e come tutti ebbe tanto il suo percorso quanto giunse poi alla propria scelta. Però, abbiamo letto all’inizio che “Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”.

Tempo fa ho fatto presente che ci troviamo a meditare dei capitoli di Luca che appartengono al cosiddetto “libro del grande viaggio” in cui l’evangelista include episodi che non necessariamente rispecchiano un ordine cronologico preciso e infatti alcuni studiosi mettono in risalto che le parole di Gesù che stiamo considerando precedono di poco le altre, cioè quelle pronunciate quando arrivarono Maria e gli altri suoi figli a cercarlo e che infatti abbiamo citato.

La messa in pratica è quindi quella che conta, è la dimostrazione che l’ascolto ha portato all’unica conclusione possibile, quella dell’operatività perché “Non chiunque mi dice: «Signore, Signore» entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del padre mio che è nei cieli”(Matteo 7.21). Ancora, “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”(Giovanni 13.17) e da qui si può citare Giacomo 1.22-25: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla”. Amen.

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